venerdì 20 novembre 2020

MIRACOLI DI SAN GIUSEPPE - Fate amicizia con Giuseppe e troverete Gesù. Frequentate Giuseppe e troverete Maria, che riempì sempre di pace il dolce laboratorio di Nazaret. (San Josemaría Escrivá de Balaguer)


Se dovessimo scrivere tutti i favori e i miracoli fatti da Dio per intercessione di san Giuseppe ai suoi fedeli, non troveremmo sufficiente spazio in tutti i libri del mondo messi insieme. Perciò accenneremo soltanto a pochissimi, prendendoli come campionario del grande potere d’intercessione del nostro santo, che, dopo Maria, è il santo più grande e potente.


Accadde a Shangai (China) nel 1934. L’avvocato Lo Pa Hong, cristiano fervente e padre di nove figli, ritorna a casa all’imbrunire e vede un uomo steso a terra. Chiama un “cooli” per trasportarlo all’ospedale più vicino, dove però il malato viene rifiutato. Allora il buon samaritano se lo carica in spalla e lo porta a casa per curarlo. Ma da quel giorno incomincia a pensare di costruire un ospedale per gli ammalati più poveri. Viene a sapere di un cimitero abbandonato in quel momento utilizzato per depurare acque residuali. Lì, di notte, si recano delle donne per abbandonare i loro neonati, che verranno poi sbranati e divorati dai cani. Acquista il terreno ed inizia a costruire; ben presto però deve interrompere i lavori per mancanza di fondi.

Si raccomanda a san Giuseppe e pone una sua immagine in mezzo all’area, chiedendogli aiuto. Poi va a chiedere finanziamenti ovunque e ne riceve talmente tanti che non soltanto porterà a termine quell’ospedale ma ne costruirà degli altri, un orfanotrofio per bambini abbandonati, una casa-famiglia per ex prostitute, un centro per non vedenti, un altro per invalidi, una scuola professionale per ragazze, una scuola di arti e mestieri e trentatré cappelle disseminate per tutta la regione. Inoltre, come catechista, prepara e battezza 200 persone, tra cui alcuni condannati a morte battezzati prima dell’esecuzione.

Lo Pa Hong sembrava instancabile e continuò a lavorare fino al 30 dicembre 1937. A 64 anni morì martire della carità, assassinato da due sicari. Un santo del nostro tempo! San Giuseppe gli permise di realizzare un’opera grandiosa, senza pari, in poco tempo.


Un vescovo missionario irlandese, Mons O..Hair, esercitò il suo apostolato per molti anni in Sudafrica... Durante una delle sue camminate si perde. Non sapendo che fare, invoca il suo angelo custode, san Giuseppe e Nostra Signora del Buon Consiglio, proseguendo il cammino completamente disorientato. Finalmente giunge ad un gruppo di case. Un contadino che sta lavorando la terra vicino alla sua casa, gli dice: Lei arriva giusto in tempo perché nella casa di fianco c’è un uomo che sta morendo.

Il vescovo entra in casa del moribondo e questi, vedendolo, scoppia a piangere di gioia ed esclama: Io sono irlandese. Quando ero bambino mia madre mi insegnò a pregare san Giuseppe e a chiedergli la grazia di una santa morte. Ho recitato questa preghiera tutti i giorni della mia vita. A ventun anni, dopo aver combattuto in guerra, sono rimasto in Africa. Ora che mi sono ammalato ho pregato san Giuseppe con più fervore del solito ed egli mi manda un sacerdote in modo sorprendente.

Il giorno seguente l’uomo morì nella pace del Signore, avendo avuto una buona morte.


Alla fine del secolo XIX, padre Giovanni, abate dell’abazia di Fontfroide (Francia) fu testimone di un favore speciale di san Giuseppe. Egli stesso racconta: Durante la mia permanenza nell’abazia di Senanque, un pomeriggio il portinaio mi disse: C’è un signore che la cerca.

Gli vado incontro. Era un uomo ben piazzato, elegante, distinto nei modi ma pareva turbato. A pochi passi da lui pascolava un bellissimo cavallo nero.

L’uomo mi dice: Io non la conosco. L’ho visto da lontano e l’ho fatto chiamare. Il mio cavallo mi ha portato tra le rocce e si è fermato davanti alla sua porta. Che casa è questa?

è un monastero.

Io sono il direttore del circo imperiale di Lione. I miei affari vanno a gonfie vele. Ho ai miei ordini un personale numeroso, ma sono tormentato dall’idea del suicidio. Non ho mai conosciuto mio padre. A sette anni ho perso mia madre. Quando morì, presi i pochi soldi che trovai e me ne andai nel circo vicino a casa. Ero completamente solo. Non avevo né parenti né amici. Il direttore del circo mi trattò come un figlio e quando morì mi lasciò tutto. Sono stato ovunque, ho guadagnato molto denaro. Ma da qualche tempo non so cosa mi succede, mi sento disperato e voglio affogare.

Mia madre mi insegnò una preghiera che mi faceva recitare tutti i giorni: “Dio ti salvi, Giuseppe, pieno di grazia divina, benedetto sei tra tutti gli uomini e benedetto è Gesù, il frutto della tua sposa verginale. San Giuseppe, destinato ad essere padre del Figlio di Dio, prega per noi nelle nostre necessità familiari, di salute e di lavoro, e degnati di venire in nostro soccorso nell’ora della nostra morte. Amen”.

Recito questa orazione tutte le notti prima di dormire. Oggi ho portato il mio cavallo in riva al Rodano, ma ha fatto un salto indietro ed è fuggito. Per la prima volta in vita mia non sono stato padrone del mio animale.

Io lo abbracciai ed egli si commosse. Gli dissi: Lei cenerà con noi stasera, dormirà sul duro pavimento e domani passerà il giorno qui.

Rimase con noi tre giorni. Lo istruii sulle verità fondamentali della fede. Si confessò e ricevette l’Eucaristia. Poi ritornò ad Avignone completamente trasformato, sistemò i suoi affari, vendette il suo circo, distribuì il suo denaro ai poveri e si fece religioso. Alcuni anni più tardi venne preso da febbri altissime e morì come un santo, ancora giovane ed in incognito. Vedete quanto vale la protezione di san Giuseppe.

Quell’uomo rimase sempre fedele alla sua preghiera, pur senza comprendere ciò che diceva e a chi si rivolgeva, e ricevette la sua ricompensa .


Nella notte del 2 gennaio del 1885, un anziano si presentò alla porta di un sacerdote per chiedergli di recarsi da una donna agonizzante. Il sacerdote seguì lo sconosciuto. La notte era molto fredda ma l’anziano pareva non rendersene conto. Camminava davanti e diceva al sacerdote per tranquillizzarlo, dato che la zona era malfamata: Lo aspetterò alla porta.

Questa, dove si fermò, era proprio uno dei più miserabili usci del quartiere... Quando il prete raggiunse la moribonda udì che si lamentava dicendo tra i gemiti: Un sacerdote! Un sacerdote! Sto per morire senza sacerdote! Figlia mia, io sono sacerdote. Un anziano mi ha avvertito di venire.

L’inferma gli confessò i peccati di una lunga vita ed il sacerdote le chiese se per caso avesse mai osservato qualche pratica devozionale.

Nessuna, rispose, tranne una preghiera che recitavo tutti i giorni a san Giuseppe per ottenere una buona morte.

La donna dopo la confessione ricevette la comunione e l’unzione degli infermi e rimase molto rincuorata. Quando il sacerdote raggiunse la porta per uscire, non vi trovò nessuno. Ma riflettendo sul fatto di quella notte e sul mistero di consolazione che aveva esercitato, sentì nascere nel suo cuore la convinzione che l’anziano caritatevole non fosse altri che il glorioso e misericordioso san Giuseppe, patrono della buona morte.


Il 2 novembre 1853, una giovane, ispirata da Dio, concepì l’idea di fondare una Congregazione per aiutare le anime del purgatorio. Si consultò col santo curato d’Ars, che la consigliò e l’aiutò nell’Opera. La fondatrice, molto devota a san Giuseppe, gli promise che se quest’ultima fosse arrivata a compimento, la prima casa sarebbe stata a lui dedicata. E l’Opera si realizzò e prese il nome di Ausiliatrici delle anime del purgatorio.

Il giorno successivo all’acquisto di una casa a Parigi per iniziare l’Opera, uno sconosciuto, che non sapeva nulla, fece loro il regalo di una statua di san Giuseppe, come se lo stesso san Giuseppe avesse voluto rendersi presente e dichiararsi protettore dell’opera .


Maria Repetto era nata nel 1807 a Voltaggio, a nord di Genova. A 22 anni entra nel convento delle Figlie di Nostra Signora del Rifugio a Bisagno. Essendo di salute precaria, la impiegano nel cucito; poi passa all’infermeria e alla fine in portineria. Da portinaia, manifesta una grande devozione san Giuseppe. Ai visitatori consiglia di ricorrere allo sposo di Maria. Se qualcuno viene a chiedere consigli o aiuto, gli dice di attendere un momento e va’ a pregare davanti all’immagine di san Giuseppe nel corridoio adiacente. Dopo un attimo ritorna e dà la risposta adeguata.

In un’occasione una signora le chiede preghiere perché suo marito è diventato cieco. La religiosa le consiglia di pregare san Giuseppe e poi lei stessa si raccoglie in preghiera davanti all’immagine del santo. Il giorno seguente la signora torna e racconta che suo marito ha recuperato la vista. Suor Maria, grande devota di san Giuseppe, venne beatificata da Giovanni Paolo II nel 1998.


Nella città di Saint Louis negli Stati Uniti, nel 1866, ci fu un’epidemia di colera che uccise per due mesi circa 280 persone al giorno. Nella parrocchia di san Giuseppe il parroco e superiore della comunità dei Gesuiti, padre Joseph Weber, invitò i suoi fedeli a fare un patto con Dio per costruire un monumento a san Giuseppe, il patrono della parrocchia, se fossero cessate le morti. A partire dal giorno in cui fecero la solenne promessa a Dio tramite san Giuseppe, finirono i decessi in parrocchia, che prima ammontavano a circa 25 al giorno.

Nessuna persona delle famiglie che avevano fatto il patto morì. La cosa venne considerata un miracolo. E mantennero la promessa. Costruirono un magnifico altare nel presbiterio della chiesa, l’altare principale, che esiste ancor oggi e che, da allora, viene chiamato l’altare delle risposte (alle preghiere). Questo miracolo venne registrato come un fatto autentico nei documenti della parrocchia nell’anno 1866, a Gloria di san Giuseppe .


Sulla costa orientale africana sorgeva nel secolo XIX una missione a Mandera. Padre Hacquard riferisce sulla fondazione della missione: Era l’anno 1880 e avevamo bisogno di una missione intermedia tra Bagamoyo e Mhomda. Accompagnato da padre Machon, intrapresi il viaggio per cercare un posto conveniente per stabilirvi una comunità cristiana, ci raccomandammo a san Giuseppe. Il giorno 19 marzo, festa del santo, ci mettemmo in cammino dirigendoci verso Udoé, un luogo mai visitato da nessun europeo. Gli indigeni di quella regione erano antropofagi e non ci concedevano il permesso di stabilirci da nessuna parte. Io mi rivolsi a san Giuseppe, raccomandandogli il buon esito del nostro viaggio. Da Udoé passammo Uriguà, vagando senza meta, alla ventura; ma in nessun luogo ci permettevano di stabilire la missione... finché arrivammo alla casa del capo Kingarù, chiamato faccia di serpente.

Appena ci vide si fermò ammirato e fissandoci a lungo proruppe in espressioni quali: - Sì, sono loro. Sono gli stessi! Ascoltatemi. La notte scorsa, non so se ero sveglio o dormivo, ho visto davanti a me un anziano venerabile che toccandomi come per svegliarmi, mi ha detto: “Kingarù, sappi che vengono a casa tua con una piccola carovana due bianchi, ricevili bene e dai loro quanto ti chiederanno”. E quelli siete voi, gli stessi che ho visto.

Allora chiamò la gente del popolo e disse loro: - Guardate questi due bianchi, sono quelli che ho visto la notte scorsa insieme ad un anziano come vi ho raccontato questa mattina. Sono loro.

Rimanemmo là otto giorni e tutti si sforzarono di trattarci bene. Una volta scelto il luogo della nostra abitazione, organizzammo di nuovo la partenza; per la quale lo stesso capo volle accompagnarci, servirci da guida e protezione. Dopo 15 giorni venne a trovarci a Bagamoyo e giunto il momento di iniziare l’opera progettata, tornò di nuovo con un grande numero di uomini per guidare i missionari e portare tutto l’equipaggiamento. Egli è uno dei più assidui e costanti partecipanti agli esercizi della missione.

Questo e molto altro ancora ha operato san Giuseppe per il popolo di Mandera, e gliene siamo grati, lo onoreremo e gli renderemo gloria per sempre .


Forse il caso più spettacolare tra i miracoli operati per intercessione di san Giuseppe, lo troviamo a Montreal, dove viveva il beato fra André (1845-1937). Fra André, della Congregazione della Santa Croce, non era sacerdote, per quarant’anni fu portinaio del convento e per più di sessant’anni compì miracoli straordinari per intercessione di san Giuseppe. La devozione al santo la ereditò da sua madre, morta quando egli era ancora bambino. A tutti quelli che gli chiedevano preghiere, raccomandava di non separare il loro amore a Giuseppe da quello verso Maria e verso Gesù, presente nell’Eucaristia. Egli era un uomo di profonda preghiera davanti al tabernacolo e amava con tutto il cuore Maria, infatti pregava il rosario a qualsiasi ora; ma quando gli chiedevano delle grazie, lui pregava san Giuseppe. Chiamava se stesso il cagnolino di san Giuseppe, in realtà fu il grande apostolo del santo del XX secolo.

I miracoli che si compivano attraverso di lui avvenivano in tutta semplicità. A volte diceva ai malati che dovevano fare una novena a san Giuseppe, confessarsi e fare la comunione, e così dopo la novena arrivava la guarigione. Altre volte diceva loro di non preoccuparsi, che egli avrebbe pregato san Giuseppe personalmente per il loro caso. Ma la cosa più normale per lui era dare agli infermi delle medaglie del santo e chiedere loro di sfregarle sulla parte malata del loro corpo; oppure consegnava dell’olio della lampada che ardeva davanti all’immagine di san Giuseppe affinché si ungessero con esso. In questo modo avvenivano centinaia e centinaia di miracoli spettacolari. E questi segni prodigiosi si ripeterono per tutti i sessant’anni della sua vita consacrata, poiché morì all’età di 91 anni.

A quelli che venivano guariti diceva di ringraziare san Giuseppe. Alcuni si sentivano ingannati, dicevano che il fatto di passare una medaglia o dell’olio sulla parte malata era pura superstizione e non ottenevano la guarigione. Perciò egli diceva: molti malati non guariscono per mancanza di fede. È necessario avere fede per mettersi la medaglia o l’olio di san Giuseppe .

Nel 1926 vennero citate sulla stampa 1611 persone che dicevano di essere state guarite da gravi malattie ed altre 7334 affermavano di aver ottenuto favori straordinari di ordine materiale e spirituale. Qualcosa di veramente meraviglioso! Fra André fu beatificato da papa Giovanni Paolo II il 23 maggio del 1982.


La venerabile Maria Angelica Alvarez Icaza (1887-1986) racconta nelle sue Memorie: Nella cappella c’era un altare con un’immagine del Signor san Giuseppe che chiamavamo “San Giuseppe del Passo” perché si trovava precisamente in un luogo di grande passaggio. Siccome io lo vedevo quasi continuamente per la mia vicinanza alla cappella, incominciai a sviluppare una grande devozione al santo ed egli da parte sua iniziò a viziarmi molto, perché tutto ciò che desideravo (ed erano molte le cose) lo disegnavo su un foglio di carta, glielo mettevo tra le mani e con un’efficacia sbalorditiva subito egli rispondeva alle mie suppliche: un volto santo di Cristo per la stanza della madre (pochi giorni dopo ce lo regalarono), dei candelabri per l’altare della Madonna (in un batter d’occhio arrivarono), un libro che desideravo, una lampada, dei vasi per i fiori recisi, e così via...: non appena chiedevo, ottenevo. Questo valse anche per le consorelle che frequentemente ricorrevano a lui nella stessa maniera e per le bambine del pensionato che il nostro generoso santo sempre ascoltava.


Diceva madre Teresa di Calcutta: confidiamo nella potenza del nome di Gesù ed anche nel potere d’intercessione di san Giuseppe. Agli inizi della nostra congregazione, ci sono stati dei momenti in cui non avevamo nulla. Un giorno di grande necessità, prendemmo un quadro di san Giuseppe e lo mettemmo all’ingiù. Questo ci ricordava che dovevamo chiedere la sua intercessione. Quando ricevevamo qualche aiuto il quadro tornava nella posizione corretta. Un giorno un sacerdote voleva stampare delle immagini per stimolare ed accrescere la devozione a san Giuseppe.

Venne a trovarmi per chiedermi dei soldi ma io avevo solamente una rupia in tutta la casa. Dubitai per un attimo se dargliela o no, ma alla fine gliela consegnai. Quella stessa notte tornò e mi portò una busta piena di soldi: 100 rupie. Qualcuno l’aveva fermato per strada e gli aveva dato quel denaro per madre Teresa .


Monsignor Amancio Escapa, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santo Domingo nella Repubblica Domenicana, racconta un miracolo accaduto nell’anno 2001 a suo fratello gemello.

Mio fratello arriva all’ospedale di Valladolid intubato e più morto che vivo. La prima diagnosi fu di polmonite bilaterale causata dalla legionella. Quest’ultima gli causava emorragie interne. Dopo diverse analisi e ricerche decisero di operarlo allo stomaco.

Trascorsi tre giorni lo sottoposero ad emodialisi perché i reni incominciavano a non funzionare. Gli praticarono la tracheotomia. Durante i 48 giorni che rimase in terapia intensiva, in due occasioni contrasse un’infezione da virus ospedaliero. Rimase ricoverato 71 giorni. Chiesi preghiere a quanti conoscevo. Posso dire che la mia vita in quei momenti era una preghiera continua. L’unico mio punto di riferimento era il tabernacolo, sempre. Chiedevo a Gesù con tutto il mio cuore che si compisse la sua volontà. Avevo messo mio fratello nelle mani di Dio. E come era normale che fosse, conscio della mia povertà, cercai i miei intercessori presso Gesù. Essi furono la Vergine Maria e san Giuseppe.

Pregavo la Vergine con due rosari al giorno. Iniziai a bombardare san Giuseppe insieme alle mie cugine con novene continue. Non eravamo arrivati alla fine di una, che a mio fratello si presentavano nuove complicazioni. Per ogni complicazione, una nuova novena; cinque in totale. Per ogni richiesta rivolta a san Giuseppe, la relativa situazione difficile veniva superata.

Credo che la guarigione di mio fratello sia frutto di un miracolo di Dio e possiedo le testimonianze degli stessi medici che lo seguivano. Quali furono gli autori del miracolo? Secondo me Gesù Eucaristia, il capo, come spiegai alle mie cugine, che era il centro. Maria fu la mia avvocata. E san Giuseppe il mio intercessore.

Per questo il mio cuore è pieno di gratitudine prima di tutto verso Dio, poi verso i miei grandi tramiti, la Vergine Maria e san Giuseppe, ed infine per tutti coloro che si unirono a me e mi appoggiarono con le loro preghiere. A tutti grazie.



ConsaCRAZIONE A san GIUSEPPE


Io mi consacro a Te, amato san Giuseppe, perché tu sia per me un padre, un protettore e una guida nel cammino della vita. Desidero che tu conservi la mia anima limpida e libera da ogni macchia di peccato, affinché sia tutta bella e pura per Gesù. Offrimi a Maria, la mia cara Mamma, perché Lei mi consacri a Gesù. Che in questo modo, vivendo sempre nei vostri Tre Cuori, io possa compiere la volontà di Dio e alla fine ottenere da te una santa morte. Amen.


Colui che ama Gesù

deve amare Maria;

colui che ama Gesù e Maria

deve amare Giuseppe,

poiché tutti e tre sono uniti

in cielo e sulla terra

da un amore ineguagliabile

in un solo Cuore.



P. ÁNGEL PEÑA O.A.R. - Tratto da “SAN GIUSEPPE - IL PIù SANTO DEI SANTI”


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