sabato 26 agosto 2023

Venuto poi Gesù nelle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: « Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo »... Commento di San Giovanni Crisostomo


1. – Per quale motivo l’evangelista cita qui il nome del fondatore di questa città? Lo fa perché c’è un’altra Cesarea, quella chiamata di Stratone. Non è in quest’ultima città che Gesù interroga gli apostoli, ma a Cesarea di Filippo, dove li ha condotti lontano dai giudei, in modo che liberi da ogni preoccupazione possano dire liberamente quanto pensano di lui.
E perché Cristo non chiede subito che cosa pensino essi stessi della sua persona, ma domanda prima che cosa dice il popolo? Si comporta così perché, dopo che essi hanno espresso il pensiero della gente, rivolgendo loro la domanda: « Ma voi chi dite che io sia? », li eleva, con il tono stesso dell’interrogazione, a pensieri e sentimenti più elevati nei suoi confronti: così essi non cadranno nella bassa opinione e nelle idee ancora terrene della moltitudine. Ecco perché non ha posto loro una simile domanda all’inizio della sua predicazione. E aspetta anche a interrogarli dopo aver compiuto molti miracoli, dopo aver rivelato molte verità sublimi e aver dato tante prove della sua divinità e della sua uguaglianza con il Padre. Neppure chiede che cosa dicono di lui gli scribi e i farisei, sebbene i farisei e gli scribi siano andati spesso da lui per discutere. Domanda invece agli apostoli: « Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo », mostrando di voler conoscere il pensiero del popolo che non è corrotto. Difatti, anche se le sue idee sono più basse del conveniente, sono perlomeno prive di malizia, mentre l’opinione dei farisei è piena di malvagità. E per dimostrare come egli voleva vivamente che si riconoscesse il mistero dell’incarnazione, dice: « il Figlio dell’uomo », designando in tal modo la sua divinità. Il che fa anche altrove in molte occasioni, come quando dichiara: « Nessuno ascese in cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo », o quando annuncia: « E se vedeste il Figlio dell’uomo ascendere, dove già prima era? ».
Alcuni dicono che tu sia Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o uno dei profeti ; e non appena i discepoli gli hanno riferito queste erronee opinioni, allora Gesù aggiunge quest’altra domanda: Ma voi chi dite che io sia?  per stimolarli, come ho già detto, ad avere di lui idee più nobili ed elevate, e per dimostrare nel contempo che l’opinione del popolo è assai inferiore alla sua dignità. Ecco il motivo di questa seconda domanda rivolta agli apostoli: Gesù vuole allontanare i suoi discepoli da simili supposizioni popolari. La folla, vedendo il Salvatore compiere miracoli tanto al di sopra delle possibilità umane, lo considera sì come un uomo, però come un uomo del passato, risuscitato dalla morte, come diceva Erode stesso. Perciò il Signore chiede ai discepoli: « Ma voi chi dite che io sia? », voi che siete continuamente con me, che mi vedete compiere un così grande numero di miracoli e che ne avete fatti tanti voi stessi in mio nome.
Che fa ora Pietro, lui che è la bocca degli apostoli? L’apostolo sempre ardente, il corifeo della schiera degli apostoli, quando tutti sono interrogati, risponde lui solo. È da notare che quando Cristo chiede l’opinione che il popolo ha di lui, tutti indistintamente rispondono alla sua domanda; ma ora che vuol sapere il loro pensiero, Pietro previene e precede tutti gli altri, dicendo: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente .
E che gli risponde Cristo? Beato te Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue te l’ha rivelato . In verità, se Pietro non l’avesse riconosciuto come il vero Figlio di Dio, generato dal Padre stesso, la sua risposta non sarebbe stata opera di una rivelazione divina. Se egli avesse creduto che Gesù era uno dei tanti, le sue parole non avrebbero meritato che si dichiarasse « beato » colui che le esprimeva. Anche prima di questo fatto gli apostoli che si trovavano nella barca, dopo la burrasca di cui erano stati testimoni, avevano affermato: « Tu sei veramente figlio di Dio » senza peraltro che Gesù li chiamasse « beati » benché essi avessero detto « veramente ». In realtà non avevano riconosciuto la filiazione divina quale Pietro ora professa. Allora essi credevano che Gesù, uno dei tanti, fosse veramente figlio di Dio, scelto sì fra tanti, ma non realmente della stessa sostanza del Padre.

2. – Anche Natanaele del resto aveva dichiarato: « Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele » ; ma Gesù, anziché chiamarlo « beato », l’aveva ripreso per aver detto cose molto inferiori alla verità: « Perché ti ho detto che ti ho veduto sotto il fico, tu credi; vedrai cose ben maggiori di queste ». Perché, dunque, Cristo proclama Pietro « beato »? Perché egli lo ha riconosciuto e confessato come vero Figlio, naturale e legittimo, di Dio. Per questo Gesù non ha detto niente di simile negli altri casi, mentre qui dichiara che il Padre che è nei cieli ha rivelato ciò a Pietro . Volendo impedire a molti di credere che Pietro, dato che lo amava ardentemente, l’abbia chiamato Figlio di Dio per affetto e per adulazione, o per desiderio di compiacerlo, Gesù manifesta pubblicamente chi è colui che ha ispirato nell’anima di Pietro quelle parole. Così noi sappiamo che è Pietro che parla, ma è il Padre che gli detta quelle parole, e non consideriamo più quella espressione come un’opinione umana ma la crediamo come dogma divino. E perché Cristo non si manifesta personalmente e non proclama di essere il Messia? Perché preferisce che siano i discepoli a riconoscerlo e dichiararlo tale, rispondendo alle domande che pone loro? Senza dubbio perché gli è più congeniale agire in questo modo,, perché tale comportamento è necessario e più adatto ad attrarre i discepoli a credere quanto essi stessi hanno proclamato. E vedete come il Padre rivela il Figlio e il figlio rivela il Padre? Gesù stesso dice che nessuno conosce il Padre  se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Non è quindi possibile conoscere il Figlio se non attraverso il Padre, né conoscere il Padre se non attraverso il Figlio: questo fatto è una prova dell’uguaglianza della loro gloria e dell’identità della loro sostanza. Dopo che Pietro gli ha reso questa testimonianza, che cosa dice Cristo? « Tu sei Simone, figlio di Giona: tu ti chiamerai Cefa ». È come se gli dicesse: tu hai nominato il Padre mio, e io nomino il padre tuo; come tu sei figlio di Giona, io sono Figlio del Padre mio. Sarebbe infatti superfluo che Gesù chiamasse Simone « figlio di Giona », se in queste parole non vi fosse un significato sottinteso. Siccome Pietro ha detto « tu sei il Figlio di Dio », così il Maestro a sua volta aggiunge quelle parole per farci intendere che come Simone è figlio di Giona, così egli è Figlio di Dio, cioè della stessa sostanza del Padre.
Ora anch’io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa . « Su questa pietra » - dice Gesù - « io edificherò la mia Chiesa », cioè sulla fede dimostrata in questa confessione. Con tali parole indica che molti un giorno crederanno, eleva lo spirito e i sentimenti dell’apostolo e lo costituisce pastore della sua Chiesa, rassicurandolo: le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa . Se le porte dell’inferno non potranno vincere la mia Chiesa, molto meno potranno vincere me. Ti dico questo – sembra aggiungere Gesù - affinché tu non ti turbi quando sentirai che verrò consegnato ai miei nemici e sarò crocifisso.
E all’onore di essere pastore della sua Chiesa, ne aggiunge anche un altro: e io a te darò le chiavi del regno dei cieli . Che vuol dire « io a te darò »? Significa che come il Padre ti ha dato la grazia di conoscermi, così anch’io ti darò queste chiavi. Non dice: pregherò il Padre perché te le dia. Eppure grande era quella manifestazione di autorità e ineffabile l’eccellenza del dono; ma dice: « io a te darò ».
E cos’è questo dono che gli fa? « Le chiavi del regno dei cieli »; e ciò che legherai sulla terra resterà legato nei cieli, e ciò che scioglierai sulla terra resterà sciolto nei cieli . Come mai colui che ora dice « io a te darò », altrove afferma che non spetta a lui dare ad alcuno il diritto di sedersi alla sua destra o alla sua sinistra? Osservate come Gesù porta l’apostolo ad avere sentimenti e pensieri più sublimi nei suoi confronti, come si rivela a lui e gli dichiara di essere il Figlio di Dio con le due promesse che gli fa. Promette due doni che riguardano esclusivamente il potere di Dio, cioè rimettere i peccati, rendere la sua Chiesa salda e stabile in mezzo a così violento impeto di flutti e far diventare un semplice pescatore più forte e solido della pietra, anche se tutto il mondo gli farà una guerra senza quartiere. Gesù si comporta con Pietro come il Padre con Geremia, quando gli disse che lo avrebbe reso solido come una colonna di ferro  e come un muro di bronzo . C’è però questa differenza: Geremia era esposto alle aggressioni di un solo popolo, mentre Pietro lo sarà a quelle di tutti i popoli della terra.
Volentieri domanderei ora a quanti vogliono diminuire la dignità del Figlio: sono più grandi i doni che il Padre fa a Pietro, o quelli che gli fa il Figlio? Il Padre ha concesso a Pietro la rivelazione del Figlio; ma il Figlio gli ha concesso di propagare nel mondo intero la conoscenza del Padre e la sua propria, e a un uomo mortale ha dato il potere su tutto quanto è nel cielo, donandogli le « chiavi ». Egli ha esteso la Chiesa su tutta la terra e l’ha manifestata più ferma e salda del cielo stesso. Infatti « il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno ». Come può, dunque, essere inferiore al padre colui che dà tali doni e compie opere così grandi? Non dico questo per distinguere e separare le opere del Padre e del Figlio: « Tutte le cose », infatti, « sono state fatte per lui e niente è stato fatto senza di lui », ma per chiudere la bocca a quegli insolenti e temerari che hanno l’ardire di pronunziare simili affermazioni.

3. – Notate inoltre con quale autorità Gesù parla in tutto questo passo: « Io ti dico: tu sei Pietro »; « Io edificherò la mia Chiesa »; « Io a te darò le chiavi del regno dei cieli ». Ma dopo aver detto ciò, allora impose ai discepoli di non dire a nessuno che egli era il Cristo . A che scopo fa loro tale divieto? Egli vuol eliminare tutto quanto può scandalizzare gli uomini, desidera che si compia il mistero della croce, che siano consumate tutte le altre sue sofferenze e non rimanga più niente che possa impedire e turbare in qualche modo la fede di molti in lui: allora soltanto, pura e immutabile, potrà essere impressa nell’anima di coloro che ascolteranno l’idea adeguata che di lui dovranno avere. Finora il suo potere non è mai rifulso in tutta la sua chiarità. Pertanto egli vuole che i suoi discepoli rimandino la proclamazione della sua potenza al momento in cui sarà meglio conosciuta la verità dei misteri di Cristo e la forza sorprendente dei fatti darà maggior credito alla loro predicazione. È ben diverso, infatti, veder Gesù nella Palestina, sia quando opera miracoli, sia quando subisce ingiurie ed è perseguitato e soprattutto allorché la croce sta per concludere quei prodigi straordinari, dal vederlo adorato in tutto il mondo, riconosciuto ovunque con fede vigorosa e innalzato per sempre al di sopra di tutte le sofferenze terrene alle quali si è assoggettato. Ecco perché ordina agli apostoli di non dire ancora ch’egli è il Cristo. Quando si strappa qualcosa che ha messo radici, a gran fatica ciò si radica nuovamente nell’animo di molti; ma una volta che, ben piantato e radicato, l’albero resta fermo e nessuno gli reca danno, allora facilmente allunga i suoi rami e ogni giorno cresce sempre più. I discepoli, che pur hanno visto compiere al Salvatore tanti miracoli e hanno partecipato ai suoi ineffabili misteri, si scandalizzano al sol udir parlare della croce, e non solo essi, ma anche Pietro, il capo di tutti. Ebbene, giudicate quale turbamento avrebbero subito moltissimi, se da un lato avrebbero appreso che Gesù era il Figlio di Dio, e dall’altro l’avessero visto inchiodato alla croce e coperto d’ignominia, non conoscendo neppure il segreto di questi misteri, né avendo ricevuto il dono dello Spirito Santo. Se lo stesso Gesù dichiara agli apostoli di avere ancora molte cose da dire, ma che essi non possono ancora intenderle, tanto meno sarebbe stata capace di capire la folla, se prima del tempo opportuno le fosse stato rivelato il più alto di tutti i misteri. È dunque questo il motivo per cui Gesù fa tale divieto ai discepoli. E per far intendere ancora meglio quanto era opportuno che, solo quando ciò che poteva scandalizzare fosse passato, si apprendesse pienamente tale sublime verità, non c’è che da considerare quanto accadde a Pietro, il corifeo degli apostoli. Costui, pur avendo visto tanti miracoli, si dimostra così debole, che rinnega il Maestro per timore di una fantesca. Tuttavia, quando si è compiuto il mistero della croce e la risurrezione del Salvatore è irrefutabilmente dimostrata, quando niente può più scandalizzarlo né turbarlo, mantiene tanto saldo e forte in cuore l’insegnamento dello Spirito che con maggior violenza di un leone irrompe in mezzo ai giudei, anche se innumerevoli pericoli di morte lo minacciano. « Avrei ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete in grado di intenderle », dice Gesù. D’altra parte i discepoli non comprendono ancora molte delle cose dette, ma non spiegate da Cristo prima di morire in croce. Quando egli risorgerà, allora riusciranno a comprenderne alcune. Giustamente, dunque, il Signore comanda loro di non parlare alla moltitudine prima della sua morte in croce, dal momento che nemmeno ai discepoli, i quali in seguito dovranno pur insegnare, egli pensa di manifestare tutto prima della crocifissione.
Da allora in poi cominciò Gesù a render noto ai suoi discepoli che bisognava che egli soffrisse . Che vuol dire « da allora »? L’evangelista vuol intendere dal momento in cui Gesù ha impresso nell’anima degli apostoli il dogma della sua filiazione divina e ha introdotto nella sua Chiesa le primizie dei gentili. Tuttavia, neppur così i discepoli comprendono le parole di Cristo: « era per loro un enigma ». Essi si trovano come avvolti da una nebbia, non sapendo che Gesù dovrà risorgere da morte. Perciò il Signore insiste su questo argomento difficile da comprendere e da accettare, amplia il suo discorso cercando di aprire la loro mente, in modo che possano finalmente intendere. Ma « essi non ne capirono nulla; era per loro un enigma ». Addirittura non osano chiedergli, non solo se dovrà davvero morire, ma neppure come e per quale motivo egli dovrà morire. Che mistero è mai questo? Non sapendo che cosa significhi risorgere, credono sia molto meglio non morire affatto.
E mentre gli altri apostoli sono in preda al turbamento e al dubbio, di nuovo Pietro, sempre ardente, è l’unico che osa parlare di questo argomento; e neppure lui ha il coraggio di farlo pubblicamente, ma solo traendo Gesù in disparte; si allontana cioè dagli altri discepoli dicendo: Non sia mai, Signore, questo non ti avverrà  . Che accade ora? Colui che ha ricevuto una così eccezionale rivelazione ed è stato chiamato « beato », precipita così rapidamente in basso, tanto è intimorito dall’annunzio della passione di Cristo! Per rendervi conto che Pietro quando ha proclamato la divinità di Gesù non ha parlato di sua scienza, considerate come egli sia colto da un vertiginoso turbamento quando sente parlare di cose che Dio non gli ha rivelato e, pur sentendo ripetere infinite volte la stessa cosa, non comprende di che si tratta. Pietro ha appreso che Gesù è il Figlio di Dio; tuttavia il mistero della croce e della risurrezione non gli sono stati ancora manifestati. E difatti, come dice l’evangelista, le parole di Cristo sono scure per i discepoli. Capite che a ragione Cristo vieta loro di parlare agli altri? Se questa veirtà turba in tal modo coloro che hanno necessità di apprenderla, che cosa non proverebbero gli altri? Ma il Signore, allo scopo di dimostrare che va volontariamente alla passione, rimprovera severamente Pietro e lo chiama « satana ».

4. – Ascoltino bene quanti si vergognano della croce di Cristo! Se il capo degli apostoli, anche prima d’intendere chiaramente questo mistero, è chiamato « satana » perché si è turbato e vergognato di esso, quale scusa potranno avere e che perdono riusciranno a ottenere coloro che dopo tante dimostrazioni negano l’economia della croce? Se colui che è stato proclamato « beato » perché ha fatto una così gloriosa professione di fede nella divinità di Cristo, s’è sentito poi definire in tal modo, come dovranno soffrire un giorno coloro che dopo tutto ciò respingono e annullano il mistero della croce? E Gesù non dice a Pietro che il diavolo parla per la sua bocca, ma gli dice: Vattene da me, satana!  E in realtà il desiderio dell’avversario era che Cristo non patisse. Gesù lo rimprovera con tanta severità, perché sa benissimo che Pietro e gli altri apostoli temono questo e hanno difficoltà ad accettarlo.
Ecco perché egli svela anche i pensieri dell’apostolo dicendo: Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini . Orbene, che vogliono dire queste parole «Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini »? Pietro, considerando la passione con ragionamento umano e terreno, la giudica vergognosa e indegna di Cristo. Ma il Signore lo attacca vigorosamente e gli dice in sostanza: non è affatto indegno che io patisca; tu invece giudichi la passione con idee carnali. Se tu avessi ascoltato le mie parole secondo lo spirito di Dio, libero da ogni sentimento e pensiero carnale, comprenderesti che proprio questa morte in croce è degna e decorosa per me. Tu ritieni che il patire sia indegno di me, io invece ti dico che è intenzione e volontà del diavolo opporsi alle mie sofferenze. Ecco come Gesù con ragioni contrarie cerca di dissipare l’angoscia dell’apostolo. Come il Salvatore aveva persuaso Giovanni a battezzarlo, benché il Battista ritenesse il suo battesimo di Gesù, affermando che era conveniente per entrambi, e allo stesso Pietro che tentava di non farsi lavare i piedi aveva detto: « Se non ti laverò, non avrai parte con me » , nello stesso modo anche ora lo frena con un ragionamento opposto, mentre, con la severità del rimprovero, sopprime il timore che gli ispira la passione.
Che nessuno, dunque, si vergogni dei segni sacri e venerabili della nostra salvezza, della croce che è la somma e il vertice dei nostri beni, per la quale noi viviamo e siamo ciò che siamo. Portiamo ovunque la croce di Cristo, come una corona. Tutto ciò che ci riguarda si compie e si consuma attraverso di essa. Quando noi dobbiamo essere rigenerati dal battesimo, la croce è presente; se ci alimentiamo di quel mistico cibo che è il corpo di Cristo, se ci vengono imposte le mani per essere consacrati ministri del Signore, e qualsiasi altra cosa facciamo, sempre e ovunque ci sta accanto e ci assiste questo simbolo di vittoria. Di qui il fervore con cui noi lo conserviamo nelle nostre case, lo dipingiamo sulle nostre pareti, lo incidiamo sulle porte, lo imprimiamo sulla nostra fronte e nella nostra mente, lo portiamo sempre nel cuore. La croce è infatti il segno della nostra salvezza e della comune libertà del genere umano, è il segno della misericordia del Signore che per amor nostro si è lasciato condurre come pecora al macello. Quando, dunque, ti fai questo segno, ricorda tutto il mistero della croce e spegni in te l’ira e tutte le altre passioni. E ancora, quando ti segni in fronte, riempiti di grande ardimento e ridà alla tua anima la sua libertà. Conosci bene infatti quali sono i mezzi che ci procurano la libertà. Anche Paolo per elevarci alla libertà che ci conviene ricorda la croce e il sangue del Signore: « A caro prezzo siete stati comprati. Non fatevi schiavi degli uomini ». Considerate, egli sembra dire, quale prezzo è stato pagato per il vostro riscatto e non sarete più schiavi di nessun uomo; e chiama la croce « prezzo » del riscatto.
Non devi dunque tracciare semplicemente il segno della croce con la punta delle dita, ma prima devi inciderlo nel tuo cuore con fede ardente. Se lo imprimerai in questo modo sulla tua fronte nessuno dei demoni impuri potrà restare acanto a te, in quanto vedrà l’arma con cui è stato ferito, la spada da cui ha ricevuto il colpo mortale. Se la sola vista del luogo ove avviene l’esecuzione dei criminali fa fremere d’orrore, immagina che cosa proveranno il diavolo e i suoi demoni vedendo l’arma con cui Cristo sgominò completamente il loro potere e tagliò la testa del dragone. Non vergognarti, dunque, di così grande bene se non vuoi che anche Cristo si vergogni di te quando verrà nella sua gloria e il segno della croce apparirà più luminoso dei raggi stessi del sole. La croce avanzerà allora e il suo apparire sarà come una voce che difenderà la causa del Signore di fronte a tutti gli uomini e dimostrerà che nulla egli tralasciò di fare – di quanto era necessario da parte sua – per assicurare la nostra salvezza. Questo segno,  sia ai tempi dei nostri padri come oggi, apre le porte che erano chiuse,, neutralizza l’effetto mortale dei veleni, annulla il potere letale della cicuta, cura i morsi dei serpenti velenosi. Infatti, se questa croce ha dischiuso le porte dell’oltretomba, ha disteso nuovamente le volte del cielo, ha rinnovato l’ingresso nel paradiso, ha distrutto il dominio del diavolo c’è da stupirsi se essa ha anche vinto la forza dei veleni, delle belve e di altri simili mortali pericoli?

5. – Imprimi, dunque, questo segno nel tuo cuore e abbraccia questa croce, cui dobbiamo la salvezza delle nostre anime. È la croce infatti che ha salvato e convertito tutto il mondo, ha bandito l’errore, ha ristabilito la verità, ha fatto della terra cielo, e degli uomini angeli. Grazie a lei i demoni hanno cessato di essere temibili e sono divenuti disprezzabili; la morte non è più morte, ma sonno. Per la croce tutto quanto combatteva contro di noi rimane a terra e viene calpestato. Se pertanto qualcuno ti chiedesse: Tu adori colui che è stato crocifisso?  rispondigli con voce chiara e con volto gioioso: Sì, io l’adoro, e non cesserò mai di adorarlo. E se quello ride di te, tu compiangilo perché è stolto.
Rendiamo grazie al Signore che ci ha concesso doni così straordinari che nessuno potrebbe comprendere senza la rivelazione dall’alto. Quel tale infatti si prende gioco di voi, perché « l’uomo animale non percepisce le cose dello Spirito ». La stessa cosa accade anche ai bambini, quando vedono cose grandi e meravigliose. Se tu porti un bambino a vedere uno dei più sacri misteri, riderà. A tali bambini assomigliano i gentili o, meglio, sono ancora più imperfetti e di conseguenza più miserabili in quanto, non essendo piccoli ma in età avanzata, hanno sentimenti e pensieri ancora puerili; e questo fatto li rende del tutto inescusabili.
Ma noi, levando forte e alto il nostro grido, proclamiamo e affermiamo con voce chiara, e con maggior libertà e franchezza se tutti i pagani sono presenti e ascoltano, che tutta la nostra gloria è la croce, che essa è la somma e il vertice di tutti i beni, la nostra fiducia e speranza, e tutta la nostra corona.
Vorrei anche potervi dire con Paolo: « Il mondo è crocifisso per me come io per il mondo », ma io non lo posso dire perché sono ancora dominato dam varie passioni. Io esorto anche voi, ma prima che a voi rivolgo questa esortazione a me stesso: vi scongiuro di crocifiggervi al mondo, di non aver più niente in comune con la terra e di amare invece la patria celeste, la gloria e i beni di lassù.
Noi siamo soldati del re del cielo e abbiamo rivestito armi spirituali. Perché dunque ci abbassiamo a vivere come gli ultimi tra gli uomini, o peggio, a vivere come i vermi? I soldati non devono forse essere laddove è il loro re. E noi non siamo di quelli che stanno a distanza, ma di quelli che stanno sempre vicini. I re della terra non permettono certo che tutti i loro soldati abitino nei loro palazzi, né che sempre siano al loro fianco. Ma il re dei cieli vuole che tutti stiano sempre intorno al suo trono regale. Ma come è possibile – voi mi direte, - vivendo noi quaggiù, essere contemporaneamente presso quel trono? Eppure anche Paolo, pur vivendo come noi sulla terra, era sempre là dove stanno i serafini e i cherubini ed era più vicino a Cristo di quanto le guardie del corpo siano vicine ai loro capi. Questi soldati infatti volgono spesso il loro sguardo da una parte o dall’altra. Niente invece distraeva l’Apostolo, nessuna cosa distoglieva il suo sguardo, ma tutti i suoi pensieri erano rivolti e fissi al suo re, a Cristo. Così, se vogliamo, anche a noi è possibile ciò. Se il Signore fosse in un luogo assai distante, potreste trovare qualche difficoltà a stargli accanto9: ma siccome è presente dovunque, per l’anima fervorosa e vigilante egli è vicino. Non è forse la presenza di Dio che fa dire a David: « Non temerò alcun male, perché tu sei con me »?  E Dio stesso dichiara: « Sono un Dio vicino, non un Dio lontano ». Come i peccati separano da Dio, così la giustizia avvicina a lui. « Quando ancora tu starai parlando, io ti dirò: eccomi ». Quale padre ascolterebbe così prontamente le richieste dei suoi figli? Quale madre sarebbe così attenta e vigilante per sentire se i suoi bambini la chiamano? Non c’è nessuno, né padre, né madre, ma solo Dio che stia continuamente aspettando se mai qualcuno dei suoi l’invochi; ed egli ci esaudisce sempre se lo chiamiamo come si conviene. Ecco perché egli afferma: « Quando ancora starai parlando ». Cioè, non attendo che tu termini la preghiera, ma subito ti esaudisco.
Invochiamo dunque Dio come vuole essere invocato. E come vuole? « Spezza » - egli dice - « tutte le catene dell’ingiustizia, sciogli i legami dei patti sanciti con la violenza, strappa ogni iniqua scrittura. Dividi il tuo pane con l’affamato, ospita nella tua casa i poveri, senza tetto; quando vedi un povero nudo, rivestilo e non lasciare in asso i tuoi fratelli bisognosi. Allora irromperà quale aurora la tua luce e le tue ferite saranno presto rimarginate. La tua giustizia camminerà innanzi a te, e la gloria di Dio ti circonderà. Allora tu invocherai e io ti esaudirò; quando ancora tu starai parlando, io ti dirò: eccomi ».
Ma chi mai potrà fare tutto ciò? – voi chiederete. Io a mia volta vi domanderò: Chi non può farlo? Ditemi, che c’è di faticoso, di difficile in ciò che Dio chiede? Tutti questi precetti sono facili, non solo possibili, tanto che molti uomini sono andati ben più in là di essi. Non soltanto hanno strappato ogni iniqua scrittura cui la loro avarizia li teneva impegnati, ma si sono addirittura spogliati di tutti i loro beni. Non hanno soltanto accolto sotto il loro tetto e alla loro mensa i poveri, ma con il sudore del proprio corpo e con dure fatiche hanno lavorato loro stessi per nutrirli. Non si sono contentati di beneficare i loro parenti, ma hanno fatto del bene anche ai loro nemici.

6. – Che c’è poi di assolutamente difficoltoso nelle parole citate? Il profeta non ti ordina di valicar montagne, di traversare mari, di scavare per metri e metri la terra, di resta a lungo digiuno, né di vestirti di sacco; ti ordina soltanto di essere caritatevole con il prossimo, di dividere il tuo pane con i poveri, di strappare le ingiuste obbligazioni imposte agli altri. Dimmi che c’è di più semplice e facile di questo? E se lo ritieni ancora duro e faticoso, guarda, ti prego,  i premi che ti sono promessi, e tutto diverrà facile. Come i re nelle corse dei cavalli mettono dinanzi ai concorrenti le corone, i premi e le vesti che destinano ai vincitori, anche Cristo pone in mezzo al suo stadio le ricompense e le presenta per mezzo delle parole del profeta, quasi fossero molte mani che le sorreggono. I re della terra, benché siano mille volte re, essendo uomini hanno ricchezze che si consumano e una generosità che si esaurisce: si sforzano, quindi, di far apparire grande ciò che in realtà è poco. Essi affidano ogni premio a ciascuno dei loro ministri e così li fanno portare tutti separatamente nel mezzo, alla vista del pubblico. In maniera ben diversa agisce il nostro re: egli accumula tutti insieme i suoi doni, dato che è infinitamente ricco e non fa nulla per ostentazione, e così li presenta a noi. Se i suoi premi fossero esposti uno ad uno sarebbero infiniti e richiederebbero innumerevoli mani per portarli. Per rendervene conto esaminate attentamente ognuno di essi.
« Allora quale aurora irromperà la tua luce ». Credete che Dio prometta un solo dono con queste parole? No, non è unico il dono; questa sola promessa contiene un gran numero di premi, di corone e di altre ricompense. Se voi volete, vi spiegherò e vi mostrerò, per quanto ne sarò capace, tutta la ricchezza qui racchiusa. Soltanto, non venite meno. Prima di tutto, cerchiamo di comprendere che significa « irromperà ». Il profeta non dice: apparirà, ma « irromperà ». Si esprime così per far meglio capire la rapidità e l’abbondanza dei doni, per dimostrare con quanto ardore il nostro re desidera la nostra salvezza, e come questi beni provino i dolori del parto nell’uscire e premano con urgenza. Niente sarà capace di trattenere questo impeto ineffabile. In tutti i modi egli manifesta l’abbondanza dei suoi beni e l’infinità delle sue ricchezze.
E che vuol dire « quale aurora »? Con queste parole Dio dimostra ch’egli non attende per darci i suoi doni che noi abbiamo sofferto prove e dolori, ma che le sue grazie prevengono tutto ciò. E, come parlando dei frutti noi chiamiamo precoce quello che appare anzitempo, così dicendo « quale aurora » il Signore vuol fare rilevare nuovamente la rapidità, manifestata con le parole « quando ancora tu stai parlando, io dirò: eccomi ». Ma di quale « luce » parla il profeta? Di che specie è mai? Non si tratta della luce sensibile, ma di un’altra luce assai più chiara e penetrante che ci fa vedere il cielo, gli angeli, gli arcangeli, i cherubini, i serafini, i principati, le dominazioni, i troni e le potestà, insomma tutte le legioni celesti, le dimore regali e le tende eterne. Se tu sarai degno di tale luce, vedrai questo ineffabile spettacolo e sfuggirai all’inferno, al serpente velenoso, allo stridor di denti, alle catene che nessuno può spezzare, ai supplizi e alle sofferenze, alle profonde tenebre; eviterai di essere tagliato in due parti e di cadere nei fiumi di fuoco, sfuggirai alle maledizioni e ai luoghi del dolore e del tormento. Raggiungerai invece altri luoghi, ove il dolore e la tristezza sono sconosciuti, ove regnano la gioia, la pace, l’amore, il godimento e ogni delizia: dove c’è vita eterna, splendore ineffabile, incomparabile bellezza. Là sono le tende eterne, la gloria infinita del nostro re e quei beni che occhio non vide, né orecchio udì, e che non giunsero mai a cuore d’uomo ; là si trova la camera nuziale spirituale, i talami celesti, le vergini che hanno conservato accese le lampade e coloro che hanno l’abito di nozze; là sono le ricchezze inesauribili del Signore e i tesori regali. Vedete quali grandi doni Dio ha mostrato con una sola parola e come li ha tutti riuniti insieme?
Se approfondiamo così ogni altra promessa che Dio ha fatto, troveremo ricchezze immense e un mare senza fondo. Ma ora che abbiamo intravisto tutto ciò, ditemi, che aspettiamo a desiderarlo? Continueremo a essere incerti e pigri nel soccorrere i poveri? Non comportiamoci così, vi scongiuro. Quand’anche fosse necessario rinunziare a tutto, quand’anche dovessimo essere gettati nel fuoco e venir trafitti da spade, oppure occorresse soffrire qualunque altro dolore, ebbene, sopportiamo ogni cosa con coraggio, se vogliamo davvero ricevere un giorno la veste del regno dei cieli e quella gloria ineffabile, che io auguro a tutti noi di ottenere per la grazia e l’amore di nostro Signore Gesù Cristo. A lui la gloria e il potere per i secoli dei secoli. Amen.

Discorso Cinquantaquattresimo – Mt. 16, 13-23 di San Giovanni Crisostomo 
Tratto da  COMMENTO AL VANGELO DI SAN  MATTEO vol. 2°


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