martedì 4 marzo 2025

Guardatevi dal fare la vostra elemosina davanti agli uomini per essere da loro ammirati (Mt. 6, 1-15) di San Giovanni Crisostomo



1. – Gesù Cristo affronta ora e bandisce per sempre la più tirannica di tutte le passioni: il furioso amore della vanagloria, che tormenta anche gli uomini retti. Non ne ha parlato sinora, perché sarebbe stato superfluo, prima di averci convinti a fare i nostri doveri, prima di insegnarci il modo in cui dobbiamo compierli e continuare poi a praticarli. Ma, dopo aver ispirato l’amore per la virtù, allora egli si preoccupa di distruggere questa passione rovinosa che sopravviene e che aggredisce appunto la virtù. Questa malattia, infatti, non nasce di colpo e come per caso nella nostra anima, ma si sviluppa solo dopo che abbiamo già adempiuto con fedeltà molti precetti. Era necessario che Cristo, prima di tutto, piantasse nel nostro cuore le radici della virtù e togliesse poi questa passione, che corrompe i suoi frutti. Osservate da dove egli comincia: dall’elemosina, dalla preghiera e dal digiuno, perché è di solito in questi esercizi virtuosi che si compiace maggiormente la vanità. Proprio di queste cose, infatti, si inorgogliva il fariseo, quando diceva: «Io digiuno due volte alla settimana e do la decima di tutto quanto posseggo» ; ed era pieno di vanagloria anche nella preghiera perché la faceva con ostentazione. Siccome non c’era nessun altro presente se non il pubblicano, egli lo indicava dicendo: «Io non sono come gli altri uomini e neppure come questo pubblicano» . Osservate ora come Gesù comincia a parlare e come questa passione sia paragonata a una belva, che dà grave turbamento ed è capace di cogliere di sorpresa quelli che non vegliano con zelo si di sé.
«Guardatevi dal fare la vostra elemosina davanti agli uomini per essere da loro ammirati», - dice Gesù. E Paolo, parlando ai Filippesi, ripete la stessa cosa: «Guardatevi dai cani» . Questa belva, infatti, entra nell’anima di soppiatto, gonfia ogni cosa senza strepito e porta via tutte le virtù che vi trova, senza che ce ne accorgiamo. Nelle parole precedenti abbiamo notato che il Signore parla a lungo dell’elemosina e che esorta ripetutamente gli uomini al bene, citando l’esempio di Dio stesso, che fa sorgere il sole sia sui buoni che sui cattivi. Dopo averli indotti a essere fieri e contenti di donare con generosità, toglie tutto quanto può nuocere alla virtù, quando essa è già fiorita come un olivo bello e fecondo: «Guardatevi dal fare la vostra elemosina davanti agli uomini». Egli dice: «la vostra elemosina», poiché l’altra di cui ha parlato prima, cioè il sole che sorge per i buoni e i cattivi, è come l’elemosina di Dio. Ebbene, dopo averci invitato a non fare la nostra elemosina davanti agli uomini, aggiunge subito: «per essere da loro ammirati». Potrebbe sembrare che questa aggiunta fosse già implicita nelle parole precedenti; ma se qualcuno le esamina bene, queste parole, vedrà che sono diverse da quelle di prima e che Cristo, con questa aggiunta, manifesta una grande prudenza e testimonia un’ineffabile cura e indulgenza nei nostri confronti. Una persona può infatti fare l’elemosina davanti agli uomini, senza aver l’intenzione di farsi vedere; mentre, al contrario, si può fare l’elemosina in segreto, ma augurandoci di essere visti dagli uomini. Ecco perché il Signore non considera soltanto l’atto in se stesso, ma la volontà con cui l’atto si compie: ed è appunto la volontà che egli punisce o ricompensa. Se Cristo non avesse sottolineato con tanta precisione questo particolare, il comando che egli dà avrebbe potuto servire da pretesto a molti per trattenersi dal fare elemosine, dal momento che non sempre è possibile farle segretamente. Ecco perché egli non ci impone necessariamente di compiere elemosine senza essere visti, ma giudica se noi siamo degni della punizione o del premio, basandosi non sull’azione esteriore, ma sull’intenzione, sulla volontà di chi la compie. Voi avreste potuto dire infatti: Perché sono colpevole io, se qualche altro mi guarda, mentre faccio l’elemosina? Gesù perciò vi dice che egli non esige affatto la segretezza nell’atto di far l’elemosina, ma la purezza nell’intenzione, la segretezza nella volontà. Per mezzo dell’elemosina che facciamo, Dio vuole infatti formare la nostra anima e liberarci da ogni malattia.
Ed ecco, dopo averci indicato a non far niente per vanità, dopo averci mostrato il danno che può derivare da questa passione e che consiste nel lavorare inutilmente e perdere tutti i frutti delle nostre opere buone, innalza di nuovo i pensieri dei suoi ascoltatori parlando loro del Padre e del cielo, per non impressionarli soltanto con il timore di quanto rischiano di perdere, ma incoraggiandoli anche con il ricordo di colui che li ha creati: Altrimenti non ne avrete merito presso il Padre vostro che è nei cieli .
Non si ferma qui, ma va più lontano e, adducendo altre argomentazioni, produce in noi una forte avversione per la vanagloria. Come prima aveva proposto il paragone con i pubblicani e i pagani, per coprire di vergogna coloro che li imitavano, così ora propone il confronto cogli ipocriti. Quando dunque fai elemosina, non suonare la tromba davanti a te come fanno gli ipocriti . Non che gli ipocriti suonassero effettivamente la tromba per richiamare su di sé l’attenzione della gente; ma egli vuole figurativamente significare la passione straordinaria che costoro avevano di essere notati, e con tale espressione allegorica si prende gioco di loro. Con grande ragione li chiama «ipocriti», perché l’apparenza esterna è sì di elemosina, ma la mente e il cuore sono pieni di crudeltà e di disumanità. Essi fanno l’elemosina non perché hanno compassione del prossimo, ma per il desiderio di acquistarsi gloria. È un’estrema crudeltà, quando il fratello muore di fame, ricercare la propria gloria, anziché consolare la sua miseria. L’elemosina non consiste nel dare, ma nel dare come si deve ciò che è richiesto, e nel darlo per questo scopo.
2. – Dopo aver sufficientemente condannato la vanità degli ipocriti, fino a far arrossire quelli tra i suoi ascoltatori che si sentivano colpevoli, indica ora il rimedio per l’anima colpita da questa malattia. Avendo detto che cosa non si deve fare mentre si compie l’elemosina, suggerisce ora quanto si deve fare: Non sappia la tua mano sinistra ciò che fa la tua destra . Qui non parla evidentemente della mano, ma si serve di questa espressione per dire: dovreste procurare, se fosse possibile, d’ignorare voi stessi quello che fate e di nascondere anche le mani di cui vi servite. Non si devono nascondere, come alcuni ritengono, le nostre opere buone soltanto alle persone ingiuste, perché Dio, in realtà, comanda di nasconderle a tutti.
Considerate ora quale ricompensa ci promette. Ci ha fatti vedere in quale punizione incorre chi cade nell’ostentazione, e ora ci mostra la ricompensa che merita la modestia: egli si serve di questa duplice considerazione per stimolarci e per indurci a comprendere e ad attuare insegnamenti più elevati. Egli ci invita a ricordare che Dio è presente ovunque, che la nostra vita e le nostre azioni non hanno termine con l’esistenza terrena, ma che, uscendo da questo mondo, dobbiamo presentarci a un terribile tribunale, cui renderemo conto con esattezza di tutti i nostri atti, per riceverne o la ricompensa o la pena; ci ricorda, infine, che nessuna cosa, grande o piccola, potrà restare segreta, anche se pare perfettamente nascosta agli occhi degli uomini. È proprio tutto questo che Cristo vuol farci intendere con le parole: Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà davanti a tutti . Sembra che Dio prepari per l’uomo un grande e magnifico palcoscenico e che gli dia quanto desiderava con grande generosità. Cosa pretendete? – sembra dire. Non volete forse voi avere spettatori alle vostre azioni? Ebbene, voi avrete per testimoni, non gli angeli o gli arcangeli, ma Dio stesso, creatore dell’universo. E se voi desiderate come spettatori anche gli uomini, io non vi priverò di questa soddisfazione al momento opportuno ma, anzi, ciò che vi darò oltrepasserà tutte le vostre speranze. Ora, infatti, se voi volete far conoscere qui in terra le vostre buone azioni, potreste riuscire a mostrarle a dieci, a venti o a cento persone soltanto; se invece avrete cura di tenerle segrete ora, ci penserà poi Dio a mostrarle a tutti gli uomini. Per questo, se avete tanto desiderio che gli uomini conoscano le vostre buone opere, dovete tenerle nascoste quaggiù. Verrà il momento in cui tutti le vedranno in modo ben più chiaro e glorioso, quando cioè Dio le mostrerà loro, le innalzerà e le loderà davanti a tutti. E poi, gli uomini che qui si accorgono che voi volete essere osservato, vi condannano come un vanitoso; ma quando vi vedranno un giorno coronato di gloria, non soltanto non vi condanneranno, ma vi ammireranno. Dato dunque che, rimandando di un certo tempo, potete ricevere la ricompensa preparata e acquistarvi un’ammirazione più duratura, pensate quale stoltezza sarebbe perdere l’una e l’altra, continuando – mentre vi vede Dio – a chiamare gli uomini per mostrar loro le vostre opere, e a esigere poi da Dio la ricompensa. Se vogliamo mostrare a qualcuno le nostre azioni, dobbiamo mostrarle, prima di tutti, al Padre che solo ha il potere di coronarci o di punirci. Quand’anche la nostra vanità non ci costasse la perdita della salvezza, chi ama la gloria dovrebbe preferire di avere spettatore Dio, piuttosto degli uomini. Chi, in questo mondo, è tanto folle da trascurare un re che viene con sollecitudine ad ammirare le sue nobili azioni e da desiderare, invece, di essere osservato e lodato da uomini, poveri e miserabili? Ecco perché Cristo comanda non soltanto di non esibire quel che facciamo, ma ordina anche di fare ogni sforzo per tenerlo segreto. C’è infatti grande differenza tra queste due cose: non cercare di farsi vedere e cercare di nascondersi.
E quando pregate, non siate come gli ipocriti, i quali amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze per farsi vedere dagli uomini; in verità vi dico che essi hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, serratone l’uscio, prega il Padre tuo che è nel segreto . Gesù chiama ancora queste persone «ipocriti» ed ha ben ragione di farlo perché, fingendo di pregare Dio, esse non fanno che guardare gli uomini che stanno loro attorno assumendo un atteggiamento veramente ridicolo: somigliano, infatti, più a commedianti che a uomini in orazione. Colui che si prepara alla preghiera, lascia tutti e sta attento solo a colui che può esaudire le sue domande. Se voi invece trascurate Dio e andate attorno, girovagando e ponendo i vostri occhi dovunque, vi ritroverete con le mani vuote e avrete soltanto quello che avete cercato. Per questo appunto Gesù non dice che costoro non riceveranno la loro ricompensa, ma dice che l’hanno già ricevuta: l’hanno ricevuta cioè da chi l’attendevano, dagli uomini. Ma non è questo che desidera Dio: vuole infatti essere lui a darci la ricompensa. Se noi, però, cerchiamo dagli uomini il premio, non meritiamo certo di averlo da Dio, che ci promette di ricompensarci per il fatto di avergli domandato le sue grazie.
Dopo aver rimproverato coloro che fanno cattivo uso dell’orazione, perché pregano ostentatamente in pubblico e con intenzione corrotta, e aver mostrato che essi si rendono oltremodo ridicoli, subito dopo insegna un eccellente modo di pregare, che ci darà una grande ricompensa: «Entra nella tua camera».
3. – Qui potreste dirmi: Ma allora non si deve pregare in chiesa? Certo che si deve farlo, ma nella stessa disposizione d’animo che abbiamo quando siamo in un luogo solitario e segreto. Dio considera, ovunque, l’intenzione dei nostri atti: infatti, anche se noi andiamo a pregare nel luogo più nascosto della nostra casa, se chiudiamo la porta alle nostre spalle, ma facciamo tutto questo per vanità, il segreto non ci servirà a niente. Osservate come anche qui Gesù ha stabilito una precisa distinzione: parlando di coloro che pregano nelle piazze, li condanna se lo fanno «per farsi vedere dagli uomini». Così, se voi chiudete la porta della vostra camera, Cristo vuole che prima di chiuderla, chiudiate le porte della vostra mente. Sempre, infatti, è bello tenere lontano la vanagloria, ma soprattutto si deve farlo quando si prega. Se, anche quando siamo esenti dalla vanagloria, noi vaghiamo con la mente e ci distraiamo, che accadrà quando preghiamo con corrotta intenzione? Come potremo ascoltare quello stesso che diciamo noi? E se noi, che abbiamo bisogno e supplichiamo, non sentiamo, come possiamo pretendere che ci ascolti Dio? E tuttavia, dopo tanti e tali avvertimenti, vi sono alcuni che hanno così poca vergogna e così poca modestia nelle loro preghiere che, mentre stanno nascosti col loro corpo, si fanno sentire da tutti con la loro voce (gridano, infatti, in maniera volgare) e con le loro esclamazioni: con questo loro modo di fare si rendono assai ridicoli. Non vedete che se qualcuno si comporta così anche in una piazza e si mette a supplicare gridando, lo scacciano? Al contrario, chi chiede con calma e in un modo discreto, attira a sé l’aiuto di chi può darlo. Disponiamoci dunque a pregare non con un particolare atteggiamento del corpo, né con particolari suoni della voce, ma col fervore dello spirito. Non mettiamoci a far chiasso in modo da attirare l’attenzione della gente, né da disturbare i nostri fratelli; preghiamo con tutta umiltà, con il cuore contrito e versando lacrime interiori. Ma voi mi dite che la vostra anima è addolorata e non potete trattenere il vostro grido; io vi risponderò che la preghiera umile e la supplica silenziosa si addicono proprio a chi è profondamente addolorato. Mosè, infatti, con l’animo desolato pregava in silenzio, ma Dio l’udì, tanto che gli disse: «Perché gridi verso di me?» . Anna, madre di Samuele, pregò senza che nessuno udisse la sua voce , ma ottenne da Dio tutto ciò che chiedeva, perché il suo cuore gridava verso di lui. Abele gridò al cospetto di Dio non solo quando taceva, ma anche quando moriva e il suo sangue elevava al cielo una voce più potente di quella di una tromba . Gridate anche voi come gridavano questi santi: non sarò certo io a proibirvelo. «Strappate il vostro cuore» - dice il profeta - «non i vostri abiti» . Invocate Dio dal profondo; dice infatti David: «Dal profondo io grido a te, o Signore» ; gridate nell’intimo del vostro cuore e fate che la vostra preghiera sia un segreto, un mistero. Non vedete che nel palazzo di un re ogni tumulto cessa e ovunque regna il silenzio? Ebbene, voi entrate ora in una reggia ben più augusta e terribile di quella dei re della terra, nel palazzo del re del cielo: conservate quindi un grande rispetto. Voi, infatti, venite a far parte del coro degli angeli, entrate in società con gli arcangeli e cantate con i serafini. Tutte queste schiere celesti manifestano un grande ordine e offrono a Dio, re dell’universo, con molto tremore, il loro ineffabile canto e i loro sacri inni. Unitevi a loro quando pregate e imitate il loro mistico contegno, pieno di decoro. Voi non state pregando un uomo: pregate Dio che è ovunque presente, che sente le vostre parole prima ancora che le abbiate pronunciate e che conosce i segreti della vostra mente.
Se lo pregherai così, ne riceverai una grande ricompensa: Il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà . Gesù non dice che ti donerà un premio, ma che ti «ricompenserà». Egli cioè vuol divenire tuo debitore: è un grande onore che ti fa. E siccome egli è invisibile, vuole che anche la tua preghiera sia segreta e invisibile.
E subito dopo ci indica il modo in cui dobbiamo pregare: Nel pregare poi non moltiplicate le parole come i pagani . quando ha parlato dell’elemosina, si è limitato a condannare la vanità, senza aggiungere altre circostanze e senza precisare con quale denaro si deve fare l’elemosina: se, ad esempio, con beni acquisiti con il giusto lavoro e non provenienti dalla rapina e dall’avarizia. La cosa era tanto chiara che nessuno poteva avere dei dubbi: ne aveva già parlato prima, del resto, quando aveva definito beati «coloro che hanno fame e sete di giustizia». Quando parla della preghiera, aggiunge invece un’ulteriore precisazione: dice infatti che non si deve parlare troppo e, come nel caso di prima ha citato l’esempio degli ipocriti, qui mette in ridicolo la loquacità dei pagani, in modo da impressionare fortemente e far cambiare atteggiamento ai suoi ascoltatori con la meschinità delle persone con cui egli li paragona. Si serve di questo paragone per correggerli, poiché non c’è niente che turbi maggiormente come l’essere confrontati a persone disprezzabili. E condanna non solo i lunghi discorsi, ma anche le insulsaggini che noi diciamo e le cose inutili che noi chiediamo a Dio nella preghiera, come la potenza e la gloria terrena, il successo sui nostri nemici, l’abbondanza delle ricchezze, in una parola tutto quanto non ci serve affatto per la nostra salvezza.
Poiché sa di che cosa avete bisogno .

4. – Mi sembra che con queste parole Cristo condanni le lunghe preghiere; lunghe, non per la loro durata ma per la moltitudine delle parole, per l’infinità dei discorsi. Si deve, invece, perseverare nel chiedere a Dio le stesse cose. «Siate perseveranti nella preghiera», sta scritto . Quando Gesù ci propone l’esempio di quella vedova che piegò, con l’insistenza delle sue preghiere, quel giudice crudele e spietato , oppure quello dell’uomo che andò a trovare il suo amico nel mezzo della notte e lo fece alzare dal letto quando già era addormentato, non tanto per effetto dell’amicizia quanto per la sua insistenza , vuol dare a noi tutti un comando: noi dobbiamo, cioè, supplicarlo continuamente, non offrendogli una preghiera lunga, fatta di mille parole, ma esponendogli semplicemente le nostre necessità.
Proprio questo vuol farci capire sottolineando che i pagani credono di essere esauditi in grazia della loro loquacità . E aggiunge: Non siate simili a loro, poiché sa il Padre vostro di che cosa avete bisogno, ancor prima che voi lo preghiate . Voi potreste dirmi: Ma se sa di che cosa abbiamo bisogno, perché dobbiamo pregare? Dobbiamo farlo, non per fargli sapere le nostre necessità che egli ben conosce, ma per commuoverlo, per acquistare familiarità con lui grazie al rapporto che si stabilisce con le nostre incessanti preghiere; dobbiamo farlo per umiliarci e per ricordarci dei nostri peccati. 
Voi pertanto pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome . Ecco come Gesù torna subito ad elevare lo spirito di coloro che l’ascoltano e come, già nel preludio della preghiera, ricorda l’immenso dono che abbiamo ricevuto da Dio. Chi infatti chiama Dio «Padre nostro», proclama con queste sole parole la remissione dei peccati, la liberazione dal castigo eterno, la giustificazione delle anime, la santificazione, la redenzione, l’adozione a figli di Dio, l’eredità della sua gloria, la fratellanza con il Figlio unigenito e infine l’abbondanza dello Spirito Santo. Non può, chi non ha ricevuto tutti questi doni, chiamare Dio «Padre». Egli dunque solleva la loro anima in un duplice modo: dapprima sottolineando la maestà di colui che essi chiamano Padre e poi rilevando la grandezza dei doni che da lui hanno ricevuto. E quando dice che Dio è «nei cieli», non vuole certo dargli dei limiti, ma vuol sollevare dalla terra lo spirito di coloro che pregano e innalzarlo negli eccelsi spazi, nelle dimore celesti. Nello stesso tempo insegna a fare la preghiera comune, a favore dei fratelli. Non ci invita a dire: Padre mio che sei nei cieli; ma «Padre nostro», facendo così suppliche per il corpo comune della Chiesa, e non considerando soltanto il nostro vantaggio particolare, ma l’interesse di tutti, dovunque. In questa maniera toglie di mezzo anche l’inimicizia, reprime l’orgoglio, elimina l’invidia, introduce nelle anime la carità, madre di tutti i beni; distrugge, inoltre, tutte le disuguaglianze umane, di stato e di condizione, e dimostra l’uguale dignità del re e del povero, dal momento che noi ci ritroviamo tutti uniti nelle cose più importanti e necessarie, in quelle cioè che concernono la nostra comune salvezza. Quale danno, quindi, può derivare a noi dalla nostra nascita terrena, se siamo tutti congiunti dalla comune origine divina, senza che nessuno abbia il minimo vantaggio sull’altro, né il ricco sul povero, né il padrone sul servo, né il principe sul suddito, né il comandante sul soldato, né il filosofo sul barbaro, né il sapiente sull’ignorante? A tutti, infatti, è stata elargita un’identica nobiltà quando Dio si è degnato di farsi chiamare da tutti, ugualmente, «Padre».

Dopo aver ricordato questa nobiltà e il dono di Dio, l’uguale dignità esistente tra i fratelli, la carità che essi debbono avere gli uni per gli altri, dopo averli sollevati da terra per innalzarli al cielo, vediamo che cosa ancora Gesù comanda di chiedere con la preghiera. In realtà, anche soltanto le prime parole sarebbero sufficienti a insegnarci ogni virtù. È chiaro, infatti, che chi chiama Dio Padre e lo considera Padre comune di tutti, deve vivere in modo tale da non essere mai indegno di questa sua nobile origine e deve rispondere al dono con adeguato impegno e ardore. Ma Gesù Cristo non si ferma qui e continua: «Sia santificato il tuo nome». Ecco una preghiera degna di chi ha chiamato Dio suo «Padre»: che cioè non chiede nulla prima della gloria del Padre, ma pospone ogni altra cosa alla sua lode. «Sia santificato» significa infatti sia glorificato. Dio ha la sua gloria, che è infinita e che perdura eternamente. Gesù tuttavia ordina, a chi prega, di chiedere che Dio sia glorificato anche per la santità della nostra vita. Aveva già espresso questo concetto con le parole: «Risplenda la vostra luce agli occhi degli uomini, affinché vedendo le vostre buone opere diano gloria al Padre vostro che è nei cieli». I serafini, lodando Dio, dicono: «Santo, santo, santo» ; appunto le parole «sia santificato il tuo nome» significano che il suo nome sia glorificato. È come se dicessimo a Dio: Concedici di vivere in modo così puro e perfetto che tutti, vedendo noi, ti glorifichino. La perfezione del cristiano sta proprio in questo, nell’essere così irreprensibile in tutte le sue azioni, che chiunque lo vede, per esse, rende lode a Dio.

Venga il tuo regno . Anche queste sono parole di un figlio riconoscente e di buona volontà; di uno cioè che non ha nessun attaccamento alle cose visibili e terrene, che non considera le realtà presenti come qualcosa di grande, ma è proteso verso il Padre e attende i beni futuri. Ecco l’effetto di una buona coscienza, ecco la preghiera di un’anima libera dalle preoccupazioni terrene.

5. – Era proprio questo il desiderio incessante di Paolo, desiderio che lo spingeva a dire: «Noi che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, anelando all’adozione di figli, alla redenzione del nostro corpo». Chi arde in questo desiderio, non può inorgoglirsi dei beni di questo mondo, né abbattersi per i suoi mali e per le sue avversità; ma, come se fosse già in cielo, non è soggetto né all’uno né all’altro di questi due squilibri.

Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra . Vedete il perfetto sviluppo delle parole di Cristo? Egli ci ordina di desiderare i beni futuri, di anelare continuamente al cielo, ma esige inoltre che, nell’attesa di partire da questa terra, anche restando quaggiù ci impegniamo a vivere la stessa vita degli angeli in cielo. Voi – egli dice – dovete desiderare il cielo e le gioie di lassù; ma anche prima dio raggiungerle, ordina di fare di questa terra un cielo, di vivere, di parlare, di agire quaggiù, come se fossimo già in cielo; e anche per questo ci invita a pregare il Signore. Niente impedisce di raggiungere sin d’ora la perfezione dei potenti spiriti celesti e di fare ogni cosa come fossimo già lassù, pur dimorando ancora sulla terra. Ecco cosa ci indicano queste parole di Gesù. Gli angeli in cielo fanno ogni cosa liberamente e non sono incostanti, come lo è chi ora obbedisce e o disubbidisce, ma si sottomettono sempre e obbediscono in ogni cosa: dice, infatti, il profeta che sono «grandi nella virtù e adempiono la parola di Dio» . Ebbene, Signore, concedi anche a noi uomini di compiere la tua volontà non solo in parte, ma di realizzarla sempre pienamente in ogni cosa, come tu vuoi! Osservate anche come Gesù ci insegna a essere umili, mostrandoci chiaramente che la virtù dipende non solo dai nostri sforzi,ma anche dalla grazia di Dio. E ancora egli invita ciascuno di noi, quando prega, a prendersi cura e a pensare per tutti gli uomini. Egli infatti non c’invita a dire: sia fatta la tua volontà in me, o in noi; ma: «come in cielo, così in terra»: cioè, dovunque sulla terra, in modo che l’errore sia bandito, la verità regni, ogni malvagità sia scacciata, rifiorisca la virtù e non vi sia quindi più niente che renda il cielo diverso dalla terra. Se ciò avvenisse, nulla differenzierebbe gli abitanti della terra da quelli del cielo, anche se per natura diversi, poiché la terra ci mostrerebbe uomini che vivono come angeli.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano . Dopo aver detto: «sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra», siccome parla a uomini rivestiti ancora di carne, soggetti alle necessità della natura e che non possono avere la stessa impassibilità degli angeli, egli, pur volendo che la volontà di Dio sia fatta da noi con la stessa perfezione con cui la compiono gli angeli, accondiscende alla debolezza della nostra natura. Esigo infatti – egli dice in sostanza – la stessa perfezione di vita degli angeli, ma non la loro impassibilità. La tirannide della natura infatti non ve lo permetterebbe: essa ha necessariamente bisogno del nutrimento che la sostenga. Ma notate quanta spiritualità esige da noi anche in ciò che riguarda il corpo. Non c’invita a chiedere ricchezze, cose delicate, abiti preziosi, o altre cose simili, ma soltanto il pane, e il pane quotidiano, senza preoccuparci per l’indomani. Perciò egli dice: «dacci il nostro pane quotidiano»; e non accontentandosi di questa precisazione, aggiunge anche l’altra: dacci «oggi» il nostro pane, allo scopo di allontanare da noi ogni affanno per il giorno successivo. Perché, infatti, preoccuparci di un giorno che non siamo affatto certi di vedere? Più avanti si soffermerà ancora su questo argomento, raccomandando: «Non vi affannate per il domani» . Egli vuole che noi siamo sempre pronti, che i nostri fianchi siano ben cinti per il grande viaggio, disposti a prendere il volo verso il cielo, e vuole quindi che noi concediamo alla natura solo ciò che esigono da noi le sue immediate necessità.

Siccome accade che, anche dopo il battesimo, lavacro della rigenerazione, noi pecchiamo, Gesù manifestando anche qui il suo grande amore per gli uomini, comanda di accostarci a Dio misericordioso, per chiedergli il perdono dei nostri peccati: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori . Vedete a quali estremi giunge l’amore che Cristo ha per gli uomini? Dopo averli liberati da tanti mali, dopo aver concesso loro un dono di grandezza incommensurabile, egli continua a ritener degni del perdono quelli che insistono nell’offenderlo. Che questa orazione infatti sia per i fedeli, l’attestano la tradizione, le prescrizioni della Chiesa e l’inizio stesso della preghiera. Una persona, non ancora battezzata, non può chiamare «Padre» Dio. Se questa preghiera è dunque fatta per i fedeli e se i fedeli pregano Dio e lo supplicano di perdonare i loro peccati, è chiaro che Dio non ci rifiuta, dopo il battesimo, il rimedio della penitenza. Se non avesse voluto convincerci di questa verità, non ci avrebbe prescritto di pregare per questo. Colui che parla dei peccati e ordina di chiederne il perdono, insegnando il modo di ottenerlo per questa facile via che consiste nel perdonare affinché ci sia perdonato, evidentemente sa e vuol mostrarci che i peccati possono essere cancellati anche se sono stati commessi dopo il battesimo. Appunto per persuaderci di questa verità, egli ordina di pregare in questo modo. E al tempo stesso, facendoci ricordare i nostri peccati, ci ispira sentimenti di umiltà. Comandandoci poi di perdonare agli altri, cancella dal nostro animo ogni ricordo delle ingiurie patite. Promettendo, in cambio, di perdonare anche le nostre colpe, ci dà buone speranze e ci conduce a meditare sull’ineffabile amore che Dio ha per gli uomini.

6. – Ma questo soprattutto dovete osservare: dopo aver sottolineato, in ognuna delle domande rivolte al Padre, tutta la perfezione cristiana, racchiude in quest’ultima anche l’obbligo di non ricordare le offese. Ecco santificare il suo nome, è la perfezione della vita cristiana; fare la sua volontà, è la stessa cosa; poter chiamare «Padre» Dio, è prova di una vita senza colpa; in tutto questo è compresa anche la necessità di non adirarsi, anzi di perdonare coloro che ci hanno offeso. Ebbene, egli non si limita a questa raccomandazione implicita, ma, per mostrare quanto abbia a cuore ciò, ne fa un punto particolare della preghiera che ci prescrive e, dopo che la preghiera è completa, non ricorda nessun altro punto oltre questo. Egli infatti ripeterà: «Se voi avrete perdonato agli uomini i loro peccati, anche il Padre vostro celeste perdonerà a voi». Dipende perciò da noi la nostra sorte, e noi stessi siamo responsabili del giudizio che un giorno verrà pronunziato. Affinché nessuno di noi, per quanto irragionevole, possa lamentarsi né poco né tanto, quando verrà giudicato, Dio rende noi, che siamo colpevoli, responsabili della nostra sorte e appunto dice: così io vi giudicherò, come voi stessi vi sarete giudicati: se avrete perdonato ai vostri simili, otterrete da me la stessa grazia, benché queste due cose siano ben differenti, - noi infatti perdoniamo agli altri, perché abbiamo bisogno di essere a nostra volta perdonati, mentre Dio ci fa grazia senza aver bisogno di niente. Voi perdonate a coloro che sono servi come voi; Dio, invece, perdona a noi che siamo suoi servi. Voi fate grazia ai vostri simili, essendo voi stessi colpevoli di innumerevoli peccati; Dio fa grazia essendo esente da qualsiasi colpa, lui che è la santità stessa. Ma proprio così egli ci dà un’altra prova della sua bontà. Egli avrebbe potuto infatti perdonare i tuoi peccati, senza imporre alcuna condizione: facendolo, invece, in proporzione al perdono che concederai ai tuoi simili, ti procura mille occasioni di esercitare la mansuetudine e la carità; ti offre la possibilità di soffocare i cuore tutto quanto vi è di brutale e di inumano, di spegnere la tua ira; ti insegna a unirti strettamente ai tuoi fratelli, che con te fanno parte dello stesso corpo. Dopo tutto questo, quale scusa potrai ancora portare? Dirai che il tuo prossimo ti ha offeso senza ragione? Questo è peccato, non lo nego, ma ti si ordina di perdonarlo. Se, poi, agisce con giustizia, non ha bisogno del tuo perdono, perché non ha peccato. Ma io dico che anche tu ti accosti a Dio per impetrare il perdono di simili peccati e di altri ben più gravi. Ebbene, prima ancora di accordartelo, egli ti fa un altro dono, e non piccolo, insegnandoti appunto ad avere un’anima umana, misericordiosa e a essere dolce e mite. Inoltre ti promette una grande ricompensa, garantendoti che non ti chiederà più conto dei tuoi peccati. E dunque, di quale supplizio saremo degni se, dopo che Dio ha posto la nostra salvezza nelle nostre mani, noi tradiamo noi stessi e ci perdiamo deliberatamente? Come pretenderemo di essere esauditi in altre richieste se, quando la nostra salvezza dipende da noi, siamo tanto crudeli verso noi stessi?
E non lasciarci cadere in tentazione, ma liberaci dal male. Perché tuo è il regno, la potenza, e la gloria per i secoli dei secoli. Amen . Qui Gesù ci fa comprendere chiaramente la nostra bassezza e reprime la nostra presunzione, insegnandoci che se non dobbiamo fuggire i combattimenti, non dobbiamo tuttavia gettarci da noi stessi in preda alle tentazioni. Sarà così per noi più splendida la vittoria e per il diavolo più vergognosa la sconfitta. Quando siamo trascinati alla lotta, dobbiamo resistere con tutta la nostra fermezza e con tutto il nostro vigore; ma quando non siamo chiamati alla battaglia, dobbiamo tenerci in riposo, attendere il momento dello scontro, mostrando insieme umiltà e coraggio. Dicendo «liberaci dal male», intende: liberaci dal diavolo: ad un tempo, ci spinge a combattere contro lo spirito del male una guerra senza tregua, e dimostra che nessuno è malvagio per natura. La malizia non deriva dalla natura, ma dalla volontà. Chiama il diavolo «il male», a causa della sua grande malizia: egli infatti, senza aver ricevuto da noi la minima ingiuria, ci fa una guerra senza quartiere; ebbene, il Signore ci invita a pregare, dicendo non liberaci dai malvagi, ma «liberaci dal male», per farci intendere che non dobbiamo nutrire malanimo verso il prossimo anche quando costui ci fa del male, ma dobbiamo rivolgere il nostro odio verso il diavolo, quale causa di tutti i mali. Dopo averci preparato al combattimento, ricordandoci la presenza di questo temibile nemico e aver eliminato in noi ogni pigrizia, torna a incoraggiarci e solleva il nostro spirito, mostrando chi è il re che comanda e facendoci intendere che egli è più potente di tutti: «Perché tuo è il regno, la potenza, la gloria». Se il regno appartiene a Dio, non dobbiamo avere nessun timore, perché nessuno sarà mai capace di resistergli, nessuno potrà mai togliergli il supremo potere. Quando dice «tuo è il regno», ci fa capire che anche il nemico che ci aggredisce è sottoposto a Dio e, se ci fa la guerra, è perché Dio lo permette. Egli infatti è uno dei suoi servi, anche se di quelli malvagi e reprobi, e non potrebbe aggredire nessun uomo, se non ne avesse ricevuto prima il permesso da Dio. Ma che dico, non potrebbe attaccare nessun uomo? Non può osare neppure d’entrare nel corpo dei porci, senza che ne abbia prima ricevuto il permesso, e tocca i buoi e le pecore di Giobbe solo dopo averne avuto la licenza e il potere. Quand’anche voi foste mille volte più deboli di quanto siete, sarebbe giusto aver piena fiducia, in quanto avete un re tanto potente, un re che può fare facilmente per voi tutto quanto vuole.
7. - «E la gloria per i secoli dei secoli. Amen». Dio non vi libera soltanto dai mali, ma può anche darvi gloria e splendore. Come la sua potenza è immensa, così la sua gloria è ineffabile e l’una e l’altra sono senza limiti e senza fine. Vedete dunque quante cose ci propone per spingerci quali atleti al combattimento e per ispirarci fermezza e fiducia.

Per mostrare infine, come già vi dissi, che egli sopra ogni altra cosa disdegna e odia il ricordo delle ingiurie, mentre apprezza moltissimo la dolcezza e la mansuetudine, virtù che si oppongono all’odio, alla fine della preghiera riprende questo concetto ed esorta i suoi ascoltatori, minacciando la pena e proponendo la ricompensa, a perdonare le offese: Poiché se voi avrete perdonato agli uomini, anche a voi perdonerà il Padre vostro celeste; ma se voi non avrete perdonato, neanche lui perdonerà a voi . Cristo parla di nuovo del «Padre», anzi del «Padre celeste», per far arrossire di vergogna chi ascolta se, mentre è figlio di un tale Padre, si comporta come una belva e se, mentre è chiamato al cielo, ha soltanto pensieri terreni e mondani. Non si deve essere figli di Dio soltanto per la grazia che abbiamo ricevuto; occorre anche esserlo per le nostre opere. E niente ci rende tanto simili a Dio come l’essere indulgenti e perdonare i malvagi e coloro che ci offendono: proprio ciò che ha voluto intendere prima, quando diceva che fa sorgere il suo sole sopra malvagi e buoni. Per questa ragione, a ogni passo, egli c’invita a fare preghiere comuni per tutti. Egli dice infatti: «Padre nostro» e «sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra»; ed aggiunge: «dacci il pane; rimetti a noi i debiti» e «non ci indurre in tentazione», e «liberaci dal male». Egli ci comanda, quindi, di usare sempre il plurale, perché non resti in noi la minima traccia di avversione o di animosità verso il prossimo. Quale supplizio meriteranno dunque coloro che, dopo tutti questi inviti e comandi, non solo non perdonano i loro nemici, ma osano pregare Dio di vendicarli e non hanno timore di porsi contro questa legge quando Dio stesso cerca in ogni modo di agire e di operare perché noi non ci separiamo gli uni dagli altri?

Ben sapendo che radice di tutti i beni è la carità, egli vuole strappare da noi tutto quanto può in qualche modo danneggiarla e da ogni parte ci sospinge a unirci tutti insieme. Non c’è nessuno infatti, e lo ripeto, non c’è nessuno sulla terra, né padre, né madre, né amico né chiunque altro che ci abbia amato e ci ami come Dio che ci ha creati. Ne fanno prova tutte le grazie che ogni giorno ci concede. Lo manifestano gli stessi comandi che ci ha dato. E se voi mi obiettate le sofferenze, i dolori e tutti gli altri mali della vita, ebbene, considerate quanto voi l’offendete ogni giorno e non vi stupirete più neppure se le vostre pene fossero ancora maggiori. Tenendo presenti le vostre offese, sarete anzi meravigliati e colpiti nel vedere che ricevete qualche bene. Invece noi, ora, ci fermiamo a considerare i mali di cui soffriamo e non teniamo conto dei peccati che commettiamo ogni giorno. Per questo siamo inquieti e agitati. Se noi volessimo computare esattamente, anche soltanto in un giorno, i peccati che commettiamo, riconosceremmo facilmente che dovremmo meritare di soffrire assai più di quanto soffriamo.. Non parlo dei peccati che ognuno di voi ha commesso sinora: parlo soltanto di quelli che avete commesso oggi. Anche se non conosco gli sbagli che, oggi, ciascuno di voi ha fatto, sono certo comunque che il numero dei peccati è talmente grande, che anche coloro che non li conoscono tutti con accuratezza potranno sicuramente tirarne fuori molti.
Chi di noi, infatti, non è stato un po’ distratto e negligente nelle sue preghiere? Chi non è per nulla orgoglioso? Chi di noi è del tutto esente dalla vanità? Chi non ha mai offeso con insulti o calunnie il proprio fratello? Chi non ha mai avuto nessun cattivo desiderio? Chi non ha guardato, talvolta, con occhi non del tutto casti? Chi non si sente turbato, pensando al suo nemico? Se perfino mentre siamo in chiesa, e in così poco tempo, ci rendiamo colpevoli di tante colpe, che cosa faremo uscendo di qui? Se siamo travolti da tante bufere mentre siamo nel porto, potremo forse controllare noi stessi quando torniamo nell’Euripo { dei mali, dico nel foro, nei negozi politici, nelle preoccupazioni familiari? Ebbene, Dio ci ha dato un mezzo rapido e facile, per liberarci da tali e tanti peccati, un mezzo che non comporta nessuna fatica. Che sforzo si fa a perdonare chi ci ha offesi? È duro e faticoso piuttosto nutrire l’odio nel proprio cuore e non perdonare. Mentre, soffocando la nostra ira, ci assicuriamo una grande pace, e per far questo la sola nostra volontà è sufficiente.
8. – Non c’è bisogno di traversare mari, né di fare lunghi viaggi, né di valicare montagne, né di spendere tutti i nostri beni, né di macerare il nostro corpo. Basta solo volerlo, e tutti i peccati saranno cancellati.
Se non solo non perdonate al vostro avversario, ma vi rivolgete a Dio contro di lui, allora quale speranza potrete ancora nutrire per la vostra salvezza, dato che, mentre dovreste placare Dio, lo esasperate? Mentre mostrate l’apparenza di colui che supplica, in realtà emettete suoni degni di una belva e lanciate contro voi stessi le frecce mortali del demonio. Ecco perché Paolo, parlando della preghiera, raccomanda soprattutto di praticare questo precetto: «Levate al cielo le vostre mani pure, senza ira, né alterco» . Se nel momento in cui avete bisogno di misericordia, invece di soffocare la vostra ira la trattenete ingigantendola nella vostra mente, pur sapendo che vi piantate da voi stessi un pugnale nel petto, quando mai riuscirete ad essere amorevoli e potrete espellere dal vostro cuore il maligno veleno di tale malvagità? E se non comprendete ancora la gravità di questo peccato, osservate quanto accade tra gli uomini e riconoscerete allora quanto sia enorme l’offesa che fate a Dio, comportandovi come vi comportate. Ecco, se qualcuno, mentre viene a chiederti perdono, gettandosi a terra davanti a te che sei semplicemente un uomo, vede il suo nemico e, tralasciando allora di rivolgersi a te, corre a percuoterlo, non è forse certo che tu proverai e manifesterai verso di lui una collera ancora più grande? E ora pensate, questo accade nei confronti di Dio. Anche voi, mentre rivolgete a Dio le vostre suppliche, lo abbandonate subito per aggredire il vostro avversario con ingiurie. Questo è disonorare e violare le leggi del Signore. Voi invocate infatti, contro chi vi ha offesi, l’intervento di colui che vi ordina di perdonarlo, e lo pregate di fare il contrario di quanto vi comanda.
Non vi basta trasgredire la legge di Dio; lo pregate anche perché egli stesso violi la sua legge, aumentando così la pena che vi spetta. Credete dunque che egli abbia dimenticato quanto ci ha ordinato? State forse trattando con un uomo, o state trattando con Dio, che conosce tutto e che esige l’osservanza assoluta e perfetta delle sue leggi? Egli è tanto lontano dal compiere quanto gli chiedete, che non può neppure tollerare colui che gli dice simili cose e, soltanto per aver fatto tali richieste, l’ha in orrore e gli destina il più terribile dei supplizi.
Come potete dunque pretendere di ottenere da lui quanto vi ordina di evitare con tanta diligenza? Malgrado ciò, vi sono persone tanto insensate che non soltanto pregano Dio contro i loro nemici, ma imprecano persino contro i figli dei loro nemici, e che, nel furore da cui sono posseduti, vorrebbero divorarli, se fosse possibile. O, meglio, li divorano veramente. Non venite a dirmi infatti che non avete mai dilaniato con i vostri denti la carne dei vostri avversari. L’avete fatto ancor più crudelmente, quando avete scongiurato Dio di far cadere su di loro la sua ira, quando avete loro augurato di essere dannati per l’eternità e di perire con tutta la loro famiglia. Vi sono forse delle ferite che dilaniano più crudelmente di queste? Quali frecce sono più acute? Quali dardi più pungenti?
Non è certamente questo che Gesù Cristo vi ha insegnato. Egli non vi ha comandato di coprire di sangue la vostra bocca: queste lingue sono, infatti, più detestabili e crudeli delle bocche insanguinate che hanno dilaniato carne umana. Come potrete dare, in queste condizioni, il bacio della pace ai vostri fratelli? Come avrete il coraggio di accostarvi all’altare? Come potrete bere il sangue di Cristo, se avete il cuore colmo di così mortale veleno? Quando voi pregate Dio affinché getti la sua maledizione sul vostro nemico, affinché distrugga la sua famiglia e perda tutti quanti i suoi beni, quando voi gli augurate mille volte la morte, voi non siete diversi da un assassino, anzi non differite minimamente da una belva che divora gli uomini.
9. – Evitiamo dunque, fratelli, questo furore e questa follia. Dimostriamo a coloro che ci offendono la dolcezza che il signore ci ordina, per essere simili al Padre nostro che è nei cieli. E noi cesseremo di essere così furiosi, se ricorderemo sempre tutti i peccati della nostra vita, se esamineremo con coscienza tutte le colpe che abbiamo commesse, se nella nostra casa, sia fuori, nei luoghi pubblici, come in chiesa.
Se non per altro motivo, per la sola negligenza che mostriamo quando siamo in questo tempio, saremmo degni della più grave pena. Mentre i profeti fanno riecheggiare salmi e oracoli, mentre gli apostoli predicano e Dio stesso ci parla, noi vaghiamo fuori con la nostra mente e introduciamo poi, qui dentro, il tumulto degli affari del mondo. Noi non ascoltiamo in chiesa la legge di Dio neppure con quel silenzio e con quella attenzione che hanno coloro che ascoltano un editto dell’imperatore. Quando si dà lettura di un editto, i consoli, i senatori, i magistrati e tutto il popolo si alzano e stanno in piedi, ascoltando in silenzio le parole dell’imperatore. Se qualcuno, improvvisamente, in mezzo a quel profondo silenzio, si agitasse e si mettesse a far baccano, subirebbe la più grave pena, per lesa maestà. Qui invece, quando si leggono pubblicamente le lettere che ci provengono dal cielo, non si sente che chiasso da ogni parte. Eppure colui che ci ha scritto queste lettere è ben più grande dell’imperatore, e il luogo dove si riunisce l’assemblea cui si leggono tali lettere è ben più augusto dei vostri teatri. Non vi sono infatti soltanto degli uomini, ma qui sono presenti anche gli angeli. E, inoltre, i premi che le scritture promettono ai vincitori, sono senza paragone ben più grandi di tutte le ricompense terrene.
Ecco perché non soltanto gli uomini, ma anche gli angeli, gli arcangeli, tutti i cori celesti e tutti i popoli della terra, debbono rendere lode, secondo l’esplicito comando che ci fa la Scrittura: «Benedite il Signore, voi tutte sue opere» . Le sue opere infatti non sono piccole, ma tutte superano la nostra ragione; e la mente e l’intelligenza umana non possono comprenderle totalmente. I profeti ce ne parlano tutti i giorni e ciascuno di essi celebra in modo particolare la loro eccellenza e la loro grandezza. Uno dice: «Sei salito in alto conducendo prigioniera la stessa prigionia, e hai fatto doni agli uomini» , e aggiunge: «Il Signore pè potente, è forte in battaglia» . L’altro dice: «Dividerà le spoglie dei potenti» ; per questo infatti è venuto, per annunziare la libertà ai prigionieri e per restituire la vista ai ciechi. Un altro, cantando con giubilo il trionfo che Dio ha riportato sulla morte, grida: «O morte, dov’è la tua vittoria? O inferno, dov’è il tuo stimolo?» . Un altro, ancora, predice la profonda pace che regnerà nel mondo: «Fonderanno le spade in vomeri, e le lance in falci» . Un altro, rivolgendosi a Gerusalemme, esclama: «Esulta, figlia di Sion, poiché ecco, viene a te il tuo re mansueto, seduto su un’asina e su un asinello» . Un altro ancora annunzia il secondo avvento del Signore con le parole: «Il Signore che cercate verrà, e chi potrà sopportare il giorno del suo avvento? Esulterete come giovenchi sciolti dai vincoli» . Un altro, infine, grida con ammirazione: «Ecco il nostro Dio, e nessuno può paragonarsi a lui» .

Ebbene, mentre ascoltiamo cose tanto meravigliose e altre ancora, invece di tremare in questo luogo e di crederci piuttosto in cielo che in terra, noi facciamo rumore come fossimo in piazza, ci agitiamo e provochiamo confusione, trascorrendo il nostro tempo a parlare di futilità e di cose che non ci riguardano. Se, dunque, noi che siamo pigri e trascurati sia nelle piccole che nelle grandi cose, nell’ascoltare e nell’0agire, fuori e dentro la chiesa, in più noi preghiamo contro i nostri nemici, come potremo sperare di salvarci quando appunto, per colmare la misura, aggiungiamo a così tante e gravi colpe queste inique preghiere? E dovremmo stupirci se ci capita qualche improvviso accidente? Non sarebbe piuttosto un miracolo se non ci capitasse niente? Essere colpiti da qualche disgrazia sarebbe una normale e naturale conseguenza di quel che facciamo; contrario alla ragione e ad ogni spettativa sarebbe non esserne colpiti affatto. Irrazionale e ingiusto sarebbe godere del sole, della pioggia e di tutti gli altri beni che Dio ci dona, quando invece noi ci comportiamo come suoi nemici e lo irritiamo continuamente. Noi abbiamo solo l’apparenza di uomini, ma in realtà siamo più crudeli delle belve dal momento che, mettendoci in urto, ci dilaniamo l’un l’altro e immergiamo senza tregua la nostra lingua nel sangue dei nostri fratelli. E facciamo tutto questo dopo aver mangiato alla mensa spirituale, dopo aver ricevuto tante grazie e tanti comandi divini.
Riflettiamo fratelli su queste verità, rovesciamo questo mortale veleno, spezziamo le catene dell’inimicizia. Offriamo a Dio preghiere degne di noi; e, invece di essere crudeli come demoni, sforziamoci di diventare dolci e miti come gli angeli. Di qualsiasi natura siano le ingiurie che abbiamo subito, il ricordo dei nostri peccati e la ricompensa che Dio ci riserva se osserviamo questo0 precetto di perdonare gli altri, addolciscano il nostro spirito, soffochino ogni nostro sentimento di collera, in modo che, se trascorriamo questa vita con la pace nel cuore, Dio ci tratti nell’altra con la stessa bontà con cui noi abbiamo trattato quaggiù i nostri fratelli. Se il tribunale di Dio è grave e terribile, rendiamolo lieve e desiderabile, e apriamo verso di esso le porte della nostra fiducia. Se non siamo riusciti a meritarci questa grazia evitando il peccato, l’otterremo perdonando a coloro che hanno peccato contro di noi. Questa condizione non è affatto svantaggiosa per noi e non ci costa gran fatica. Facciamo del bene ai nostri nemici e ci procureremo, così, tesori di misericordia. In questo modo infatti saremo amati da tutti, anche nella vita presente; ma, sopra tutti gli altri, ci amerà Dio stesso e ci darà la corona, ritenendoci degni di godere ogni bene e la felicità eterna che io mi auguro che tutti noi possiamo ottenere mediante la grazia e la misericordia di nostro Signore Gesù Cristo, a cui vanno la gloria e la potenza per i secoli dei secoli. Amen.

Discorso diciannovesimo – Mt. 6, 1-15 di San Giovanni Crisostomo – Tratto da “ COMMENTO AL VANGELO DI SAN MATTEO”



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