PARTECIPAZIONE ALLA MORTE DI CRISTO - don Divo Barsotti
La partecipazione attiva alla Messa è, sì, rispondere al Sacerdote, alzarsi quando si legge il Vangelo, ma questa è una partecipazione attiva al rito, non ancora al mistero. Invece noi possiamo partecipare al mistero anche quando non siamo presenti alla Messa. La partecipazione al mistero si realizza in una morte che ci associa alla Morte del Cristo, in una morte che fa presente in noi la sua Morte come atto di amore, di offerta, di redenzione.
Nel rito orientale della Messa, viene posto sopra l'altare un pane
benedetto – non consacrato – di cui si fanno nove parti; e queste
parti rappresentano tutto il popolo fedele: i defunti, i santi del
Cielo, tutti i cristiani, anche i peccatori. Il pane è un simbolo
reale: ogni cristiano è una vittima posta sull'altare, e vi dimora
come Gesù, per essere offerto, immolato a Dio per il bene di tutti.
È questa la nostra Messa. Tutta la nostra vita è partecipazione al
Sacrificio di Cristo.
Si può vivere in casa nostra la vita nascosta di Gesù, o quella pubblica nell'apostolato cristiano, o la sua missione di taumaturgo nell'esercizio delle professioni, ma tutti dobbiamo vivere la nostra vita come ostie. Lo dice S. Paolo nella Lettera ai Romani: « Vi esorto, in nome della misericordia di Dio, affinché vogliate offrire a guisa di culto spirituale, e quindi gradito a Dio, i vostri corpi, come vittima vivente e santa ». Lo ripete nella Lettera agli Efesini: « Siate imitatori di Dio come figli carissimi; come Gesù morì vittima di soave odore, così offrite voi stessi a Dio ». È questa la vita cristiana. Non si può eliminare questa concezione della vita cristiana che è essenziale al nostro essere in Cristo: siamo vittime.
Il Battesimo ci ha consacrati a Dio. Essere consacrati vuoi dire
essere riservati, messi da parte. I contadini mettono da parte le
bestie riservate al macello: così la consacrazione ci risèrva:
siamo separati dall'umanità, ma lo siamo per l'umanità; siamo messi
da parte per essere immolati per il bene degli uomini. Chi compirà
il nostro sacrificio? Colui che operò il sacrificio di Gesù. Per lo
Spirito Santo egli si offrì al Padre: lo immolò soltanto il suo
amore. Anche in noi la sofferenza e la morte saranno partecipazione
alla Morte di Cristo, se saranno la prova che in noi vive l'amore.
La vita presente è per tutti un morire: che sia per noi un morire
per amore! Offriamoci per il bene dei fratelli; offriamo la nostra
sofferenza, le nostre lacrime, la nostra povertà, ciò che ci
umilia, tutta la nostra vita ...
O Signore, come siamo contenti di poter soffrire per dimostrare il
nostro amore per Te! Ti offriamo il nostro corpo, la nostra anima, il
nostro sangue, tutto, e vogliamo che il nostro dono sia salvezza per
tutti.
Certo, sappiamo che il nostro dono non vale; ma è grande se lo
uniamo all'offerta del Cristo. Noi siamo sull'altare proprio per
questo: perché la nostra offerta non sia separata da quella del tuo
Figlio! Quale immagine del Cristo più bella, più vera, del
cristiano? Si può pensare che una statua, un dipinto sia un'immagine
più vera di quello che è l'uomo che ha ricevuto la mattina la S.
Comunione? La Comunione non ci trasforma nel Cristo? Non fa presente
Gesù nella nostra vita, non fa vivere Cristo in noi? Pensiamo che la
fede cristiana, l'unione intima con Gesù Salvatore, ci debba
dispensare dalla sofferenza. A che serve esser cristiani, a cosa
serve il pregare (dicono tanti) se dobbiamo soffrire come gli altri,
se siamo sottoposti come gli altri alla morte? Non é come gli altri,
ma come Gesù.
La nostra fede ci serve a soffrire di più, non certo a
preservarci dal dolore, perché deve far presente in noi la Passione
stessa del Cristo: non la sofferenza che è dovuta per i nostri
peccati, ma la sofferenza che è dovuta a tutta quanta l'umanità,
perché è questa sofferenza che Gesù ha preso sopra di sé. Nella
misura in cui tu vivi nel Cristo, non vivi più soltanto il tuo
dolore, ma vivi il dolore del mondo; tu non assumi soltanto
il peso dei tuoi peccati, tu assumi il peso del peccato del mondo,
per esserne a tua volta schiacciato.
L'uomo dovrebbe superare il dolore dopo aver vinto in sé il
peccato: proprio allora, invece, incomincia per lui il vero martirio.
Nella mistica di S. Giovanni della Croce sembrerebbe che l'uomo,
giunto all'unione trasformante, non dovesse più soffrire, ma S.
Giovanni della Croce nelle sue opere non ci dà nemmeno la prova di
quello che fu la sua esperienza interiore. Neppure S. Giovanni della
Croce, una volta giunto all'unione trasformante, conobbe la gioia.
Egli giunse all'unione trasformante nel carcere di Toledo; ma dopo il
carcere di Toledo, Dio preparò per lui un abisso ancor più grande
di sofferenza: l'abbandono da patte dei suoi fratelli, il tentativo
di cacciarlo dall'Ordine, la morte. La sofferenza di S. Giovanni
della Croce non terminò con l'unione trasformante: è con l'unione
trasformante piuttosto che egli divenne capace di partecipare in un
modo più intimo e vero alla Passione stessa di Gesù, che è
Passione redentrice. La passione di S. Giovanni della Croce, gli
meritò di essere il padre dell'Ordine: tutto l'Ordine vivrà nella
sua passione. Come dalla Passione del Cristo è nata la Chiesa,
così dalla passione dei santi si rinnova la Chiesa e nasce e vive
ogni famiglia religiosa.
Così S. Teresa di Gesù Bambino. Sembra che ella sia giunta
all'unione trasformante nel tempo in cui si offrì all'Amore
misericordioso; se leggiamo la sua vita vedremo che è proprio da
allora che la investe il massimo della sofferenza e delle
tribolazioni interiori. Invece di liberarsi dalla sofferenza, proprio
allora ella ottiene di divenire la più grande santa dei tempi
moderni, assumendo tutto il peso del peccato umano per esserne come
schiacciata, spezzata. L'Umanità di Gesù non sopportò il peso del
dolore umano ed egli è morto sulla Croce: come potrebbe l'uomo,
nella misura in cui fa suo il dolore del Cristo, reggere a tale peso?
La perfezione cristiana termina nella morte, non tuttavia in
un'estasi di amore, come aveva scritto S. Giovanni della Croce; ma
nell'agonia pura e semplice. nella desolazione dello spirito, nel
sentimento dell'abbandono del Padre, perché così è morto Gesù e
così deve morire chi a lui più si avvicina.
Questa la vera vita eucaristica. La Comunione non ti promette la
dolcezza dell'estasi: Gesù si comunica all'uomo per imprimere in lui
il suo Volto divino, affinché egli divenga la vera « icona » del
Cristo, la vera immagine di Gesù. Presente realmente, ma
misteriosamente nascosto nell'Eucarestia, Egli vuole rivelarsi in
noi, vuoi farsi presente e visibile agli uomini nella nostra medesima
vita, nel nostro medesimo corpo.
Noi non riceveremo le stigmate. Ma partecipando al suo mistero,
dovremo esprimere chiaramente la nostra assimilazione a Cristo così
che anche il corpo divenga veramente una immagine di Gesù. La vera
immagine di Gesù è il santo: non scolpita o dipinta dalla mano
dell'uomo, ma dallo Spirito Santo.
La mistica cristiana non è una mistica dell'Uno, un puro
affondare dell'anima nella luce di Dio, un puro perdersi dell'uomo
nella luce infinita: è un'assimilazione a Cristo. La nostra unione,
la nostra unità con Dio, esige prima di tutto la nostra unità con
tutta quanta l'umanità sofferente e peccatrice, nella nostra
trasformazione in Cristo.
Gesù fa presente in te la sua Passione in un modo visibile e tu
partecipi al mistero della sua riparazione. Quello che è nascosto
nell'Eucarestia, nel santo diviene palese; quello che nell'Eucarestia
è nascosto deve vivere in te.
Gesù si comunica a te, per vivere pienamente in te, per passare
di nuovo dal mistero (non dalla realtà, perché la realtà è già
tutta nel mistero) alla visibilità; per introdursi dal mistero nella
vita del tempo. Attraverso la partecipazione al Mistero eucaristico,
l'atto della Morte del Cristo entra nel tempo e nello spazio, diviene
la vita di ogni uomo, la vita anche del mondo.
Il presente testo e tratto da:La mistica della riparazione, Edizioni Parva 2002, (pagg. 84 -87)
Tratto dal sito http://www.ansdt.it/
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