Se
la nostra consacrazione dipende da una vocazione divina, conviene che
noi
meditiamo profondamente e lungamente che cosa importi questa
vocazione.
Si
potrebbe certo meditare sull'amore infinito di Dio che ci ama, che
chiama ognuno per
nome, che assiste ciascuno di noi e ci accompagna in ogni istante del
nostro cammino.
Si potrebbe certo pensare alla iniziativa di Dio in
questo cammino di santificazione, in questo
cammino di perfezione
che deve esser per tutti la vita cristiana - e avremmo tanto da
meditare! Voglio piuttosto meditare su un'altra verità che tante
volte ci rimane nascosta, ed è
precisamente il fatto che la
vocazione ci mette in rapporto con Dio: non siamo più noi i
padroni
della nostra vita, non siamo più così liberi da dover determinare
il nostro cammino.
Certo,
la vocazione divina lascia a noi la decisione di una risposta, ma,
sia che noi
facciamo una via, sia che ne facciamo un'altra, il
nostro cammino ora non è più che una
risposta o un rifiuto a Dio.
Noi siamo in rapporto con Dio, la nostra vita è essenzialmente
questo rapporto; dal momento che il nostro cammino è determinato da
una parola che ci è
stata rivolta, il nostro cammino ora non può
essere più che questo: o una risposta a Dio che
ci chiama o un
rifiuto a Lui che ci invita.
E
questa verità ci insegna quale responsabilità pesa su di noi. Se a
noi soli fosse
lasciato di scegliere la via, il cammino, la mèta,
non ci sentiremmo tanto colpevoli se poi non
giungessimo là dove i
nostri desideri ci farebbero tendere. Nessuno infatti si sente
colpevole
verso di sé, si può dire: - Pazienza! Volevo arrivar
sulla cima e non son giunto altro che a
metà del cammino. - Noi
potremmo anche rimpiangere di non aver potuto realizzare quanto
speravamo, ma non per questo Ci sentiremmo colpevoli. Siamo colpevoli
invece quando
dobbiamo rispondere a un Altro, il quale ha ogni
diritto su noi, del nostro cammino.
Dobbiamo
renderci conto che una vocazione divina che noi abbiamo ricevuto, ci
fa
precisamente responsabili di fronte al Signore di tutta la nostra
vita.
Se
fossimo stati noi a scegliere il Signore, certo, se poi non avessimo
raggiunto la
perfezione potremmo averne un certo dolore, ma ci
potrebbe anche sollecitare la vanità di
esser stati così bravi
almeno da sceglierla, ci potremmo sentire, se non altro, contenti per
il
fatto che avremmo saputo scegliere la parte migliore anche se poi
non avessimo potuto
realizzare un nostro ideale di perfezione - ci
darebbe una nobiltà il fatto stesso di averlo
scelto noi. Ma se è
Dio che ci sceglie, l'aver assunto un impegno di perfezione
evangelica
non è certo per noi motivo di vanità e di orgoglio, è
motivo piuttosto di grave responsabilità
per ciascuno di noi
rispondere a Dio.
Sentire
questo non è di poco conto per alcuno di noi: dobbiamo rispondere a
Dio
della nostra vita, di ogni nostro atto. È Dio che ci chiede in
ogni istante una risposta al suo
amore, e tutto quanto facciamo
dev’essere un dono che offriamo al Signore. Non è un dono
libero,
un dono puramente gratuito - è una risposta d'amore all'Amore
infinito. Non si può, se
abbiamo ricevuto una vocazione che ci
impegna alla santità, vivere con superficialità; non si
può
rimandare a domani l'impegno di una santificazione che oggi ci
stringe, non possiamo
sottrarci a una responsabilità pesante per
ciascuno di noi.
La
santità non è, non diventa un privilegio, né è tanto meno una
presunzione - è un obbligo
stretto per ciascuno. Chi non tende veramente alla perfezione una
volta che sia
consacrato al Signore, fallisce nella sua vita, e si
rende colpevole verso l'Amore che l'ha
scelto.
Rispondere
a Dio: ecco che cosa vuol dire aver ricevuto una vocazione divina:
vuol
dire che noi in ogni istante dobbiamo rispondere a Dio dell'uso
che noi facciamo di noi stessi,
del nostro cuore, della nostra
volontà, della nostra intelligenza, delle nostre forze, del nostro
tempo - di tutto dobbiamo rispondere.
Troppo
poco noi lo sentiamo; lo crediamo ma non lo realizziamo giorno per
giorno,
minuto per minuto; veramente non sentiamo il pungolo che ci
spinge nel cammino che deve
portarci alla santità. Si vive così
tranquilli: una vita mediocre che sembra realizzare già molto
quando noi aggiungiamo alle preghiere abituali un’altra preghiera,
quando cerchiamo di
esercitare un po’la pazienza, quando
procuriamo di mantenerci fedeli a qualche esercizio
particolare di
virtù.
Ci
sembra di far molto? È a Dio che dobbiamo rispondere, a un Amore
infinito: tutto
quello che noi possiamo fare sarà sempre poco se
noi sentiremo davvero che la nostra vita
dev’essere una risposta
personale a un Amore infinito che ci ha voluti per Sé.
Da
quale spirito interiore si sentivano portati i santi incontro a Dio!
Nulla li arrestava nel
loro cammino: né la stanchezza, né la malattia, non la debolezza
del corpo, o la fragilità
dello spirito; la loro anima era agitata
come da un uragano, da un vento tempestoso che li
spingeva
violentemente incontro al Signore. Noi, invece, quanto facilmente ci
contentiamo di
quel che facciamo, come siamo facilmente soddisfatti
di quel poco che a fatica doniamo! Voi
mi dite: - Non siamo
interamente soddisfatti e contenti, veramente ci sentiamo sempre in
debito. - Vi sentite magari in debito verso il Signore, ma non perché
non avete raggiunto la
santità: vi sentite in debito semplicemente
perché avete compiuto qualche mancanza, o
perché avete detto male
l'Ufficio o perché avreste voluto far meglio un certo esercizio di
pietà
o perché avreste voluto essere più pazienti in una certa
congiuntura. È poco quello che voi
pretendete da voi stessi, mentre
da voi dovreste pretendere tutto.
Il
cristiano, che deve rispondere a un Amore infinito, può essere
contento soltanto
quando avrà donato tutto se stesso nella sua
morte - solo la morte lo può contentare. Che
cosa può fare l'uomo
quando si sia donato così da non poter dare di più? Ma ognuno di
noi
può dare di più fintanto che la vita cristiana non consuma
tutte le potenze del cuore e
dell'anima così da esigere, da operare
la morte.
Oh,
i santi! L'amore li ha consumati! Pensate una S. Teresa del Bambino
Gesù, una
S. Gemma Galgani, pensate un S. Francesco d'Assisi, un S.
Giovanni della Croce: lo
possiamo dire con verità, è l'amore che
li ha consumati, perché non ha lasciato loro riposo, li
ha
incalzati con violenza sempre crescente in questa via che doveva
condurli al Signore; ed
essi, portati da questa violenza, non sono
mai stati soddisfatti si sé, ma anzi hanno sentito
via via che più
amavano Dio tanto più rimaneva loro da amare.
Oh,
certo, noi non somigliamo a queste anime! Come povero è il nostro
dono di
amore, povera la nostra risposta!
«
Non voi avete eletto me, ma io voi ». Aver ricevuto una vocazione
divina vuol dire
che Dio ci ha amato. Ma l'amore esige l'amore, e
l'amore infinito di Dio non può esigere da te
che un amore totale,
onde tu più nulla possa sottrarre a Colui che ti ha chiamato, ti ha
voluto
per sempre. Più nulla! Non viver più una nostra vita, non
conservare più niente di noi, non
sentirci mai più sicuri - Dio
vuole tutto e perciò non ti lascia più alcuna sicurezza, più
alcun
riposo, alcuna proprietà né esterna né interiore, né che
sia ricchezza misurabile dalla stima
degli uomini, dalla
consapevolezza di una perfezione. Devi donarti a Dio così che più
nulla ti
rimanga.
Non
è davvero facile rispondere a una vocazione divina. Ma almeno noi
dovremmo
esser consapevoli di averla ricevuta e vivere perciò in
tal modo che per noi la consacrazione
debba essere anche un impegno
che consumi tutta la vita. Sarebbe veramente ingenuo
pensare che si
possa rispondere a una consacrazione religiosa soltanto facendo
quanto la
Comunità prescrive come obbligo; sarebbe ben povera la
coscienza che noi avremmo di
esser chiamati da Dio e di dover
rispondere a una consacrazione religiosa, se noi
pensassimo che
questa consacrazione esigesse questo soltanto. Una consacrazione
religiosa esige la santità. Voi potete esser dispensati dal dire
l'Ufficio, da ogni obbligo, ma la
consacrazione non vi potrà mai
più dispensare dal tendere alla perfezione evangelica, da
esigere
da voi stessi la perfezione della carità. Neppure la Chiesa può
darvi mai più una
dispensa dal farvi santi, dall'esigere da voi
stessi il dono supremo di tutta la vita, il dono
totale di tutti voi
stessi al Signore.
In
che modo viver tutto questo? Il modo ve lo può suggerire la Comunità
attraverso i
mezzi e le indicazioni che vi dà, gli insegnamenti, la
vita comune; ve lo possono suggerire le
condizioni nelle quali voi
venite a trovarvi, i bisogni delle anime che vivono vicino a voi. Dio
si
farà sempre chiaramente sentire a un'anima che vuol veramente
seguirlo.
No,
nessuno può dispensarvi mai più da questo dovere di tendere alla
perfezione. La santità
è il vero obbligo che vi impone la consacrazione.
Dovete
essere santi: la vocazione v’impone precisamente questo dovere. Non
si
tratta di essere delle anime pie, delle anime ferventi; non si
tratta di far dell’apostolato, di far
tanto bene intorno a voi -
potete apparentemente anche non farne affatto: quello che la
consacrazione vi impone è la santità. Tu non sai se il Signore ti
darà sempre la salute, le
possibilità per far del bene in qualche
organizzazione; tu saprai però una cosa, cioè, che in
qualunque
tua condizione, stato di salute, ambiente in cui vivrai, dovrai
realizzare sempre il
dono totale di te all'amore di Dio, dovrai
sempre realizzare la tua santità.
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