
1. – Gesù Cristo affronta
ora e bandisce per sempre la più tirannica di tutte le passioni: il
furioso amore della vanagloria, che tormenta anche gli uomini retti.
Non ne ha parlato sinora, perché sarebbe stato superfluo, prima di
averci convinti a fare i nostri doveri, prima di insegnarci il modo
in cui dobbiamo compierli e continuare poi a praticarli. Ma, dopo
aver ispirato l’amore per la virtù, allora egli si preoccupa di
distruggere questa passione rovinosa che sopravviene e che aggredisce
appunto la virtù. Questa malattia, infatti, non nasce di colpo e
come per caso nella nostra anima, ma si sviluppa solo dopo che
abbiamo già adempiuto con fedeltà molti precetti. Era necessario
che Cristo, prima di tutto, piantasse nel nostro cuore le radici
della virtù e togliesse poi questa passione, che corrompe i suoi
frutti. Osservate da dove egli comincia: dall’elemosina, dalla
preghiera e dal digiuno, perché è di solito in questi esercizi
virtuosi che si compiace maggiormente la vanità. Proprio di queste
cose, infatti, si inorgogliva il fariseo, quando diceva: «Io digiuno
due volte alla settimana e do la decima di tutto quanto posseggo» ;
ed era pieno di vanagloria anche nella preghiera perché la faceva
con ostentazione. Siccome non c’era nessun altro presente se non il
pubblicano, egli lo indicava dicendo: «Io non sono come gli altri
uomini e neppure come questo pubblicano» . Osservate ora come Gesù
comincia a parlare e come questa passione sia paragonata a una belva,
che dà grave turbamento ed è capace di cogliere di sorpresa quelli
che non vegliano con zelo si di sé.
«Guardatevi dal fare la
vostra elemosina davanti agli uomini per essere da loro ammirati», -
dice Gesù. E Paolo, parlando ai Filippesi, ripete la stessa cosa:
«Guardatevi dai cani» . Questa belva, infatti, entra nell’anima
di soppiatto, gonfia ogni cosa senza strepito e porta via tutte le
virtù che vi trova, senza che ce ne accorgiamo. Nelle parole
precedenti abbiamo notato che il Signore parla a lungo dell’elemosina
e che esorta ripetutamente gli uomini al bene, citando l’esempio di
Dio stesso, che fa sorgere il sole sia sui buoni che sui cattivi.
Dopo averli indotti a essere fieri e contenti di donare con
generosità, toglie tutto quanto può nuocere alla virtù, quando
essa è già fiorita come un olivo bello e fecondo: «Guardatevi dal
fare la vostra elemosina davanti agli uomini». Egli dice: «la
vostra elemosina», poiché l’altra di cui ha parlato prima, cioè
il sole che sorge per i buoni e i cattivi, è come l’elemosina di
Dio. Ebbene, dopo averci invitato a non fare la nostra elemosina
davanti agli uomini, aggiunge subito: «per essere da loro ammirati».
Potrebbe sembrare che questa aggiunta fosse già implicita nelle
parole precedenti; ma se qualcuno le esamina bene, queste parole,
vedrà che sono diverse da quelle di prima e che Cristo, con questa
aggiunta, manifesta una grande prudenza e testimonia un’ineffabile
cura e indulgenza nei nostri confronti. Una persona può infatti fare
l’elemosina davanti agli uomini, senza aver l’intenzione di farsi
vedere; mentre, al contrario, si può fare l’elemosina in segreto,
ma augurandoci di essere visti dagli uomini. Ecco perché il Signore
non considera soltanto l’atto in se stesso, ma la volontà con cui
l’atto si compie: ed è appunto la volontà che egli punisce o
ricompensa. Se Cristo non avesse sottolineato con tanta precisione
questo particolare, il comando che egli dà avrebbe potuto servire da
pretesto a molti per trattenersi dal fare elemosine, dal momento che
non sempre è possibile farle segretamente. Ecco perché egli non ci
impone necessariamente di compiere elemosine senza essere visti, ma
giudica se noi siamo degni della punizione o del premio, basandosi
non sull’azione esteriore, ma sull’intenzione, sulla volontà di
chi la compie. Voi avreste potuto dire infatti: Perché sono
colpevole io, se qualche altro mi guarda, mentre faccio l’elemosina?
Gesù perciò vi dice che egli non esige affatto la segretezza
nell’atto di far l’elemosina, ma la purezza nell’intenzione, la
segretezza nella volontà. Per mezzo dell’elemosina che facciamo,
Dio vuole infatti formare la nostra anima e liberarci da ogni
malattia.
Ed ecco, dopo averci indicato a non far niente per
vanità, dopo averci mostrato il danno che può derivare da questa
passione e che consiste nel lavorare inutilmente e perdere tutti i
frutti delle nostre opere buone, innalza di nuovo i pensieri dei suoi
ascoltatori parlando loro del Padre e del cielo, per non
impressionarli soltanto con il timore di quanto rischiano di perdere,
ma incoraggiandoli anche con il ricordo di colui che li ha creati:
Altrimenti non ne avrete merito presso il Padre vostro che è nei
cieli .
Non si ferma qui, ma va più lontano e, adducendo
altre argomentazioni, produce in noi una forte avversione per la
vanagloria. Come prima aveva proposto il paragone con i pubblicani e
i pagani, per coprire di vergogna coloro che li imitavano, così ora
propone il confronto cogli ipocriti. Quando dunque fai elemosina, non
suonare la tromba davanti a te come fanno gli ipocriti . Non che gli
ipocriti suonassero effettivamente la tromba per richiamare su di sé
l’attenzione della gente; ma egli vuole figurativamente significare
la passione straordinaria che costoro avevano di essere notati, e con
tale espressione allegorica si prende gioco di loro. Con grande
ragione li chiama «ipocriti», perché l’apparenza esterna è sì
di elemosina, ma la mente e il cuore sono pieni di crudeltà e di
disumanità. Essi fanno l’elemosina non perché hanno compassione
del prossimo, ma per il desiderio di acquistarsi gloria. È
un’estrema crudeltà, quando il fratello muore di fame, ricercare
la propria gloria, anziché consolare la sua miseria. L’elemosina
non consiste nel dare, ma nel dare come si deve ciò che è
richiesto, e nel darlo per questo scopo.
2. – Dopo aver
sufficientemente condannato la vanità degli ipocriti, fino a far
arrossire quelli tra i suoi ascoltatori che si sentivano colpevoli,
indica ora il rimedio per l’anima colpita da questa malattia.
Avendo detto che cosa non si deve fare mentre si compie l’elemosina,
suggerisce ora quanto si deve fare: Non sappia la tua mano sinistra
ciò che fa la tua destra . Qui non parla evidentemente della mano,
ma si serve di questa espressione per dire: dovreste procurare, se
fosse possibile, d’ignorare voi stessi quello che fate e di
nascondere anche le mani di cui vi servite. Non si devono nascondere,
come alcuni ritengono, le nostre opere buone soltanto alle persone
ingiuste, perché Dio, in realtà, comanda di nasconderle a tutti.
Considerate ora quale ricompensa ci promette. Ci ha fatti vedere in
quale punizione incorre chi cade nell’ostentazione, e ora ci mostra
la ricompensa che merita la modestia: egli si serve di questa duplice
considerazione per stimolarci e per indurci a comprendere e ad
attuare insegnamenti più elevati. Egli ci invita a ricordare che Dio
è presente ovunque, che la nostra vita e le nostre azioni non hanno
termine con l’esistenza terrena, ma che, uscendo da questo mondo,
dobbiamo presentarci a un terribile tribunale, cui renderemo conto
con esattezza di tutti i nostri atti, per riceverne o la ricompensa o
la pena; ci ricorda, infine, che nessuna cosa, grande o piccola,
potrà restare segreta, anche se pare perfettamente nascosta agli
occhi degli uomini. È proprio tutto questo che Cristo vuol farci
intendere con le parole: Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti
ricompenserà davanti a tutti . Sembra che Dio prepari per l’uomo
un grande e magnifico palcoscenico e che gli dia quanto desiderava
con grande generosità. Cosa pretendete? – sembra dire. Non volete
forse voi avere spettatori alle vostre azioni? Ebbene, voi avrete per
testimoni, non gli angeli o gli arcangeli, ma Dio stesso, creatore
dell’universo. E se voi desiderate come spettatori anche gli
uomini, io non vi priverò di questa soddisfazione al momento
opportuno ma, anzi, ciò che vi darò oltrepasserà tutte le vostre
speranze. Ora, infatti, se voi volete far conoscere qui in terra le
vostre buone azioni, potreste riuscire a mostrarle a dieci, a venti o
a cento persone soltanto; se invece avrete cura di tenerle segrete
ora, ci penserà poi Dio a mostrarle a tutti gli uomini. Per questo,
se avete tanto desiderio che gli uomini conoscano le vostre buone
opere, dovete tenerle nascoste quaggiù. Verrà il momento in cui
tutti le vedranno in modo ben più chiaro e glorioso, quando cioè
Dio le mostrerà loro, le innalzerà e le loderà davanti a tutti. E
poi, gli uomini che qui si accorgono che voi volete essere
osservato, vi condannano come un vanitoso; ma quando vi vedranno un
giorno coronato di gloria, non soltanto non vi condanneranno, ma vi
ammireranno. Dato dunque che, rimandando di un certo tempo, potete
ricevere la ricompensa preparata e acquistarvi un’ammirazione più
duratura, pensate quale stoltezza sarebbe perdere l’una e l’altra,
continuando – mentre vi vede Dio – a chiamare gli uomini per
mostrar loro le vostre opere, e a esigere poi da Dio la ricompensa.
Se vogliamo mostrare a qualcuno le nostre azioni, dobbiamo mostrarle,
prima di tutti, al Padre che solo ha il potere di coronarci o di
punirci. Quand’anche la nostra vanità non ci costasse la perdita
della salvezza, chi ama la gloria dovrebbe preferire di avere
spettatore Dio, piuttosto degli uomini. Chi, in questo mondo, è
tanto folle da trascurare un re che viene con sollecitudine ad
ammirare le sue nobili azioni e da desiderare, invece, di essere
osservato e lodato da uomini, poveri e miserabili? Ecco perché
Cristo comanda non soltanto di non esibire quel che facciamo, ma
ordina anche di fare ogni sforzo per tenerlo segreto. C’è infatti
grande differenza tra queste due cose: non cercare di farsi vedere e
cercare di nascondersi.
E quando pregate, non siate come gli
ipocriti, i quali amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli
angoli delle piazze per farsi vedere dagli uomini; in verità vi dico
che essi hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando
preghi, entra nella tua camera e, serratone l’uscio, prega il Padre
tuo che è nel segreto . Gesù chiama ancora queste persone
«ipocriti» ed ha ben ragione di farlo perché, fingendo di pregare
Dio, esse non fanno che guardare gli uomini che stanno loro attorno
assumendo un atteggiamento veramente ridicolo: somigliano, infatti,
più a commedianti che a uomini in orazione. Colui che si prepara
alla preghiera, lascia tutti e sta attento solo a colui che può
esaudire le sue domande. Se voi invece trascurate Dio e andate
attorno, girovagando e ponendo i vostri occhi dovunque, vi
ritroverete con le mani vuote e avrete soltanto quello che avete
cercato. Per questo appunto Gesù non dice che costoro non
riceveranno la loro ricompensa, ma dice che l’hanno già ricevuta:
l’hanno ricevuta cioè da chi l’attendevano, dagli uomini. Ma non
è questo che desidera Dio: vuole infatti essere lui a darci la
ricompensa. Se noi, però, cerchiamo dagli uomini il premio, non
meritiamo certo di averlo da Dio, che ci promette di ricompensarci
per il fatto di avergli domandato le sue grazie.
Dopo aver
rimproverato coloro che fanno cattivo uso dell’orazione, perché
pregano ostentatamente in pubblico e con intenzione corrotta, e aver
mostrato che essi si rendono oltremodo ridicoli, subito dopo insegna
un eccellente modo di pregare, che ci darà una grande ricompensa:
«Entra nella tua camera».
3. – Qui potreste dirmi: Ma
allora non si deve pregare in chiesa? Certo che si deve farlo, ma
nella stessa disposizione d’animo che abbiamo quando siamo in un
luogo solitario e segreto. Dio considera, ovunque, l’intenzione dei
nostri atti: infatti, anche se noi andiamo a pregare nel luogo più
nascosto della nostra casa, se chiudiamo la porta alle nostre spalle,
ma facciamo tutto questo per vanità, il segreto non ci servirà a
niente. Osservate come anche qui Gesù ha stabilito una precisa
distinzione: parlando di coloro che pregano nelle piazze, li condanna
se lo fanno «per farsi vedere dagli uomini». Così, se voi chiudete
la porta della vostra camera, Cristo vuole che prima di chiuderla,
chiudiate le porte della vostra mente. Sempre, infatti, è bello
tenere lontano la vanagloria, ma soprattutto si deve farlo quando si
prega. Se, anche quando siamo esenti dalla vanagloria, noi vaghiamo
con la mente e ci distraiamo, che accadrà quando preghiamo con
corrotta intenzione? Come potremo ascoltare quello stesso che diciamo
noi? E se noi, che abbiamo bisogno e supplichiamo, non sentiamo, come
possiamo pretendere che ci ascolti Dio? E tuttavia, dopo tanti e tali
avvertimenti, vi sono alcuni che hanno così poca vergogna e così
poca modestia nelle loro preghiere che, mentre stanno nascosti col
loro corpo, si fanno sentire da tutti con la loro voce (gridano,
infatti, in maniera volgare) e con le loro esclamazioni: con questo
loro modo di fare si rendono assai ridicoli. Non vedete che se
qualcuno si comporta così anche in una piazza e si mette a
supplicare gridando, lo scacciano? Al contrario, chi chiede con calma
e in un modo discreto, attira a sé l’aiuto di chi può darlo.
Disponiamoci dunque a pregare non con un particolare atteggiamento
del corpo, né con particolari suoni della voce, ma col fervore dello
spirito. Non mettiamoci a far chiasso in modo da attirare
l’attenzione della gente, né da disturbare i nostri fratelli;
preghiamo con tutta umiltà, con il cuore contrito e versando lacrime
interiori. Ma voi mi dite che la vostra anima è addolorata e non
potete trattenere il vostro grido; io vi risponderò che la preghiera
umile e la supplica silenziosa si addicono proprio a chi è
profondamente addolorato. Mosè, infatti, con l’animo desolato
pregava in silenzio, ma Dio l’udì, tanto che gli disse: «Perché
gridi verso di me?» . Anna, madre di Samuele, pregò senza che
nessuno udisse la sua voce , ma ottenne da Dio tutto ciò che
chiedeva, perché il suo cuore gridava verso di lui. Abele gridò al
cospetto di Dio non solo quando taceva, ma anche quando moriva e il
suo sangue elevava al cielo una voce più potente di quella di una
tromba . Gridate anche voi come gridavano questi santi: non sarò
certo io a proibirvelo. «Strappate il vostro cuore» - dice il
profeta - «non i vostri abiti» . Invocate Dio dal profondo; dice
infatti David: «Dal profondo io grido a te, o Signore» ; gridate
nell’intimo del vostro cuore e fate che la vostra preghiera sia un
segreto, un mistero. Non vedete che nel palazzo di un re ogni tumulto
cessa e ovunque regna il silenzio? Ebbene, voi entrate ora in una
reggia ben più augusta e terribile di quella dei re della terra, nel
palazzo del re del cielo: conservate quindi un grande rispetto. Voi,
infatti, venite a far parte del coro degli angeli, entrate in società
con gli arcangeli e cantate con i serafini. Tutte queste schiere
celesti manifestano un grande ordine e offrono a Dio, re
dell’universo, con molto tremore, il loro ineffabile canto e i loro
sacri inni. Unitevi a loro quando pregate e imitate il loro mistico
contegno, pieno di decoro. Voi non state pregando un uomo: pregate
Dio che è ovunque presente, che sente le vostre parole prima ancora
che le abbiate pronunciate e che conosce i segreti della vostra
mente.
Se lo pregherai così, ne riceverai una grande
ricompensa: Il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà .
Gesù non dice che ti donerà un premio, ma che ti «ricompenserà».
Egli cioè vuol divenire tuo debitore: è un grande onore che ti fa.
E siccome egli è invisibile, vuole che anche la tua preghiera sia
segreta e invisibile.
E subito dopo ci indica il modo in cui
dobbiamo pregare: Nel pregare poi non moltiplicate le parole come i
pagani . quando ha parlato dell’elemosina, si è limitato a
condannare la vanità, senza aggiungere altre circostanze e senza
precisare con quale denaro si deve fare l’elemosina: se, ad
esempio, con beni acquisiti con il giusto lavoro e non provenienti
dalla rapina e dall’avarizia. La cosa era tanto chiara che nessuno
poteva avere dei dubbi: ne aveva già parlato prima, del resto,
quando aveva definito beati «coloro che hanno fame e sete di
giustizia». Quando parla della preghiera, aggiunge invece
un’ulteriore precisazione: dice infatti che non si deve parlare
troppo e, come nel caso di prima ha citato l’esempio degli
ipocriti, qui mette in ridicolo la loquacità dei pagani, in modo da
impressionare fortemente e far cambiare atteggiamento ai suoi
ascoltatori con la meschinità delle persone con cui egli li
paragona. Si serve di questo paragone per correggerli, poiché non
c’è niente che turbi maggiormente come l’essere confrontati a
persone disprezzabili. E condanna non solo i lunghi discorsi, ma
anche le insulsaggini che noi diciamo e le cose inutili che noi
chiediamo a Dio nella preghiera, come la potenza e la gloria terrena,
il successo sui nostri nemici, l’abbondanza delle ricchezze, in una
parola tutto quanto non ci serve affatto per la nostra salvezza.
Poiché sa di che cosa avete bisogno .
4.
– Mi sembra che con queste parole Cristo condanni le lunghe
preghiere; lunghe, non per la loro durata ma per la moltitudine delle
parole, per l’infinità dei discorsi. Si deve, invece, perseverare
nel chiedere a Dio le stesse cose. «Siate perseveranti nella
preghiera», sta scritto . Quando Gesù ci propone l’esempio di
quella vedova che piegò, con l’insistenza delle sue preghiere,
quel giudice crudele e spietato , oppure quello dell’uomo che andò
a trovare il suo amico nel mezzo della notte e lo fece alzare dal
letto quando già era addormentato, non tanto per effetto
dell’amicizia quanto per la sua insistenza , vuol dare a noi tutti
un comando: noi dobbiamo, cioè, supplicarlo continuamente, non
offrendogli una preghiera lunga, fatta di mille parole, ma
esponendogli semplicemente le nostre necessità.
Proprio questo
vuol farci capire sottolineando che i pagani credono di essere
esauditi in grazia della loro loquacità . E aggiunge: Non siate
simili a loro, poiché sa il Padre vostro di che cosa avete bisogno,
ancor prima che voi lo preghiate . Voi potreste dirmi: Ma se sa di
che cosa abbiamo bisogno, perché dobbiamo pregare? Dobbiamo farlo,
non per fargli sapere le nostre necessità che egli ben conosce, ma
per commuoverlo, per acquistare familiarità con lui grazie al
rapporto che si stabilisce con le nostre incessanti preghiere;
dobbiamo farlo per umiliarci e per ricordarci dei nostri peccati.
Voi pertanto pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome . Ecco
come Gesù torna subito ad elevare lo spirito di coloro che
l’ascoltano e come, già nel preludio della preghiera, ricorda
l’immenso dono che abbiamo ricevuto da Dio. Chi infatti chiama Dio
«Padre nostro», proclama con queste sole parole la remissione dei
peccati, la liberazione dal castigo eterno, la giustificazione delle
anime, la santificazione, la redenzione, l’adozione a figli di Dio,
l’eredità della sua gloria, la fratellanza con il Figlio unigenito
e infine l’abbondanza dello Spirito Santo. Non può, chi non ha
ricevuto tutti questi doni, chiamare Dio «Padre». Egli dunque
solleva la loro anima in un duplice modo: dapprima sottolineando la
maestà di colui che essi chiamano Padre e poi rilevando la grandezza
dei doni che da lui hanno ricevuto. E quando dice che Dio è «nei
cieli», non vuole certo dargli dei limiti, ma vuol sollevare dalla
terra lo spirito di coloro che pregano e innalzarlo negli eccelsi
spazi, nelle dimore celesti. Nello stesso tempo insegna a fare la
preghiera comune, a favore dei fratelli. Non ci invita a dire: Padre
mio che sei nei cieli; ma «Padre nostro», facendo così suppliche
per il corpo comune della Chiesa, e non considerando soltanto il
nostro vantaggio particolare, ma l’interesse di tutti, dovunque. In
questa maniera toglie di mezzo anche l’inimicizia, reprime
l’orgoglio, elimina l’invidia, introduce nelle anime la carità,
madre di tutti i beni; distrugge, inoltre, tutte le disuguaglianze
umane, di stato e di condizione, e dimostra l’uguale dignità del
re e del povero, dal momento che noi ci ritroviamo tutti uniti nelle
cose più importanti e necessarie, in quelle cioè che concernono la
nostra comune salvezza. Quale danno, quindi, può derivare a noi
dalla nostra nascita terrena, se siamo tutti congiunti dalla comune
origine divina, senza che nessuno abbia il minimo vantaggio
sull’altro, né il ricco sul povero, né il padrone sul servo, né
il principe sul suddito, né il comandante sul soldato, né il
filosofo sul barbaro, né il sapiente sull’ignorante? A tutti,
infatti, è stata elargita un’identica nobiltà quando Dio si è
degnato di farsi chiamare da tutti, ugualmente, «Padre».
Dopo aver ricordato questa
nobiltà e il dono di Dio, l’uguale dignità esistente tra i
fratelli, la carità che essi debbono avere gli uni per gli altri,
dopo averli sollevati da terra per innalzarli al cielo, vediamo che
cosa ancora Gesù comanda di chiedere con la preghiera. In realtà,
anche soltanto le prime parole sarebbero sufficienti a insegnarci
ogni virtù. È chiaro, infatti, che chi chiama Dio Padre e lo
considera Padre comune di tutti, deve vivere in modo tale da non
essere mai indegno di questa sua nobile origine e deve rispondere al
dono con adeguato impegno e ardore. Ma Gesù Cristo non si ferma qui
e continua: «Sia santificato il tuo nome». Ecco una preghiera degna
di chi ha chiamato Dio suo «Padre»: che cioè non chiede nulla
prima della gloria del Padre, ma pospone ogni altra cosa alla sua
lode. «Sia santificato» significa infatti sia glorificato. Dio ha
la sua gloria, che è infinita e che perdura eternamente. Gesù
tuttavia ordina, a chi prega, di chiedere che Dio sia glorificato
anche per la santità della nostra vita. Aveva già espresso questo
concetto con le parole: «Risplenda la vostra luce agli occhi degli
uomini, affinché vedendo le vostre buone opere diano gloria al Padre
vostro che è nei cieli». I serafini, lodando Dio, dicono: «Santo,
santo, santo» ; appunto le parole «sia santificato il tuo nome»
significano che il suo nome sia glorificato. È come se dicessimo a
Dio: Concedici di vivere in modo così puro e perfetto che tutti,
vedendo noi, ti glorifichino. La perfezione del cristiano sta proprio
in questo, nell’essere così irreprensibile in tutte le sue azioni,
che chiunque lo vede, per esse, rende lode a Dio.
Venga il tuo regno . Anche
queste sono parole di un figlio riconoscente e di buona volontà; di
uno cioè che non ha nessun attaccamento alle cose visibili e
terrene, che non considera le realtà presenti come qualcosa di
grande, ma è proteso verso il Padre e attende i beni futuri. Ecco
l’effetto di una buona coscienza, ecco la preghiera di un’anima
libera dalle preoccupazioni terrene.
5. – Era proprio questo il
desiderio incessante di Paolo, desiderio che lo spingeva a dire: «Noi
che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi,
anelando all’adozione di figli, alla redenzione del nostro corpo».
Chi arde in questo desiderio, non può inorgoglirsi dei beni di
questo mondo, né abbattersi per i suoi mali e per le sue avversità;
ma, come se fosse già in cielo, non è soggetto né all’uno né
all’altro di questi due squilibri.
Sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra . Vedete il perfetto sviluppo delle
parole di Cristo? Egli ci ordina di desiderare i beni futuri, di
anelare continuamente al cielo, ma esige inoltre che, nell’attesa
di partire da questa terra, anche restando quaggiù ci impegniamo a
vivere la stessa vita degli angeli in cielo. Voi – egli dice –
dovete desiderare il cielo e le gioie di lassù; ma anche prima dio
raggiungerle, ordina di fare di questa terra un cielo, di vivere, di
parlare, di agire quaggiù, come se fossimo già in cielo; e anche
per questo ci invita a pregare il Signore. Niente impedisce di
raggiungere sin d’ora la perfezione dei potenti spiriti celesti e
di fare ogni cosa come fossimo già lassù, pur dimorando ancora
sulla terra. Ecco cosa ci indicano queste parole di Gesù. Gli angeli
in cielo fanno ogni cosa liberamente e non sono incostanti, come lo è
chi ora obbedisce e o disubbidisce, ma si sottomettono sempre e
obbediscono in ogni cosa: dice, infatti, il profeta che sono «grandi
nella virtù e adempiono la parola di Dio» . Ebbene, Signore,
concedi anche a noi uomini di compiere la tua volontà non solo in
parte, ma di realizzarla sempre pienamente in ogni cosa, come tu
vuoi! Osservate anche come Gesù ci insegna a essere umili,
mostrandoci chiaramente che la virtù dipende non solo dai nostri
sforzi,ma anche dalla grazia di Dio. E ancora egli invita ciascuno di
noi, quando prega, a prendersi cura e a pensare per tutti gli uomini.
Egli infatti non c’invita a dire: sia fatta la tua volontà in me,
o in noi; ma: «come in cielo, così in terra»: cioè, dovunque
sulla terra, in modo che l’errore sia bandito, la verità regni,
ogni malvagità sia scacciata, rifiorisca la virtù e non vi sia
quindi più niente che renda il cielo diverso dalla terra. Se ciò
avvenisse, nulla differenzierebbe gli abitanti della terra da quelli
del cielo, anche se per natura diversi, poiché la terra ci
mostrerebbe uomini che vivono come angeli.
Dacci oggi il nostro pane
quotidiano . Dopo aver detto: «sia fatta la tua volontà, come in
cielo così in terra», siccome parla a uomini rivestiti ancora di
carne, soggetti alle necessità della natura e che non possono avere
la stessa impassibilità degli angeli, egli, pur volendo che la
volontà di Dio sia fatta da noi con la stessa perfezione con cui la
compiono gli angeli, accondiscende alla debolezza della nostra
natura. Esigo infatti – egli dice in sostanza – la stessa
perfezione di vita degli angeli, ma non la loro impassibilità. La
tirannide della natura infatti non ve lo permetterebbe: essa ha
necessariamente bisogno del nutrimento che la sostenga. Ma notate
quanta spiritualità esige da noi anche in ciò che riguarda il
corpo. Non c’invita a chiedere ricchezze, cose delicate, abiti
preziosi, o altre cose simili, ma soltanto il pane, e il pane
quotidiano, senza preoccuparci per l’indomani. Perciò egli dice:
«dacci il nostro pane quotidiano»; e non accontentandosi di questa
precisazione, aggiunge anche l’altra: dacci «oggi» il nostro
pane, allo scopo di allontanare da noi ogni affanno per il giorno
successivo. Perché, infatti, preoccuparci di un giorno che non siamo
affatto certi di vedere? Più avanti si soffermerà ancora su questo
argomento, raccomandando: «Non vi affannate per il domani» . Egli
vuole che noi siamo sempre pronti, che i nostri fianchi siano ben
cinti per il grande viaggio, disposti a prendere il volo verso il
cielo, e vuole quindi che noi concediamo alla natura solo ciò che
esigono da noi le sue immediate necessità.
Siccome accade che, anche dopo
il battesimo, lavacro della rigenerazione, noi pecchiamo, Gesù
manifestando anche qui il suo grande amore per gli uomini, comanda di
accostarci a Dio misericordioso, per chiedergli il perdono dei nostri
peccati: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai
nostri debitori . Vedete a quali estremi giunge l’amore che Cristo
ha per gli uomini? Dopo averli liberati da tanti mali, dopo aver
concesso loro un dono di grandezza incommensurabile, egli continua a
ritener degni del perdono quelli che insistono nell’offenderlo. Che
questa orazione infatti sia per i fedeli, l’attestano la
tradizione, le prescrizioni della Chiesa e l’inizio stesso della
preghiera. Una persona, non ancora battezzata, non può chiamare
«Padre» Dio. Se questa preghiera è dunque fatta per i fedeli e se
i fedeli pregano Dio e lo supplicano di perdonare i loro peccati, è
chiaro che Dio non ci rifiuta, dopo il battesimo, il rimedio della
penitenza. Se non avesse voluto convincerci di questa verità, non ci
avrebbe prescritto di pregare per questo. Colui che parla dei peccati
e ordina di chiederne il perdono, insegnando il modo di ottenerlo per
questa facile via che consiste nel perdonare affinché ci sia
perdonato, evidentemente sa e vuol mostrarci che i peccati possono
essere cancellati anche se sono stati commessi dopo il battesimo.
Appunto per persuaderci di questa verità, egli ordina di pregare in
questo modo. E al tempo stesso, facendoci ricordare i nostri peccati,
ci ispira sentimenti di umiltà. Comandandoci poi di perdonare agli
altri, cancella dal nostro animo ogni ricordo delle ingiurie patite.
Promettendo, in cambio, di perdonare anche le nostre colpe, ci dà
buone speranze e ci conduce a meditare sull’ineffabile amore che
Dio ha per gli uomini.
6.
– Ma questo soprattutto dovete osservare: dopo aver sottolineato,
in ognuna delle domande rivolte al Padre, tutta la perfezione
cristiana, racchiude in quest’ultima anche l’obbligo di non
ricordare le offese. Ecco santificare il suo nome, è la perfezione
della vita cristiana; fare la sua volontà, è la stessa cosa; poter
chiamare «Padre» Dio, è prova di una vita senza colpa; in tutto
questo è compresa anche la necessità di non adirarsi, anzi di
perdonare coloro che ci hanno offeso. Ebbene, egli non si limita a
questa raccomandazione implicita, ma, per mostrare quanto abbia a
cuore ciò, ne fa un punto particolare della preghiera che ci
prescrive e, dopo che la preghiera è completa, non ricorda nessun
altro punto oltre questo. Egli infatti ripeterà: «Se voi avrete
perdonato agli uomini i loro peccati, anche il Padre vostro celeste
perdonerà a voi». Dipende perciò da noi la nostra sorte, e noi
stessi siamo responsabili del giudizio che un giorno verrà
pronunziato. Affinché nessuno di noi, per quanto irragionevole,
possa lamentarsi né poco né tanto, quando verrà giudicato, Dio
rende noi, che siamo colpevoli, responsabili della nostra sorte e
appunto dice: così io vi giudicherò, come voi stessi vi sarete
giudicati: se avrete perdonato ai vostri simili, otterrete da me la
stessa grazia, benché queste due cose siano ben differenti, - noi
infatti perdoniamo agli altri, perché abbiamo bisogno di essere a
nostra volta perdonati, mentre Dio ci fa grazia senza aver bisogno di
niente. Voi perdonate a coloro che sono servi come voi; Dio, invece,
perdona a noi che siamo suoi servi. Voi fate grazia ai vostri simili,
essendo voi stessi colpevoli di innumerevoli peccati; Dio fa grazia
essendo esente da qualsiasi colpa, lui che è la santità stessa. Ma
proprio così egli ci dà un’altra prova della sua bontà. Egli
avrebbe potuto infatti perdonare i tuoi peccati, senza imporre alcuna
condizione: facendolo, invece, in proporzione al perdono che
concederai ai tuoi simili, ti procura mille occasioni di esercitare
la mansuetudine e la carità; ti offre la possibilità di soffocare i
cuore tutto quanto vi è di brutale e di inumano, di spegnere la tua
ira; ti insegna a unirti strettamente ai tuoi fratelli, che con te
fanno parte dello stesso corpo. Dopo tutto questo, quale scusa potrai
ancora portare? Dirai che il tuo prossimo ti ha offeso senza ragione?
Questo è peccato, non lo nego, ma ti si ordina di perdonarlo. Se,
poi, agisce con giustizia, non ha bisogno del tuo perdono, perché
non ha peccato. Ma io dico che anche tu ti accosti a Dio per
impetrare il perdono di simili peccati e di altri ben più gravi.
Ebbene, prima ancora di accordartelo, egli ti fa un altro dono, e non
piccolo, insegnandoti appunto ad avere un’anima umana,
misericordiosa e a essere dolce e mite. Inoltre ti promette una
grande ricompensa, garantendoti che non ti chiederà più conto dei
tuoi peccati. E dunque, di quale supplizio saremo degni se, dopo che
Dio ha posto la nostra salvezza nelle nostre mani, noi tradiamo noi
stessi e ci perdiamo deliberatamente? Come pretenderemo di essere
esauditi in altre richieste se, quando la nostra salvezza dipende da
noi, siamo tanto crudeli verso noi stessi?
E non lasciarci
cadere in tentazione, ma liberaci dal male. Perché tuo è il regno,
la potenza, e la gloria per i secoli dei secoli. Amen . Qui Gesù ci
fa comprendere chiaramente la nostra bassezza e reprime la nostra
presunzione, insegnandoci che se non dobbiamo fuggire i
combattimenti, non dobbiamo tuttavia gettarci da noi stessi in preda
alle tentazioni. Sarà così per noi più splendida la vittoria e per
il diavolo più vergognosa la sconfitta. Quando siamo trascinati alla
lotta, dobbiamo resistere con tutta la nostra fermezza e con tutto il
nostro vigore; ma quando non siamo chiamati alla battaglia, dobbiamo
tenerci in riposo, attendere il momento dello scontro, mostrando
insieme umiltà e coraggio. Dicendo «liberaci dal male», intende:
liberaci dal diavolo: ad un tempo, ci spinge a combattere contro lo
spirito del male una guerra senza tregua, e dimostra che nessuno è
malvagio per natura. La malizia non deriva dalla natura, ma dalla
volontà. Chiama il diavolo «il male», a causa della sua grande
malizia: egli infatti, senza aver ricevuto da noi la minima ingiuria,
ci fa una guerra senza quartiere; ebbene, il Signore ci invita a
pregare, dicendo non liberaci dai malvagi, ma «liberaci dal male»,
per farci intendere che non dobbiamo nutrire malanimo verso il
prossimo anche quando costui ci fa del male, ma dobbiamo rivolgere il
nostro odio verso il diavolo, quale causa di tutti i mali. Dopo
averci preparato al combattimento, ricordandoci la presenza di questo
temibile nemico e aver eliminato in noi ogni pigrizia, torna a
incoraggiarci e solleva il nostro spirito, mostrando chi è il re che
comanda e facendoci intendere che egli è più potente di tutti:
«Perché tuo è il regno, la potenza, la gloria». Se il regno
appartiene a Dio, non dobbiamo avere nessun timore, perché nessuno
sarà mai capace di resistergli, nessuno potrà mai togliergli il
supremo potere. Quando dice «tuo è il regno», ci fa capire che
anche il nemico che ci aggredisce è sottoposto a Dio e, se ci fa la
guerra, è perché Dio lo permette. Egli infatti è uno dei suoi
servi, anche se di quelli malvagi e reprobi, e non potrebbe aggredire
nessun uomo, se non ne avesse ricevuto prima il permesso da Dio. Ma
che dico, non potrebbe attaccare nessun uomo? Non può osare neppure
d’entrare nel corpo dei porci, senza che ne abbia prima ricevuto il
permesso, e tocca i buoi e le pecore di Giobbe solo dopo averne avuto
la licenza e il potere. Quand’anche voi foste mille volte più
deboli di quanto siete, sarebbe giusto aver piena fiducia, in quanto
avete un re tanto potente, un re che può fare facilmente per voi
tutto quanto vuole.
7. - «E la gloria per i secoli dei
secoli. Amen». Dio non vi libera soltanto dai mali, ma può anche
darvi gloria e splendore. Come la sua potenza è immensa, così la
sua gloria è ineffabile e l’una e l’altra sono senza limiti e
senza fine. Vedete dunque quante cose ci propone per spingerci quali
atleti al combattimento e per ispirarci fermezza e fiducia.
Per mostrare infine, come già
vi dissi, che egli sopra ogni altra cosa disdegna e odia il ricordo
delle ingiurie, mentre apprezza moltissimo la dolcezza e la
mansuetudine, virtù che si oppongono all’odio, alla fine della
preghiera riprende questo concetto ed esorta i suoi ascoltatori,
minacciando la pena e proponendo la ricompensa, a perdonare le
offese: Poiché se voi avrete perdonato agli uomini, anche a voi
perdonerà il Padre vostro celeste; ma se voi non avrete perdonato,
neanche lui perdonerà a voi . Cristo parla di nuovo del «Padre»,
anzi del «Padre celeste», per far arrossire di vergogna chi ascolta
se, mentre è figlio di un tale Padre, si comporta come una belva e
se, mentre è chiamato al cielo, ha soltanto pensieri terreni e
mondani. Non si deve essere figli di Dio soltanto per la grazia che
abbiamo ricevuto; occorre anche esserlo per le nostre opere. E niente
ci rende tanto simili a Dio come l’essere indulgenti e perdonare i
malvagi e coloro che ci offendono: proprio ciò che ha voluto
intendere prima, quando diceva che fa sorgere il suo sole sopra
malvagi e buoni. Per questa ragione, a ogni passo, egli c’invita a
fare preghiere comuni per tutti. Egli dice infatti: «Padre nostro»
e «sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra»; ed
aggiunge: «dacci il pane; rimetti a noi i debiti» e «non ci
indurre in tentazione», e «liberaci dal male». Egli ci comanda,
quindi, di usare sempre il plurale, perché non resti in noi la
minima traccia di avversione o di animosità verso il prossimo. Quale
supplizio meriteranno dunque coloro che, dopo tutti questi inviti e
comandi, non solo non perdonano i loro nemici, ma osano pregare Dio
di vendicarli e non hanno timore di porsi contro questa legge quando
Dio stesso cerca in ogni modo di agire e di operare perché noi non
ci separiamo gli uni dagli altri?
Ben sapendo che radice
di tutti i beni è la carità, egli vuole strappare da noi tutto
quanto può in qualche modo danneggiarla e da ogni parte ci sospinge
a unirci tutti insieme. Non c’è nessuno infatti, e lo ripeto, non
c’è nessuno sulla terra, né padre, né madre, né amico né
chiunque altro che ci abbia amato e ci ami come Dio che ci ha creati.
Ne fanno prova tutte le grazie che ogni giorno ci concede. Lo
manifestano gli stessi comandi che ci ha dato. E se voi mi obiettate
le sofferenze, i dolori e tutti gli altri mali della vita, ebbene,
considerate quanto voi l’offendete ogni giorno e non vi stupirete
più neppure se le vostre pene fossero ancora maggiori. Tenendo
presenti le vostre offese, sarete anzi meravigliati e colpiti nel
vedere che ricevete qualche bene. Invece noi, ora, ci fermiamo a
considerare i mali di cui soffriamo e non teniamo conto dei peccati
che commettiamo ogni giorno. Per questo siamo inquieti e agitati. Se
noi volessimo computare esattamente, anche soltanto in un giorno, i
peccati che commettiamo, riconosceremmo facilmente che dovremmo
meritare di soffrire assai più di quanto soffriamo.. Non parlo dei
peccati che ognuno di voi ha commesso sinora: parlo soltanto di
quelli che avete commesso oggi. Anche se non conosco gli sbagli che,
oggi, ciascuno di voi ha fatto, sono certo comunque che il numero dei
peccati è talmente grande, che anche coloro che non li conoscono
tutti con accuratezza potranno sicuramente tirarne fuori molti.
Chi di noi, infatti, non è stato un po’ distratto e negligente
nelle sue preghiere? Chi non è per nulla orgoglioso? Chi di noi è
del tutto esente dalla vanità? Chi non ha mai offeso con insulti o
calunnie il proprio fratello? Chi non ha mai avuto nessun cattivo
desiderio? Chi non ha guardato, talvolta, con occhi non del tutto
casti? Chi non si sente turbato, pensando al suo nemico? Se perfino
mentre siamo in chiesa, e in così poco tempo, ci rendiamo colpevoli
di tante colpe, che cosa faremo uscendo di qui? Se siamo travolti da
tante bufere mentre siamo nel porto, potremo forse controllare noi
stessi quando torniamo nell’Euripo { dei mali, dico nel foro, nei
negozi politici, nelle preoccupazioni familiari? Ebbene, Dio ci ha
dato un mezzo rapido e facile, per liberarci da tali e tanti peccati,
un mezzo che non comporta nessuna fatica. Che sforzo si fa a
perdonare chi ci ha offesi? È duro e faticoso piuttosto nutrire
l’odio nel proprio cuore e non perdonare. Mentre, soffocando la
nostra ira, ci assicuriamo una grande pace, e per far questo la sola
nostra volontà è sufficiente.
8. – Non c’è bisogno di
traversare mari, né di fare lunghi viaggi, né di valicare montagne,
né di spendere tutti i nostri beni, né di macerare il nostro corpo.
Basta solo volerlo, e tutti i peccati saranno cancellati.
Se
non solo non perdonate al vostro avversario, ma vi rivolgete a Dio
contro di lui, allora quale speranza potrete ancora nutrire per la
vostra salvezza, dato che, mentre dovreste placare Dio, lo
esasperate? Mentre mostrate l’apparenza di colui che supplica, in
realtà emettete suoni degni di una belva e lanciate contro voi
stessi le frecce mortali del demonio. Ecco perché Paolo, parlando
della preghiera, raccomanda soprattutto di praticare questo precetto:
«Levate al cielo le vostre mani pure, senza ira, né alterco» . Se
nel momento in cui avete bisogno di misericordia, invece di soffocare
la vostra ira la trattenete ingigantendola nella vostra mente, pur
sapendo che vi piantate da voi stessi un pugnale nel petto, quando
mai riuscirete ad essere amorevoli e potrete espellere dal vostro
cuore il maligno veleno di tale malvagità? E se non comprendete
ancora la gravità di questo peccato, osservate quanto accade tra gli
uomini e riconoscerete allora quanto sia enorme l’offesa che fate a
Dio, comportandovi come vi comportate. Ecco, se qualcuno, mentre
viene a chiederti perdono, gettandosi a terra davanti a te che sei
semplicemente un uomo, vede il suo nemico e, tralasciando allora di
rivolgersi a te, corre a percuoterlo, non è forse certo che tu
proverai e manifesterai verso di lui una collera ancora più grande?
E ora pensate, questo accade nei confronti di Dio. Anche voi, mentre
rivolgete a Dio le vostre suppliche, lo abbandonate subito per
aggredire il vostro avversario con ingiurie. Questo è disonorare e
violare le leggi del Signore. Voi invocate infatti, contro chi vi ha
offesi, l’intervento di colui che vi ordina di perdonarlo, e lo
pregate di fare il contrario di quanto vi comanda.
Non vi
basta trasgredire la legge di Dio; lo pregate anche perché egli
stesso violi la sua legge, aumentando così la pena che vi spetta.
Credete dunque che egli abbia dimenticato quanto ci ha ordinato?
State forse trattando con un uomo, o state trattando con Dio, che
conosce tutto e che esige l’osservanza assoluta e perfetta delle
sue leggi? Egli è tanto lontano dal compiere quanto gli chiedete,
che non può neppure tollerare colui che gli dice simili cose e,
soltanto per aver fatto tali richieste, l’ha in orrore e gli
destina il più terribile dei supplizi.
Come potete dunque
pretendere di ottenere da lui quanto vi ordina di evitare con tanta
diligenza? Malgrado ciò, vi sono persone tanto insensate che non
soltanto pregano Dio contro i loro nemici, ma imprecano persino
contro i figli dei loro nemici, e che, nel furore da cui sono
posseduti, vorrebbero divorarli, se fosse possibile. O, meglio, li
divorano veramente. Non venite a dirmi infatti che non avete mai
dilaniato con i vostri denti la carne dei vostri avversari. L’avete
fatto ancor più crudelmente, quando avete scongiurato Dio di far
cadere su di loro la sua ira, quando avete loro augurato di essere
dannati per l’eternità e di perire con tutta la loro famiglia. Vi
sono forse delle ferite che dilaniano più crudelmente di queste?
Quali frecce sono più acute? Quali dardi più pungenti?
Non è
certamente questo che Gesù Cristo vi ha insegnato. Egli non vi ha
comandato di coprire di sangue la vostra bocca: queste lingue sono,
infatti, più detestabili e crudeli delle bocche insanguinate che
hanno dilaniato carne umana. Come potrete dare, in queste condizioni,
il bacio della pace ai vostri fratelli? Come avrete il coraggio di
accostarvi all’altare? Come potrete bere il sangue di Cristo, se
avete il cuore colmo di così mortale veleno? Quando voi pregate Dio
affinché getti la sua maledizione sul vostro nemico, affinché
distrugga la sua famiglia e perda tutti quanti i suoi beni, quando
voi gli augurate mille volte la morte, voi non siete diversi da un
assassino, anzi non differite minimamente da una belva che divora gli
uomini.
9. – Evitiamo dunque, fratelli, questo furore e
questa follia. Dimostriamo a coloro che ci offendono la dolcezza che
il signore ci ordina, per essere simili al Padre nostro che è nei
cieli. E noi cesseremo di essere così furiosi, se ricorderemo sempre
tutti i peccati della nostra vita, se esamineremo con coscienza tutte
le colpe che abbiamo commesse, se nella nostra casa, sia fuori, nei
luoghi pubblici, come in chiesa.
Se non per altro motivo, per
la sola negligenza che mostriamo quando siamo in questo tempio,
saremmo degni della più grave pena. Mentre i profeti fanno
riecheggiare salmi e oracoli, mentre gli apostoli predicano e Dio
stesso ci parla, noi vaghiamo fuori con la nostra mente e
introduciamo poi, qui dentro, il tumulto degli affari del mondo. Noi
non ascoltiamo in chiesa la legge di Dio neppure con quel silenzio e
con quella attenzione che hanno coloro che ascoltano un editto
dell’imperatore. Quando si dà lettura di un editto, i consoli, i
senatori, i magistrati e tutto il popolo si alzano e stanno in piedi,
ascoltando in silenzio le parole dell’imperatore. Se qualcuno,
improvvisamente, in mezzo a quel profondo silenzio, si agitasse e si
mettesse a far baccano, subirebbe la più grave pena, per lesa
maestà. Qui invece, quando si leggono pubblicamente le lettere che
ci provengono dal cielo, non si sente che chiasso da ogni parte.
Eppure colui che ci ha scritto queste lettere è ben più grande
dell’imperatore, e il luogo dove si riunisce l’assemblea cui si
leggono tali lettere è ben più augusto dei vostri teatri. Non vi
sono infatti soltanto degli uomini, ma qui sono presenti anche gli
angeli. E, inoltre, i premi che le scritture promettono ai vincitori,
sono senza paragone ben più grandi di tutte le ricompense terrene.
Ecco perché non soltanto gli uomini, ma anche gli angeli, gli
arcangeli, tutti i cori celesti e tutti i popoli della terra, debbono
rendere lode, secondo l’esplicito comando che ci fa la Scrittura:
«Benedite il Signore, voi tutte sue opere» . Le sue opere infatti
non sono piccole, ma tutte superano la nostra ragione; e la mente e
l’intelligenza umana non possono comprenderle totalmente. I profeti
ce ne parlano tutti i giorni e ciascuno di essi celebra in modo
particolare la loro eccellenza e la loro grandezza. Uno dice: «Sei
salito in alto conducendo prigioniera la stessa prigionia, e hai
fatto doni agli uomini» , e aggiunge: «Il Signore pè potente, è
forte in battaglia» . L’altro dice: «Dividerà le spoglie dei
potenti» ; per questo infatti è venuto, per annunziare la libertà
ai prigionieri e per restituire la vista ai ciechi. Un altro,
cantando con giubilo il trionfo che Dio ha riportato sulla morte,
grida: «O morte, dov’è la tua vittoria? O inferno, dov’è il
tuo stimolo?» . Un altro, ancora, predice la profonda pace che
regnerà nel mondo: «Fonderanno le spade in vomeri, e le lance in
falci» . Un altro, rivolgendosi a Gerusalemme, esclama: «Esulta,
figlia di Sion, poiché ecco, viene a te il tuo re mansueto, seduto
su un’asina e su un asinello» . Un altro ancora annunzia il
secondo avvento del Signore con le parole: «Il Signore che cercate
verrà, e chi potrà sopportare il giorno del suo avvento? Esulterete
come giovenchi sciolti dai vincoli» . Un altro, infine, grida con
ammirazione: «Ecco il nostro Dio, e nessuno può paragonarsi a lui»
.
Ebbene, mentre ascoltiamo cose
tanto meravigliose e altre ancora, invece di tremare in questo luogo
e di crederci piuttosto in cielo che in terra, noi facciamo rumore
come fossimo in piazza, ci agitiamo e provochiamo confusione,
trascorrendo il nostro tempo a parlare di futilità e di cose che non
ci riguardano. Se, dunque, noi che siamo pigri e trascurati sia nelle
piccole che nelle grandi cose, nell’ascoltare e nell’0agire,
fuori e dentro la chiesa, in più noi preghiamo contro i nostri
nemici, come potremo sperare di salvarci quando appunto, per colmare
la misura, aggiungiamo a così tante e gravi colpe queste inique
preghiere? E dovremmo stupirci se ci capita qualche improvviso
accidente? Non sarebbe piuttosto un miracolo se non ci capitasse
niente? Essere colpiti da qualche disgrazia sarebbe una normale e
naturale conseguenza di quel che facciamo; contrario alla ragione e
ad ogni spettativa sarebbe non esserne colpiti affatto. Irrazionale e
ingiusto sarebbe godere del sole, della pioggia e di tutti gli altri
beni che Dio ci dona, quando invece noi ci comportiamo come suoi
nemici e lo irritiamo continuamente. Noi abbiamo solo l’apparenza
di uomini, ma in realtà siamo più crudeli delle belve dal momento
che, mettendoci in urto, ci dilaniamo l’un l’altro e immergiamo
senza tregua la nostra lingua nel sangue dei nostri fratelli. E
facciamo tutto questo dopo aver mangiato alla mensa spirituale, dopo
aver ricevuto tante grazie e tanti comandi divini.
Riflettiamo
fratelli su queste verità, rovesciamo questo mortale veleno,
spezziamo le catene dell’inimicizia. Offriamo a Dio preghiere degne
di noi; e, invece di essere crudeli come demoni, sforziamoci di
diventare dolci e miti come gli angeli. Di qualsiasi natura siano le
ingiurie che abbiamo subito, il ricordo dei nostri peccati e la
ricompensa che Dio ci riserva se osserviamo questo0 precetto di
perdonare gli altri, addolciscano il nostro spirito, soffochino ogni
nostro sentimento di collera, in modo che, se trascorriamo questa
vita con la pace nel cuore, Dio ci tratti nell’altra con la stessa
bontà con cui noi abbiamo trattato quaggiù i nostri fratelli. Se il
tribunale di Dio è grave e terribile, rendiamolo lieve e
desiderabile, e apriamo verso di esso le porte della nostra fiducia.
Se non siamo riusciti a meritarci questa grazia evitando il peccato,
l’otterremo perdonando a coloro che hanno peccato contro di noi.
Questa condizione non è affatto svantaggiosa per noi e non ci costa
gran fatica. Facciamo del bene ai nostri nemici e ci procureremo,
così, tesori di misericordia. In questo modo infatti saremo amati da
tutti, anche nella vita presente; ma, sopra tutti gli altri, ci amerà
Dio stesso e ci darà la corona, ritenendoci degni di godere ogni
bene e la felicità eterna che io mi auguro che tutti noi possiamo
ottenere mediante la grazia e la misericordia di nostro Signore Gesù
Cristo, a cui vanno la gloria e la potenza per i secoli dei secoli.
Amen.
Discorso diciannovesimo –
Mt. 6, 1-15 di San Giovanni
Crisostomo – Tratto da “ COMMENTO AL VANGELO DI SAN MATTEO”
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