sabato 5 agosto 2023

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello... di San Giovanni Crisostomo

Abbiamo visto fin qui che Gesù Cristo ha intrattenuto a lungo i suoi discepoli sui pericoli, sulla morte e sulla sua stessa passione, e ha predetto l’uccisione violenta che essi subiranno, dopo aver dato loro i severi comandi di rinunziare a se stessi e di prendere la loro croce. Dato, però, che questi dolori si riferiscono alla vita terrena e sono attuali, mentre i beni che essi otterranno sono ancora soltanto nella speranza e nell’attesa, come, ad esempio, il salvar la propria vita perdendola, la venuta di Cristo nella gloria del Padre, la distribuzione delle ricompense, il Maestro ora intende soddisfare anche la loro vista, rendendoli testimoni diretti, per quanto è possibile in questa vita terrena, della gloria nella quale egli verrà il giorno del giudizio. E in questo modo consola il turbamento e il dolore che essi, e in particolare Pietro, provano al pensiero della loro morte e di quella del Signore. Osservate che fa ora Gesù, dopo aver parlato dell’inferno e del regno dei cieli. Dicendo, infatti, che « chi vorrà salvare la sua vita la perderà; chi invece perderà la vita sua per amor mio, la ritroverà », e assicurando che « renderà a ciascuno secondo il suo operato », ha alluso evidentemente al cielo e all’inferno. Ebbene, pur avendo parlato sia dell’uno che dell’altro, fa vedere ai discepoli il regno dei cieli, mentre lascia l’inferno nelle sue tenebre. Perché mai? Se egli avesse ancora a che fare con anime rozze e imperfette,  certamente darebbe loro anche un’immagine dell’inferno per impressionarli: siccome però gli apostoli hanno ormai la mente e la volontà ben disposte, li esorta e li attira con l’immagine della bellezza e della felicità del cielo. Ma oltre a questo motivo ve n’è un altro: è più conveniente e consono al Signore dare ai discepoli un’immagine del cielo, non dell’inferno. Tuttavia, egli non tralascia di rappresentarlo; in molte occasioni, infatti, pone sotto gli occhi un quadro dell’inferno: ad esempio quando parla dell’episodio del mendico Lazzaro e del ricco malvagio , oppure quando ricorda quel servo che con tanta esosità pretende dal suo compagno i cento denari , o menziona quell’uomo che si presenta al banchetto di nozze con l’abito sudicio , e in molti altri casi.

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse su un alto monte in disparte . Un altro evangelista parla di « otto giorni dopo ». Non c’è contraddizione tra queste due notazioni di tempo, e i due evangelisti sono perfettamente d’accordo tra di loro. Uno di essi, evidentemente, computa anche il giorno in cui Cristo parlò ai discepoli e quello in cui condusse gli apostoli alla montagna, mentre l’altro annota soltanto l’intervallo tra il giorno dell’ultimo discorso e quello della trasfigurazione. Considerate qui con quanta sapienza l’evangelista Matteo non trascura di citare apertamente i nomi degli apostoli che furono a lui preferiti in questa circostanza. Si comporta così, in molte occasioni, anche l’evangelista Giovanni, quando ad esempio riferisce con tutta verità le lodi che Gesù rivolge a Pietro. Sta di fatto che in quel coro di giusti erano del tutto sconosciute l’invidia e la vanagloria. Gesù dunque, dopo aver preso con sé i tre primi apostoli, « li condusse su un alto monte, in disparte ».

E si trasfigurò davanti a loro, così che il suo viso risplendette come il sole, e le sue vesti diventarono candide come la luce. Ed ecco apparire ad essi Mosè ed Elia, che parlavano con lui . Per qual motivo Gesù prende con sé solo questi tre apostoli? Perché essi superano gli altri. Pietro eccelle, perché ama ardentemente il suo Maestro; Giovanni, perché è il suo prediletto; Giacomo perché, insieme con il fratello Giovanni, si dichiarerà capace di bere il calice che Gesù sta per bere : e non si limiterà a fare tale dichiarazione ma dimostrerà con i fatti ciò che ha detto a parole. La sua forza e veemenza nei confronti dei giudei sarà tale che Erode penserà di far grandissimo piacere ai giudei, facendolo decapitare . Ma perché Gesù non li conduce subito sul monte? Si comporta così perché gli altri discepoli non abbiano a provare qualche risentimento umano e, per questa stessa ragione, non precisa neppure i nomi di chi condurrà con sé. Non c’è dubbio che tutti gli apostoli avrebbero un ardente desiderio di seguirlo, poiché andrebbero a vedere una manifestazione della gloria del cielo, e certo sarebbe un dolore sentirsi trascurati. Sebbene il Salvatore mostri ora soltanto un’immagine sensibile e corporea della sua gloria, questo fatto è sufficiente per eccitare un gran desiderio. Ma allora – mi direte voi – perché preannunzia la trasfigurazione? Affinché coloro che ne hanno sentito parlare siano meglio disposti alla visione e, accesi dal desiderio ardente durante i giorni dell’attesa, vi si accostino con animo vigilante e attento. E perché mai Gesù fa comparire al suo fianco Mosè e Elia? Si possono addurre diverse ragioni per rispondere a tale interrogativo. La principale è senza dubbio questa:: il popolo crede che Gesù dia appunto Elia, o Geremia, o qualche altro profeta ; e il Salvatore conduce seco i corifei degli apostoli, in modo che costatino con i loro occhi la differenza esistente tra i servi e il Signore e capiscano che giustamente Pietro è stato da lui lodato quando l’ha riconosciuto e proclamato Figlio di Dio . A questa ragione se ne deve aggiungere anche un’altra. Si sa che i giudei accusavano spesso Gesù di trasgredire la legge e pensavano che fosse un bestemmiatore, perché si attribuiva una gloria che, secondo loro, non gli apparteneva: la gloria di Dio Padre. Essi erano soliti dire: « Non è da Dio quest’uomo perché non osserva il sabato »; ed anche: « Non ti lapidiamo per qualche opera buona, ma per la bestemmia, perché tu, essendo uomo, ti fai Dio ». Ebbene Cristo, volendo dimostrare che l’una e l’altra di queste accuse sono originate dall’invidia ed egli è del tutto innocente delle colpe di cui i giudei gli fanno carico, che cioè non trasgredisce affatto la legge né si attribuisce una gloria che non  gli appartiene dichiarandosi uguale al Padre, chiama a suoi testimoni due uomini che hanno brillato nella custodia della legge e nello zelo della gloria di Dio. La legge infatti era stata data da Mosè: i giudei possono quindi dedurre che questo grande patriarca non andrebbe d’accordo con un uomo che secondo loro calpesta e viola la legge, né il legislatore onorerebbe il proprio nemico. Quanto a Elia, così pieno di fervore e di zelo per la gloria di Dio, non si presenterebbe a fianco di Gesù, né l’ascolterebbe, se fosse contrario a Dio e se falsamente si fosse proclamato Dio, facendosi uguale al Padre, senza esserlo in realtà e senza che tale gloria gli convenisse.

 Si deve aggiungere anche un’altra causa oltre a quelle già addotte. Quale? Gesù vuol far comprendere che egli è il padrone della vita e della morte, e domina sia il cielo che l’inferno. Ecco perché fa venire al suo cospetto sia Mosè che era morto, sia Elia che non lo è . La quinta ragione poi – difatti è la quinta, aggiungendola alle altre – è riportata dallo stesso evangelista. Cristo vuol mostrare ai discepoli quale sarà la gloria della sua croce, vuol confortare Pietro e gli altri che temono la passione, stimolare il loro coraggio ed elevare la loro mente. Infatti Mosè ed Elia, presentatisi accanto a Gesù, non rimangono in silenzio, ma discorrono della gloria che doveva compiere a Gerusalemme , cioè della passione e della croce che essi chiamano sempre con il nome di « gloria ». Ma il Signore non si limita a incoraggiare gli apostoli in questo modo. Li rianima anche ricordando la virtù di questi due grandi uomini, virtù che Gesù esige soprattutto dai suoi discepoli. Siccome poco prima ha detto loro « chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua », fa venire ora al cospetto dei discepoli questi due uomini che mille volte si sono esposti alla morte per compiere la volontà di Dio e per amore del popolo che Dio aveva loro affidato. Si può dire infatti che ciascuno di loro, avendo perduto la propria vita, l’ha ritrovata. Tutti e due non hanno esitato ad affrontare coraggiosamente i tiranni: Mosè si oppose al faraone egiziano, Elia ad Achab, e ciò a favore di uomini ingrati e ribelli. Entrambi infatti corsero estremo pericolo a causa di quegli stessi che avevano salvati. Ambedue, pur essendo semplici uomini, compirono ogni sforzo per sottrarre il loro popolo all’idolatria, sebbene uno non possedesse parola facile né voce forte, e l’altro avesse un aspetto piuttosto rozzo. Entrambi praticarono fedelmente e costantemente la povertà: Mosè non possedeva niente di suo. Elia non aveva altro che la pelle di pecora di cui si copriva. Ed essi amarono la povertà, mentre ancora vigeva l’antica legge e né l’uno né l’altro aveva ricevuto il potere di compiere molti prodigi. Infatti, anche se Mosè poté dividere le acque del mare, Pietro tuttavia camminò sulle acque e poteva inoltre muovere le montagne e guarire ogni genere di malattie, scacciare terribili demoni, compiere grandi prodigi con la sola ombra del suo corpo; convertì infine tutto il mondo. Se Elia resuscitò un morto , gli apostoli ne hanno risuscitati moltissimi, prima ancora di ricevere lo Spirito Santo. Ed ecco un altro motivo per cui il Signore presenta questi due uomini al suo fianco durante la trasfigurazione. Vuole che gli apostoli imitino l’interessamento e l’amore che costoro nutrivano per il popolo, la loro costanza e la loro inflessibilità, in modo che diventino mansueti come Mosè, pieni di zelo come Elia, misericordiosi come entrambi. Elia, infatti, sopportò per tre anni la fame per amore del popolo giudaico . Mosè chiese a Dio: « Perdona i loro peccati, o cancellami altrimenti dal libro che hai scritto ». Ecco tutte le cose che Gesù vuol ricordare ai suoi apostoli mediante questa visione. In realtà se il Signore fa apparire Mosè ed Elia non è perché gli apostoli si fermino al loro livello, ma perché superino il limite della loro virtù e perfezione. Così, quando più tardi i discepoli chiederanno a Gesù: « Vuoi che invochiamo che discenda fuoco dal cielo », rammentando appunto Elia che l’aveva fatto, il Maestro risponderà accusandoli di non sapere a quale spirito appartengano, incitandoli alla pazienza e alla sopportazione per la differenza del dono e della grazia che essi hanno da Dio ricevuto. E voi non crediate che io accusi Elia di avere scarsa virtù, non dico assolutamente ciò. Riconosco anzi l’eccellenza e la perfezione di questo profeta. Ma ai suoi tempi, quando la mente degli uomini era ancora infantile, si aveva bisogno di tale pedagogia. Tenendo conto di questo fatto, diciamo che anche Mosè era perfetto; tuttavia agli apostoli si richiede una perfezione maggiore della sua. Gesù infatti dice ai discepoli: « Se la vostra virtù non sorpassa quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli ». Essi infatti non devono andare soltanto in Egitto, ma in tutto il mondo,  che si trova in condizioni ben peggiori di quanto non fosse l’Egitto ai tempi di Mosè, e non per parlare col Faraone, ma per lottare contro il diavolo stesso, principe di ogni malvagità. La loro battaglia ha come obiettivo di incatenare questo furioso nemico, e di togliergli tutte le sue armi e i suoi strumenti di offesa. E questo appunto essi fanno, non separando le acque del mare, ma dividendo per mezzo della verga di Jesse l’abisso dell’empietà, i cui flutti sono assai più agitati di quelli del Mar Rosso. Provate dunque ad immaginare tutto quanto può suscitar terrore negli uomini: la morte, la povertà, l’infamia e infinite sciagure. Ebbene, tutto ciò fa agli apostoli ben più paura di quanta ne faceva il mare ai giudei. Eppure Cristo li persuade ad affrontare arditamente tutti questi mali, di passare attraverso tutte queste sofferenze, con tutta tranquillità, come sopra la terra asciutta. Desiderando quindi prepararli e allenarli a tutte le difficili imprese che dovranno intraprendere, fa apparire accanto a sé coloro che hanno maggiormente brillato nell’antico Testamento.

Ma vediamo che dice Pietro, sempre ardente, in questa circostanza. Signore, è bene che noi siamo qui . Avendo udito alcuni giorni prima che Gesù doveva andare a Gerusalemme e lì patire, pur temendo ancora e tremando per la sua morte, dopo il rimprovero ricevuto, non osa avvicinarsi di nuovo e ripetergli ancora: « Non sia mai, o Signore! ». Tuttavia il suo timore è ancora tanto forte che in effetti gli ripete con altre parole lo stesso concetto. Siccome vede il monte, il luogo appartato e deserto, pensa che Gesù possa trovarvi maggiore sicurezza, quella cioè che gli offre non solo il luogo isolato, ma anche il fatto di non ritornare più a Gerusalemme. Pietro desidera che Gesù rimanga sul monte per sempre; perciò gli menziona le tende. Qualora ciò avvenga – pensa Pietro – non andremo più a Gerusalemme, e se non vi andremo il Maestro non morirà. In Gerusalemme, infatti, Gesù ha preannunziato la sua cattura da parte degli scribi. Pietro non osa dire apertamente il suo pensiero. Tuttavia, volendo raggiungere il suo scopo, dice con molta sicurezza: «Signore, è bene che noi siamo qui », dove anche Mosè ed Elia sono presenti: Elia che ha fatto scendere fuoco dal cielo, e Mosè che è entrato nella nube e ha parlato con Dio . E in questo modo – sembra aggiungere Pietro – nessuno saprà dove noi siamo.

Ammirate l’amore ardente che Pietro ha per Cristo. Non soffermatevi a rilevare la scarsa opportunità del suo consiglio, ma considerate invece quanto infiammato sia il suo zelo per Cristo. Non parla certo così temendo per sé. Per capire questo, basta ascoltare le parole che egli dice quando Gesù preannunzia la morte e la passione che subirà; io darò la mia vita per te: « dovessi poi morire con te, non ti rinnegherò ». E notate come, in mezzo ai pericoli di quei momenti, egli non si preoccupa per sé e, circondato da tutta quella ciurma, non solo non fuggirà ma, sfoderata la spada, mozzerà un orecchio a uno dei servi del sommo sacerdote. Non si può dunque ragionevolmente pensare ch’egli abbia riguardo per sé: il Maestro è l’oggetto dei suoi timori.

Ora, siccome ha detto troppo categoricamente: « è bene che stiamo qui », si corregge e temendo di essere nuovamente rimproverato aggiunge: Se vuoi, io farò tre tende: una per te, una per Mosè, e una per Elia . Che dici mai, o Pietro? Poco fa tu hai separato il Maestro dai servi; perché ora di nuovo lo enumeri insieme a loro? Vedete quanto sono ancora imperfetti gli apostoli prima della croce! È vero che il Padre ha rivelato il Figlio a Pietro, ma Pietro non ha sempre presente questa rivelazione; egli è ancora turbato non solo dall’angustia di cui vi ho parlato, ma anche dall’apprensione che in lui suscita questa visione. Gli altri evangelisti, per esprimere questo turbamento e dimostrare che il modo confuso con cui l’apostolo parla proviene da quella angustia, riferiscono: « non sapeva quello che diceva, essendo essi pieni di spavento »; Luca, dal canto suo, alle parole di Pietro « Faremo tre tende » aggiunge: « non sapeva quel che dicesse ». Inoltre per farci capire che sono in preda a gran timore, sia Pietro che i suoi compagni, Luca afferma: « erano oppressi dal sonno, ma cercarono di tenersi svegli e videro la sua gloria », chiamando qui « sonno »il grande torpore che la straordinaria visione produce in loro. Sta di fatto che gli apostoli sono accecati dallo splendore della gloria di Gesù, così come accade quando gli occhi vengono abbagliati da una luce troppo forte. La trasfigurazione non si compie di notte, ma di giorno, e il fulgore straordinario di quella luce aggrava la debolezza dei loro occhi. Che accade ora? Il Signore non parla, e neppure Mosè ed Elia parlano. Soltanto il Padre che è più grande di tutti e sta sopra tutti, fa sentire la sua voce da una nube. Perché da una nube? Sempre così si manifesta Dio. David, parlando di Dio, dice: « Densa nube lo circonda », e altrove: « Colui che delle nubi fa il suo cocchio »; « Il Signore siede su una nube leggera »; « Una nube lo sottrasse agli occhi loro »; « Come un figlio di uomo che viene sulle nubi ». La voce del Padre viene dunque da una nube perché gli apostoli credano che la voce venga da Dio; e la nube è luminosa: Pietro parlava ancora, quando una nube luminosa li ricoprì, ed ecco dalla nube una voce che diceva: « Questi è il mio Figlio diletto, in cui io mi compiaccio; ascoltatelo ». Quando Dio vuole minacciare gli uomini, fa apparire una nube scura, come fece sul monte Sinai: « E Mosè entrò nel mezzo della nuvola e nell’oscurità la caligine si levava come vapore ». E David parlando delle minacce di Dio, le paragona « ad acqua tenebrosa nelle nubi dell’aria ». Qui, poiché Dio non vuole spaventare gli apostoli, ma ammaestrarli, la sua voce esce da una nube luminosa. Pietro aveva detto di costruire tre tende: Dio, invece, mostra una tende che non è opera delle mani dell’uomo. Ecco, qui non c’è caligine, né fumo di fornace, ma una luce inimmaginabile e una voce. E per far intendere che quella voce non si riferisce indifferentemente a uno dei tre trasfigurati ma solo a Cristo, quando si ode la voce, Mosé ed Elia scompaiono. se la voce avesse parlato di uno di loro, indifferentemente, non sarebbe rimasto Cristo solo, mentre i due scomparivano. E per ché la nube non avvolge Cristo soltanto, ma tutti? Perché, se avesse avvolto solo Cristo, si sarebbe potuto credere che la voce fosse la sua. L’evangelista volendo quindi dar per certo e sicuro questo fatto, afferma espressamente che la voce viene dalla nube, cioè da Dio. E cosa dice questa voce? « Questi è il mio Figlio diletto ». Se, dunque, Gesù è diletto, non temere, o Pietro. Da tempo ormai tu avresti dovuto conoscere la sua potenza ed avere piena certezza della risurrezione; ma, dato che ancora non sai riconoscerla, ti rassicuri e ti infonda coraggio la voce del padre! Se il Padre è potente, come in effetti è tale, anche il Figlio è ugualmente potente. Non avere quindi più nessuna paura per le sofferenze predette. E se non riesci ancora ad accettare questo fatto, considera almeno che egli non solo è Figlio, ma è amato. Il Padre stesso lo dice: « Questi è il mio Figlio diletto ». Dato che il padre ama il Figlio, che hai da temere tu? Nessuno tradisce colui che ama. Lascia dunque questi timori: quand’anche tu amassi infinitamente Cristo, il tuo amore non potrebbe mai eguagliare l’amore che il Padre ha per lui. Il Vangelo riporta anche queste altre parole del Padre: « in cui mi compiaccio ». Il Padre non ama suo Figlio soltanto perché lo ha generato, ma anche perché gli è uguale in tutto ed ha la sua stessa volontà. Ama dunque il Figlio per un duplice, o meglio, per un triplice motivo. Lo ama perché è suo Figlio, lo ama perché è il suo Figlio « diletto »; lo ama infine, perché in lui si compiace. Ma che significano le parole « in cui mi compiaccio »? È come se dicesse: In lui trovo il mio riposo, in lui è tutta la mia gioia e la mia delizia. E ciò perché gli è uguale in tutto e perfettamente, perché ha una sola volontà con il Padre, e perché, pur rimanendo Figlio, è in tutto una sola cosa con lui che l’ha generato. « Ascoltatelo », continua il Padre; e se vuol essere crocifisso, non opponetevi alla sua volontà.

Nell’udire ciò i discepoli caddero bocconi ed ebbero gran timore. E Gesù, accosta tori, li toccò e disse loro: « Alzatevi e non temete ». E levati che ebbero gli occhi, essi non videro altro che Gesù solo . Perché i discepoli sono colti da grande timore udendo la voce? Eppure una voce simile si era già fatta sentire al Giordano, al momento del battesimo di Gesù, quando era presente gran folla; tuttavia nessuno di coloro che l’udì fu colto da tale paura . In un’altra successiva occasione, quando gli stessi discepoli dicono di aver sentito un tuono, nemmeno allora provano simile spavento. Come mai, quando sono sul monte, cadono a terra? La causa di questa paura sta nella solitudine e nell’altezza del luogo, nel profondo silenzio che ivi regna, nella trasfigurazione del Signore, nella luce intensissima e nella nube che li ha coperti con la sua ombra. Tutti questi eventi straordinari li gettano in un grande sgomento. Tutto quanto hanno visto contribuisce a turbarli, ed essi cadono bocconi, atterriti e insieme sospinti da un sentimento di adorazione.

Ma Gesù, per impedire che questa paura faccia loro perdere il ricordo di quanto han visto, dissipa subito ogni angustia e si mostra da solo, ordinando loro di non comunicare a nessuno quanto hanno contemplato, finché egli non sia risorto dai morti. E nel discendere dal monte, Gesù diede loro questo comando: « A nessuno parlerete della visione fino a che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti ». Cristo vieta loro di parlare di questa visione prima della sua risurrezione, perché quanto più ora gli apostoli manifestano grandi cose a suo riguardo, tanto meno gli uomini le accettano. E in tal modo si accresce lo scandalo che deriva dalla croce. Perciò Gesù fa loro questo divieto, e non dice semplicemente di tacere bensì ricorda nuovamente la passione, con la quale spiega velatamente il motivo del divieto stesso. D’altra parte non li obbliga a mantenere il divieto per sempre, ma fino alla sua risurrezione da morte. E qui notiamo che Cristo cela quanto vi è di terribile nella passione e manifesta solo l’aspetto vantaggioso e lieto. Ma – voi mi chiederete – dopo la risurrezione gli uomini non si sarebbero più scandalizzati? No, vi rispondo- La difficoltà riguarda il tempo che precede la passione. In seguito gli apostoli riceveranno lo Spirito Santo, la forza dei miracoli darà credito alla loro predicazione, e tutto ciò che diranno verrà accettato, perché i fatti stessi con voce più chiara di una tromba proclameranno la potenza del Salvatore e nessuno ostacolo interverrà più a intralciare gli avvenimenti.

Nessuno è più beato degli apostoli, di quei tre in particolare che hanno ottenuto di stare nella nuvola sotto lo stesso tetto del Signore. Ma, se lo vogliamo, anche noi vedremo Cristo: non come lo videro allora gli apostoli sul monte, ma in una luce ancor più risplendente. Quando verrà alla fine del mondo, non sarà come sul Tabor. Gesù deve ora tener conto della debolezza degli apostoli, e può rivelare loro della sua gloria solo quanto essi possono sopportare. Ma nell’ultimo giorno verrà nella gloria stessa del Padre. Allora non sarà accompagnato soltanto da Mosè e da Elia, ma dalla schiera innumerevole degli angeli, dagli arcangeli, dai cherubini, e da tutte quelle moltitudini infinite. Una nube non ricoprirà più il suo capo, ma il cielo stesso sarà dispiegato e aperto. E come quando i giudici stanno per pronunziare pubblicamente la sentenza, i loro assistenti aprono le tende che prima li nascondevano ed essi si mostrano a tutti, così anche allora tutti gli uomini vedranno il Signore seduto sul suo trono e tutto il genere umano si presenterà dinanzi a lui che personalmente li separerà scegliendo tra di loro. Ad alcuni dirà: « Venite, o benedetti dal Padre mio. Perché io ho avuto fame e voi mi avete dato da mangiare », ad altri: « Bravo, servitore buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto ». E ancora, ma con sentenza opposta, dirà a taluni: « Andate via da me, o maledetti, al fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e gli angeli suoi », e condannerà anche altri dicendo: « Servitore malvagio e infedele ». E dividerà alcuni di questi ultimi e li consegnerà nelle mani dei carnefici; comanderà poi che altri, legati mani e piedi, siano gettati nelle tenebre esterne. Dopo che i malvagi saranno tagliati come alberi cattivi dalla scure con cui Dio li aveva minacciati, li accoglierà la fornace, dove cadranno tutti coloro che sono gettati fuori della rete. « I giusti allora splenderanno come il sole », anzi più del sole. Quando infatti Gesù paragona la gloria dei suoi eletti allo splendore e alla bellezza di questo astro, non intende dire che essi splenderanno con la sua intensità di luce. Il Salvatore si serve di questo esempio a noi noto, solo perché qui in terra non vediamo niente di più splendente del sole, ed egli vuole in tal modo rappresentarci il futuro splendore dei giusti. Per tal motivo l’evangelista dice che sul monte il volto di Gesù risplende come il sole; ma il turbamento che in quel momento assale gli apostoli e li fa cadere a bocconi, fa capire che il suo splendore è assai più forte di quello del sole che viene qui preso a paragone: senza dubbio, essi sarebbero stati in grado di sopportare questa luce e non sarebbero caduti a terra se essa non fosse stata luminosa più del sole. I giusti allora brilleranno come e più del sole; mentre i peccatori soffriranno gli estremi tormenti. Non saranno necessari, quel giorno, documenti, né prove, né testimoni. Cristo stesso sarà tutto questo: testimone, accusatore e giudice. Egli conosce perfettamente tutto quanto ci riguarda. « Ogni cosa è nuda e palese agli occhi di lui , al quale dobbiamo dar conto ». Lì non ci sarà né ricco né povero, né potente né debole, né saggio né ignorante, né schiavo né libero, ma tutte queste qualità esteriori svaniranno dinanzi a lui, ed egli esaminerà e giudicherà unicamente le opere. Anche oggi nei nostri tribunali terreni, quando si giudica un uomo reo di tirannia o di assassinio, chiunque egli sia, prefetto, console, o qualunque altra carica egli ricopra, si trascurano tutte queste dignità e se costui è dichiarato colpevole egli subisce l’estrema condanna. Se questo accade nei giudizi terreni, tanto più avverrà nel giudizio di Dio.

Cerchiamo dunque di evitare che questo capiti a noi. Gettiamo via gli abiti sudici. Rivestiamo le armi della luce, e la gloria di Dio ci coprirà. Che cosa c’è di difficile nei comandi di Dio? E cosa c’è che non sia facile? Ascolta il profeta Isaia, e riconosci la facilità di obbedire alla legge divina: « È forse questo il digiuno che a me aggrada: curvar la testa come un giunco e giacere sul sacco e sulla cenere? Sciogli piuttosto ogni legame d’ingiustizia, strappa i vincoli dei contratti pattuiti con la violenza ». Ammirate la sapienza del profeta! Parla dapprima delle cose difficile per escluderle; conduce poi alla salvezza insegnando a praticare precetti facili, facendo vedere che Dio non ha bisogno delle nostre fatiche, ma della nostra obbedienza. Il profeta va anche più lontano e per farci intendere che la virtù è facile, mentre il vizio è pesante e gravoso, si serve di espressioni quanto mai evidenti di per se stesse. Egli chiama infatti la malizia legame e vincolo, mentre definisce la virtù liberazione da tali catene. « Strappa ogni iniqua scrittura » dice il profeta, indicando con queste parole i registri delle usure e dei prestiti. « Lascia andare libero chi è spezzato », cioè è carico di debiti. Il debitore, infatti, quando vede l’usuraio ha il cuore spezzato, e teme chi gli ha prestato il denaro più di una bestia feroce. « Accogli in casa tua » - continua il profeta - « i poveri senza tetto. Se vedi un povero ignudo, vestilo e non disprezzare chi ha lo stesso tuo sangue ».

Nel discorso precedente ho parlato delle ricompense che Dio promette per queste opere di misericordia e della inestimabile ricchezza che esse ci procurano. Oggi esaminiamo invece se esiste davvero qualcosa di faticoso nell’esercitare i comandi di Dio e vediamo se veramente essi sono al di sopra della nostra natura. Vi dichiaro subito che non troveremo niente di difficile, ma il contrario. Tutte queste opere sono di una assoluta facilità. Ciò che esige sudori è fare il male. Che c’è infatti di più molesto che prestare a usura il proprio denaro, costantemente preoccupati dagli interessi, e cercare nuovi impieghi per i propri soldi, chiedere garanzie, essere infine tormentati dal timore per i pegni ricevuti, per il proprio capitale, per i contratti, gli interessi, le cauzioni? Tali sono i traffici del mondo. Questa apparente e immaginata sicurezza è la più fragile di tutte ed è sospetta. Fare elemosina, al contrario, è assai più facile e non arreca nessuna inquietudine.

Non speculiamo quindi sulle disgrazie e sulle miserie altrui, non esercitiamo più questo infame commercio con il denaro che potrebbe beneficare tanti. So che molti di voi non gradiscono sentire tali discorsi. Ma che guadagno avresti, se io tacessi su questo argomento? Se tacessi e non vi molestassi con le mie parole, il mio silenzio non vi libererebbe dall’inferno, ma accadrebbe il contrario. Tale silenzio aumenterebbe la gravità dei vostri supplizi e non solo dei vostri, ma anche a me procurerebbe la condanna e il castigo. A che serve dunque la dolcezza delle parole, se non porta aiuto alle opere, anzi reca loro danno? Che utile avreste se adulandovi con parole gradite, poi nella realtà vi causasse dolore? Se compiacessi l’udito e lasciassi perire le vostre anime? È necessario dunque darvi qui dispiacere, per non causarvi di là un castigo eterno.

Terribile, infatti, o carissimi, terribile è la malattia che ha colpito la Chiesa e che abbisogna di un potente rimedio. Coloro che hanno avuto il comando di non accumulare ricchezze, neppure con il loro giusto lavoro, ma di aprirle invece ai poveri, sono proprio essi che si arricchiscono con la povertà altrui, inventando una rapina di bella apparenza e un genere di avarizia che ha buoni pretesti. E non mi citate le leggi profane; anche i pubblicani osservano le leggi, ma sono ugualmente condannati e castigati da Dio. Ebbene, non dubitiamo che lo saremo anche noi, se non cessiamo di opprimere i poveri, se continuiamo  ad approfittare delle loro pressanti necessità, del nutrimento che è loro indispensabile e di ogni occasione per il più vergognoso dei commerci. Se avete ricchezze è per soccorrere i poveri, non per speculare sulla loro miseria. Tu, con l’apparenza di aiutare chi  ha bisogno, di fatto aggravi la sua povertà e vendi a caro prezzo la tua filantropia. Vendi il tuo denaro, non te lo vieto, ma per il regno dei cieli. Non contentarti di un piccolo guadagno per un’opera di tal genere: non pretendere l’usura centesima , ma la vita eterna. Perché vi condannate a tale meschinità, a un guadagno tanto disprezzabile? Avete dunque l’anima tanto piccina da vendere ciò che vale a poco prezzo, per ricchezze che periscono, mentre potreste vendere ciò che avete per il regno dei cieli, che rimane per l’eternità? Perché lasciate Dio e cercate guadagni e profitti dagli uomini? Perché passate al largo di chi è ricco, mentre andate a molestare chi non possiede nulla e, trascurando chi potrebbe rendervi enormi guadagni, parlate e trattate con chi è inesperto e sconsiderato? Il primo non desidera altro  che di restituirvi quanto gli date, l’altro invece ve lo restituisce difficilmente. Uno a stento vi rende la centesima parte di ciò che gli avete prestato, mentre l’altro vi offre il centuplo e la vita eterna. L’uno vi restituisce quanto vi deve con ingiurie e insulti, l’altro ve lo rende con lodi e benedizioni. L’uno cerca di attirarvi molestie, l’altro invece intreccia per voi corone. Costui ti paga in questa vita e nell’altra; il primo, a mala pena, quaggiù. Non è dunque il colmo della follia non sapere neppure come far fruttare il proprio denaro? Quante sono le persone che per le loro usure hanno perduto anche i loro capitali! Quanti altri hanno corso rischi per aver voluto trarre eccessivo guadagno dai loro soldi. E, infine, quanti hanno precipitato se stessi ed altri nella completa povertà per colpa della loro incredibile e insaziabile avarizia!

E non venite a dirmi che i vostri debitori ricevono volentieri il vostro denaro e vi ringraziano per il vostro prestito. Difatti questo ringraziamento vi viene rivolto solo a motivo della vostra crudeltà. Perché anche Abramo, abbandonando la moglie nelle mani degli egiziani, ricorse a un’astuzia per essere gradito, ma non fece ciò di buon grado, bensì per paura del Faraone . Così si comporta il povero. Siccome voi non lo ritenete degno del denaro che gli prestate, è costretto a rendervi grazie per la vostra crudeltà. A me pare che voi, se salvaste un uomo da un pericolo mortale, esigereste da lui una somma per tale aiuto. Dio ci scampi, voi mi rispondete. Non avvenga una cosa simile. Ma che dici mai? Ebbene, voi non volete chiedere denaro a un uomo che avete salvato da un pericolo mortale, e poi mostrate grande crudeltà chiedendo denaro a chi avete soccorso in un bisogno assai meno grave? Non vedete, dunque, quale punizione vi viene riserbata per questa condotta? E non vi ricordate che anche nell’antica legge questa pratica era proibita? Ma con quale scusa replica la maggior parte di questi avari? È vero – essi dicono – io prendo l’interesse, ma lo do ai poveri. Non bestemmiare, o uomo, Dio non vuole simili sacrifici. Non sofisticate la legge di Dio. È meglio non dar niente ai poveri, anziché dar loro denaro guadagnato in modo così crudele. Sovente voi convertite un capitale, frutto di onesto lavoro, in denaro iniquo per colpa dei vostri traffici usurari, e il vostro atto è paragonabile a quello di chi forzasse un seno puro e fecondo a generar scorpioni. Ma perché vi parlo della legge di Dio? Non riconoscete forse anche voi che l’usura è una sudicia attività? E se voi stessi, che profittate di questa usura, la giudicate in tal modo, pensate quale sentenza Dio darà su di voi. Se consultate i legislatori e i giuristi di questa terra, essi vi dichiareranno che l’usura è stata sempre considerata come la più grave delle vergogne. Per tale ragione le leggi umane non hanno mai permesso alle persone che occupano cariche elevate, come i senatori, di disonorarsi con simili guadagni; anzi vi è una legge che vieta espressamente a costoro di praticare l’usura. Come dunque non fremete e non tremate voi che accordate minor dignità ai cittadini del cielo di quanta ne concedano i legislatori al senato dei romani; voi che tenete in minor conto il cielo della terra e non provate vergogna bel difendere con tanta sfrontatezza questo iniquo traffico. C’è forse qualcosa di più insensato che impegnarsi a seminare senza terra, senza pioggia, senza aratro? Perciò quanti seminano in tal modo raccoglieranno zizzania, che sarà gettata nel fuoco. Non vi sono forse molte attività giuste e legittime per guadagnarsi la vita? Non si può forse coltivare la terra, allevare bestiame ovino, bovino e d’ogni altra specie, lavorare con le proprie mani e amministrare i propri beni? Perché siete così insensati e pazzi da mettervi a coltivar spini, senza alcun frutto? Voi forse mi risponderete che i frutti della terra sono soggetti a molti accidenti: la grandine, la ruggine del grano, le eccessive piogge. Ma sono paragonabili questi pericoli a quelli che voi correte nel praticare l’usura? Tutte le avversità atmosferiche possono al massimo danneggiare i frutti, cioè il reddito, mentre il capitale che è il campo, rimane intatto. Al contrario, praticando l’usura, molti hanno fatto sovente naufragio anche nel capitale. E anche prima di subire perdite, gli usurai si trovano in continue angustie. L’usuraio non si gode mai le sue ricchezze, né mai prova gioia per esse. Quando qualcuno gli restituisce del denaro, egli non si rallegra di aver ricevuto questa entrata, ma si tormenta sempre perché l’interesse riscosso non uguaglia il capitale prestato. Nella misura che il denaro gli viene reso, torna a prestarlo ad altri, capitalizzando gli interessi, e forza questi ingiusti profitti a produrre altri iniqui interessi, quali aborti e prematuri parti di vipere. Tali illeciti guadagni rodono infatti e divorano l’anima di questi disgraziati usurai con maggior furore delle stesse vipere. Ecco cosa sono « i legami d’iniquità » di cui parla il profeta e « i vincoli di contratti pattuiti con la violenza ». Io ti do, dice l’usuraio, non perché tu riceva, ma perché tu mi restituisca molto più di quanto ti ho dato. ma come? Dio non vuole neppure che voi esigiate la restituzione di quanto avete donato: « Date » - dice Cristo - « a coloro da cui non sperate di ricevere niente », e voi pretendete di ricevere più di quanto avete dato? Ed esigete, come pagamento di un debito, denaro che voi non avete versato. Usando tale mezzo voi credete di aumentare il vostro patrimonio, mentre non fate altro che attizzare il fuoco inestinguibile.

Orbene, per evitare di cadere nel fuoco eterno, strappiamo per sempre da noi l’usura, tagliamo e lasciamo seccare questa malvagia e funesta radice di frutti iniqui  e illeciti, e aspiriamo soltanto ai veri e grandi guadagni. Ma quali sono? Ascoltate Paolo che dice: « È  un gran mezzo di guadagno la pietà, per chi si contenta della propria condizione »{889}. Aspiriamo quindi a tale ricchezza, se vogliamo godere pace e sicurezza quaggiù e ottenere i beni futuri, per la grazia e l’amore di nostro Signore Gesù Cristo. A lui la gloria e il potere insieme con il Padre e con lo Spirito Santo, ora e sempre e per i secoli dei secoli. Amen.

Discorso Cinquantaseiesimo – Mt. 16, 28 - 17, 9 di San Giovanni Crisostomo - Tratto da  "COMMENTO AL VANGELO DI SAN  MATTEO" vol. 2°




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