lunedì 3 febbraio 2014

GIOIA DI CREDERE di (François Varillon) LE CARATTERISTICHE DELL'AMORE




Cos'è l'amore? Non si tratta di essere sentimentali: bisogna dichiarare guerra al sentimentalismo così come al razionalismo. Uno dei pregi del canto gregoriano — a cui sono molto legato — è che mi ha sempre strappato sia dall'arido razionalismo che dal melenso sentimentalismo. Ripetere continuamente la parola amore finisce per diventare un po' stupido e stucchevole.



AMORE = ACCOGLIENZA E DONO

Comunque mettiate le cose, l'amore è dono e accoglienza. Il bacio è un bellissimo simbolo d'amore perché è il segno del dono e dell'accoglienza a un tempo. Un bacio si da veramente solo se lo si accoglie. Labbra di marmo, come le labbra di una statua, non possono accogliere un bacio; è necessario che le labbra siano vive. E labbra vive sono labbra che accolgono e donano nello stesso tempo. Il bacio è un gesto bellissimo: proprio per questo non può essere svenduto o dato per gioco, ma bisogna riservarlo come segno di qualcosa di estremamente profondo (siamo qui nel cuore di tutto quello che la chiesa pensa in materia di morale sessuale). Il bacio è lo scambio dei respiri che significa lo scambio delle nostre profondità: io mi soffio in te, mi espiro in te e ti aspiro in me in modo tale che io sia in te e che tu sia in me.

Questo significa che mi decentro per non essere più centro a me stesso, ma perché ormai il mio centro sia tu. Sei tu che io amo, il mio centro, io vivo per te e in forza di te; so che anche tu ti decentri, tu non sei più centro a te stesso, ma sei centrato su di me. Io sono centrato su di te, vivo per te. Tu sei centrato su di me, vivi per me ed entrambi viviamo l'uno per l'altro. Amare significa vivere per l’altro (è il dono) e vivere in forza dell’altro (è l’accoglienza). Amare significa rinunciare a vivere in sé, per sé e in forza di sé.

E’ tutto il mistero della Trinità. Se l'amore è dono e accoglienza, è necessario che ci siano più persone in Dio. Non ci si dona a se stessi, non ci si accoglie da soli. La vita di Dio è questa vita di accoglienza e di dono. Il Padre non è altro che movimento verso il Figlio, egli è solo in forza del Figlio. Donne, sono i vostri figli che vi fanno madri; senza di loro non lo sareste. Ora, il Padre non è che paternità, dunque non è che in grazia del Figlio e per il Figlio. Il Figlio non è altro che Figlio, dunque non è che per il Padre e in forza del Padre. E lo Spirito santo è il loro reciproco bacio.

Dal momento che la vita di Dio è questa vita di accoglienza e di dono, e poiché io devo diventare ciò che Dio è, non posso volere di essere un uomo solitario. Se sono un uomo solitario non assomiglio a Dio. E se non assomiglio a Dio, non potrò condividere eternamente la sua vita. Questo è ciò che si chiama il peccato: non assomigliare a Dio, non tendere a diventare ciò che egli è, dono e accoglienza.

Se Dio non è altro che amore, allora è povero, dipendente, umile. Di primo acchito questo sembra impossibile e invece c'è una frase di Cristo che domina tutto e che si deve prendere sul serio! Quando vedo Gesù inginocchiato ai piedi degli apostoli con un asciugamano che gli cinge i fianchi, intento a lavare i piedi agli apostoli, proprio in quel momento lo sento affermare: «Chi vede me, vede il Padre», cioè «Chi vede me vede Dio» (Gv 14,9). Il paradosso, certo, è molto forte, e forse potremo sentire la nostra ragione barcollare e vacillare, ma non posso farci nulla. Dio non si rivela a noi come l'essere infinito. Il Dio in cui crediamo non è il Dio dei filosofi, è il Dio rivelato da Gesù Cristo.

Approfondiamo questa meditazione a partire dalla nostra esperienza umana. Se infatti non abbiamo nessuna esperienza d'amore non sappiamo quel che diciamo quando affermiamo che Dio non è altro che amore. Bisogna parlare a partire dall'esperienza. Altrimenti quello che si afferma rimane astratto, «paracadutato» dall'alto, e i giovani hanno orrore di ciò che viene insegnato d'autorità, senza che ci sia un punto di riferimento nell'esperienza.



POVERTÀ DI DIO

Nella mia esperienza di uomo vedo che non esiste amore senza povertà. Volete sforzarvi per qualche istante di immaginare uno sguardo d'amore nel quale non ci fosse che amore? È molto difficile perché, in ogni sguardo umano, c'è sempre qualche altra cosa oltre all'amore. Anche nello sguardo più amorevole c'è sempre uno sguardo su di sé. Io sono peccatore: questo significa che nel momento stesso in cui ti dico: ti amo, dovrei aggiungere, se fossi veramente sincero: tuttavia c'è sempre qualcuno che io preferisco a te; e questo qualcuno sono io. Ecco il peccato, qualunque sia la forma di cui si riveste. Il peccato originale consiste nella mia incapacità di amare in modo puro; è ciò che fa sì che l'altro non sia tutto per me (tutto in senso assoluto) ; è ciò che fa sì che io non sia puro movimento verso l'altro (puro in senso stretto), così come nella Trinità il Padre è puro movimento verso il Figlio, il Figlio puro movimento verso il Padre e lo Spirito santo è reciprocità, è il dinamismo stesso di questo movimento.

C'è tuttavia la possibilità d'immaginare uno sguardo d'amore in cui ci sia soltanto amore; penso infatti che, nell'esperienza dell'amore umano (si tratti di amore coniugale, della simpatia fraterna, dell'amore paterno o materno, della carità e della dedizione agli altri, ecc.) ci sia abbastanza amore, anche se impregnato di egoismo, da permetterci di comprendere cosa sia l'amore quando esso è vissuto in Dio, in totale purezza e in totale pienezza.

Quando un uomo guarda la sua donna con questo sguardo d'amore in cui non c'è altro che amore cosa può dirle? Qual è la frase che può pronunciare per tradurre in linguaggio questo sguardo d'amore? Io non ne vedo che una: «Tu sei tutto per me, tu sei tutta la mia gioia». E’ una parola di povertà: se sei tu a essere tutto, io sono nulla. Al di fuori di te, io sono povero. La mia ricchezza non sta in me, sta in te. La mia ricchezza sei tu, e io sono povero.

Se questo è già vero nell'amore umano, come lo è di più quando si tratta di Dio! Dio è la povertà assoluta; in lui non c'è traccia di avere, di possesso. Eternamente il Padre dice al Figlio: tu sei tutto per me. Il Figlio risponde al Padre: tu sei tutto per me. E lo Spirito santo è il dinamismo stesso di questa povertà. È Dio il più povero di tutti gli esseri. Se la vostra ragione vacilla davanti a una simile prospettiva, dite allora: Dio è ricco, ma aggiungete immediatamente: ricco in amore e non in avere. Ora, essere ricco in amore ed essere povero è esattamente la stessa cosa. Dio è un infinito di povertà. La proprietà è il contrario stesso di Dio.

Certo, nella complessità delle vicende umane, una certa dose di proprietà è necessaria; colui che non possiede nulla è il barbone. Il guaio è che, se non possiede nessun avere, farà molta fatica ad essere, e ciò significa che, quaggiù, l'essere senza avere è impossibile. Per questo la chiesa dice che c'è un diritto di proprietà: perché l'essere umano sia, è necessaria una certa dose di avere. Ma in Dio questo non è assolutamente vero. E noi entreremo in Dio solo quando ci saremo spogliati di ogni avere. La povertà materiale di Betlemme e di Nazaret è solo il segno di una povertà molto più profonda. Povertà immensa di Dio, infinita, assoluta, senza la quale non possiamo affermare che Dio è amore.

Come siamo lontani da certe immagini di Dio! Siamo seri: è qui il nucleo della nostra fede, non sono battute. Ci sono degli atei che non sono seri, ma ci sono anche dei cristiani non seri. Se ci si vuol collocare nella giusta prospettiva bisogna confrontare il cristiano serio e l'ateo serio. E il cristiano serio è colui che afferma la povertà di Dio.



DIPENDENZA DI DIO

Cerchiamo ancora di immaginare lo sguardo d'amore di una donna sul suo uomo, uno sguardo in cui ci sia soltanto amore, e procediamo per assurdo. Questa donna può dire a suo marito: io ti amo, ma sia chiaro che se i tuoi impegni ti portano in Madagascar, io rimango in Francia. In altre parole: nel momento stesso in cui ti esprimo il mio amore, ti affermo anche la mia indipendenza nei tuoi confronti. È evidente che un simile atteggiamento è impossibile, impensabile. Amare significa dipendere: ti amo, ti seguirei fino in capo al mondo, voglio dipendere da te.

D'altronde, in ogni comunità umana, c'è implicita questa frase: voglio dipendere da voi. Perché, oggigiorno, tante comunità fioriscono e appassiscono così rapidamente? Perché manca questa affermazione di reciproca dipendenza.

Se nell'amore umano amare significa voler dipendere, questo è vero a maggior ragione di Dio, in cui l'amore viene vissuto in pienezza. Non dimentichiamo però il «non è... che», non usciamo cioè dalla sfera dell'amore. Se Dio non è altro che amore, egli è il più dipendente degli esseri, è un infinito di dipendenza. Il padre del figlio prodigo dipende dal figlio; se il figlio non ritorna, piangerà; se torna, sarà nella gioia (Lc 15).

Stiamo attenti ad un'ambiguità da chiarire ed eliminare, perché ci sono due tipi di dipendenza: è il bambino che dipende dalla mamma o è la mamma che dipende dal bambino? Sul piano dell'essere e della vita è il bambino che dipende dalla madre ma, sul piano dell'amore, non è forse la madre che dipende dal bambino? La dipendenza del bambino dalla madre è estranea all'amore, alla libertà. Se la mamma non è presente per dargli il seno avrà fame, naturalmente. Ma, nell'amore, è la madre che dipende dal suo bambino a cui dice: tu sei tutta la mia gioia. E se il piccolo respira male, se è malato, se il medico è preoccupato, la mamma non vive più, tanto dipende da suo figlio. Dio è il più dipendente di tutti gli esseri, dipendenza nell'amore, non nell'essere.



UMILTÀ DI DIO

Dio è umile, il più umile di tutti gli esseri. E non è umile solo Gesù a cui diciamo: «Gesù, mite e umile di cuore, rendi il mio cuore simile al tuo»; lo è anche Dio, nella sua profondità. Prevengo subito un fraintendimento: Dio non è umile nel senso che sarebbe bisognoso o debole. Noi invece siamo umili riconoscendo di essere poveri uomini. Ma non è assolutamente in questo senso che Dio è umile; lo è invece nel senso che l'amore non può guardare dall'alto in basso.

Anche qui partiamo dall'esperienza dell'amore umano. Credete che sia possibile che un uomo, nell'atto stesso di amare, dica alla sua donna: «Ti amo, ma non dimenticare che sono superiore a te, sono cattedratico di filosofia e di scienze, mentre tu non sei che una piccola sartina con il suo diplomino di scuola media»? Credete che questo sia ancora amore? uno sguardo fatto cadere dall'alto può essere uno sguardo d'amore? Certamente no. Bisogna riflettere su questo, e ci vuole tempo, ci vuole tutta una vita per capire soltanto un po' cosa sia l'amore; ed è proprio questa la vita cristiana.

Quando Gesù lava i piedi agli apostoli la sera del giovedì santo, li guarda dal basso in alto; e proprio in quel momento ci dice di essere Dio. Noi cerchiamo Dio nella luna quando invece sta lavandoci i piedi. La lavanda dei piedi è una lezione d'amore fraterno, certo, ma più profondamente è una rivelazione, uno svelamento di ciò che Dio è. Dio non può che mettersi in basso; altrimenti non possiamo dire che Dio è amore. Girate le cose come volete: non ne uscirete. L'umiltà di Dio è la profondità stessa di Dio.

Mi direte: ma insomma. Dio è più grande di noi! Certo, più grande in amore, poiché egli non è altro che amore. Quindi, in umiltà Dio è più grande di noi: noi non riusciremo mai ad essere umili come lo è Dio. Il Dio in cui crediamo è infinitamente umile; in altre parole si è spogliato di qualsiasi prestigio. Il prestigio costituisce sempre l'inessenziale. C'è in noi un certo bisogno di prestigio, di lustrini, di artificioso che non esiste in Dio. Dio è la pienezza dell'umiltà.

Sento tutti questi giovani che fanno fatica a sopportare le parole della liturgia: «Tuo è il regno, la potenza e la gloria», e li capisco bene. Io non dico che bisogna sopprimere queste parole: esse infatti fanno parte della tradizione e hanno un loro significato. Ma bisogna capire che il cuore della gloria è l'umiltà, senza la quale l’amore non è vero amore. L'amore che è solo amore non cade mai dall'alto. Non esiste sguardo d'amore che sia uno sguardo dall'alto in basso. Chinarsi sul popolo non significa amare il popolo. Chinarsi su un bambino non vuol dire amare un bambino. Dio non si china dall'alto.

Nel cuore stesso di Dio esiste una potenza di nascondimento di sé. Secondo voi ci vuole più potenza per mettersi in evidenza o per nascondersi? La mia esperienza personale mi dice che ci vuole molta più potenza per nascondersi. Ora, se Dio è onnipotente e se io posso capire qualcosa di questa potenza solo a partire dalla mia esperienza, posso concludere che Dio è un'infinita potenza di nascondimento di sé.

Vedete allora cosa diventa l'adorazione! Vi lascio su questa immagine: pensate a una ragazzina semplice, una contadina di quindici anni. Immaginate un don Giovanni che la vede, la trova bella e vuole sedurla. Viene a sapere che si chiama Maria e che abita a Nazaret. Più le si avvicina, e più avverte che da lei emana una maestà contro cui si sbriciolano tutti i tentativi di seduzione. E’ una maestà davanti alla quale non si può fare altro che inchinarsi; e il seduttore cade in ginocchio davanti alla maestosa umiltà di questa ragazzina con lo scialletto di lana. Per sapere chi è Dio vado avanti nella stessa direzione e, a quel punto, arrivo a Dio: come siamo lontani da Giove, dal paternalismo e dal trionfalismo! È questo il Dio che Gesù Cristo ci rivela. 

da GIOIA DI CREDERE di (François Varillon)



Articoli correlati per categorie



Nessun commento:

Posta un commento