mercoledì 16 giugno 2021

Motivi naturali e soprannaturali per i quali i Corinzi debbano fare una generosa colletta – del Sacerdote Dolindo Ruotolo




I Corinzi debbono portare a termine l'iniziativa di carità presa da essi per i primi. 

In questo capitolo, san Paolo fa come una perorazione ai Corinzi sulla colletta da fare per Gerusalemme, e li spinge con ogni motivo a non venir meno a quella generosità che li distingueva tra tutte le Chiese. Egli comincia ad esortarli con un motivo umano, il più facile a penetrare l'anima loro, e lo fa con arte profondamente psicologica, prendendoli dal loro lato debole. Comincia, infatti, col dire che di quell'opera di carità che si esercita a favore dei santi è superfluo che egli ne scriva loro, poiché conosce la prontezza dell'animo loro in questa opera buona, come in tutte le opere buone. 

Dicendo di non volerne parlare, in realtà ne parla, stimolando il loro giusto amor proprio e, come prima li aveva esortati con l'esempio delle Chiese della Macedonia, per suscitare in essi l'emulazione, così ora dice di avere esortato le Chiese della Macedonia con l'esempio della loro prontezza, attribuendo loro il merito dell'iniziativa in un'opera così santa. Aveva detto nel capitolo precedente che essi si segnalavano in ogni cosa: nella fede, nella dottrina, nella scienza, nella premura per quanto era bene, e nell'affetto che nutrivano per lui (v. 7) esortandoli a segnalarsi anche in quell'opera di carità; ora afferma che essi, pur non avendola ancora fatta e ultimata, ne avevano preso l'iniziativa prima delle Chiese di Macedonia e che, quindi, era loro vanto quello di mandarla a termine generosamente, per non fare una brutta figura. Della loro iniziativa, infatti — soggiunge san Paolo — egli si era gloriato presso i Macedoni, ripetendo loro che già dall'anno precedente l'Acaia, la cui capitale era Corinto, era pronta a quell'opera di carità; e l'esempio del loro zelo aveva stimolato molti. 

Non bastava però l'iniziativa, bisognava realizzarla, e per questo — soggiunge l'Apostolo — egli aveva mandato loro Tito e i suoi due compagni, affinché l'opera buona fosse compiuta, e il vanto che egli si era dato di loro non si mostrasse vano da questa parte. 

Era necessario che essi fossero preparati, approntando generose offerte sotto la guida di Tito e dei suoi compagni, affinché, venendo egli a Corinto con i Macedoni che l'avrebbero accompagnato per incarico delle Chiese, e trovandoli impreparati, non avesse dovuto arrossire di loro, anzi non avessero dovuto essi stessi arrossire innanzi ai delegati delle generose Chiese della Macedonia. Egli, dunque, per evitare questa brutta figura, aveva voluto essere preceduto a Corinto da Tito e dai suoi compagni, perché avessero raccolto da loro offerte generose, e non avare, capaci di rappresentare una gloria ed un esempio della Chiesa di Corinto innanzi alle altre Chiese. 

L'elemosina è un seme di provvidenza 

Dal motivo umano, per stimolare i Corinzi, san Paolo passa ad un motivo spirituale. Egli voleva che avessero raccolto ricche elemosine come dono liberale, offerto spontaneamente e con tutto il cuore, e non come una spilorceria. Ora, dando in tale maniera e con tale spirito, essi non avrebbero avuto un danno ma un vantaggio in questa vita e nell'eternità, poiché l'elemosina rappresenta quasi una semina che germina e fruttifica per colui che la fa. Chi semina scarsamente, poco mieterà; e chi semina con abbondanza, con abbondanza pure mieterà. La metafora del seminare e del mietere è spesso usata nelle Scritture per indicare la relazione tra l'azione buona o cattiva dell'uomo e il premio o il castigo che l'attende. Così, per esempio, nei Proverbi (22,8) è detto: Chi semina iniquità mieterà sciagure, e san Paolo stesso nella lettera ai Galati (6,8) dice: Quello che l'uomo avrà seminato quello ancora mieterà, onde chi semina per la sua carne dalla carne mieterà corruzione, chi poi semina per lo Spirito dallo Spirito mieterà la vita eterna. Ora chi fa l'elemosina per amore di Dio semina per lo Spirito, e raccoglie dallo Spirito secondo quanto avrà seminato. Un seminatore non può essere mai spilorcio ma, nel suo stesso interesse, dà abbondantemente con mano larga e con gioia alla terra, affinché la terra gli renda sovrabbondantemente. 

Chi fa l'elemosina deve agire nella stessa maniera; deve dare quello che ha stabilito in proporzione delle proprie sostanze non di mala voglia o per forza, poiché Dio ama chi dà con gioia. Questa sentenza si trova nei Proverbi (21,8) secondo i Settanta; essa manca nel testo ebraico e nella Volgata, ma in quest'ultima si trova una sentenza simile nel Siracide (35,8-10): Per ogni cosa che dai rasserena il tuo volto, e con la letizia santifica le tue decime. Da' all'Altissimo secondo quello che Egli ti ha dato, e con lieto occhio offri ciò che le tue mani hanno acquistato, poiché Dio è rimuneratore e ti renderà il settuplo. 

Donare con gioia! 

Chi dona con gioia al Signore, e quindi dona per un semplice atto di buon cuore o di prodigalità, ma per amore di Dio, non potrà mai temere d'impoverirsi, poiché Dio è potente per fare che abbondi in ogni cosa. L'abbondanza, che dona il Signore a chi fa veramente il bene per amor suo, fa sì che la beneficenza si accresca, perché colui che dà al prossimo e poi più riceve da Dio, abbonda con facilità in ogni opera buona. Si avvera, allora, ciò che sta scritto nel salmo 111,9, che san Paolo cita secondo i Settanta: Profuse il giusto la sua ricchezza, diede ai poveri l'aiuto con generosità e per amore di Dio, e la sua giustizia, cioè la sua generosità non si arresta mai, quasi fontana che riceve dalla fonte e dona sempre la sua acqua, e sussiste nei secoli dei secoli, perché diventa perenne sulla terra, ed eterno premio nei cieli. 

Con un'allusione ad un testo d'Isaia (55,10), san Paolo conferma questo concetto, per dimostrare che chi dona con generosità non perde ciò che dona, perché Dio gli accresce i beni, e con i beni gli accresce la grazia di donare. In Isaia Dio parla della fecondità della sua Parola, ed esclama: Come la pioggia e la neve scende dal cielo e non vi fa ritorno, ma inebria la terra e la bagna, la fa germogliare e dà il seme al seminatore e il pane a colui che lo mangia, così sarà della mia Parola che uscirà dalla mia bocca: essa non tornerà a me senza affetto, ma opererà tutto quello che io voglio, e prospererà in quelle cose per le quali io l'ho mandata. San Paolo prende dal testo solo quell'espressione che conferma il suo argomento, benché nel testo sia solo un paragone, e dice che Colui che somministra la semente al seminatore, e darà il pane da mangiare, a lui e a quelli ai quali egli dona o vende il grano, somministrerà pure abbondantemente, e moltiplicherà la vostra semente di carità, ed accrescerà sempre più i frutti della vostra giustizia, accrescendovi i beni e dandovi la grazia della carità. In tal modo voi, divenuti ricchi in tutte le cose, potrete donare con grande liberalità, e così quest'opera vostra, fatta per mezzo nostro, sarà causa di molte azioni di grazie a Dio. 

Con queste ultime parole san Paolo passa ad esortare i Corinzi con un motivo eminentemente soprannaturale, qual è la gloria che viene a Dio dall'elemosina data per suo amore. Il compimento di questa vostra oblazione — egli esclama — non solo supplisce al bisogno dei santi, ma ridonda anche in molti rendimenti di grazie al Signore, poiché, conosciuta a prova la vostra virtù in quest'opera buona, essi danno gloria a Dio per la vostra obbedienza nella professione del Vangelo di Cristo, e per la liberalità con la quale siete uniti con loro e con tutti. Nel testo greco l'Apostolo designa l'oblazione dell'elemosina con una parola che indica sempre una funzione sacra, e quindi un sacrificio offerto a Dio, del quale i fedeli che la fanno sono come i ministri, diàconoi. Con questo mistico sacrificio di amore non solo si sollevano gli indigenti, ma si muovono i loro cuori a ringraziare e lodare la divina provvidenza che ispira ai fedeli i sentimenti di obbedienza alla legge evangelica della carità, e li muove ad essere liberali e generosi con i poveri. 

Questi sentimenti di lode e di benedizione a Dio producono un altro frutto soprannaturale di grande vantaggio per quelli che fanno la carità: la preghiera che i poveri fanno per loro, e l'amore col quale li amano per la grazia di Dio che è in loro. Alla carità temporale di chi benefica, allora, corrisponde la carità spirituale di chi è beneficato, ed all'amore di chi dona per amore di Dio, l'amore fraterno e la stima di chi riceve dalla liberalità del benefattore. In tal modo la famiglia cristiana cementa nei propri cuori l'amore a Dio ed al prossimo, precetto fondamentale della Legge, e questo è così bello da strappare all'Apostolo un grido di riconoscenza al Signore: Grazie a Dio per questo ineffabile dono. 

Sac.Dolindo Ruotolo – Tratto da “Lettere di San Paolo Apostolo”



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