lunedì 14 dicembre 2020

COME NASCE IL «MAGNIFICAT» del cardinale ANGELO COMASTRI


Osservando il comportamento delle persone, non è difficile individuare a chi o a che cosa hanno detto il proprio «sì». Il denaro, il successo, l’appagamento di ogni capriccio (= egoismo come norma di vita) oggi appaiono idoli con molti adoratori. Ma ognuno vale quanto vale il proprio punto di appoggio: chi si appoggia sul vuoto, farà l’esperienza di sentirsi vuoto («Avete scelto ciò che è vano e siete diventati vanità», disse un giorno Geremia!).

La fede, sorgente di pace

Maria, nel racconto fedele dei Vangeli, appare caratterizzata da un «sì» fermo, chiaro, coerente: un «sì» a Dio. E questo «sì» la rende pronta a farsi modellare, educare, condurre... da Dio. Partiamo dalla risposta di Maria all’annuncio dell’Angelo: «Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga...»!

Da questo momento Maria, come già abbiamo detto, si trova in una situazione, umanamente parlando, non spiegabile e non raccontabile (pensiamo al dramma di Giuseppe riferito dall’evangelista Matteo). E Maria stessa faceva difficoltà

a chiarire anche a se stessa la portata dell’evento nel quale si trovava coinvolta: la sua situazione era unica e irrepetibile; non aveva riferimento di persone nelle quali poter riconoscere la sua vicenda (la maternità verginale è un unicum di tutta la storia della salvezza).

Questa situazione, in Maria, poteva generare ansia, nervosismo, paura, insicurezza, angoscia... Maria, invece, è serena e pienamente padrona di sé.

Da dove viene questa sorprendente serenità? Maria crede! Maria si è consegnata a Dio senza spazi di ambiguità e vive la consegna con una coerenza ammirevole.

La fede è la sorgente della sua pace.

«Niente ti turbi, niente ti spaventi: tutto passa, solo Dio resta. A chi ha Dio, nulla manca: solo Dio basta» ha esclamato santa Teresa d’Avila... e Maria ne ha fatto l’esperienza.

Le “maniglie di salvataggio”

Anche la nostra vita è segnata da un «sì» a Dio. Però quante riserve, quante ambiguità caratterizzano il nostro «sì»! «Ti dico “sì”, però a questo non ci rinuncio; ti dico “sì”, però voglio conservare un appoggio di riserva o una maniglia di salvataggio, perché non mi fido completamente di te». Apertamente non lo diciamo, ma interiormente questo è il nostro segreto convincimento. Sapete quando vengono fuori queste maniglie di salvataggio?

Quando Dio si nasconde per un istante e noi immediatamente mettiamo tutto in discussione e cadiamo nella crisi esistenziale: allora viene fuori la fragilità del vero punto di appoggio della nostra vita. C’era già, prima della prova, il terribile equivoco: ma un’onda più forte fa venire fuori l’ambiguità nascosta del nostro cuore poco credente.

Quando il «figlio maggiore» si è scoperto povero di bontà e colmo di rancori? Esattamente quando è tornato il fratello pentito e il padre ha fatto festa per lui! In quel momento è caduta la maschera ed è venuta fuori l’ambiguità del cuore del figlio maggiore. Così accade, talvolta, anche a noi.

Non fu così in Maria.

Dopo il «sì», Maria va da Elisabetta per servire: «Maria rimase con lei circa tre mesi e poi ritornò nella sua casa» (Lc 1,56).

Quando ci si consegna a qualcuno, si assumono inevitabilmente le sue caratteristiche, i suoi comportamenti, i suoi gusti, il suo stile.

Il coraggio di una donna

Maria si è consegnata a Dio e immediatamente avverte il bisogno di amare e di servire: si sente accesa dall’amore e spinta a seguire la via del dono di sé. È la logica del «sì». Come è autentico il suo «sì»! Il cammino degli apostoli sarà molto più contorto, molto più ambiguo, molto più esposto al tentativo della fuga: la radice stava nell’ambiguità del loro «sì».

Non che Maria non abbia avuto prove: tutt’altro! Pensate, soltanto per fare un esempio, al terribile momento in cui Gesù la costrinse, insieme a Giuseppe, a cercarlo per tre giorni.

Appena lo vide, gli disse: «Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo! Perché ci hai fatto questo?» (Lc 2,48).

La prova fu veramente grande.

Però le prove fanno emergere sempre di più la solidità del «sì» di Maria e la docilità del suo cuore umile che si lascia educare, condurre, modellare da Dio. E così Maria va da Elisabetta e la saluta nella cornice della povertà e, dopo un lungo viaggio, la saluta sentendo nel proprio giovane corpo tanta stanchezza e tanta felicità accumulata. Però Maria è capace di ascoltare, di lasciarsi interpellare e di dare la sua rinnovata risposta di fede (la vocazione, infatti, è fatta di tanti «sì» coerenti con il primo, oppure di tanti «sì» che diventano sempre più coerenti!).

Che cosa accade sulla soglia della casa di Elisabetta?

Sono di fronte una giovane mamma e una mamma anziana: ambedue hanno un bimbo nel grembo, ma non sanno che tra quei due bambini c’è un legame di vocazione.

Dio delicatamente lo svela; e fa sì che Giovanni non ancora nato riconosca e saluti il Verbo incarnato non ancora nato: tutto avviene in una cornice di semplicità e di povertà, senza fughe in avanti, senza pretesa di segni strabilianti. Elisabetta coglie il «segno» e dà la prima lettura del fatto:

«Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno! A che debbo che venga a me la madre del mio Signore? Ecco, appena il suono del tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bambino mi è balzato – saltato in seno per la gioia» (Lc 1,42-44).

Maria riprenderà la parola: «Il mio spirito gioisce in Dio».

Elisabetta conclude:

«Beata colei che ha creduto che ci sarà compimento alle cose che le sono state dette dal Signore» (Lc 1,45).

Questa è la grande beatitudine di Maria: ha creduto che ci sarà compimento!

Il “Magnificat”, la danza di Maria

E Maria risponde come se la sua anima cominciasse a danzare. Davanti a che cosa? A un piccolo segno, dato da un Dio che ama rivelarsi nei piccoli segni decifrabili dai piccoli-umili. Maria svela il suo cuore credente e dice: «L’anima mia loda-magnifica-benedice... il Signore e il mio spirito gioisce in Dio mio Salvatore».

La fede autentica si accompagna con la gioia: e più grande è la fede, più grande è la gioia.

La gioia, infatti, è il più grande segno della presenza di Dio in noi: per questo motivo l’anima di Maria scoppia di contentezza.

Gioia di fede! Gioia di abbandono, senza reticenza, al Dio della gioia! Proviamo a chiederci: a che cosa è aggrappata la nostra gioia? Su «chi» poggia la nostra contentezza?

Seguiamo ancora Maria.

E Maria ci dice anche dove è possibile incontrare Dio. Qual è il recapito dell’incontro con lui: «Ha guardato l’umiltà... ha guardato la piccolezza della sua serva».

L’umiltà è la culla irrinunciabile per poter accogliere Dio. Per questo motivo, Maria ha il cuore pronto per la rivelazione di Betlemme e per la grande rivelazione della croce.

Tiziano Terzani, giornalista e scrittore contemporaneo, con acutezza ha osservato:

«Non ci sono dubbi che negli ultimi secoli abbiamo fatto enormi progressi. Siamo riusciti a volare come gli uccelli, a nuotare sott’acqua come i pesci, andiamo sulla Luna e mandiamo sonde su Marte. Ora siamo persino capaci di clonare la vita. Eppure con tutto questo progresso non siamo in pace con noi stessi né con il mondo attorno. Anzi l’uomo non è mai stato tanto povero spiritualmente come da quando è diventato così ricco materialmente».

Che cosa manca al mondo di oggi? Soprattutto l’umiltà! L’umiltà è la chiave della verità e il segreto che permette di volare, di salire in alto... fino a Dio. Maria era umile, umile più di ogni altra creatura: per questo ha volato in alto, più in alto di tutti!

Cardinale Angelo Comastri – Tratto da “L’Annunciazione Il “sì” di Maria”


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