Indice
Inizio del libro
1. Il primo miracolo
2. Tentazione e vittoria
3. Il segno della croce
4. Correzione del monaco dissipato
5. L’acqua dalla pietra
6. Il ferro che torna nel manico
7. Mauro cammina sull’acqua
8. Il pane avvelenato
9. La pietra che diventa leggera
10. L’incendio della cucina
11. Il piccolo monaco schiacciato
12. Il cibo preso trasgredendo la Regola
13. Il fratello del monaco Valentiniano
14. La simulazione del re Totila
15. La profezia per Totila
16. Il chierico liberato dal demonio
17.
Predice la distruzione del suo monastero
18. Il furto del bariletto di vino
19. I fazzoletti delle monache
20. Il pensiero superbo del piccolo monaco
21. La farina alle porte del monastero
22. Una fabbrica regolata in visione
23. Le monache riconciliate per mezzo del Sacrificio
24. Il piccolo monaco fuggitivo
25. Il monaco e il dragone
26. L’elefantiaco risanato
27. Il debitore pagato
28. La bottiglia che non si rompe
29. L’anfora vuota riempita d’olio
30. Il monaco liberato dal demonio
31. Uno sguardo liberatore
32. Il fanciullo risuscitato
33. Il miracolo di sua sorella Scolastica
34. L’anima di sua sorella vola al cielo
35. La visione del mondo e dell’anima di Germano
36. La regola monastica
37. Il passaggio all’eternità
38. La pazza risanata nello Speco
Inizio del libro
Gregorio: seguitando le nostre conversazioni, parleremo oggi di un
uomo veramente insigne, degno di ogni venerazione. Si chiamava
Benedetto questo uomo e fu davvero benedetto di nome e di grazia. Fin
dai primi anni della sua fanciullezza era già maturo e quasi
precorrendo l’età con la gravità dei costumi, non volle mai
abbassare l’animo verso i piaceri.
Se l’avesse voluto avrebbe potuto largamente godere gli svaghi del
mondo, ma egli li disprezzò come fiori seccati e svaniti.
Era nato da nobile famiglia nella regione di Norcia. Pensarono di
farlo studiare e lo mandarono a Roma dove era più facile attendere
agli studi letterari. Lo attendeva però una grande delusione: non vi
trovò altro, purtroppo, che giovani sbandati, rovinati per le strade
del vizio.
Era ancora in tempo. Aveva appena posto un piede sulla soglia del
mondo: lo ritrasse immediatamente indietro. Aveva capito che anche
una parte di quella scienza mondana sarebbe stata sufficiente a
precipitarlo intero negli abissi.
Abbandonò quindi con disprezzo gli studi, abbandonò la casa e i
beni paterni e partì, alla ricerca di un abito che lo designasse
consacrato al Signore. Gli ardeva nel cuore un’unica ansia: quella
di piacere soltanto a Lui. Si allontanò quindi così: aveva scelto
consapevolmente di essere incolto, ma aveva imparato sapientemente la
scienza di Dio.
Certamente io non posso conoscere tutti i fatti della sua vita. Quel
poco che sto per narrare, l’ho saputo dalla relazione di quattro
suoi discepoli: il reverendissimo Costantino, suo successore nel
governo del monastero; Valentiniano, che fu per molti anni superiore
del monastero presso il Laterano; Simplicio, che per terzo governò
la sua comunità; e infine Onorato, che ancora dirige il monastero in
cui egli abitò nel primo periodo di vita religiosa.
1. Il primo miracolo
Abbandonati dunque gli studi letterari, Benedetto decise di ritirarsi
in luogo solitario. La nutrice però che gli era teneramente
affezionata, non volle distaccarsi da lui e, sola sola, ottenne di
poterlo seguire. E partirono.
Giunti alla località chiamata Enfide, quasi costretti dalla carità
di molte generose persone, dovettero interrompere il viaggio; presero
così dimora presso la chiesa di S. Pietro.
Qualche giorno dopo, la nutrice aveva bisogno di mondare un po’ di
grano e chiese alle vicine che volessero prestarle un vaglio di
coccio. Avendolo però lasciato sbadatamente sul tavolo, per caso
cadde e si ruppe i due pezzi. Ed ora? L’utensile non era suo, ma
ricevuto in prestito: cominciò disperatamente a piangere.
Il giovanotto, religioso e pio com’era, alla vista di quelle
lacrime, ebbe compassione di tanto dolore: presi i due pezzi del
vaglio rotto, se ne andò a pregare e pianse. Quando si rialzò dalla
preghiera, trovò al suo fianco lo staccio completamente risanato,
senza un minimo segno d’incrinatura: «Non c’è più bisogno di
lacrime – disse, consolando dolcemente la nutrice – Il vaglio
rotto eccolo qui, è sano!».
La cosa però fu risaputa da tutto il paese e suscitò tanta
ammirazione che gli abitanti vollero sospendere il vaglio
all’ingresso della chiesa: doveva far conoscere ai presenti e ai
posteri con quanto grado di grazia Benedetto, ancor giovane, aveva
incominciato il cammino della perfezione.
Il vaglio restò lì per molti anni, a vista di tutti, e fino al
tempo recente dei Longobardi, è rimasto appeso sopra la porta della
chiesa.
Benedetto però non amava affatto le lodi del mondo: bramava
piuttosto sottoporsi a disagi e fatiche per amore di Dio, che non
farsi grande negli onori di questa vita. Proprio per questo prese la
decisione di abbandonare anche la sua nutrice e nascostamente fuggì.
Si diresse verso una località solitaria e deserta chiamata Subiaco,
distante da Roma circa 40 miglia, località ricca di fresche e
abbondantissime acque, che prima si raccolgono in un ampio lago e poi
si trasformano in fiume.
Si affrettava dunque a passi svelti verso questa località, quando si
incontrò per via con un monaco di nome Romano, che gli domandò dove
andasse.
Conosciuta la sua risoluzione, gli offrì volentieri il suo aiuto. Lo
rivestì quindi dell’abito santo, segno della consacrazione a Dio,
lo fornì del poco necessario secondo le sue possibilità e gli
rinnovò la promessa di non dire il segreto a nessuno.
In quel luogo di solitudine, l’uomo di Dio si nascose in una
stretta e scabrosa spelonca. Rimase nascosto lì dentro tre anni e
nessuno seppe mai niente, fatta eccezione del monaco Romano. Questi
dimorava in un piccolo monastero non lontano, sotto la guida del
padre Adeodato; con pie industrie, cercando il momento opportuno,
sottraeva una parte della sua porzione di cibo e in giorni stabiliti
la portava a Benedetto.
Dal monastero di Romano però non era possibile camminare fino allo
speco, perché sopra di questo si stagliava un’altissima rupe.
Romano quindi dall’alto di questa rupe, calava abilmente il pane
con una lunghissima fune, a cui aveva agganciato un campanello:
l’uomo di Dio sentiva, usciva fuori e lo prendeva.
Il bene però non piace mai allo spirito maligno: sentiva rabbia
della carità dell’uno e della refezione dell’altro. Un giorno,
osservando che veniva calato il pane, scagliò un sasso e ruppe il
campanello. Romano però continuò lo stesso, come meglio poteva, a
prestare questo generoso servizio.
Dio però, che tutto dispone, volle che Romano sospendesse la sua
laboriosa carità e più ancora volle che la vita di Benedetto
diventasse luminoso modello agli uomini: questa splendente lucerna,
posta sopra il candelabro, doveva ormai irradiare la sua luce a tutti
quelli che sono nella casa di Dio.
Per questo il Signore stesso si degnò di trovarne la via. Un certo
sacerdote, che abitava parecchio distante, si era preparata la mensa
nel giorno di Pasqua. All’improvviso ecco una visione: è il
Signore che parla: «Tu ti sei preparato cibi deliziosi, e va bene:
ma guarda là; vedi quei luoghi? Lì c’è un mio servo che soffre
la fame».
Il buon sacerdote balzò in piedi e nello stesso giorno solenne di
Pasqua, raccolti gli alimenti che aveva preparato per sé, volò
nella direzione indicatagli. Cercò l’uomo di Dio tra i dirupi dei
monti, tra le insenature delle valli e tra gli antri delle grotte: lo
trovò finalmente, nascosto nella spelonca.
Tutti e due volarono prima di tutto al Signore, innalzando a Lui
benedizioni e preghiere. Sedettero poi, insieme, scambiandosi dolci
pensieri sulle cose del cielo.
«Ora – disse poi il sacerdote – prendiamo anche un po’ di
cibo, perché oggi è Pasqua». «Oh, sì, – rispose Benedetto –
oggi è proprio Pasqua per me, perché ho avuto la grazia di vedere
te». Così lontano dagli uomini il servo di Dio ignorava persino che
quel giorno fosse la solennità di Pasqua.
«Ma oggi è veramente il giorno della Risurrezione del Signore –
riprese il sacerdote – e dunque non è bene che tu faccia digiuno.
Io sono stato inviato qui proprio per questo, per cibarci insieme, da
buoni fratelli, di questi doni che l’Onnipotenza di Dio ci ha messo
davanti».
E così, con la lode di Dio sulle labbra, desinarono. Finita poi la
refezione e scambiata qualche altra buona parola, il sacerdote fece
ritorno alla sua chiesa.
Poco tempo dopo anche alcuni pastori scoprirono Benedetto nascosto
dentro lo speco. Avendolo intravisto in mezzo alla boscaglia, coperto
com’era di pelli, credettero sulle prime che si trattasse di una
bestia selvatica. Ma riconosciutolo poi come un vero servo di Dio,
molti di essi, che veramente eran pari alle bestie, mutati dalla
grazia, si diedero a santa vita.
In seguito a questi fatti la fama di lui si diffuse in tutti i paesi
vicini. E le visite sempre più diventarono frequenti: gli portavano
cibi per sostenere il suo corpo e ripartivano col cuore ripieno di
sante parole, alimento di vita per l’anima loro.
2. Tentazione e vittoria
Un giorno mentre era solo, ecco presentarsi il tentatore. Era sotto
forma di un uccello piccolo e nero, un merlo; svolazzava intorno al
suo corpo e insistente e importuno gli sbatteva le ali sul viso,
tanto che se l’avesse voluto l’avrebbe potuto afferrar colle
mani. Fece un segno di croce e l’uccello si allontanò.
Ma appena scomparso il merlo lo invase una tentazione impura così
forte, come il santo uomo non aveva provato mai. Un tempo egli aveva
veduta una donna ed ora lo spirito maligno turbava con triste ricordo
la sua fantasia. E fiamma sì calda il diavolo suscitò nell’animo
del servo di Dio con quella appariscente bellezza, che egli non
riusciva più a contenere il fuoco dell’amore impuro e già quasi
vinto stava per decidersi ad abbandonare lo speco. Fu un istante:
illuminato dalla grazia del cielo, ritornò improvvisamente in se
stesso. Visti lì presso rigogliosi e densi cespugli di rovi e di
ortiche, si spogliò delle vesti e si gettò, nudo, tra le spine dei
rovi e le foglie brucianti delle ortiche.
Si rotolò a lungo là in mezzo e quando ne uscì era lacerato per
tutto il corpo; ma con gli strappi della pelle aveva scacciato dal
cuore la ferita dell’anima, al piacere aveva sostituito il dolore;
quel bruciore esterno imposto volutamente per pena, aveva estinto la
fiamma che ardeva all’interno, e così, mutando l’incendio, aveva
vinto l’insidia del peccato.
Da quel giorno in poi, come egli stesso in seguito confidava ai
discepoli, fu talmente domato l’incentivo della sensualità, da non
sentirlo affatto mai più.
Dopo ciò, molti abbandonando la vanità del mondo, accorrevano
gioiosi sotto la sua disciplina e giustamente, libero ormai
dall’insidia della tentazione, egli poteva farsi per gli altri
maestro di sante virtù. Del resto anche Mosè aveva avuto da Dio
questo comando: che i leviti dai venticinque anni in su prestino i
servizi nel tempio e dopo i cinquanta diventino custodi dei vasi
sacri dell’altare.
Pietro: non capisco bene il significato del passo che hai ricordato:
vorrei che me lo spiegassi un po’ meglio.
Gregorio: eppure mi sembra abbastanza chiaro, Pietro; nella gioventù
le tentazioni della carne sono più impetuose, ma dopo i
cinquant’anni l’ardore del sangue comincia a raffreddarsi. I vasi
sacri poi sono le menti dei fedeli.
Gli eletti quindi, finché sono ancora nel periodo delle tentazioni,
è meglio che stiano in sott’ordine, che prestino i servizi e si
affatichino nell’obbedienza e nel lavoro; quando poi nell’età
più matura il calore della tentazione scompare, allora essi
diventano custodi dei vasi sacri, diventano cioè guide e maestri
delle anime.
Pietro: ecco, adesso la tua spiegazione mi soddisfa. Ho capito
benissimo il significato della tua citazione. Ora però, giacché mi
hai raccontato gli inizi della vita di questo giusto, ti dispiace di
raccontarmi il resto?
3. Il segno della croce
Gregorio: la tentazione dunque fu superata. Libero da quella, l’uomo
di Dio, sempre con più abbondanza dava frutti vigorosi di virtù,
proprio come avviene in un terreno mondato dalle spine e ben
coltivato. Conduceva vita veramente santa, e per questo la sua fama
si andava divulgando dovunque. Non molto lontano dallo speco viveva
una piccola comunità di religiosi, il cui superiore era morto di
recente. Tutti insieme questi uomini si presentarono al venerabile
Benedetto e lo pregarono insistentemente perché assumesse il loro
governo. Il santo uomo si rifiutò a lungo, con fermezza, soprattutto
perché era convinto che i loro costumi non si sarebbero potuti mai
conciliare con le sue convinzioni. Ma alla fine, quando proprio non
poté più resistere alla loro insistenza, acconsentì.
Li seguì dunque nel loro monastero. Cominciò subito a vigilare
attentamente sulla vita regolare e nessuno si poteva permettere, come
prima, di flettere a destra o a sinistra dal diritto sentiero
dell’osservanza monastica. Questo li fece stancare e indispettire,
e, stolti com’erano, si accusavano a vicenda di essere andati
proprio loro a sceglierlo per loro abate; la loro stortura cozzava
troppo contro la norma della sua rettitudine.
Si resero conto che sotto la sua direzione le cose illecite non erano
assolutamente permesse e d’altra parte le inveterate abitudini non
se la sentivano davvero di abbandonarle: è tanto difficile voler
impegnare per forza a nuovi sistemi anime di incallita mentalità!
E cosa purtroppo notoria che chi si comporta male trova sempre
fastidio nella vita dei buoni; e così quei malvagi si accordarono di
cercar qualche mezzo per togliergli addirittura la vita. Ci furono
vari pareri e infine decisero di mescolare veleno nel vino, e a
mensa, secondo una loro usanza, presentarono all’abate per la
benedizione il recipiente di vetro che conteneva la mortale bevanda.
Benedetto alzò la mano e tracciò il segno della croce.
Il recipiente era sorretto in mano ad una certa distanza: il santo
segno ridusse in frantumi quel vaso di morte, come se al posto di una
benedizione vi fosse stata scagliata una pietra. Comprese subito
l’uomo di Dio che quel vaso non poteva contenere che una bevanda di
morte, perché non aveva potuto resistere al segno che dona la vita.
Si alzò sull’istante, senza alterare minimamente la mitezza del
volto e la tranquillità della mente, fece radunare i fratelli e
disse semplicemente così: «Io chiedo al Signore che voglia
perdonarvi, fratelli cari: ma come mai vi è venuto in mente di
macchinare questa trama contro di me? Vi avevo detto che i nostri
costumi non si potevano accordare: vedete se è vero? Adesso dunque
basta così; cercatevi pure un superiore che stia bene con la vostra
mentalità, perché io, dopo questo fatto, non me la sento più di
rimanere con voi».
E se ne tornò alla grotta solitaria che tanto amava, ed abitava lì,
solo solo con se stesso, sotto gli occhi di Colui che dall’alto
vede ogni cosa.
Pietro: non capisco bene l’espressione che hai detto: «abitava
solo solo con se stesso».
Gregorio: ti spiego meglio. Se il santo uomo avesse voluto tenere per
forza lungo tempo sotto il suo governo quei monaci che erano unanimi
contro di lui ed avevano abitudini tanto diverse dalle sue, forse
sarebbe stato spinto a sospendere la sua austerità e a perdere la
sua costante tranquillità, distogliendo l’occhio della mente dalla
radiosa contemplazione. Forse, esaurito dalle quotidiane riprensioni
e castighi che era necessario dare, avrebbe atteso con minore slancio
al suo perfezionamento, e forse avrebbe finito col perdere di vista
la propria anima, senza riuscire a guadagnare quella degli altri.
Certo, ogni volta che siamo fuori di noi stessi a causa di ansiose
preoccupazioni, siamo con noi e non siamo con noi, perché non
vedendo più bene noi stessi, ci andiamo svagando in altre vanità.
Si può dire, per esempio, che era in se stesso quel tale che emigrò
in lontana regione, sciupò l’eredità ricevuta, si mise a servizio
di un cittadino, fu relegato a pascere porci e mentre questi
mangiavano le ghiande, lui disgraziato soffriva di fame? In seguito,
però, quando lo invase il ricordo dei beni perduti, di lui è
scritto così: «Tornato in sé, disse: quanti mercenari in casa di
mio padre abbondano di pane!». Vuol dire che prima era uscito da sé,
altrimenti da dove avrebbe fatto ritorno a sé?
Mi è piaciuto dunque, parlando di questo venerabile uomo, usare
l’espressione «abitò con se stesso», perché sempre vigilante
nel custodirsi, sempre sotto gli occhi del Creatore, esaminando e
considerando unicamente se stesso, non divagò mai fuori di sé
l’occhio dell’anima sua.
Pietro: e allora come si spiega quello che è scritto di Pietro
Apostolo che, liberato dal carcere, «tornò in sé e disse: ora
capisco che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha salvato dalle
mani di Erode e di tutta la gente giudaica che era in attesa»?
Gregorio: Caro Pietro, in due maniere noi possiamo uscire da noi
stessi: o precipitando sotto di noi per il peccato di pensiero o
innalzandoci al di sopra di noi per la grazia della contemplazione.
Colui, per esempio, che invidiò i porci, cadde al di sotto di sé, a
causa della sua mente svagata ed immonda. Pietro invece che
dall’angelo fu sciolto dalle catene, e fu rapito nell’estasi,
anche lui, certo, uscì da se stesso, ma fu innalzato al di sopra di
sé. Ambedue poi ritornarono in se stessi, l’uno quando dalla sua
condotta colpevole riprese padronanza del suo cuore, l’altro quando
dalla sublimità della contemplazione riacquistò la comune coscienza
come l’aveva prima.
È dunque esatto dire che il venerabile Benedetto in quella
solitudine abitò con se stesso, perché tenne in custodia se stesso
entro i limiti della propria coscienza. Quando invece lo slancio
della contemplazione lo rapì in alto, allora certamente lasciò se
stesso, ma al di sotto di sé.
Pietro: è proprio interessante quello che dici. Ora però vorrei
forti un’altra domanda. Vorrei che mi dicessi se ha fatto bene a
lasciare i fratelli, dopo aver accettato di governarli.
Gregorio: senti, Pietro: io ritengo che se in un gruppo di persone
cattive ve ne sia qualcuna cui si possa portar dell’aiuto, allora è
bene che si sopportino con serena pazienza. Ma quando non si vede
neanche l’ombra di un buono da cui sperare un po’ di frutto,
allora è proprio tempo e lavoro sprecato tutto quello che si fa per
i cattivi, specialmente poi se vi siano a portata vicina altre
attività che giovino maggiormente alla gloria di Dio.
Su chi sarebbe rimasto a vigilare il santo, quando vedeva che tutti
senza eccezione eran d’accordo a perseguitarlo? E poi dobbiamo
anche tener presente questo: che spesso i santi, quando si accorgono
che ove sono lavorano inutilmente, maturano nell’anima la
deliberazione di andarsene altrove, in luogo più fecondo alle
fatiche dell’apostolato. Persino Paolo, quel nobilissimo
predicatore che bramò di morire per vivere con Cristo, per il quale
la vita era Cristo e la morte un guadagno, il quale non solo bramò
la sofferenza e la lotta per sé, ma ne infervorò anche gli altri,
ebbene anche lui, perseguitato in Damasco, per poter evadere dalle
mura cercò una fune e una sporta e di nascosto volle esser calato
fuori. Avremmo il coraggio di sostenere che Paolo abbia avuto paura
della morte, mentre lo sentiamo affermare di desiderarla per amore di
Cristo? Certamente no. Fu invece così, che, prevedendo in quel luogo
ben poco frutto con grandi fatiche, volle conservare la vita per
altro luogo con fatiche più fruttuose. Quel forte campione di Dio
sdegnò rimanere chiuso di dentro le mura e andò in cerca del campo
di battaglia all’aperto.
Ti accorgerai presto, se avrai piacere di ascoltarmi ancora, che
anche il venerabile Benedetto lasciò per conto loro quei pochi
indocili vivi, ma risuscitò altrove moltissimi cuori dalla morte
dell’anima.
Pietro: vedo bene che è proprio così come dici: hai fatto dei
ragionamenti molto logici e li hai anche convalidati con appropriata
testimonianza biblica.
Adesso allora riprendiamo, ti prego, il racconto della vita di così
grande Padre.
Gregorio: Nella sua solitudine Benedetto progrediva senza
interruzione sulla via della virtù e compiva miracoli. Attorno a sé
aveva radunati molti al servizio di Dio onnipotente, in sì gran
numero, che, con l’aiuto del Signore Gesù Cristo vi poté
costruire dodici monasteri, a ciascuno dei quali prepose un Abate e
destinò un gruppetto di dodici monaci. Trattenne con sé alcuni
pochi ai quali credette opportuno dare personalmente una formazione
più completa.
Anche alcuni nobili e religiosi romani cominciarono ad accorrere a
lui per affidargli i propri figli, perché li educasse al servizio di
Dio onnipotente. Tra questi Eutichio gli affidò il suo Mauro e il
patrizio Tertullo il suo Placido: due figlioli veramente di belle
speranze.
Mauro, essendo già adolescente e dotato di sante abitudini, divenne
subito l’aiutante del maestro. Placido invece era ancora un
bambino, con tutte le caratteristiche proprie di quell’età.
4. Correzione del monaco dissipato
In uno di quei monasteri che aveva costruito nei dintorni c’era un
monaco che non era mai capace di stare alla preghiera: tutte le volte
che i fratelli si radunavano per fare orazione quello prendeva la via
dell’uscita e con la mente svagata si occupava in faccenduole
materiali di nessuna importanza. Il suo abate l’aveva già
richiamato diverse volte: alla fine lo condusse dall’uomo di Dio,
il quale pure lo rimproverò assai aspramente di tanta leggerezza.
Ritornò al monastero, ma l’ammonizione fece presa su di lui a mala
pena per un paio di giorni; il terzo giorno, ritornato alle vecchie
abitudini, ripigliò nuovamente a gironzolare durante il tempo della
preghiera. L’abate riferì nuovamente la cosa al servo di Dio.
Questi rispose: «Adesso vengo, e ci penserò io stesso a mettergli
giudizio».
Giunse Benedetto in quel monastero. Nell’ora stabilita, proprio
mentre i monaci, finita la recita dei salmi, si applicavano alla
meditazione, egli osservò che una specie di fanciulletto, piccolo e
nero, traeva fuori quel monaco che non era capace di stare in
preghiera, tirandolo per il lembo del vestito. Domandò allora
sottovoce all’abate del monastero che si chiamava Pompeiano e al
servo di Dio Mauro: «Vi siete mica accorti chi è che tira fuori
questo monaco?». Risposero: «No, Padre». Egli soggiunse:
«Preghiamo, perché anche voi possiate vedere a chi egli vada
dietro». Dopo due giorni di preghiera il monaco Mauro lo vide,
Pompeiano invece non vide niente.
Il giorno dopo, uscito dall’oratorio al termine della preghiera, il
servo di Dio incontrò il monaco che stava fuori; allora lo frustò
aspramente con una verga: era l’unico rimedio per la leggerezza di
quella mente!
Da quel giorno in poi non fu mai più influenzato dalla suggestione
del piccolo negro, ma perseverò fermo e raccolto nell’orazione. E
l’antico nemico non osò più influenzare sul suo pensiero, come se
quelle frustate le avesse subite personalmente lui.
5. L’acqua dalla pietra
Tra i monasteri che aveva costruiti ce n’erano tre situati in alto
tra le rupi dei monti e per i poveri fratelli era molto faticoso
dover discendere tutti i giorni al lago per attingere l’acqua;
tanto più che essendo il fianco della montagna tagliato a
precipizio, C’era da aspettarsi prima o dopo qualche grave pericolo
per chi discendeva. Si misero dunque d’accordo i monaci dei tre
monasteri e si presentarono al servo di Dio. «Noi – dissero –
dobbiamo scendere tutti i giorni fino al lago per prender l’acqua e
questo lavoro sta diventando un po’ troppo difficoltoso: noi
saremmo del parere che i nostri tre monasteri siano trasferiti
altrove». Egli li consolò con dolcezza e con un sorriso li congedò.
Nella stessa notte, preso con sé quel piccolo Placido, di cui ho già
parlato più sopra, salì su quei rapidi monti, e si fermò
lungamente a pregare.
Terminata la preghiera collocò in quel punto tre pietre, come segno
e senza che nessuno si accorgesse di nulla, fece ritorno al suo
monastero.
In uno dei giorni seguenti i monaci tornarono da lui per sentire cosa
avesse deciso sulla necessità dell’acqua. Rispose: «Andate qua
sopra, su questi monti, e dove troverete tre pietre poste una
sull’altra, lì scavate un poco. A Dio Onnipotente non manca la
possibilità di far scaturire acqua anche sulla cima di questa
montagna, degnandosi di liberarvi dalla fatica di un viaggio tanto
pericoloso. Andate».
Partirono e trovarono la rupe del monte che Benedetto aveva
descritta: era già tutta trasudante acqua. Vi scavarono una buca che
subito rigurgitò di acqua e questa scaturì così abbondante che
fino ad oggi copiosamente scorre lungo le pendici, scendendo fino
alla valle.
6. Il ferro che torna nel manico
Si era presentato a chiedere l’abito monastico un Goto. Era un
povero uomo di scarsissima intelligenza, ma il servo di Dio,
Benedetto, lo aveva accolto con particolare benevolenza.
Un giorno il santo gli fece dare un arnese di ferro che per la
somiglianza ad una falce viene chiamato falcastro, perché liberasse
dai rovi un pezzo di terra che intendeva poi coltivare ad orto. Il
terreno che il Goto si accinse immediatamente a sgomberare si
stendeva proprio sopra la ripa del lago. Quello lavorava
vigorosamente, tagliando con tutte le forze cespugli densissimi di
rovi, quando ad un tratto il ferro sfuggì via dal manico e andò a
piombare nel lago, proprio in un punto dove l’acqua era così
profonda da non lasciare alcuna speranza di poterlo ripescare.
Tutto tremante per la perdita dell’utensile, il Goto corse dal
monaco Mauro, gli rivelò il danno che aveva fatto e chiese di essere
punito per questa colpa. Mauro ebbe premura di far conoscere
l’incidente al servo di Dio e Benedetto si recò immediatamente sul
posto, tolse dalle mani del Goto il manico e lo immerse nelle acque.
Sull’istante il ferro dal profondo del lago ritornò a galla e da
se stesso si andò ad innestare nel manico. Rimise quindi lo
strumento nelle mani del Goto, dicendogli: «Ecco qui, seguita pure
il tuo lavoro e stattene contento!».
7. Mauro cammina sull’acqua
Un giorno mentre il venerabile Benedetto sedeva nella sua stanza, il
piccolo Placido, già altre volte nominato, usci ad attingere l’acqua
nel lago. Immergendo sbadatamente il secchiello che reggeva per mano,
trascinato dalla corrente cadde anche lui nell’acqua e l’onda lo
travolse trasportandolo lontano da terra, quasi quanto un tiro di
freccia.
L’uomo di Dio benché fosse dentro la cella si accorse
immediatamente del fatto. Chiamò in gran fretta Mauro e gli gridò:
«Corri, fratello Mauro, corri, perché Placido, che è andato a
prender l’acqua, è cascato nel lago, e le onde già se lo stanno
trascinando via!».
Avvenne allora un prodigio meraviglioso, che dopo Pietro apostolo non
era successo mai più. Chiesta e ricevuta la benedizione, Mauro si
precipitò volando ad eseguire il comando che il Padre gli aveva
espresso e convinto di camminare ancora sulla terra, corse sulle
acque fin là dove si trovava il fanciullo, trascinato dall’onda,
lo acciuffò pei capelli e poi, a corsa veloce, ritornò indietro.
Non appena toccata terra, rientrato in sé, si volse, vide e capi di
aver camminato sull’acqua. Sbalordito di aver fatto una cosa che
non avrebbe mai presunto di poter fare, fu preso da spavento e si
affrettò a raccontare ogni cosa al Padre. Benedetto attribuì subito
il prodigio alla pronta obbedienza di lui, Mauro invece insisteva che
tutto era potuto accadere soltanto per il comando di lui, e che egli
non era affatto responsabile di quel miracolo in cui era stato
protagonista senza neanche accorgersi. In questa amichevole gara di
umiltà si frappose arbitro il fanciullo che era stato salvato:
«Mentre venivo salvato dall’acqua – disse – io vedevo sopra il
mio capo il mantello dell’abate e sentivo che era proprio lui
stesso che mi tirava fuori».
Pietro: sono veramente meraviglioso i fatti che racconti e son sicuro
che gioveranno all’edificazione di tanti. Io per conto mio più
sorbisco i miracoli di questo uomo tanto buono e più me ne cresce la
sete.
8. Il pane avvelenato
In tutte le zone circostanti alla dimora del Santo si era andato
sviluppando un grande fervore religioso verso il Signore Gesù
Cristo, nostro Dio; e molti abbandonavano la vita del secolo per
curvare la superbia del cuore sotto il giogo leggero del Redentore.
Purtroppo però c’è stato sempre il tristo costume dei cattivi di
urtarsi della virtù che altri hanno e che essi non si curano
minimamente di avere.
Il prete di una chiesa vicina, di nome Fiorenzo – antenato di
Fiorenzo suddiacono nostro – istigato dallo spirito maligno,
cominciò a bruciare d’invidia per i progressi virtuosi dell’uomo
di Dio, a spargere dubbi sulla sua santità e a distogliere quanti
poteva dall’andarlo a trovare. Si accorse però che non solo non
poteva impedirgli i progressi, ma che anzi la fama della sua santità
si diffondeva sempre di più e che molti proprio per questa
reputazione di santità sceglievano la via della perfezione.
Per questo si rodeva sempre più per l’invidia e diventava ognor
più cattivo, anche perché avrebbe voluto anche lui le lodi per una
condotta lodevole, senza però vivere una vita lodevole.
Reso ormai cieco da quella tenebrosa invidia, progettò infine
un’orrenda decisione: inviò al servo dell’onnipotente Signore un
pane avvelenato, presentandolo come pane benedetto e segno di
amicizia.
L’uomo di Dio lo accettò con vivi ringraziamenti, ma non gli
rimase nascosta la pestifera insidia che il pane celava.
All’ora della refezione veniva abitualmente dalla vicina selva un
corvo e beccava poi il pane dalle mani di lui.
Venne anche quel giorno; e l’uomo di Dio gli gettò innanzi il pane
che aveva ricevuto in dono dal sacerdote e gli comandò: «In nome
del Signore Gesù Cristo, prendi questo pane e buttalo in un luogo
dove nessun uomo lo possa trovare».
Il corvo, spalancato il becco e aperte le ali prese a svolazzare
intorno a quel pane, e crocidando pareva volesse dire che era pronto
ad eseguire il comando, ma una forza glielo impediva.
Il servo di Dio dovette ripetutamente rinnovare il comando:
«Prendilo, su, prendilo senza paura e vallo a gettare dove non possa
trovarsi mai più». Dopo aver ancora a lungo esitato, finalmente
l’afferrò col becco, lo sollevò e volò via.
Tornò circa tre ore dopo, senza più il pane, e allora come sempre
prese il suo cibo dalla mano dell’uomo di Dio.
Il venerabile Padre comprese da questa vicenda quanto l’animo del
sacerdote si accanisse contro la sua vita e ne provò un immenso
dolore, non tanto per sé quanto per il povero sventurato.
Intanto però Fiorenzo, visto che non era riuscito ad uccidere il
Maestro nel corpo, macchinò di rovinare nell’anima i suoi
discepoli. A tale scopo fece entrare nell’orto del Monastero sette
fanciulle nude che, tenendosi per mano e danzando a lungo sotto i
loro occhi, dovevano accendere nel loro animo impuri desideri. Si
accorse di questo il santo e temette seriamente che i discepoli,
ancor teneri nello spirito, avessero a cadere. Capì benissimo però
che tutto questo era diretto a perseguitare lui solo. E allora
credette più opportuno cedere alla gelosia altrui: sistemò ben bene
l’ordinamento dei monasteri che aveva costruiti, costituendo i
superiori e aggiungendo altri fratelli; poi, portando con sé solo
alcuni monaci, parti, per andare ad abitare altrove.
Ma l’uomo di Dio si era appena allontanato evitando umilmente
l’odio di quell’uomo, che Dio Onnipotente non tardò a punire
costui con un castigo spaventoso. Stava difatti questi sul suo
terrazzo tutto gongolante di gioia alla notizia che Benedetto era
partito, quando ad un tratto, mentre il resto dell’edificio restava
in piedi, il terrazzo dov’era lui precipitò, stritolando tra le
macerie il nemico di Benedetto. Il discepolo Mauro credette opportuno
comunicare la notizia al venerabile Padre, che forse non era ancora
lontano più di dieci miglia di strada. Gli mandò dunque a dire:
«Torna indietro, Padre, perché il prete che ti perseguitava è
morto».
Udendo la notizia l’uomo di Dio scoppiò in direttissimo pianto,
sia perché era morto il nemico, sia perché il discepolo se ne era
rallegrato.
Anzi allo stesso discepolo impose poi una bella penitenza, perché
nel mandargli questo annunzio aveva osato essere troppo lieto per la
scomparsa del suo nemico.
Pietro: Sono veramente stupende e meravigliose le tue narrazioni.
Quando fa scaturire l’acqua dalla pietra io rivedo un nuovo Mosè;
quando richiama il ferro dal profondo dell’acqua, un nuovo Eliseo;
quando fa camminare sull’acqua, ripenso a Pietro, e quando esige
obbedienza dal corvo un nuovo Elia. Quando infine lo sento piangere
per la morte del nemico, non posso pensare che a David. Questo uomo
fu davvero ripieno dello spirito di tutti i giusti!
Gregorio: vedi, Pietro, questo uomo di Dio ebbe un unico spirito:
quello di Colui che mediante la grazia della redenzione, riempì i
cuori di tutti gli eletti. Di lui dice Giovanni: «Veniva nel mondo
la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Di lui anche è I
scritto: «Dalla pienezza di lui, noi tutti abbiamo ricevuto».I
santi di Dio hanno potuto ricevere da Dio questi poteri, ma non
poterono trasmetterli ad altri. L’unico che concesse ai discepoli
il potere di far miracoli fu Colui che promise ai suoi nemici di dare
se stesso come segno di Giona: e di fatto si degnò di morire sotto
lo sguardo dei superbi e risorgere sotto lo sguardo degli umili,
affinché quelli vi vedessero una cosa spregevole, questi invece un
oggetto di venerazione e di amore. Per questa misteriosa economia
avviene che mentre i superbi vedono in lui solo l’umiliazione della
morte, gli umili invece contemplano la sua gloriosa potestà sulla
morte.
Pietro: vorrei adesso sapere ancora due cose: dove andò a finire il
santo uomo e se diede ancora segni del suo miracoloso potere.
Gregorio: il santo uomo dunque aveva preso la decisione di cambiare
dimora, ma non poté mutare un nemico. In seguito infatti non solo
dovette sostenere lotte ancora più gravi, ma si trovò davanti a
combatterlo apertamente, a tu per tu, il maestro stesso del male. Il
paese di Cassino è situato sul fianco di un alto monte, che
aprendosi accoglie questa cittadella come in una conca, ma poi
continua ad innalzarsi per tre miglia, slanciando la vetta verso il
cielo. C’era in cima un antichissimo tempio, dove la gente dei
campi, secondo gli usi degli antichi pagani, compiva superstiziosi
riti in onore di Apollo. Intorno vi crescevano boschetti, sacri ai
demoni, dove ancora in quel tempo, una fanatica folla di infedeli vi
apprestava sacrileghi sacrifici.
Appena l’uomo di Dio vi giunse, fece a pezzi l’idolo, rovesciò
l’altare, sradicò i boschetti e dove era il tempio di Apollo
eresse un Oratorio in onore di S. Martino e dove era l’altare
sostituì una cappella che dedicò a S. Giovanni Battista.
Si rivolse poi alla gente che abitava lì intorno e con assidua
predicazione la andava invitando alla fede.
L’antico nemico, però, non poté tollerare questa attività e non
più occultamente o in sogno, ma con palesi apparizioni prese a
disturbare la tranquillità del Padre. Con alte grida si lamentava
della violenza che subiva e i suoi urli giungevano fino alle orecchie
dei fratelli, pur senza vederne la figura.
Egli stesso poi, il venerando Padre, raccontava ai suoi discepoli che
l’antico nemico gli appariva davanti agli occhi orridissimo e
furibondo, e con bocca ed occhi di fuoco faceva mossa di lanciarglisi
contro. Quello poi che diceva, qualche volta poterono udirlo tutti:
prima lo chiamava per nome e siccome il santo non dava risposta, si
sfogava allora con furiose contumelie. Urlava a gran voce:
«Benedetto! Benedetto!», ma aspettando invano una risposta, subito
soggiungeva: «Maledetto, non Benedetto! Si può sapere che hai con
me? Si può sapere perché mi perseguiti?».
Ma di queste lotte del nemico contro il servo di Dio ne dovremo
ancora vedere parecchie altre. Esso gli scatenò contro con tutte le
forze una spietatissima guerra, senza accorgersi che, suo malgrado,
gli prestò l’occasione di altrettante vittorie.
9. La pietra che diventa leggera
Un giorno, mentre i monaci stavano costruendo gli ambienti del
monastero, capitò proprio là in mezzo una grossa pietra e pensarono
bene di adoperarla per la costruzione. Ci provarono prima in due poi
in tre ma non riuscirono a sollevarla; ci provarono poi in parecchi,
ma niente da fare: quella rimaneva lì, immobile, come se avesse
radici piantate per terra. «Qui ci dev’essere seduto sopra lo
spirito maligno in persona – ragionarono quei monaci -; possibile
che tante braccia d’uomini non riescano a spostarla?».
Visto ormai vano ogni tentativo, si pensò di mandare uno dal servo
di Dio pregandolo che venisse a scacciare con una preghiera il nemico
e dar così la possibilità di sollevare il macigno. Accorse subito,
fece orazione, diede una benedizione e il sasso fu sollevato con
tanta facilità come se non avesse avuto alcun peso.
10. L’incendio della cucina
Subito dopo l’uomo di Dio ordinò che in quello stesso punto
scavassero la terra. Penetrando molto in profondità, i fratelli vi
scoprirono un idolo di bronzo, lo gettarono per il momento in cucina
e si rimisero al lavoro. All’improvviso fu vista uscire dalla
cucina una fiammata, sotto gli occhi di tutti i monaci; sembrava che
bruciasse l’intero edificio. Con alte grida di spavento
cominciarono a gettare acqua, tentando di spegnere il fuoco. Colpito
da quel frastuono, il servo di Dio accorse sollecito. «Ma quale
fuoco vedete? – esclamò – esiste soltanto nei vostri occhi: io
non vedo proprio niente!». Chinò poi il capo e pregò. Invitò poi
i monaci illusi da quel fuoco immaginario che guardassero un po’
meglio: i muri della cucina erano intatti e solidi e le fiamme
illusorie dell’antico nemico non si vedevano più.
11. Il piccolo monaco schiacciato
Un’altra volta i monaci stavano sopraelevando una parete perché
l’edificio lo esigeva e l’uomo di Dio se ne stava chiuso nella
sua stanzetta, intento all’orazione. Gli si fece innanzi, beffardo,
l’antico nemico e lo avvisò che stava per andare a fare una
visitina ai monaci al lavoro.
Colla massima celerità l’uomo di Dio mandò di corsa uno dei suoi
ad avvisare i monaci: «Fate attenzione, fratelli: sta arrivando
proprio adesso il maligno!».Il messo non aveva neanche finito di
parlare che il maligno spirito, rovesciando la parete in costruzione,
aveva seppellito e schiacciato sotto le macerie un piccolo monaco,
figlio di un impiegato di curia. Pieni tutti di grave costernazione e
tristezza, non per la parete crollata ma per il monacello
schiacciato, si affrettarono a dare con lagrime di profondo dolore la
notizia al venerando Padre Benedetto.
«Andatelo a prendere e portatemelo qui!» ordinò il Padre. Ma non
fu possibile trasportarlo se non sopra una coperta, perché i sassi
della parete precipitata non solo gli avevano pestato la carne, ma
anche schiacciate le ossa. L’uomo di Dio lo fece deporre nella sua
stanzetta sopra la stuoia dov’egli soleva pregare; poi licenziato i
fratelli chiuse la porta e si buttò in ginocchio a pregare con una
insistenza come mai aveva fatto finora.
Ed ecco il miracolo! Entro la stessa ora egli rimandò al lavoro il
fanciullo sano e robusto come prima, perché insieme agli altri
monaci terminasse la costruzione della parete.
Con la morte di questo fanciullo l’antico nemico si era illuso di
prendersi beffa di Benedetto!
12. Il cibo preso trasgredendo la Regola
Fu in questo tempo che il Signore si degnò di insignire il suo servo
col dono della profezia: prediceva avvenimenti futuri ed annunciava
ai presenti cose e persone anche lontane.
Era una consuetudine del suo monastero che quando i fratelli uscivano
di casa per qualche commissione non dovevano prendere assolutamente
nulla, né cibo né bevande: usanza regolare che veniva osservata col
massimo rigore.
Accadde un giorno che alcuni monaci, usciti per commissioni, furon
costretti a rimaner fuori fino ad ora molto più tarda del previsto.
Conoscevano la casa ospitale di una pia donna: entrarono dunque
nell’abitazione di quella e vi presero cibo. Tornarono al monastero
piuttosto tardi e, com’è d’uso, andarono a chiedere la
benedizione del Padre. Appena li vide domandò subito premurosamente:
«Dove avete mangiato?». Risposero: «In nessun posto». Egli allora
disse: «Come? Su, su, non mi dite bugie! Non siete entrati forse in
casa della tale signora? E avete accettato tali e tali vivande? E
avete bevuto tanti e tanti bicchieri?».
A questa precisa indicazione del venerabile Padre sull’ospitalità
della donna, sulla qualità dei cibi e sul numero dei bicchieri,
riconobbero sinceramente quel che avevano fatto a caddero tremanti ai
suoi piedi confessando la loro mancanza. Egli concesse immediatamente
il perdono, sicuro che quelli in sua assenza non avrebbero mancato
mai più; avevan la prova che egli in spirito era sempre presente.
13. Il fratello del monaco Valentiniano
Ho fatto più sopra il nome di Valentiniano. Questo monaco aveva un
fratello che viveva nel mondo ma era tanto timorato di Dio. Ogni anno
partiva digiuno da casa sua e si recava a piedi al monastero per
ricevere la benedizione del santo e allo stesso tempo fare una
visitina al fratello.
Un giorno mentre era appunto in viaggio verso il monastero, gli si
accompagnò un viandante che portava qualcosa con sé da mangiare
strada facendo.
Ad ora abbastanza avanzata lo sconosciuto gli rivolse l’invito:
«Senti, fratello, vogliamo prendere un boccone? Altrimenti le forze
ci verranno meno per via». Ma egli rispose: «Mi dispiace proprio,
fratello, ma non posso; ho preso l’abitudine di presentarmi sempre
digiuno al venerabile Padre Benedetto».A questa risposta il compagno
per il momento non osò insistere: ma fatto un altro pezzetto di
strada di nuovo ripete l’invito. L’altro tenne duro perché a
qualunque costo voleva arrivare digiuno al monastero. Anche questa
volta il primo la smise di insistere e si adattò a seguitare digiuno
anche lui ancor per un poco.
Ma la via era sempre più lunga, l’ora già tarda e camminando si
sentivano veramente stanchi. Ad una curva della strada si offri ai
loro occhi un bel prato e una fontanella d’acqua, proprio quello
che ci voleva di meglio per riposare finalmente le membra. E compagno
esclamò: «Oh, guarda, guarda; qui c’è acqua, c’è un bel
prato: è proprio il posto ideale per mangiar qualche cosa e
riposarci un pochino. Dopo, ristorati, potremo riprender cammino». -
Quelle parole erano proprio lusinga all’orecchio, come il luogo lo
era per gli occhi: si lasciò quindi persuadere da questo terzo
invito e acconsenti a mangiare.
Verso sera giunse al monastero.
Presentatosi al venerabile Padre, lo pregò che gli desse la
benedizione. Ma il santo senza indugi lo rimproverò di quel che
aveva fatto durante il viaggio. Gli disse: «Come mai, fratello? Ti
sei fatto vincere dal maligno nemico, che ti parlava per bocca del
tuo compagno di viaggio! Al primo tentativo non c’è riuscito, al
secondo nemmeno, al terzo ti ha superato e, purtroppo, ti ha piegato
a quello che voleva lui!».
Il pio uomo riconobbe allora la sua colpevole debolezza e gettandosi
ai piedi del santo, prese a piangere vergognoso e confuso,
soprattutto perché aveva capito che, anche lontano, aveva commesso
questa colpa sotto gli occhi del Padre Benedetto.
Pietro: ancora una volta, in questo fatto di trovarsi presente ad un
discepolo assente, io vedo nell’uomo di Dio lo stesso spirito del
Profeta Eliseo.
Gregorio: è bene, Pietro, che tu per adesso non m’interrompa,
perché tu possa conoscere prodigi ancor più rilevanti.
14. La simulazione del re Totila
Al tempo dei Goti, il loro re Totila, avendo sentito dire che il
santo era dotato di spirito di profezia, si diresse al suo monastero.
Si fermò a poca distanza e mandò ad avvisare che sarebbe tra poco
arrivato. Gli fu risposto dai monaci che senz’altro poteva venire.
Insincero però com’era, volle far prova se l’uomo del Signore
fosse veramente un profeta. Egli aveva con sé come scudiero un certo
Riggo: gli fece infilare le sue calzature, lo fece rivestire di
indumenti regali e gli comandò di andare dall’uomo di Dio,
presentandosi come fosse il re in persona. Come seguito gli assegnò
tre conti tra i più fedeli e devoti: Vul, Ruderico e Blidino, i
quali, in presenza del servo di Dio, dovevano camminare ai suoi
fianchi, simulando di seguire veramente il re Totila. A questi
aggiunse anche altri segni onorifici ed altri scudieri, in modo che,
sia per gli ossequi di costoro, sia per i vestiti di porpora, fosse
giudicato veramente il re.
Appena Riggo entrò nel monastero, ornato di quei magnifici
indumenti, e circondato dagli onori del seguito, l’uomo di Dio era
seduto in un piano superiore. Vedendolo venire avanti, appena fu
giunto a portata di voce, gridò forte verso di lui: «Deponi,
figliolo, deponi quel che porti addosso: non è roba tua!».
Impaurito per aver presunto di ingannare un tal uomo, Riggo si
precipitò immediatamente per terra e, come lui, tutti quelli che
l’avevan seguito in questa gloriosa impresa.
Poco dopo si rialzarono in piedi, ma di avvicinarsi al santo nessuno
più ebbe il coraggio. Ritornarono al loro re e ancora sbigottiti gli
raccontarono come a prima vista, con impressionante rapidità, erano
stati immediatamente scoperti.
15. La profezia per Totila
Totila allora si avviò in persona verso l’uomo di Dio. Quando da
lontano lo vide seduto, non ebbe l’ardire di avvicinarsi: si
prosternò a terra. Il servo di Dio per due volte gli gridò:
«Alzati!», ma quello non osava rialzarsi davanti a lui. Benedetto
allora, questo servo del Signore Gesù Cristo, spontaneamente si
degnò avvicinarsi al re e lui stesso lo sollevò da terra. Dopo però
lo rimproverò della sua cattiva condotta e in poche parole gli
predisse quanto gli sarebbe accaduto. «Tu hai fatto molto male –
gli disse – e molto- ne vai facendo ancora; sarebbe ora che una
buona volta mettessi fine alle tue malvagità. Tu adesso entrerai in
Roma, passerai il mare, regnerai nove anni, al decimo morirai». Lo
atterrirono profondamente queste parole, chiese al santo che pregasse
per lui, poi partì. Da quel giorno diminuì di molto la sua
crudeltà.
Non molto tempo dopo andò a Roma, poi ritornò verso la Sicilia; nel
decimo anno del suo regno, per volontà del Dio onnipotente, perdette
il regno e la vita.
Veniva spesso a trovare il servo di Dio il vescovo di Canosa, e
Benedetto lo amava molto per la sua degnissima vita. Un giorno
discorreva con lui dell’entrata di Totila in Roma e della
distruzione della città che per opera di quel re sarebbe stata
distrutta e resa inabitabile. Il servo di Dio gli rispose: «Roma non
verrà distrutta dai barbari; ma colpita dalle tempeste, uragani,
fulmini e terremoti, cadrà da se stessa in rovina».
Il mistero di questa profezia lo vediamo chiaramente manifesto sotto
i nostri occhi, perché vediamo abbattute le mura, diroccate le case,
distrutte le chiese dal turbine e gli edifici già fatiscenti per
lunga vecchiaia cadere a terra in sempre crescenti rovine.
Questa profezia me l’ha riferita il suo discepolo Onorato: egli
però attestava di non averla mai udita dalla sua bocca ma era stata
riferita a lui dai fratelli che l’avevano ascoltato parlare così.
16. Il chierico liberato dal demonio
Sempre in quel torno di tempo c’era nella chiesa di Aquino un
chierico tormentato dal demonio e il suo venerando vescovo Costanzo
l’aveva mandato in molti luoghi ai sepolcri dei martiri, per
ottenere la grazia della liberazione. Ma i santi martiri non gli
vollero concedere questo dono, perché ancora una volta si
manifestasse quanta fosse la grazia di Benedetto.
Lo condussero dunque al santo e questi effondendosi in preghiera al
Signore Gesù Cristo senza indugio lo liberò dell’antico nemico.
Però subito dopo avergli resa la guarigione il santo gli diede
questa ammonizione. «Adesso torna pure a casa; d’ora innanzi però
non mangiare mai carne e non ardire di accedere agli ordini sacri
perché nello stesso giorno sarai dato di nuovo in balia del
demonio».
Il chierico risanato partì e si mantenne fedele agli avvisi
dell’uomo di Dio perché, come spesso succede, un recente castigo
tiene stretto l’animo in impressione e paura. Ma dopo parecchi
anni, osservando che i più anziani di lui erano ritornati al Signore
e i chierici più giovani gli andavano avanti nella carriera
ecclesiastica, non tenne più conto delle parole dell’uomo di Dio,
quasi dimenticate per il lungo tempo, e si presentò a ricevere
l’ordine sacro. Ma il diavolo che lo aveva lasciato, subito ne
riprese possesso e non cessò di tormentarlo fino a togliergli
persino la vita.
Pietro: Se Benedetto poté vedere che quel chierico era stato dato in
balìa del diavolo perché non osasse accedere agli ordini sacri,
vuol dire che questo uomo di Dio riusciva a penetrare anche nei
divini segreti?
Gregorio: è chiaro che riusciva a conoscere i segreti di Dio,
proprio perché osservava i precetti di Dio. Non sta scritto,
infatti: «Chi è unito al Signore, forma un solo spirito con lui»?
Pietro: Ma allora, se chi è unito al Signore forma un unico spirito
con lui, come mai l’esimio banditore del Vangelo dice: «Chi ha
conosciuto il pensiero del Signore e chi fu suo consigliere?». Mi
pare che non sia molto logico che uno ignori il pensiero di colui col
quale forma un unico spirito.
Gregorio.- Ai santi, nella misura che sono un solo spirito col
Signore, non è ignoto il pensiero di lui. Infatti lo stesso apostolo
dice: «Chi, fra gli uomini, conosce le cose dell’uomo, se non lo
spirito dell’uomo che è in lui? Così anche nessuno conosce le
cose di Dio se non lo spirito di Dio».E per dimostrare che egli
conosceva le cose di Dio, aggiunse: «Noi non abbiamo ricevuto lo
spirito di questo mondo, ma lo spirito che viene da Dio». E poco
dopo aggiunge: «Occhio non vide, orecchio non udì, né entrò mai
nel cuore dell’uomo ciò che Dio ha preparato per quelli che
l’amano. A noi Dio l’ha rivelato per mezzo dello spirito suo».
Pietro: Se dunque all’Apostolo furono rivelate le cose di Dio, come
mai poco prima aveva esclamato: «O sublime ricchezza della sapienza
e della scienza di Dio! quanto incomprensibili sono i suoi pensieri e
imperscrutabili le sue vie!»? Ma mentre dico questo, un’altra
questione mi sorge alla mente. Il Profeta David dice al Signore: «Con
le mie labbra esalto tutti i giudizi della tua bocca!». Certamente
il poter anche esprimere è più che il solo conoscere: e allora
perché Paolo afferma che i giudizi di Dio sono incomprensibili,
mentre Davide attesta che non solo li conosce, ma di averli anche
proclamati con la sua bocca?
Gregorio: Rifletti bene e vedrai che ad ambedue le questioni ti ho
già brevemente risposto quando ti ho detto che i santi, in quanto
sono uniti intimamente a Dio, non ignorano il pensiero di Dio. Tutti
quelli che con pietà seguono il Signore, proprio per questo sono
uniti col Signore, ma siccome sono ancora gravati dal peso del corpo
corruttibile, non sono ancora con lui. Perciò, in quanto sono uniti
con lui, conoscono i segreti di Dio; ma in quanto ne sono disgiunti,
li ignorano. Poiché dunque non penetrano ancora perfettamente i suoi
segreti, essi confessano che i pensieri di lui sono incomprensibili;
essendo però uniti a lui con l’anima, ricevendo luce o dalla Sacra
Scrittura o da private rivelazioni, h conoscono e una volta
conosciuti li esprimono pure. In poche parole: i giudizi che Dio loro
nasconde, non h conoscono, quelli che Dio loro rivela, li conoscono.
Per questo, quando Davide dice: «Con le mie labbra ho espresso tutti
i pensieri» vi aggiunge subito: «della tua bocca».Vuole dire
chiaramente così: «lo ho potuto conoscere e proclamare i tuoi
giudizi, ma solo quelli che tu apertamente mi hai rivelati; perché
quelli che tu non rivela vuol dire che li vuoi tener nascosti alla
nostra conoscenza».
Vanno dunque pienamente d’accordo le parole del profeta e
dell’Apostolo: i pensieri di Dio sono incomprensibili, ma dopo che
sono stati rivelati dalla bocca di lui, possono essere proclamati da
labbra umane; possono cioè essere conosciuti e proclamati davanti a
tutti; solo quelli però che Dio ha rivelato; gli altri no, rimangono
occulti.
Pietro: Ti ho fatto queste obiezioni perché avevo qualche piccolo
dubbio: ora la questione è perfettamente chiarita. E adesso, ti
rimane ancora qualche altra cosa da dire sulle virtù del nostro
santo? Continua pure.
17. Predice la distruzione del suo monastero
In seguito ai consigli del Padre Benedetto, era venuto alla vita
monastica un nobile di nome Teoprobo, e il santo aveva con lui una
confidente familiarità, perché era uomo di integerrimi costumi.
Entrò un giorno nella stanzetta del Maestro e lo trovò che spargeva
amarissime lacrime. Attese a lungo in silenzio, ma le lacrime non
accennavano a finire. Appena però si accorse che l’uomo di Dio non
piangeva per fervore di orazione, come spesso gli succedeva, ma per
un grave dolore, si avvicinò e gli chiese il motivo di tanto
cordoglio.
Rispose subito l’uomo di Dio: «Tutto questo monastero che io ho
costruito e tutte le cose che ho preparato per i fratelli, per
disposizione di Dio Onnipotente, sono destinate in preda ai barbari.
A gran fatica sono riuscito ad ottenere che, di quanto è in questo
luogo, mi siano risparmiate le vite».
Le parole che allora Teoprobo ascoltò, noi le vediamo oggi avverate:
ci è giunta difatti la notizia che proprio di recente il monastero è
stato distrutto dai Longobardi. Sono entrati difatti in monastero di
notte, . durante il riposo dei fratelli, hanno rapinato ogni cosa, ma
non sono riusciti a impadronirsi di una sola persona. Dio onnipotente
ha così mantenuto quel che aveva promesso al fedele servo Benedetto,
che cioè dando il monastero in balìa dei barbari, avrebbe però
custodito le vite. Mi sembra che in questa circostanza Benedetto
possa paragonarsi all’apostolo Paolo: allorché tutte le cose della
sua nave andarono in fondo al mare, egli ottenne la consolazione di
veder salva la vita di tutti quelli che lo accompagnavano.
18. Il furto del bariletto di vino
Ti ricorderai certamente di quel certo Esilarato, che visse qui tra
noi come monaco. Egli un giorno fu mandato dal suo padrone al
monastero a portare all’uomo di Dio due recipienti di legno,
chiamati volgarmente fiasconi, pieni di vino. Durante il viaggio ne
nascose uno lungo la via e l’altro lo presentò al Padre. L’uomo
di Dio, a cui i fatti anche lontani non eran nascosti, accettò
ringraziando quel solo bariletto; mentre però il servo stava per
riprender la via del ritorno, gli diede questo avviso: «Stai
attento, figlio, a non bere a quel fiascone che hai nascosto;
inclinalo invece con cautela e vedrai cosa c’è dentro».
L’altro restò sorpreso assai da quelle parole e si mise in
cammino.
Sulla via di ritorno volle accertarsi sugli avvisi del santo: inclinò
il recipiente e subito ne scivolò fuori una serpe. Spaventato e
impressionato da quella brutta sorpresa, si pensi per il sotterfugio
che aveva commesso.
19. I fazzoletti delle monache
Non molto lontano dal monastero era una contrada, ove, per la
predicazione di Benedetto, un notevole numero di gente si era
convertita dal culto degli idoli alla fede di Dio. C’era lì un
gruppetto di donne consacrate e il servo di Dio aveva cura di
mandarvi spesso i suoi monaci per assistere spiritualmente quelle
anime.
Un giorno ne mandò uno, secondo il consueto. Terminata la piccola
conferenza, il monacello, pregato da quelle sante donne, accettò
alcuni fazzoletti e se li nascose in seno.
Appena tornato al monastero, il servo di Dio prese a rimproverarlo
con estrema severità: «Come mai – gli andava ripetendo come mai
ti è entrata in petto l’iniquità?».Quegli rimase profondamente
stupito e non ripensando a quel che aveva fatto, non capiva bene i
motivi del rimprovero. Glieli fece capire il santo dicendogli: «E
non ero io presente quando hai accettato quei fazzoletti dalle serve
di Dio e poi l’hai nascosti nel seno?». Subito allora il monaco si
gettò ai suoi piedi e chiedendo perdono per aver agito senza
prudenza, trasse fuori dal petto i fazzoletti che vi aveva nascosto.
20. Il pensiero superbo del piccolo monaco
Un giorno il venerabile Padre, già sull’ora del vespro, prendeva
un po’ di cibo e un suo monaco, figlio di un avvocato, gli reggeva
la lucerna davanti alla tavola. Mentre l’uomo di Dio mangiava e
quello se ne stava lì in piedi a servirlo facendogli lume, chiuso
nella taciturnità, cominciò a ruminare nell’animo pensieri di
superbia, dicendo in cuor suo: «E chi è costui che io lo debba
assistere mentre mangia, reggergli la lucerna e prestargli servizio?
Sono proprio uno che deve fare il servo?».
Voltandosi all’improvviso verso di lui, il servo di Dio lo prese
vivamente a rimproverare: «Fatti un segno di croce sul cuore,
fratello! Che vai rimuginando nella mente? fatti un segno di croce!».
Chiamati subito altri monaci, ordinò che gli togliessero dalle mani
la lucerna, dicendo poi a lui di desistere pure da quel servizio e di
sedersi tranquillamente al suo posto.
In seguito, interrogato dai fratelli che cosa avesse avuto nel cuore,
il monaco raccontò umilmente tutto quello che, in silenzio, aveva
formulato contro il servo di Dio.
Apparve allora ancor più manifesto che nulla si poteva nascondere al
venerabile Benedetto, perché alle sue orecchie giungeva persino il
suono delle parole anche soltanto pensate.
21. La farina alle porte del monastero
Una grande carestia era sopravvenuta in quei tempi nelle regioni
della Campania e la grande penuria di alimenti metteva un po’ tutti
in strettezze.
Anche nel monastero di Benedetto il grano era finito: i pani erano
già stati quasi tutti consumata, tanto che un giorno allora della
refezione non più di cinque ne furon trovati.
Il venerabile Padre osservò i volti non troppo sereni e volle
correggere con dolce rimprovero il loro scoraggiamento e in più, a
loro sollievo, aggiunse una promessa: «Ma perché ve la state a
prendere tanto per la scarsezza del pane? Oggi, è vero, ce n’è
poco: ma domani vedrete quanta abbondanza ne avremo!».
Il giorno seguente si trovarono davanti alla porta del monastero
duecento sacchi di farina e fino ad oggi rimane ancora da sapere a
quali misteriose persone l’onnipotente Dio abbia dato l’incarico
di portarli.
I fratelli resero infinite grazie al Signore e dopo quella prova
impararono a non dubitare mai più della Provvidenza neanche nei
tempi di strettezze.
Pietro: ti faccio una domanda: dobbiamo pensare che il servo di Dio
aveva di continuo il dono della profezia, oppure veniva illuminato
solo ad intervalli di tempo?
Gregorio: lo penso, Pietro, che lo spirito di profezia non illumina
in modo continuo la mente dei profeti. È scritto che lo Spirito
Santo «spira dove vuole»; così deve anche ammettersi che spira
quando vuole. Questa è la ragione per cui Natan, interrogato dal re
se gli era permesso di costruire il tempio, prima assentì e poi lo
proibì. Così pure, anche per Eliseo quando vide la donna che
piangeva e non conoscendone i motivi, disse al servo che voleva
allontanarla: «Lasciala stare, perché si vede che ha una grande
pena, ma non so quali ne siano le cause perché il Signore non me le
ha rivelate». Se Dio dispone così, lo fa per misericordiosa
provvidenza, perché ora concedendo e ora sottraendo il dono della
profezia, eleva e allo stesso tempo custodisce le anime dei profeti,
così che quando ricevono il dono percepiscano quello che Dio opera
in loro, e quando vengono privati del carisma conoscano quanto
valgono da se stessi.
Pietro: Le tue ragioni mi convincono che deve essere proprio così.
Riprendiamo di nuovo i racconti del Padre Benedetto, se ancora ne hai
in mente qualche altro.
22. Una fabbrica regolata in visione
Gregorio: Un’altra volta fu pregato da un buon cristiano di mandare
alcuni discepoli in un fondo di sua proprietà presso Terracina,
perché vi voleva costruire un monastero.
Acconsentì volentieri: scelse dei monaci, e nominò chi doveva
essere l’Abate e chi il secondo dopo di lui. Al momento della
partenza prese questo impegno: «Adesso voi partite subito: il tal
giorno verrò io pure e vi indicherò dove dovrete edificare la
cappella, dove il refettorio, dove la foresteria per gli ospiti e
dove gli altri ambienti necessari». Quelli, ricevuta la benedizione,
si misero in cammino. Intanto nell’attesa impaziente del giorno
stabilito, cominciarono a preparare tutte quelle cose che sembravano
loro necessarie per coloro che avrebbero accompagnato il venerato
Padre.
Ma nella stessa notte in cui cominciava il giorno della promessa,
l’uomo di Dio apparve in sogno al santo uomo da lui designato come
Abate e al suo Priore e tracciò loro, con le più minuziose
indicazioni, le singole posizioni che conveniva dare a ciascun
ambiente.
Appena svegliati si raccontarono a vicenda quanto avevano visto.
Credettero meglio però farsi una risatella su questa visione che non
meritava nessuna importanza e attesero ansiosi la promessa venuta
dell’uomo di Dio. Ma il giorno stabilito non venne nessuno. Un po’
contrariati e rattristati tornarono dal santo a dirgli: «E com’è,
Padre, che non sei venuto? Siamo stati tanto ad aspettare! Ci avevi
promesso che saresti venuto ad indicarci dove e come dobbiamo fare le
costruzioni. Com’è?». Ed egli a loro: «Perché, fratelli,
parlate così? ‘E proprio vero che non sono venuto, secondo la
promessa?».
«E quando sei venuto?».
«Ma non vi ricordate che tutti e due mi avete visto durante il sonno
e vi ho tracciato la posizione dei singoli locali? Su, su, tornate, e
costruite pure ogni reparto del monastero proprio come avete veduto
nella visione...». Figuriamoci la loro meraviglia! Tornarono con
gioia al detto podere e costruirono le singole parti del monastero
come la rivelazione aveva loro indicato.
Pietro: Io ho qualche dubbio. Vorrei sapere in che modo egli poté
andare lontano ad istruire persone che dormivano e queste udirlo in
visione e riconoscerlo.
Gregorio: come mai, Pietro, rimani perplesso, esaminando come si è
svolto il fatto? Lo capirai se ricorderai prima di tutto che lo
spirito è di sua natura molto più agile del corpo. Difatti, per
testimonianza della Scrittura, sappiamo che un profeta fu levato in
alto in Giudea col pranzo che portava e in un batter d’occhio
deposto in Caldea e poi, dopo aver ristorato col cibo un altro
profeta, di nuovo si trovò in Giudea. Se Abacuc in un istante poté
andare così lontano col suo corpo e portare anche un pranzo, perché
meravigliarsi che il Padre Benedetto abbia ottenuto di recarsi in
spirito ad indicare le diverse necessità allo spirito di monaci
addormentati? Come il profeta era andato col corpo a consegnare cibo
corporale, così Benedetto fu presente con lo spirito per organizzare
cose di vita spirituale.
Pietro: la tua risposta ha cancellato, direi quasi con la mano, tutti
i miei dubbi. Vorrei adesso sapere quale era il suo modo di parlare
ordinario.
23. Le monache riconciliate per mezzo del Sacrificio
Gregorio: Era difficile, Pietro, che anche il parlare ordinario del
santo non fosse pieno di prodigiosa efficacia, perché il suo cuore
era elevato a cose alte e quindi non c’era parola della sua bocca
che cadesse invano. Anche quando gli capitò di pronunciare qualcosa
anche di non decisivo ma di semplice minaccia, anche allora la sua
parola aveva tanta forza, come se l’avesse pronunziata non con
animo esitante o condizionato, ma come una vera espressione di
volontà.
Non lontano dal suo monastero, due religiose, appartenenti a famiglie
nobili, vivevano l’osservanza religiosa nella loro casa; per le
cose necessarie all’esterno prestava loro servizio un buon uomo,
molto religioso e zelante.
Purtroppo capita spesso che la nobiltà dei natali provochi in alcuni
una specie di volgarità d’animo, forse perché ripensando che sono
stati un po’ più degli altri, più difficilmente disprezzano se
stessi in questo mondo.
Queste due religiose insomma non ancora avevano stretto bene i freni
alla propria lingua, anche portando l’abito monastico, e spesso con
le loro sgarbate parole provocavano ad ira quel pio uomo che le
serviva. Questi per un bel pezzo riuscì a tollerarle, ma alla fine
si presentò all’uomo di Dio e gli raccontò le molte insolenze che
doveva subire. L’uomo di Dio porse bene l’orecchio a quanto gli
veniva narrato e immediatamente mandò a dire a quelle così: «Tenete
un po’ più a freno la vostra lingua, perché, se non vi emenderete
vi tolgo la comunione». Certo non intendeva con queste parole di
lanciare la scomunica, ma soltanto di minacciarla.
Quelle però continuarono, senza mutare affatto le vecchie abitudini.
Di li a pochi giorni morirono e furono sepolte in chiesa.
Successe allora questo: tutte le volte che in quella chiesa si
celebrava la Messa solenne, quando il diacono ordinava: «Chi è
scomunicata esca!», la loro vecchia nutrice, che soleva offrire
oblate in loro suffragio, le vedeva venir fuori dal loro sepolcro e
uscire di chiesa. Avendo osservato più volte che proprio alla voce
del diacono non potevano restare in chiesa, si ricordò del comando
che l’uomo di Dio aveva loro mandato, mentre vivevano, e cioè che
le avrebbe private della comunione se non si fossero emendate nei
modi e nelle parole.
Informò allora addolorata il servo di Dio, il quale, proprio di sua
mano le diede un’offerta dicendo: «Andate e fate offrire per loro
al Signore questa oblazione e saranno sciolte dalla scomunica».
Difatti, dopo che fu sacrificata per loro l’offerta, quando il
diacono intimava agli scomunicati di uscir fuori, quelle non furon
viste uscirsene mai più.
Da ciò apparve evidente che il Signore le aveva riammesse alla sua
comunione per intercessione del servo di Dio, perché non lasciavano
più il loro posto in chiesa, come persone scomunicate.
Pietro: a me pare proprio inverosimile che un uomo, per venerabile e
santissimo che sia, ma ancora vivente in questa carne mortale, abbia
potuto assolvere anime che si erano già presentate all’invisibile
giudizio.
Gregorio: Pietro caro, e non era in questa vita colui che si sentì
dire: «Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato in cielo, e
quel che scioglierai sopra la terra, sarà sciolto anche nel cielo»?
In questo ufficio di legare e sciogliere gli succedono ora coloro che
degnamente e con fede sono costituiti nel sacro governo. Ma perché
l’uomo terrestre potesse avere tanta potestà, il Creatore del
cielo e della terra è disceso dal cielo in terra e fattosi uomo per
gli uomini – egli che era Dio – si è degnato concedere all’uomo
composto di carne la facoltà di giudicare anche sulle cose dello
spirito. Nel momento stesso in cui la potenza di Dio scendeva fino a
farsi debolezza, proprio in quel momento la nostra debolezza veniva
elevata al di sopra di sé.
Pietro: i tuoi ragionamenti armonizzano perfettamente con i prodigi
che mi hai raccontato.
24. Il piccolo monaco fuggitivo
Gregorio: tra i suoi monaci Benedetto ne aveva uno, ancora
giovanotto, che passava un po’ troppo i limiti nell’affetto verso
i genitori. Un giorno senza chiedere affatto la benedizione, uscì
dal monastero e se ne andò a casa. Ma il giorno stesso, poco dopo
arrivato, fu colto da malore e morì.
Lo seppellirono; ma il giorno dopo trovarono che il suo corpo era
stato rigettato fuori della terra. Fu sepolto di nuovo, ma il giorno
seguente ecco di nuovo lo stesso fenomeno: respinto fuori e insepolto
come prima.
Pensarono di correre in fretta ai piedi del Padre Benedetto, e lo
supplicarono con gran pianto, che si degnasse di riammetterlo nel suo
perdono. L’uomo di Dio senza indugio consegnò loro, di sua mano,
l’ostia del Corpo del Signore, dicendo: «Andate e con gran
riverenza posate sul petto di lui il Corpo del Signore, e così
seppellitelo».
Eseguirono queste istruzioni e la terra ricevette il corpo del
fanciullo e non lo respinse mai più.
Adesso, Pietro, tu puoi misurare bene quanto merito avesse agli occhi
del Signore Gesù Cristo un uomo così santo: persino la terra si
rifiutava di accogliere uno che non era nelle grazie di Benedetto.
Pietro: me ne sono accorto molto bene e ne rimango immensamente
stupito.
25. Il monaco e il dragone
Gregorio: aveva anche un monaco di carattere fiacco e incostante:
stanco di stare in monastero voleva andarsene via. L’uomo di Dio
era assiduo nel riprenderlo e spesso si industriava a fargli
coraggio; ma egli per nessun motivo voleva acconsentire a perseverare
nella comunità, anzi non la finiva più di importunare perché lo
lasciassero partire. Alla fine il venerabile Padre, sopraffatto un
giorno dalla sua importunità, gli comandò con sdegno che se ne
andasse pure.
Era appena uscito dalla porta del monastero, quand’ecco pararglisi
incontro, lungo la strada, un dragone colle fauci spalancate, che
voleva ad ogni costo divorarlo. Terrorizzato e tremante si diede ad
urlare a gran voce: «Aiuto, aiuto! C’è un dragone che mi vuol
divorare!».
Accorsero i fratelli, ma non videro nessun dragone. Lo riportarono
dentro le mura del monastero, più morto che vivo, ed egli, Pi,
proprio sul momento, promise che non si sarebbe allontanato mai più.
Perseverò difatti nella sua promessa. Erano state le preghiere del
santo a fargli vedere il dragone che gli si lanciava contro, quel
dragone che egli prima, non visibile, aveva seguito.
26. L’elefantiaco risanato
C’è un altro fatto che credo bene non lasciare sotto silenzio. Mi
fu raccontato dall’illustre e nobile Antonio. Mi diceva, dunque,
che un garzone di suo padre fu trovato infetto da elefantiasi e già
per la caduta dei peli, per il gonfiore della pelle e per la materia
purulenta, non poteva più nascondere il suo male. Il padre lo fece
portare dall’uomo di Dio e sull’istante fu restituito alla
primitiva sanità.
27. Il debitore pagato
Voglio raccontare ancora un altro fatto, riferito molto spesso dal
suo discepolo Pellegrino. Eccolo.
Un povero uomo, buon cristiano, spinto dall’urgenza di pagare un
debito, pensò che non v’era altro da fare che andare dall’uomo
di Dio e manifestargli l’urgente necessità.
Vi andò difatti, trovò il servo di Dio e gli confidò che per
dodici soldi era aspramente vessato dal creditore.
Il venerabile Padre gli fece presente che purtroppo neanche lui aveva
quei dodici soldi; gli fece però coraggio con buone parole a non
avvilirsi per la sua povertà, e licenziandolo gli disse: «Per
adesso vai a casa; ritorna però fra un paio di giorni, perché
quello che chiedi per oggi non l’abbiamo».
Durante quei due giorni rivolse al Signore insistenti preghiere.
Il terzo giorno quel povero debitore in angustie era già di ritorno.
All’improvviso, sopra un cassone del monastero, ricolmo di grano,
furono scoperti tredici soldi. L’uomo di Dio se li fece portare e
li consegnò al poveretto, che era Pi tutto addolorato, dicendogli
che dodici erano per la restituzione, l’altro lo tenesse pure per
sé, per le proprie necessità.
Mi pare che sia opportuno inserire qui alcuni di quei fatti che, come
ti ho accennato all’inizio di questo colloquio, mi furono riferiti
dai suoi quattro discepoli. Eccone uno.
Un uomo aveva la disgrazia di essere aspramente invidiato da un suo
avversario e l’odio di costui giunse a tal punto da gettargli un
veleno, a sua insaputa, in una bevanda. Il veleno fortunatamente non
ebbe tanta forza da levargli la vita, gli produsse però sulla pelle
di tutto il corpo delle macchie di vario colore, che, a vederle,
somigliavano molto alla lebbra.
Condotto dall’uomo di Dio, non appena questi lo toccò, scomparve
subito ogni chiazza dalla sua pelle e ben presto riacquistò la
completa sanità.
28. La bottiglia che non si rompe
Nel tempo in cui la Campania fu desolata da una gravissima carestia,
l’uomo di Dio aveva dato via in elemosina a molti poveri tutti i
viveri che si trovavano in monastero. Nella dispensa non era rimasto
nient’altro che un poco di olio entro un’ampolla di vetro.
Capitò un suddiacono di nome Agapito, e chiese caldamente se poteva
avere la carità di un po’ di olio.
L’uomo di Dio, che si era proposto di dare via tutto sulla terra
per tutto depositare nei tesori del cielo, ordinò che senz’altro
gli fosse consegnato quel poco ch’era rimasto.
Il monaco incaricato della dispensa, sentì molto bene la
disposizione del superiore, ma non aveva proprio alcuna voglia di
metterla in pratica. Richiesto poco dopo dal santo se era stata fatta
quell’elemosina come aveva comandato, il monaco rispose di non aver
dato nulla perché se avesse dato via anche quello, per i monaci non
sarebbe poi rimasto più niente.
Allora comandò con energica severità che fosse immediatamente
gettata dalla finestra l’ampolla di vetro con l’olio, perché
nella dispensa nulla rimanesse per disobbedienza; e fu fatto così.
Sotto la finestra si apriva un gran precipizio, irto di grossi
macigni. L’ampolla di vetro piombò con violenza sui sassi, ma
rimase intatta, come se non fosse stata scagliata: non si infranse,
né l’olio si versò. L’uomo di Dio la fece raccogliere e,
integra com’era, la fece immediatamente consegnare a chi la
chiedeva.
Raccolti poi i confratelli, rimproverò davanti a tutti il monaco
disobbediente, perché era stato infedele e superbo.
29. L’anfora vuota riempita d’olio
Terminata la riprensione, insieme a tutti i fratelli si raccolse in
preghiera. Nel luogo stesso ove pregavano c’era un’anfora di
terracotta, vuota e coperta. Mentre il santo insisteva nella
supplica, il coperchio dell’anfora cominciò a sollevarsi per
l’olio che cresceva: e crebbe a tal misura che, rimosso il
coperchio, traboccò dai bordi del recipiente fino ad inondare il
pavimento.
A quella vista Benedetto terminò la preghiera e nello stesso istante
finì di fluire anche l’olio. Approfittò di questo per ammonire,
con più persuasivi argomenti, il monaco disobbediente, perché
imparasse ad avere più fiducia ed umiltà.
Il monaco così salutarmente corretto era pieno di confusione, perché
Benedetto aveva comprovato con un miracolo quell’onnipotenza di Dio
alla quale si era richiamato nel rimproverarlo. Nessuno in seguito
osò più dubitare di quello che prometteva, dopo aver visto che,
nello spazio di pochi istanti, in cambio di un vaso di vetro quasi
vuoto, aveva procurato un’anfora colma d’olio.
30. Il monaco liberato dal demonio
Saliva un giorno all’oratorio del Beato Giovanni, situato sulla
cima di un monte, quando gli si fece incontro l’antico nemico in
sembianze nientemeno che di veterinario, con in mano la cassetta dei
medicinali e una corda. Benedetto gli domandò: «Dove vai?».
Rispose: «Sto andando dai monaci, a dare una piccola purga». Il
venerabile Padre proseguì lo stesso verso l’oratorio e terminata
la preghiera, prese in gran fretta la via di ritorno.
Il cattivo spirito intanto si era incontrato con un vecchio monaco
che attingeva acqua, in un lampo era entrato in lui, lo aveva gettato
a terra, e lo strapazzava con feroce crudeltà.
Di ritorno dalla preghiera, nel vedere il poveretto tormentato con
tanta violenza, il servo di Dio gli appioppò senz’altro uno
schiaffo, e tanto bastò per scacciare immediatamente lo spirito, che
non si azzardò mai più a rifarglisi nuovamente vicino. ‘
Pietro: io vorrei sapere una cosa: questi miracoli li operava sempre
in forza della sua preghiera, oppure qualche volta li operava anche
col solo atto della volontà?
Gregorio: coloro che aderiscono a Dio con piena dedizione d’anima,
se la necessità lo richiede, sanno operar miracoli nell’una e
nell’altra maniera, talvolta in virtù dell’orazione e altre
volte per proprio potere. Dice Giovanni: «A quanti lo accolsero,
diede potere di diventare figli di Dio». E quindi non fa proprio
nessuna meraviglia che chi è figlio di Dio per il potere
concessogli, abbia il potere di fare miracoli.
Che poi i santi possano operar miracoli in ambedue i modi ne diede
una prova Pietro che risuscitò con la preghiera la morta Tabita e
invece con un rimprovero destinò alla morte i due mentitori Anania e
Saffira: non si legge che abbia pregato perché morissero, ma
semplicemente li rimproverò duramente della colpa che avevan
commessa.
E chiaro quindi che operano prodigi talvolta con l’autorità
propria e talvolta per averlo chiesto a Dio: a questi Pietro con una
riprensione tolse la vita, a quella, con una preghiera, la restituì.
E adesso, a comprova di quanto ho detto, voglio riferirti altri due
fatti del servo di Dio Benedetto, in uno dei quali appare con
chiarezza che operò per potere comunicatogli da Dio, nell’altro
invece che ottenne in forza dell’orazione.
31. Uno sguardo liberatore
Al tempo del re Totila, un goto di nome Zalla, seguace dell’eresia
ariana, imperversò con incredibile spaventosa crudeltà contro i
fedeli cattolici e chiunque gli capitava tra le mani, chierico o
monaco che fosse, lo spediva senza complimenti al Creatore.
Un giorno, divorato dall’avarizia e dall’avidità di denaro,
torturava con crudeli tormenti un contadino, straziandolo con
svariati supplizi. Estenuato dalle pene, il povero uomo dichiarò di
avere affidato tutte le proprie sostanze al servo di Dio Benedetto;
sperava così che il carnefice, credendogli, avrebbe smesso per un
momento la sua crudeltà, concedendogli, così ancora qualche istante
di vita.
Zalla infatti cessò per allora di torturarlo, ma legategli le
braccia con una grossa fune, se lo spinse davanti al proprio cavallo,
perché gli facesse strada a quel Benedetto che aveva in consegna le
sue ricchezze. Con le braccia legate in quel modo il contadino andò
innanzi fino al monastero dove era il santo, e lo trovò solo solo,
davanti alla porta, intento alla lettura.
Si rivolse allora al feroce Zalla e: «Eccolo – disse – è questo
qui quel Padre Benedetto di cui t’ho parlato». Questi, furioso,
con folle e perversa intenzione, prima lo squadrò da capo a piedi,
poi pensando di incutergli quello spavento che usava cogli altri,
cominciò ad urlare a gran voce: «Su, su, senza tante storie, alzati
in piedi e tira fuori la roba di questo villano, che hai in
consegna!».
A quelle grida, l’uomo di Dio alzò subito con calma gli occhi
dalla lettura, volse uno sguardo al goto e poi girò l’occhio anche
sul povero contadino legato. Proprio nell’istante in cui volgeva
gli occhi sulle braccia di lui, avvenne un prodigio!... Le funi
cominciarono a sciogliersi con tanta sveltezza come nessun uomo vi
sarebbe riuscito.
Alla vista del contadino che, prima legato, all’improvviso gli
stava lì davanti libero dai legami, Zalla si spaventò per tanta
potenza; precipitò a terra e piegando fino ai piedi del santo la
dura e crudele cervice, si raccomandò alle sue orazioni.
Il santo non si levò dalla lettura, ma chiamati alcuni monaci,
comandò di farlo accomodare dentro e di imbandirgli la tavola
benedetta. Quando lo ricondussero fuori, lo ammonì che la smettesse
con tante crudeltà. Ed egli se ne andò via umiliato e non osò
chiedere mai più nulla a quel poveretto che l’uomo di Dio, non
colle armi, ma col solo sguardo, aveva liberato.
Ecco qui quello che ti avevo detto, Pietro: quelli che con la massima
fedeltà servono Dio onnipotente, qualche volta possono operar
miracoli per il potere dato loro da Dio. Il santo, infatti, che,
stando a sedere, represse la ferocia del terribile goto e con lo
sguardo spezzò le funi annodate che incatenavano braccia innocenti,
con l’istantaneità del miracolo vuole chiaramente indicare che per
potere ricevuto gli era stato concesso di fare così.
32. Il fanciullo risuscitato
Adesso invece narrerò un altro grande miracolo che egli ottenne con
la preghiera.
Un giorno il Padre era uscito con i fratelli per il lavoro dei campi,
quando arrivò al Monastero un contadino che, piangendo a caldissime
lagrime, reggeva sulle braccia il corpo del figliolo defunto e
chiedeva ansiosamente del Padre Benedetto.
Quando gli fu risposto che stava con i fratelli al lavoro nei campi,
senza attendere un istante, depose davanti la porta il cadavere del
figliolo e, sconvolto dal dolore, si lanciò a precipitosa corsa in
cerca del venerando Padre.
In quella stessa ora l’uomo di Dio era già di ritorno dal lavoro.
Appena il contadino lo vide, cominciò a gridare: «Rendimi mio
figlio, rendimi mio figlio!». L’uomo di Dio si arrestò un momento
e chiese: «Ma quando mai ti ho preso il tuo figlio?». E l’altro:
«È morto: vieni e ridagli la vita». A queste parole il servo di
Dio si rattristò assai e rivolto ai circostanti che insistevano:
«Non insistete, fratelli! – disse – non insistete! Queste azioni
spettano ai santi Apostoli, non alle nostre povere forze. Perché
volete imporci un peso che non siamo capaci di portare?».
Il buon uomo però, stretto da immenso dolore, insisteva nella sua
richiesta, giurando che non sarebbe partito di lì, se non gli avesse
risuscitato il figliolo.
Allora d servo di Dio gli domandò: «Dov’è?» Rispose: «Il suo
corpo giace sulla soglia del monastero...».
Appena l’uomo di Dio vi giunse seguito dai fratelli, piegò le
ginocchia per terra e si prostrò sopra il corpicino del fanciullo.
Poi sollevandosi tese le braccia al cielo e pregò: «Signore, non
guardare i miei peccati, ma la fede di quest’uomo che domanda la
risurrezione del suo figlio e restituisci a questo piccolo corpo
l’anima che hai tolta».
Aveva appena finito di pronunciare queste parole, che il piccolo
corpo del fanciullo, per il ritorno dell’anima, incominciò a
sussultare e sotto gli occhi di tutti i presenti fu visto fremere e
palpitare con miracoloso scuotimento. Il santo lo prese per mano e
vivo e sano lo restituì a suo padre.
Qui è chiaro, Pietro, che questo miracolo non l’operò per potere
posseduto, perché per poterlo compiere, dovette chiederlo prostrato
per terra.
Pietro: non c’è dubbio che è proprio come dici tu: la tua
dottrina è provata pienamente coi fatti.
Vorrei adesso che mi spiegassi se i santi possono compiere tutto
quello che vogliono e se ottengono tutto quello che desiderano.
33. Il miracolo di sua sorella Scolastica
Gregorio: Credi, Pietro, che al mondo ci sia stato uno più degno di
Paolo? Eppure egli supplicò tre volte il Signore per essere liberato
dallo stimolo della carne, e non riuscì ad ottenere quanto voleva.
Perciò è necessario che io ti racconti come ci fu una cosa che il
venerabile Benedetto, desiderò, ma non gli fu concesso di ottenerla.
Egli aveva una sorella di nome Scolastica, che fin dall’infanzia si
era anche lei consacrata al Signore. Essa aveva l’abitudine di
venirgli a fare visita, una volta all’anno, e l’uomo di Dio le
scendeva incontro, non molto fuori della porta, in un possedimento
del Monastero.
Un giorno, dunque, venne e il suo venerando fratello le scese
incontro con alcuni discepoli. Trascorsero la giornata intera nelle
lodi di Dio ed in santi colloqui, e quando cominciava a calare la
sera, presero insieme un po’ di cibo. Si trattennero ancora a
tavola e col prolungarsi dei santi colloqui, l’ora si era protratta
più del consueto.
Ad un certo punto la pia sorella gli rivolse questa preghiera: «Ti
chiedo proprio per favore: non lasciarmi per questa notte, ma
fermiamoci fino al mattino, a pregustare, con le nostre
conversazioni, le gioie del cielo...». Ma egli le rispose: «Ma cosa
dici mai, sorella? Non posso assolutamente pernottare fuori del
monastero».
La serenità del cielo era totale: non si vedeva all’orizzonte
neanche una nube.
Alla risposta negativa del fratello, la religiosa poggiò sul tavolo
le mano a dita conserte, vi poggiò sopra il capo, e si immerse in
profonda orazione. Quando sollevò il capo dalla tavola si scatenò
una tempesta di lampi e tuoni insieme con un diluvio d’acqua, in
tale quantità che né il venerabile Benedetto, né i monaci ch’eran
con lui, poterono metter piedi fuori dell’abitazione.
La santa donna, reclinando il capo tra le mani, aveva sparso sul
tavolo un fiume di lagrime, per le quali l’azzurro del cielo si era
trasformato in pioggia. Neppure ad intervallo di un istante il
temporale seguì alla preghiera: ma fu tanta la simultaneità tra la
preghiera e la pioggia, che ella sollevò il capo dalla mensa insieme
ai primi tuoni: fu un solo e identico momento sollevare il capo e
precipitare la pioggia.
L’uomo di Dio capì subito che in mezzo a quei lampi, tuoni, e
spaventoso nubifragio era impossibile far ritorno al monastero e
allora, un po’ rattristato, cominciò a lamentarsi con la sorella:
«Che Dio onnipotente ti perdoni, sorella benedetta; ma che hai
fatto?». Rispose lei: «Vedi, ho pregato te e non mi hai voluto dare
retta; ho pregato il mio Signore e lui mi ha ascoltato. Adesso esci
pure, se gliela fai: e me lasciami qui e torna al tuo monastero».
Ormai era impossibile proprio uscire all’aperto e lui che di sua
iniziativa non l’avrebbe voluto, fu costretto a rimaner lì contro
la sua volontà. E così trascorsero tutti la notte vegliando e si
riempirono l’anima di sacri discorsi, scambiandosi a vicenda
esperienze di vita spirituale.
Con questo racconto ho voluto dimostrare che egli ha desiderato
qualcosa, ma non riuscì ad ottenerla. Certo, se consideriamo le
disposizioni del venerabile Padre, egli avrebbe voluto che il cielo
rimanesse sereno come quando era disceso; ma contrariamente a quanto
voleva, si trova di fronte ad un miracolo, strappato all’onnipotenza
divina dal cuore di una donna.
E non c’è per niente da meravigliarsi che una donna, desiderosa di
trattenersi più a lungo col fratello, in quella occasione abbia
avuto più potere di lui perché, secondo la dottrina di Giovanni:
«Dio è amore»; fu quindi giustissimo che potesse di più colei che
amava di più!
Pietro: confesso che mi piacciono moltissimo questi racconti.
34. L’anima di sua sorella vola al cielo
Gregorio: il giorno seguente tutti e due, fratello e sorella, fecero
ritorno al proprio monastero.
Tre giorni dopo Benedetto era in camera a pregare. Alzando gli occhi
al cielo, vide l’anima di sua sorella che, uscita dal corpo, si
dirigeva in figura di colomba, verso le misteriose profondità dei
cieli.
Ripieno di gioia, per averla vista così gloriosa, rese grazie a Dio
onnipotente con inni e canti di lode, poi andò a partecipare ai
fratelli la sua dipartita. Ne mandò poi subito alcuni, perché
trasportassero il suo corpo nel monastero e lo seppellissero nel
sepolcro che egli aveva già preparato per sé.
Avvenne così che neppure la tomba poté separare quelle due anime,
la cui mente era stata un’anima sola in Dio.
35. La visione del mondo e dell’anima di Germano
Un certo Servando, diacono e Abate di quel monastero che il patrizio
Liberio costruì nella regione Campana, aveva l’uso di fargli ogni
tanto una visita di amicizia. Faceva questo perché era anche lui
ripieno di dottrina celeste e così si trasfondevano a vicenda
confortevoli parole di vita e non potendo ancora gustare il dolce
cibo della patria del cielo, lo pregustavano almeno con ardente
desiderio.
Una volta si trattennero tanto, che era già l’ora di andare al
riposo. Benedetto si era ritirato a riposare nel piano superiore di
quella torre che si elevava a dominare tutto l’abitato, Servando
nei locali inferiori: i due piani però erano in comunicazione per
mezzo di una comoda scala. Di fronte poi alla torre si estendeva un
fabbricato più grande, ove presero riposo i discepoli dell’uno e
dell’altro.
Mentre i fratelli dormivano, Benedetto prolungò la veglia in attesa
della preghiera notturna, e in piedi, vicino alla finestra, pregava.
D’un tratto, fissando l’occhio nelle tenebre profonde della
notte, scorse una luce scendente dall’alto che fugava la densa
oscurità e diffondeva un chiarore così intenso da superare persino
la luce del giorno. In questa visione avvenne un fenomeno
meraviglioso, che lui stesso poi raccontava: fu posto davanti ai suoi
occhi tutto intero il mondo, quasi raccolto sotto un unico raggio di
sole.
Mentre contemplava con lo sguardo gli splendori di quella luce
smagliante, vide l’anima di Germano, Vescovo di Capua, trasportata
dagli angeli, raccolta in un globo di fuoco.
Volendo quindi avere un testimone di sì mirabile prodigio, chiamò a
gran voce, ripetutamente, due o tre volte, il diacono Servando.
Questi, impressionato alle grida insolite di quell’uomo, corse su
veloce, guardò anche lui e poté vedere con meraviglia l’ultimo
affievolirsi di quella luce meravigliosa, mentre l’uomo di Dio
completava il racconto di quanto aveva veduto, suscitando in lui
profondo stupore per il grande miracolo.
Mandò subito dopo a Cassino un messaggero al monaco Teoprobo, perché
nella stessa notte si recasse a Capua e si informasse, per poi
riferire, che fosse successo al vescovo Germano. L’ordine fu
eseguito. L’inviato trovò già defunto il reverendissimo Vescovo
Germano, e, informandosi delle circostanze della morte, gli risultò
che coincideva proprio con quel momento nel quale l’uomo di Dio
aveva contemplata la sua elevazione al cielo.
Pietro: - È un Miracolo meraviglioso e stupendo!
Ma cosa vuol dire che fu presentato davanti agli occhi di lui tutto
il mondo, come raccolto in un raggio di sole?
Siccome a me non è successo mai, allora non riesco proprio a
immaginare, come possa avvenire che un solo uomo possa vedere
l’intero mondo.
Gregorio: Pietro, tieni bene in mente questo che ti dico: all’anima
che contempla il Creatore, ogni creatura è ben piccola cosa. Quando
essa vede un bagliore del Creatore, per piccolo che sia, esigua gli
diventa ogni cosa creata. Per la luce stessa che contempla
interiormente, si dilata la capacità dell’intelligenza, e tanto si
espande in Dio da ritrovarsi al di sopra del mondo. Anzi l’anima
del contemplativo si eleva anche al di sopra di se stessa. Rapita
nella luce di Dio, si espande interiormente sopra se stessa e quando
sollevata in alto riguarda al di sotto di sé, comprende quanto
piccolo sia quel che non aveva potuto contemplare dal basso.
L’uomo di Dio, dunque, che fissava il globo di fuoco e gli angeli
che tornavano in cielo, non poteva contemplare queste cose se non
nella luce di Dio. Non reca dunque meraviglia se vide raccolto
innanzi a sé tutto il mondo, perché, innalzato al cielo nella luce
intellettuale, era fuori del creato.
Tutto il mondo si dice raccolto davanti a lui, non perché il cielo e
la terra si fossero impiccoliti, ma perché lo spirito del veggente
si era dilatato, sicché, rapito in Dio, poté senza difficoltà
contemplare quel che si trova al di sotto di Dio.
Perciò in quella luce che brillò ai suoi occhi corporei, era
simboleggiata la luce interiore della mente, la quale nel rapimento
dell’anima, gli mostrò quanto piccole fossero tutte le cose di
quaggiù.
Pietro: mi accorgo che è stato un bene per me non aver capito prima
quel che avevi detto. La mia ottusità ha occasionato queste tue
esposizioni veramente sublimi.
Adesso ho capito benissimo la cosa e quindi, se non ti dispiace,
riprendi il filo del racconto.
36. La regola monastica
Gregorio: mi piacerebbe molto, Pietro, prolungarmi ancora nel
racconto dei fatti di questo venerabile Padre, ma molte cose bisogna
che volutamente le ometta, perché è necessario che io mi accinga a
narrare anche la vita di altri.
C’è una cosa però interessante, che non devi ignorare, cioè che
l’uomo di Dio, oltre ai tanti miracoli che lo resero così
conosciuto nel mondo, rifulse anche per una eccezionale esposizione
di dottrina. Scrisse infatti anche una regola per i monaci, regola
caratterizzata da una singolare discrezione ed esposta in chiarissima
forma.
Veramente se qualcuno vuol conoscere a fondo i costumi e la vita del
santo, può scoprire nell’insegnamento della regola tutti i
documenti del suo magistero, perché quest’uomo di Dio certamente
non diede nessun insegnamento, senza averlo prima realizzato lui
stesso nella sua vita.
37. Il passaggio all’eternità
Nell’anno stesso in cui doveva morire, annunziò il giorno del suo
beatissimo transito ai suoi discepoli, alcuni dei quali vivevano con
lui ed altri che stavano lontani. Ai presenti ordinò di custodire in
silenzio questa notizia, ai lontani indicò esattamente quale segno
li avrebbe avvisati che la sua anima si staccava dal corpo.
Sei giorni prima della morte, si fece aprire la tomba. Assalito poi
dalla febbre, cominciò ad essere prostrato da ardentissimo calore.
Poiché di giorno in giorno lo sfinimento diventava sempre più
grave, il sesto dì si fece trasportare dai discepoli nell’oratorio,
ove si fortificò per il grande passaggio ricevendo il Corpo e il
Sangue del Signore.
Sostenendo le sue membra, prive di forze, tra le braccia dei
discepoli, in piedi, colle mani levate al cielo, tra le parole della
preghiera, esalò l’ultimo respiro.
In quel medesimo giorno, a due fratelli, uno dei quali stava in
monastero, l’altro fuori, apparve una identica visione.
Videro una via, tappezzata di arazzi e risplendente di innumerevoli
lampade, che dalla sua stanza volgendosi verso oriente si innalzava
diritta verso il cielo. In cima si trovava un personaggio di aspetto
venerando e raggiante di luce, che domandò loro di chi fosse la via
che contemplavano. Confessarono di non saperlo. «Questa – disse
egli – è la via per la quale Benedetto, amico di Dio, è salito al
cielo».
Così i presenti e i lontani videro e conobbero da quel segno
predetto la morte del santo.
Fu sepolto nell’oratorio del Beato Giovanni Battista, oratorio che
egli aveva edificato, dopo aver distrutto il tempio di Apollo. E fino
ai nostri giorni, se la fede degli oranti lo esige, egli risplende
per miracoli anche in quello Speco di Subiaco, dove egli abitò nei
primi tempi della sua vita religiosa.
38. La pazza risanata nello Speco
Il fatto che ora racconto è successo proprio in questi giorni.
Una donna che per malattia mentale aveva perduto completamente la
ragione, si aggirava per i monti e le valli lungo i boschi e
attraverso i campi, sia di giorno che di notte, e si fermava soltanto
quando la stanchezza la costringeva.
Un giorno in questo suo pazzo errare vagabondo, capitò nello Speco
del beatissimo Padre Benedetto ed entrata così, all’insaputa, si
fermò lì, dentro e vi trascorse tutta la notte.
Al sorgere del giorno ne uscì fuori, ma con la ragione in così
perfetto equilibrio, come se non avesse mai sofferto di malattia
mentale. In seguito, finché visse, non perdette mai più la
riacquistata sanità.
Pietro: non riesco a comprendere bene quello che tante volte si dice,
che cioè si ricevono più benefizi per mezzo delle reliquie dei
martiri, che non negli stessi santuari dei martiri dove è il loro
corpo. Si va dicendo cioè che operino maggiori benefizi dove non si
trova il loro sepolcro.
Gregorio: non c’è dubbio, Pietro, che nei luoghi dove i santi
martiri riposano coi loro corpi, moltissimi sono i miracoli operati
per loro intercessione: a chi prega con rettitudine d’animo
distribuiscono grazie senza numero. Però agli uomini di poca fede
può facilmente sorgere il dubbio se i santi siano presenti dove si
sa che non riposano coi loro corpi. Allora ecco la necessità che
essi mostrino prodigi più grandi proprio là dove le anime deboli
hanno motivo a dubitare della loro presenza. Coloro invece che hanno
la mente ferma in Dio, acquistano tanto maggior merito nella fede,
quanto più credono di essere esauditi là dove i martiri non hanno
il sepolcro. Si comprende ora perché la stessa Verità, per
accrescere nei discepoli la fede, ebbe a dire: «Se io non andrò
via, il Paraclito non verrà a voi». In verità il Paraclito procede
sempre dal Padre e dal Figlio: e allora perché il Figlio dice che si
allontanerà per far venire Colui che dal Figlio non è mai separato?
Appunto perché i discepoli, che vedevano il Signore corporalmente,
bramavano di vederlo sempre corporalmente, proprio per questo è
stato detto loro: «Se io non andrò, il Paraclito non verrà»,
quasi volesse apertamente insegnare: «Se io non allontano il corpo
non potrò mostrare chi sia lo Spirito che è Amore; e se non cessate
di guardarmi con l’occhio del corpo, non imparerete mai ad amarmi
in modo spirituale».
Pietro: Adesso sì che sono persuaso.
Gregorio: Ora sarà bene, Pietro, sospendere per un po’ i nostri
colloqui. Nel frattempo, in attesa di ricominciare fra poco il
racconto dei miracoli di altri santi, ristoriamo, con un po’ di
silenzio, le nostre energie.
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