«Non c'è sciagura maggiore di quella
di vivere e di morire senza conoscere Dio», si compiaceva di
ripetere Santa Claudine Thévenet, lei, che aveva fatto assegnamento
solo su Dio, come sottolineava Papa Giovanni Paolo II, in occasione
della beatificazione di questa suora lionese: «Claudine, che ha
fatto della sua vita religiosa un «inno di gloria» al Signore,
seguendo le orme della Vergine Maria che venerava profondamente,
ricorda ai cristiani che vale la pena di far assegnamento solo su
Dio. A quelli ed a quelle che il Signore invita a consacrarsi più
particolarmente al suo servizio, essa conferma che bisogna saper
perdere la propria vita (ved. Matt. 16, 25), perchè altri
possano amare e conoscere Dio; essa conferma anche, con il suo
esempio, che il più bel successo nella vita è la santità» (4
ottobre 1981. In seguito, Claudine Thévenet è stata canonizzata il
21 marzo 1993).
La piccola
violetta
Claudine Thévenet, nata a Lione il 30
marzo 1774, viene battezzata fin dal giorno dopo nella chiesa di San
Nizier. Sarà chiamata Glady; è la seconda di una famiglia di sette
figli. Trascorre i dodici primi anni della sua vita tranquillamente
in famiglia, dove la fede cristiana è solidamente radicata. Dal
padre, Filiberto Thévenet, commerciante, Claudine impara la carità
verso i deboli e i poveri. Dalla madre, eredita il valore cristiano.
Glady, che sarà chiamata anche «la piccola violetta», si rende
utile in casa. A nove anni, i genitori la affidano alle Suore
Benedettine dell'Abbazia di San Pietro, in Piazza «des Terreaux».
Vi riceve una solida formazione intellettuale e spirituale, e qualche
nozione di cucito, ricamo, ecc.; ma, soprattutto, le viene inculcato
un grande amore per l'ordine e l'impegno in tutto. Claudine torna
precipitosamente a casa, quando scoppia l'uragano rivoluzionario, nel
1789.
La città di Lione è terribilmente
colpita dal Terrore. Per reazione, il 29 maggio 1793, scoppia, contro
il governo di Parigi, un'insurrezione che, in capo a 24 ore di
combattimenti, s'impadronisce della città. Per precauzione, il
Signor Thévenet porta i figli più giovani da una delle sue sorelle
a Belley. Da Parigi, vengono inviate truppe: il 9 agosto, la città
di Lione è assediata. Il Signor Thévenet non può più tornare a
casa.
I due fratelli maggiori di Claudine,
Luigi Antonio (ventenne) e Francesco Maria (diciottenne), si
schierano sotto il comando del generale de Précy, dalla parte degli
assediati. Bombardata senza posa e vinta dalla carestia, Lione
capitola in capo a due mesi. Claudine è sola con la madre, con cui
condivide un triplice timore: incertezza relativamente al padre ed ai
quattro figli più piccoli; la sorte dello zio materno, Luigi Guyot,
rimasto nel territorio occupato dall'esercito rivoluzionario; e,
ancora di più, il pericolo che corrono i due fratelli combattenti.
Di fronte ad una situazione tanto penosa, essa ripone tutta la sua
fiducia in Dio e cerca di mantenersi serena.
L'ultimo combattimento si svolge vicino
alla dimora dei Thévenet. Dopo la battaglia, Glady si reca sul posto
alla ricerca dei due fratelli. Si avvicina a ciascun cadavere,
fissando i volti al lume di un lanternino, poichè si è fatta notte.
I fratelli non ci sono. Combattuta fra la speranza e l'inquietudine,
se ne torna a casa. Che dire alla povera mamma? Improvvisamente,
eccoli! Scampati senza ferite all'assalto finale, si sono nascosti in
una casa amica, poi, attraverso i tetti, hanno raggiunto la loro
dimora per venire a calmare l'angoscia della madre e della sorella.
Ahimè! la gioia è di breve durata. Denunciati, i due fratelli
vengono arrestati ed imprigionati, in attesa di esser fucilati.
Il governo rivoluzionario di Parigi ha
ordinato una repressione esemplare. Ogni giorno, centinaia di
condannati vengono fucilati sulle terre incolte «des Brotteaux».
Ovunque, regnano l'insicurezza e l'angoscia. La Signora Thévenet
vede tuttavia il suo dolore lenito dal ritorno di Filiberto, suo
marito. Questi si adopera con tutti i mezzi per tentar di far
liberare i figli; ma essi non si illudono.
«Perdona
come noi perdoniamo!»
Giorno per giorno, la ragazza scruta il
corteo dei condannati. La mattina del 5 gennaio 1794, esamina
attentamente la triste sfilata abituale. Improvvisamente, le si
stringe il cuore: Luigi e Francesco! Ha incrociato lo sguardo dei
fratelli, incatenati insieme! Tutto, in lei, freme d'orrore. Ma deve
andare fino in fondo, come la Santa Vergine che accompagnò il suo
Figlio unigenito fino al Calvario. Si intrufola penosamente vicino ad
essi. Luigi si arrischia a far segno al domestico che accompagna
Claudine, dicendogli sottovoce: «Chinati e prendi nella mia scarpa
una lettera per nostra madre». Poi dice alla sorella: «Prendi,
Glady, perdona come noi perdoniamo!» Essa ricorda allora le prime
parole di Gesù sulla croce: Padre, perdona loro, perchè non
sanno quello che fanno! (Luca 23,34).
Poi, la fucilazione. Claudine trova il
coraggio di insinuarsi accanto alle vittime. Un rumore sinistro
attira la sua attenzione: si dà il colpo di grazia a sciabolate ai
superstiti, fra cui essa riconosce Luigi e Francesco. È troppo per i
suoi nervi: per tutta la vita, conserverà una predisposizione
all'emicrania.
Ed ora bisogna tornare a casa. La mano,
ancora gelata dall'emozione, stringe la preziosa lettera. Il
messaggio di addio, commovente testimonianza di fede ardente e di
perdono, è un conforto. Ciascuno dei due fratelli ha scritto la
propria lettera e ciascuna lettera è firmata da entrambi. «Saremo
più felici di voi: fra quattro o cinque ore, saremo al cospetto di
Dio... Andiamo in seno a Dio, quel buon Padre che abbiamo offeso, ma
speriamo tutto dalla sua misericordia». Si sono potuti confessare
entrambi ad un vecchio sacerdote infermo, incarcerato e condannato
con loro.
Una forza
nuova
La lettura di questo «testamento»
ravviva in Claudine la coscienza della sua responsabilità nei
riguardi dei genitori. Li aiuta a sormontare la prova, preceduta da
un'altra tragedia, la morte per fucilazione di Luigi Guyot, fratello
della Signora Thévenet. La suprema raccomandazione dei due fratelli
riecheggia senza posa negli orecchi di Glady: «Perdona come noi
perdoniamo».Tornata la calma a Lione, la spia che aveva denunciato i
due giovani non sarà tradotta in giustizia dai Thévenet.
Il loro nobile atteggiamento si ispira
alla dottrina di Nostro Signore. «L'insegnamento di Cristo, ricorda
il Catechismo della Chiesa Cattolica, arriva fino a chiedere il
perdono delle offese. Estende il comandamento dell'amore che è
quello della legge nuova, a tutti i nemici (ved. Matt. 5, 43-44)»
(CCC, 1933). Lo spirito del Vangelo è incompatibile con
l'odio del nemico; ciò non impedisce di riconoscere ed odiare il
male compiuto da esso.
Dopo aver insegnato verbalmente il
perdono delle offese, Gesù ce ne ha dato un esempio perfetto: Giunti
sul luogo detto Teschio, ivi crocifissero Gesù e i due malfattori,
uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Gesù diceva:
«Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno» (Luca
23, 33-34). «Gesù chiede al Padre di perdonare con il suo cuore
umano, commenta il cardinale Journet: dobbiamo chiedere al Padre di
perdonare con i nostri cuori umani. Contro l'odio e lo scatenarsi
degli istinti terreni, Egli fa appello alle magnanimità del cielo:
dobbiamo continuare con Lui a far appello alle magnanimità celesti
contro l'odio, le follie, i crimini terreni. Una forza nuova entra
con Lui nel mondo, e non ne uscirà più, una forza più forte del
male del mondo. L'antico regno della violenza si scontrerà con un
altro, con un nuovo regno... Ormai, qualcosa è cambiato nel tempo»
(Le sette parole di Cristo in Croce, ed. Le Seuil 1952). Il
nuovo regno è quello dell'amore: «Il perdono sta a testimoniare
che, nel nostro mondo, l'amore è più forte del peccato, dice il
Catechismo. I martiri di ieri e di oggi rinnovano questa
testimonianza di Gesù» (CCC, 2844).
Se il rifiuto di perdonare chiude il
nostro cuore e lo rende impermeabile all'amore misericordioso del
Padre, il perdono, al contrario, lo apre alla grazia. Così, lungi
dal far nascere l'aggressività o l'amarezza in Claudine, la prova,
sormontata eroicamente, la predispone ad una grande compassione per
l'infelicità altrui. A poco a poco, si sviluppa in lei un doppio
sentimento: il desiderio di comunicare la conoscenza intima della
bontà di Cristo, e l'angoscia all'idea della grande sventura di
coloro che non conoscono Dio.
L'oblio di
Dio
I dieci anni che seguono la tragica
morte dei fratelli vedono Glady dedicarsi ad una carità attiva e
discreta. Si occupa della parrocchia di San Bruno e consacra buona
parte del suo tempo ai poveri. Soffre profondamente nel vedere lo
stato allarmante dell'educazione. «La gioventù non ha più costumi,
scrive a quella stessa epoca un ispettore della pubblica istruzione.
È immersa in un orribile libertinaggio. I bambini insultano le
persone perbene ed i vecchi; non si può più insegnar loro nulla;
sono indisciplinabili. Le ragazze, che non sanno lavorare, passano il
tempo nelle balere con i soldati; bestemmiano ed hanno la bocca
talmente piena di parolacce che avrebbero fatto arrossire i
granatieri della mia epoca. Che diverrà la futura generazione, se
non si pone prontamente rimedio a simili mali?» Così, la sorte di
quelle migliaia di poveri ragazzi, che mancano dei beni di questo
mondo, che, forse, diventeranno grandi senza sentir mai pronunciare
il nome del Buon Dio, fa rabbrividire Claudine. È inoltre convinta
che una delle cause principali dei mali della Rivoluzione sia l'oblio
di Dio.
Essa ricorre in primo luogo e
principalmente alla preghiera. Aderisce alla Confraternita del Sacro
Cuore, in cui l'adorazione eucaristica è in auge. Poi, attira altre
giovani che perseguono il suo stesso ideale. Talvolta, dopo aver reso
visita a dei derelitti, esse si riuniscono e si scambiano le loro
esperienze di apostolato.
Viene l'inverno del 1815. Un giovane
sacerdote che passa davanti alla chiesa di San Nizier, scorge
un'ombra sotto il portico; sente singhiozzi soffocati. Due ragazzine
cenciose, tremanti e morte di fame, cercano di proteggersi contro il
freddo pungente. Il prete capisce che le piccole sono state
abbandonate. Le conduce dal parroco, che intravede subito la
soluzione: «Andate a bussare al n. 6 della via Masson, dalla
Signorina Claudine Thévenet. Ha un cuore di madre ed anima tutte le
opere caritative della parrocchia». Claudine, commossa fino alle
lacrime, riveste e cura le due piccole, poi si reca da una delle sue
amiche, Maria Chirat. È presto fatto: le bambine saranno alloggiate
da Maria, che sgombra per loro uno dei due piani della sua casa.
Qualche giorno dopo, vi vengono accolte cinque altre ospiti. Il
centro di accoglienza della Signorina Chirat diventa «la Provvidenza
del Sacro Cuore» e Claudine vi fa funzioni di direttrice.
Ma le cose non si fermano lì. Don
Coindre, consigliere spirituale di Claudine, suggerisce la creazione
di una struttura stabile, con un regolamento preciso e idoneo. Il
progetto da lui redatto si basa sulla Regola di Sant'Agostino e sulle
Costituzioni di Sant'Ignazio di Loyola. Lo spirito interiore di
quest'ultimo servirà di modello alle associate nella vita
apostolica. Il 31 luglio 1816, in occasione della festa di
Sant'Ignazio, viene istituita la «Pia Unione del Sacro Cuore di
Gesù». Claudine viene eletta alla presidenza. Per un attimo, essa è
invasa dallo sgomento, poi, dopo un istante di raccoglimento,
imitando la Santissima Vergine Maria all'atto dell'Annunciazione,
accetta l'elezione.
La piccola associazione irraggia in
modo stupefacente ma discreto. Una seconda «Provvidenza» viene
aperta, con un laboratorio per la fabbricazione di seterie. La «Pia
Unione» si sviluppa: due anni dopo la fondazione, vi si sono
aggregati sedici nuovi membri. Nel frattempo, la prima «Provvidenza
del Sacro Cuore», alloggiata presso la Signorina Chirat, prospera
essa pure; ben presto, Claudine e le sue compagne non possono più
consacrarvisi; l'opera è allora affidata alle suore di San Giuseppe.
Una folle
impresa
Pur spiegando un ardente zelo per le
opere apostoliche, Claudine vive ancora presso la madre. Quella madre
colpita da tante sventure teme che un giorno il Signore le prenda
Glady, chiamandola alla vita religiosa. Infatti, questa è conscia di
una vocazione speciale di Dio. È un momento doloroso: con tatto,
Claudine prepara sua madre alla separazione. Il 5 ottobre 1818, si
insedia definitivamente alla «Provvidenza». Quella prima notte
passata non sotto il tetto familiare è una delle più terribili
vissute da Claudine: «Mi sembrava, dirà, di essermi impegnata in
un'impresa folle e presuntuosa, che non aveva nessuna garanzia di
successo, e che, al contrario, tutto sommato, non sarebbe sfociata in
niente». La sostengono il grande amore per Dio e la fede intensa. Il
Signore chiamerà a sè la Signora Thévenet due anni dopo,
immergendo di nuovo Claudine nel dolore, ma rendendole nello stesso
tempo una totale libertà d'azione.
Il laboratorio di fabbricazione della
seta funziona bene e alleggerisce le necessità economiche della
«Provvidenza». Tuttavia, lo sviluppo dell'opera esige il trasloco
in un locale più ampio, sulla collina lionese di Fourvière, di
fronte alla vecchia chiesa consacrata alla Santa Vergine. Ben presto,
l'apostolato si espande: Claudine constata che le ragazze delle
famiglie benestanti non sono più favorite sul piano religioso di
quelle delle famiglie povere. Apre quindi un convitto per tali
ragazze. Ma deve costruire un nuovo edificio e fare un grosso mutuo.
Ora, la persona su cui contava per l'aiuto finanziario, si tira
indietro all'ultimo momento. Nella preghiera, si mette totalmente
nelle mani di Dio, che non può non soccorrerla. Infatti, a poco a
poco, i debiti saranno pagati.
La piccola comunità non incontra
sempre la benevolenza. Le malelingue criticano quest'impresa e
cercano di mettere in ridicolo la Superiora. Quando passano per la
strada, le bambine e le loro insegnanti sono esposte a frizzi di
cattivo gusto che raggiungono talvolta l'insulto e la violenza.
Claudine, che conosce il valore del perdono, raccomanda di
«sopportare le ingiurie con pazienza e di rispondervi con parole
dolci e gentili». È profondamente persuasa che «la sollecitudine
della divina Provvidenza è concreta e immediata, che si prende cura
di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e
della storia» (CCC, 303). Gesù ha chiesto, infatti, un
abbandono filiale alla provvidenza del Padre celeste: Non
angustiatevi dunque dicendo: che cosa mageremo? che cosa berremo?...
Il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutto questo.Cercate
prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto ciò vi
sarà dato in soprappiù (Matt. 6, 31-33).
Trarre il
bene dal male
Ma se Dio Padre Onnipotente, Creatore
del mondo, si cura di tutte le creature, perchè esiste il male? Il
male non viene da Dio. In origine, l'uomo è stato creato buono ed
invitato ad una comunione intima con Dio in virtù di una grazia
meravigliosa. L'irraggiamento di tale grazia raggiungeva tutti gli
aspetti della vita: finchè rimaneva nell'intimità divina, l'uomo
non doveva nè morire, nè soffrire. Ma, tentato dal diavolo, ha
disubbidito al comandamento di Dio ed ha così perduto lo stato di
grazia. L'armonia in cui era posto è distrutta. La creazione
visibile è diventata aliena e ostile all'uomo. La morte entra nella
storia dell'umanità. Dopo questo primo peccato, il mondo è inondato
da una vera «invasione» del peccato e del male. Ma dopo la caduta,
l'uomo non è stato abbandonato da Dio. Cristo, con la morte sulla
Croce e la Risurrezione, ha spezzato il potere del demonio ed ha
liberato l'uomo. Ormai, questi può, attraverso la sofferenza e la
morte, divenute mezzi di salvezza, giungere alla beatitudine celeste.
«L'ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di
cui l'invidia del demonio ci aveva privati», dice San Leone Magno.
Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia (Rom.
5, 20).
Così Sant'Agostino ha potuto
affermare: «Dio Onnipotente, essendo supremamente buono, non
permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se
non fosse sufficientemente potente e buono da trarre dal male stesso
il bene» (ved. CCC, 311). Ma non per questo il male diventa
un bene. Sta di fatto che «dal più grande male morale che mai sia
stato commesso, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causata
dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua
grazia, ha tratto il maggiore dei beni: la glorificazione di Cristo e
la nostra Redenzione» (CCC, 312). Le vie misteriose imboccate
dalla Provvidenza non ci saranno pienamente note che in Cielo, quando
vedremo Dio a faccia a faccia, ma abbiamo fin d'ora la certezza che
ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio (Rom. 8,
28). La testimonianza dei santi non cessa di confermare questa
verità. «Tutto viene dall'amore, dice Santa Caterina da Siena,
tutto è ordinato alla salvezza dell'uomo, Dio non fa niente se non a
questo fine» (ved. CCC, 313).
«Non far
sopportare nulla a nessuno»
Senza volerlo, Claudine Thévenet ha
fondato una Congregazione. La disposizione interiore che desidera
suscitare nelle sue religiose è quella di «compiere tutte le loro
azioni allo scopo di far cosa grata a Dio, e con un principio di
fede». Essa e le sue compagne vestono un nuovo abito ed assumono un
nuovo nome: Claudine si chiamerà ormai Madre Maria Sant'Ignazio. Nel
1822, don Coindre viene trasferito a Monistrol, nella diocesi di Le
Puy. Dietro sua richiesta, Madre Maria Sant'Ignazio vi manda alcune
suore, ed il vescovo di Le Puy approva ed istituisce la loro
Congregazione con la denominazione di «Congregazione del Sacro
Cuore».
Numerose sofferenze colpiranno ancora
Madre Maria Sant'Ignazio: la morte di don Coindre nel 1826; la morte
prematura di due giovani suore su cui contava molto; una grave
malattia che la conduce in pericolo di vita; la minaccia di fusione
della sua Congregazione con quella delle Dame del Sacro Cuore di
Santa Maddalena Sofia Barat; la rivoluzione del 1830 che porta a
combattimenti drammatici sulla collina di Fourvière e fin nella sua
Casa, ecc. Tutte queste prove sono batoste per la Fondatrice, che
rimane tuttavia energica e serena, e che non cessa di ripetere alla
sue religiose: «Che la carità sia come la pupilla dei vostri
occhi», ed anche: «Siate disposte a sopportare tutto dagli altri e
a non far sopportare nulla a nessuno».
Nel febbraio del 1836, don Pousset è
nominato cappellano delle suore. Ben presto, Madre Sant'Ignazio, che
conta su di lui per aiutarla ad ottenere da Roma l'approvazione della
sua Congregazione, è delusa. Il sacerdote non può sopportare la
spiritualità di Sant'Ignazio, cui si ispirano le suore. Inoltre,
malgrado le sue qualità di oratore, di zelo, di ordine e di buon
gusto per la liturgia, oltrepassa i propri diritti. In coscienza, la
Madre Superiora si vede costretta a resistergli, umilmente ma
fermamente. Non può lasciare che il sacerdote si eriga a superiore
assoluto e trasformi a modo suo lo stile di vita e lo spirito che Dio
ha voluto per la Congregazione. Si producono numerose scenate penose.
Col passare degli anni, la salute di Madre Maria Sant'Ignazio
declina.
«Quant'è
buono il buon Dio!»
Il 29 gennaio 1937, riceve gli ultimi
sacramenti in presenza di tutta la comunità. Don Pousset rivolge
allora alla moribonda, in pubblico, un biasimo sferzante: «Avete
ricevuto grazie sufficienti per convertire un intero regno: che ne
avete fatto? Siete un ostacolo al progresso della vostra
Congregazione. Cosa risponderete a Dio, che vi chiederà conto di
tutto?» Madre Maria Sant'Ignazio conserva un viso calmo. Confesserà
però ad alcune delle sue religiose che sentendo tali parole, per
poco non era scoppiata in singhiozzi. Ma il suo cuore misericordioso
sa accordare un ultimo perdono. Quel giorno stesso, colpita da
paralisi, entra in agonia, incapace di articolare una sola parola,
salvo queste: «Quant'è buono il buon Dio!» Due giorni dopo, rende
l'anima a Dio.
Il grano messo nella terra, umiliato,
conformato a Cristo, ha portato molti frutti. La famiglia religiosa
di Santa Claudine Thévenet, diventata «Congregazione delle
religiose di Gesù Maria», conta oggi più di duemila sorelle e case
nei cinque continenti.
Santa Maria Sant'Ignazio aiutaci ad
imitare il tuo esempio di umiltà, di perdono e di abbandono a Dio.
Affidiamo alla tua intercessione tutti gli amici dell'Abbazia San
Giuseppe di Clairval, vivi e defunti.
Dom Antoine
Marie osb
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
Nessun commento:
Posta un commento