«Con
la sua rivelazione, Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli
uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed
ammetterli alla comunione con sé», insegna il Catechismo della
Chiesa Cattolica. «La risposta adeguata a questo invito è la fede.
Con la fede l'uomo sottomette pienamente a Dio la propria
intelligenza e la propria volontà« Il motivo di credere non
consiste nel fatto che le verità rivelate appaiano come vere e
intelligibili alla luce della nostra ragione naturale. Noi crediamo
per l'autorità di Dio stesso che le rivela, il quale non può né
ingannarsi né ingannare. Nondimeno, perché l'ossequio della nostra
fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori
aiuti dello Spirito santo si accompagnassero anche prove esteriori
della sua rivelazione» (CCC, 142-143,156).
In
primo luogo, si tratta di accreditare colui che parla a nome di Dio.
Uomini di Israele, ascoltate, dichiara san Pietro, il giorno di
Pentecoste, Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di
voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni« voi l'avete inchiodato
sulla croce« e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato (At 2,
22-24). «In questa testimonianza – spiega il Papa Giovanni Paolo
II – è racchiusa una sintesi dell'intera attività messianica di
Gesù di Nazaret« I «prodigi e segni»« testimoniavano che Colui
che « [li] compiva era veramente il Figlio di Dio» (Udienza
generale [UG] dell'11 novembre 1987). Similmente l'evangelista
Giovanni afferma: Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi
discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono
stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di
Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Gv 20,30-31).
Inoltre,
i fedeli stessi faranno, nei secoli successivi, dei «segni
miracolosi» nel nome di Gesù; il Divino Maestro l'ha annunciato ai
suoi apostoli: Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se
non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi
dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne
farà di più grandi (Gv 14,11-12). «Si tratta di «segni»
miracolosi compiuti dai tempi apostolici ad oggi, il cui scopo
essenziale – precisa Giovanni Paolo II – è di far vedere il
destino e la vocazione dell'uomo al Regno di Dio» (UG del 13 gennaio
1988). Tuttavia, questi «miracoli-segni» si sono scontrati in
alcuni con un pregiudizio antisoprannaturale che «vorrebbe limitare
la potenza di Dio o restringerla all'ordine naturale delle cose,
quasi per una auto-obbligazione di Dio a stare alle sue leggi» (UG
del 9 dicembre 1987). Di conseguenza, sono molte oggi le persone che
negano l'esistenza o anche solo la possibilità del miracolo,
seguendo l'esempio di autori celebri la cui influenza è lungi
dall'essersi esaurita.
Nessuna
gamba di legno!
Nel
1874, Émile Zola visita il santuario di Lourdes. Davanti ai numerosi
ex-voto della grotta, egli dichiara, con ironia: «Vedo molti
bastoni, molte stampelle, ma non vedo nessuna gamba di legno».
Voleva dire che mai, a Lourdes o altrove, si era visto un arto
mancante o amputato riprendere vita e ricrescere. Analogamente,
Jean-Martin Charcot, celebre neurologo della sua epoca (1825-1893):
«Consultando il catalogo di guarigioni cosiddette «miracolose» di
Lourdes, non si è mai constatato che la fede abbia fatto rispuntare
un arto amputato». Queste dichiarazioni sotto forma di sfida mirano
a distruggere, nel nome della ragione e dello spirito critico, la
credenza nell'esistenza di un mondo soprannaturale. Ernest Renan
dichiara senza ambagi: «Quello che noi confutiamo è il
soprannaturale« Fino ad ora, non è mai avvenuto un «miracolo» che
potesse essere osservato da testimoni degni di fede e constatato con
certezza» (Prefazione della Vie de Jésus).
Miracolo
e mondo soprannaturale sono effettivamente legati. Rifiutando di
ammettere il secondo, i razionalisti negano la possibilità del
primo. Essi classificano quindi tra le favole le narrazioni
evangeliche che, tuttavia, «sono attendibili come e più di quelle
contenute in altre opere storiche» (Giovanni Paolo II, UG del 9
dicembre 1987). I miracoli evangelici sono fatti realmente accaduti e
che sono stati realmente operati da Cristo; coloro che li riferiscono
ne hanno testimoniato fino allo spargimento del loro sangue. Riguardo
ai Vangeli, noi possediamo manoscritti molto più antichi e più
numerosi che per gli scritti profani dell'antichità considerati
storici.
Che
cosa è un miracolo? È un fatto sensibile che accade al di fuori o
al di sopra della modalità di azione della natura creata; esso
manifesta con ciò stesso l'intervento di una potenza superiore alla
natura. Ora, dei miracoli sono stati osservati: «« la storia della
Chiesa e, in particolare, i processi condotti per le cause di
canonizzazione« costituiscono una documentazione che, sottoposta al
vaglio anche più severo della critica storica e della scienza
medica, conferma l'esistenza della «Potenza dall'alto» (Lc 24,49)
che opera nell'ordine della natura e la supera» (Giovanni Paolo II,
UG del 13 gennaio 1988).
Renan
smentito
Il
miracolo che racconteremo è di molto anteriore a Renan. Si tratta
non di un sogno, né di una favola, ma di un fatto, attestato con
tutte le sue circostanze da prove storiche irrefutabili. Questo fatto
smentisce categoricamente l'affermazione di Renan« Per una curiosa
anomalia, è rimasto pressoché sconosciuto al di fuori della Spagna
per circa tre secoli. Il beneficiario, Miguel Juan Pellicer, è
perfettamente noto grazie alle numerose informazioni conservate dagli
archivi della parrocchia di Calanda (provincia di Aragona, Spagna
settentrionale), che una persona coraggiosa ha sottratto al
saccheggio e alle distruzioni durante la guerra civile del 1936.
Miguel
Juan Pellicer riceve il battesimo il 25 marzo 1617. Egli è il
secondo degli otto figli di modesti agricoltori che conducono una
vita virtuosa. L'istruzione del bambino si riduce al catechismo.
Questa formazione religiosa elementare radica in lui una fede
cattolica semplice e solida, fondata sui Sacramenti ricevuti
regolarmente e su un'ardente e filiale devozione alla Vergine Maria,
venerata a Saragozza con il titolo di «Nuestra Señora del Pilar»
(Madonna del Pilastro), Patrona della Spagna. Verso l'età di
diciannove o vent'anni, Miguel si stabilisce come bracciante, al
servizio di uno zio materno, nella provincia di Valencia. Alla fine
del luglio 1637, mentre guida verso la fattoria due muli che tirano
un carro carico di grano, cade dal dorso di uno degli animali e una
delle ruote del carro gli passa sulla gamba, al di sotto del
ginocchio, provocando la frattura della tibia.
Lo
zio Jaime trasporta senza indugio i ferito alla cittadina vicina, poi
a una sessantina di chilometri di là, a Valencia, dove arriva il 3
agosto. Miguel vi rimane cinque giorni, nel corso dei quali gli
vengono applicati vari rimedi che rimangono senza effetto. Egli
ritorna allora a Saragozza dove giunge nei primi giorni dell'ottobre
1637. Sfinito e febbricitante, viene ricoverato al Real Hospital de
Gracia. Lì, viene esaminato da Juan de Estanga, docente
all'università di Saragozza, primario del reparto di chirurgia, e da
due maestri chirurghi, Diego Millaruelo e Miguel Beltran. Questi
medici, avendo constatato la cancrena avanzata della gamba concludono
che l'unico modo di salvare la vita del malato è l'amputazione.
Quando testimonieranno davanti ai giudici, questi medici
descriveranno la gamba come «molto flemmonosa e incancrenita», al
punto di apparire «nera». Verso la metà di ottobre, Estanga e
Millaruelo procedono all'operazione: essi tagliano la gamba destra
«quattro dita sotto il ginocchio». Anche se assopito dalla bevanda
alcolica e narcotica usata a quei tempi, il paziente prova atroci
dolori: «Nei suoi tormenti – diranno i testimoni – il giovane
invocava di continuo e con molto fervore la Vergine del Pilar». Uno
studente di chirurgia, di nome Juan Lorenzo Garcìa è incaricato di
raccogliere la gamba tagliata e di sotterrarla degnamente nella parte
del cimitero dell'ospedale riservata a questo uso. A quell'epoca di
fede, il rispetto verso il corpo destinato a risuscitare imponeva che
anche i resti anatomici fossero trattati con pietà. Garcìa
testimonierà in seguito di aver seppellito il pezzo di gamba,
orizzontalmente, «in una buca profonda un palmo», cioè ventun
centimetri secondo la misura aragonese.
La
potenza della Vergine
Dopo
alcuni mesi di permanenza nell'ospedale, prima ancora che la sua
piaga sia perfettamente cicatrizzata, Miguel si reca al santuario
«del Pilar», distante circa un chilometro, e ringrazia la Vergine
«di avergli salvato la vita, affinché potesse continuare a servirla
e a manifestarle la sua devozione»; poi la prega con insistenza di
«poter vivere del suo lavoro». Nella primavera 1638,
l'amministrazione dell'ospedale gli fornisce una gamba di legno e una
stampella. Per sopravvivere, il giovane non ha altra soluzione che
farsi «pordiosero», cioè mendicante autorizzato dal Capitolo dei
canonici del santuario «del Pilar». Saragozza conta allora
venticinquemila abitanti: la maggior parte si recano «a salutare la
Vergine» ogni giorno. L'attenzione di questi innumerevoli visitatori
è attirata dal viso sofferente di questo giovane storpio che
sollecita la loro carità. Miguel partecipa ogni giorno alla Santa
Messa nel santuario; alla fine di questa, egli unge il suo moncone
con l'olio delle lampade che ardono continuamente davanti alla statua
della Madonna del Pilar. Il professor Estanga ha un bel spiegargli
che queste unzioni avranno come effetto di ritardare la
cicatrizzazione della sua piaga, Miguel continua il suo gesto di
devozione: questo atto di fede nella potenza della Vergine prevale,
per lui, sulle regole sanitarie.
All'inizio
del 1640, Miguel rientra nel suo paese natale. Egli arriva a Calanda,
a dorso di un asinello, nel mese di marzo. Il suo viaggio di circa
120 chilometri l'ha sfinito; ma l'accoglienza affettuosa dei suoi
genitori gli restituisce le forze. Miguel sta per compiere 23 anni.
Non potendo aiutare i suoi con il suo lavoro, ricomincia a chiedere
l'elemosina. Molti sono coloro che testimonieranno di aver visto il
giovane mutilato nei villaggi dei dintorni di Calanda, a dorso di un
asinello, con la gamba tagliata in vista, per fare appello alla
carità degli abitanti. Il 29 marzo 1640, si festeggia, quell'anno,
il 1600° anniversario della «venuta in carne mortale» della
Vergine Maria sulle rive dell'Ebro, secondo la convinzione della
gente di quei luoghi. È qui l'origine della venerazione secolare
degli Spagnoli per la Vergine del Pilar. Nella stessa epoca, compare
a Lovanio (nelle Fiandre allora spagnole) «L'Augustinus», libro del
vescovo Cornelio Jansen, che darà il suo nome al giansenismo,
dottrina tristemente famosa che rifiuta come indegne della fede pura
la devozione mariana, la religiosità popolare, i pellegrinaggi, le
processioni, l'attenzione della gente semplice ai miracoli«
Quel
giovedì 29 marzo, Miguel si sforza di aiutare i suoi riempiendo di
letame delle gerle caricate sul dorso dell'asinello. Lo fa nove volte
di seguito, nonostante la sua difficoltà a reggersi sulla sua gamba
di legno. Venuta la sera, rientra a casa, stanco, con il moncone più
dolente del solito. Quella notte, i Pellicer devono ospitare, per
ordine del governo, uno dei soldati della Cavalleria reale che è in
marcia verso la frontiera per respingere le truppe francesi: Miguel è
costretto a lasciargli il suo letto e va a dormire su un materasso
posato per terra, nella camera dei suoi genitori. Vi si corica, verso
le dieci. Dopo essersi tolto la gamba di legno, si stende addosso un
semplice mantello, troppo corto per coprire tutto il corpo, perché
ha prestato la sua coperta al soldato, poi si addormenta«
Due
piedi e due gambe
Tra
le dieci e mezza e le undici, la madre di Miguel entra nella camera,
con in mano una lampada a olio. Essa avverte subito «un profumo, un
odore soave». Sorpresa, solleva la lampada: dal mantello che copre
suo figlio profondamente addormentato, sporgono non uno, ma due
piedi, «l'uno sull'altro, incrociati». Colta dallo stupore, va a
cercare il marito; questi solleva il mantello: non c'è dubbio, sono
proprio due piedi, ognuno all'estremità di una gamba! Non senza
difficoltà, riescono a svegliare il figlio. Prendendo a poco a poco
coscienza di quello che è avvenuto, Miguel ne è meravigliato; le
prime parole che gli vengono sulle labbra sono per chiedere a suo
padre che «gli dia la mano e che lo perdoni per le offese che ha
potuto fargli». Questa reazione spontanea e immediata di umiltà, in
lui che è il beneficiario di un prodigio, è un segno molto forte
dell'origine divina di quest'ultimo. Quando gli si chiede, con
emozione, se ha «qualche idea del modo in cui questo è avvenuto»,
il giovane risponde che non ne sa nulla, ma che quando è stato
scosso dal suo sonno, «stava sognando che si trovava nella Santa
Cappella di Nostra Signora del Pilar e che si ungeva la gamba
tagliata con l'olio di una lampada, come aveva l'abitudine di fare».
Egli tiene subito per certo che è Nostra Signora del Pilar ad
avergli riportato e rimesso a posto la gamba tagliata. Davanti al
notaio, il lunedì seguente, i genitori affermano a loro volta di
«giudicare e tenere per verità che la Vergine Santissima del Pilar
ha pregato suo Figlio, Redentore nostro, e da Dio ha ottenuto questo
miracolo, grazie alle preghiere di Miguel, o perché tali erano le
Sue vie misteriose». Questi cristiani vedono chiaramente che non è
la Vergine che «fa» i miracoli, ma che, con la sua supplica, li
ottiene dalla Santissima Trinità. Per quanto sia amata e venerata,
la Vergine non è considerata come una dea pagana, ma come
un'intermediaria tra noi e suo Figlio, secondo il ruolo materno che
Questi le ha lui stesso assegnato dicendo a san Giovanni: Figlio,
ecco tua Madre (Gv 19,27).
Riavutosi
dalla sua prima emozione, il giovane comincia a muovere e a palparsi
la gamba. Osservandola, si scoprono su questa dei segni di
autenticità: il primo è la cicatrice lasciata dalla ruota del carro
che ha fratturato la tibia; vi è anche la traccia dell'asportazione
di una grossa cisti, quando Miguel era ancora piccolo; due graffi
profondi lasciati da una pianta spinosa; infine, le tracce del morso
di un cane sul polpaccio. Miguel e i suoi genitori hanno quindi la
certezza che «la Vergine del Pilar ha ottenuto da Dio Nostro Signore
la gamba che era stata sepolta più di due anni prima». Essi lo
dichiareranno sotto giuramento e senza esitazione, davanti ai giudici
di Saragozza. Un giornale del tempo, «l'Aviso Histórico», scrive
in data 4 giugno 1640, il giorno prima dell'apertura del processo,
che, nonostante le ricerche fatte nel cimitero dell'Ospedale di
Saragozza, la gamba sepolta non è stata ritrovata: la buca che la
conteneva era vuota!
Tutti
sono sbalorditi
Fin
dall'alba del 30 marzo, venerdì della settimana di Passione,
ricorrenza della Beata Vergine Addolorata, l'incredibile notizia si
diffonde in tutto il villaggio. Don Juseppe Herrero, vicario della
parrocchia, arriva dai Pellicer, seguito dal «justicia» che
riunisce le funzioni di giudice di pace e di responsabile dell'ordine
pubblico, dal sindaco e dal suo vice, dal notaio reale e da due
medici di Calanda. Si forma una processione per accompagnare il
giovane miracolato alla chiesa parrocchiale, dove lo aspetta il resto
degli abitanti. Tutti, dicono i documenti, sono sbalorditi vedendolo
di nuovo con la sua gamba destra, mentre l'avevano visto con una sola
gamba fino alla sera precedente. Il miracolato si confessa, e riceve
la santa Comunione nel corso della Messa di ringraziamento celebrata
dal vicario.
Tuttavia,
la gamba non ha, all'inizio un bell'aspetto: colore violaceo, dita
del piede ricurve, muscoli atrofizzati e soprattutto, lunghezza
inferiore a quella della gamba sinistra di alcuni centimetri. Ci
vogliono tre giorni perché la gamba riprenda il suo aspetto normale,
con la sua scioltezza e la sua forza. Queste circostanze,
diligentemente osservate e studiate nel corso del processo,
confermano che non si tratta di un numero di illusionismo; esse
provano che la gamba restituita è proprio la stessa di quella che
era stata sepolta due anni e cinque mesi prima, a più di 100
chilometri di distanza« Nel mese di giugno seguente, i testimoni
affermano davanti ai giudici di Saragozza che Miguel «può
appoggiare il tallone a terra, muovere le dita del piede, correre
senza difficoltà». Si constata inoltre che, a partire dalla fine di
marzo, l'arto ricuperato si è «allungato di quasi tre dita», e che
è attualmente lungo quanto l'altro. Un solo segno non scompare: la
cicatrice che forma un cerchio rosso nel punto in cui il pezzo di
gamba si è riunito all'altro. È come un marchio indelebile del
prodigio.
«Bisognerebbe
quindi che venisse constatato un miracolo da un certo numero di
persone sensate che non avessero alcun interesse alla cosa»,
affermava Voltaire. «E bisognerebbe che le loro testimonianze
fossero registrate in debita forma: in effetti, se noi abbiamo
bisogno di tante formalità per atti come l'acquisto di una casa, un
contratto di matrimonio, un testamento, quante non ne occorrerebbero
per appurare delle cose naturalmente impossibili?» (Voce «Miracle»
del suo Dizionario filosofico). Ora, cent'anni prima, è avvenuta
precisamente la stesura di un simile atto a Calanda. Il lunedì 1°
aprile 1640, quarto giorno dopo il prodigio, il parroco e un prete
vicario di Mazaleón, villaggio alla distanza di 50 km, si spostano
con il notaio reale del luogo per verificare la realtà dei fatti e
ne stendono un atto ufficiale.
Nessuna
voce discordante
Alla
fine dello stesso mese di aprile, la famiglia Pellicer decide di
andare a ringraziare la Vergine del Pilar. A Saragozza, il Comune
chiede che si apra un processo, perché sia fatta tutta la luce
possibile sull'avvenimento. Il 5 giugno, quindi due mesi e una
settimana dopo l'evento, si apre ufficialmente il processo canonico.
Esso è pubblico e non a porte chiuse. Vi prendono parte più di
cento persone di svariate condizioni sociali. Contro l'affidabilità
di questo processo, non si è mai sollevata nessuna voce discordante.
Il 27 aprile 1641, l'arcivescovo pronuncia solennemente la sua
sentenza. Egli dichiara «mirabile e miracolosa» la restituzione
della gamba destra, precedentemente amputata, di cui ha beneficiato
Miguel Juan Pellicer, nativo di Calanda.
Si
può applicare a qualsiasi vero miracolo ciò che sant'Agostino
diceva di quelli di Cristo: «I miracoli che fece nostro Signore Gesù
Cristo sono opere divine che insegnano alla mente umana ad elevarsi
al di sopra delle cose visibili per comprende ciò che è Dio» («In
Io. Ev. Tract.», 24,1).
Il
Papa Giovanni Paolo II commenta: «A questo pensiero possiamo
ricollegarci nel riaffermare lo stretto legame dei «miracoli-segni»
compiuti da Gesù con la chiamata alla fede. Infatti tali miracoli
dimostravano l'esistenza dell'ordine soprannaturale, che è oggetto
della fede. A coloro che li osservavano e particolarmente a chi
personalmente li sperimentava, essi facevano costatare quasi con mano
che l'ordine della natura non esaurisce l'intera realtà. L'universo
in cui vive l'uomo non è racchiuso soltanto nel quadro dell'ordine
delle cose accessibili ai sensi e allo stesso intelletto condizionato
dalla conoscenza sensibile. Il miracolo è «segno» che questo
ordine viene superato dalla «Potenza dall'alto», e quindi le è
anche sottomesso. Questa «Potenza dall'alto» (cf. Lc 24,49), cioè
Dio stesso, è al di sopra dell'intero ordine della natura. Essa
dirige quest'ordine e nello stesso tempo fa conoscere che - mediante
quest'ordine e al di sopra di esso - il destino dell'uomo è il Regno
di Dio. I miracoli di Cristo sono «segni» di questo Regno« Dopo la
Risurrezione, l'Ascensione e la Pentecoste, i «miracoli-segni»
compiuti da Cristo vengono «continuati» dagli apostoli, poi dai
santi che si succedono di generazione in generazione» (UG del 13
gennaio 1988).
Il
miracolo di Calanda, impensabile eppure perfettamente attestato, è
di natura tale da confortare la nostra fede nell'esistenza di un
mondo invisibile, quello di Dio e del suo Regno eterno, al quale
siamo chiamati a partecipare in quanto figli adottivi. È questa la
realtà suprema ed eterna, alla quale dobbiamo riferire tutte le
altre, come un uomo prudente ordina i mezzi al fine. I miracoli ci
rivelano soprattutto il Cuore amante e misericordioso di Dio per
l'uomo, in particolare per l'uomo che soffre, che è nel bisogno, che
implora la guarigione, il perdono e la pietà. Essi contribuiscono a
fondarci in una speranza indefettibile nella misericordia di Dio e ci
incoraggiano a dire spesso: «Gesù, confido in Te!»
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
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