Dopo
la discussione avuta con i farisei nel recinto del Tempio e dopo
essersi eclissato dal loro sguardo quando erano già pronti a
lapidarlo, Gesù Cristo si allontanò dal sacro luogo insieme ai suoi
discepoli e passò per una delle porte dove ordinariamente sostavano
i poveri e gli infelici per domandare l'elemosina.
L'essersi
trovato là con i suoi discepoli e l'esservisi fermato conferma che
Egli si eclissò miracolosamente da quelli che volevano lapidarlo.
Passando,
vide un poverello, cieco dalla nascita, il quale, per essere portato
là ogni giorno dall'infanzia a chiedere l'elemosina, era conosciuto
da tutti ed era una di quelle figure che, nella loro medesima
piccolezza, finiscono per interessare il pubblico e per essere quasi
come un motivo insostituibile di certi ambienti.
Dal
contesto del racconto si rileva l'indole di questo cieco: di facile
parola, affettuoso, riflessivo e un po' psicologo o conoscitore
dell'ambiente del Tempio. Abituato a raccogliere tanti discorsi che
facevano i pellegrini e forse tante mormorazioni di quelli che erano
addetti al sacro luogo, si era formato un concetto abbastanza chiaro
di quelli che ne avevano il comando. I ciechi s'informano di tutto
nel loro piccolo ambiente, proprio perché non vedono, e questo
giovane doveva pur sapere che quasi mai i Sacerdoti, gli scribi e i
farisei facevano scivolare nelle sue mani qualche elemosina, essendo
sommamente venali. Questo doveva aver disposto l'anima sua a
diffidenza e disistima per essi, perciò quando fu interrogato da
loro si mostrò franco e non mancò di ribattere loro con una certa
vivacità che rivela questo suo stato d'animo.
La
sua vita era monotona: al mattino era accompagnato al Tempio e vi
rimaneva a chiedere l'elemosina, a sera era riaccompagnato a casa.
Raccoglieva spesso le espressioni pie dei pellegrini o gli
insegnamenti dei dottori della Legge e aveva una certa cultura
religiosa, per la quale gli doveva essere familiare il sentenziare e
anche l'ammonire. Era di indole buona, di natura semplice, di
carattere espansivo e timorato di Dio.
Passando
vicino al cieco nato, i discepoli, considerandone l'infelicità e
attribuendola a castigo di Dio, domandarono a Gesù: Rabbi, chi ha
peccato, costui o i suoi genitori, da nascere cieco? Era infatti
persuasione comune, tra i Giudei, che i mali fisici fossero mandati
da Dio in punizione di peccati commessi o che fossero il castigo dei
peccati dei genitori. I discepoli però facevano una domanda insulsa,
chiedendo se avesse peccato il cieco prima di nascere, perché questo
sarebbe stato impossibile. Essi forse si confusero e, nel domandare
se quella cecità fosse stata effetto di colpa, coinvolsero anche il
cieco nella responsabilità. Gesù rispose che né quel poveretto né
i suoi genitori avevano peccato, ma che quella cecità era stata
disposta e permessa da Dio per manifestare in quell'infelice la sua
potenza, la sua gloria e la realtà del suo Figlio Incarnato; Gesù,
infatti, soggiunse che Egli doveva compiere le opere di Colui che lo
aveva mandato e, con questo, mostrò chiaramente l'intenzione di
guarire quel cieco.
Nonostante
le minacce dei suoi nemici e nonostante quel miracolo li avrebbe più
malignamente aizzati
contro
di Lui,
Egli non avrebbe mancato di compiere quell’opera
buona e
di dare un nuovo argomento della verità della
Sua missione.
Era per lui ancora
giorno,
cioè non era ancora giunta l’ora
oscura della
sua passione, quando non avrebbe potuto
compiere miracoli,
volendo subirla fino all'estrema immolazione.
Egli doveva
ancora per poco rimanere nel mondo, е finché
vi dimorava
voleva dare argomenti di luce a tutti i secoli, nonostante
che i malvagi
ne avrebbero preso motivo per odiarlo e per irrompere
contro di Lui.
Gli
scribi e i farisei avrebbero
voluto che Egli avesse taciuto
per sempre e si fosse eclissato, rinunciando alla sua
missione, ma
Egli questo non poteva farlo, perché era la Luce
delle anime e la Luce dei
secoli. Aveva detto poco prima: Io
sono la luce del
mondo,
e
volle confermare questa grande e fondamentale verità con miracolo
d'illuminazione materiale, simbolo dell’illuminazione
spirituale. Volle donare la vista a quel povero cieco per significare
la vista
che voleva dare e che avrebbe dato alle anime;
compì
esternamente
il miracolo che voleva compiere internamente
e si servì
di un mezzo inadeguato, anzi contrario, perché si
fosse capita l'importanza
del mezzo del quale voleva servirsi per redimere
il mondo, cioè l'umiltà e l'obbrobrio della croce.
Gesù
non domandò al cieco se voleva essere guarito
né il cieco
lo supplicò di guarirlo: andò Egli stesso incontro al
povero
infelice, come Egli stesso veniva incontro all'uomo peccatore
e, dopo aver sputato in terra, fece con lo sputo un
po' di fango,
impastando la polvere della strada, lo spalmò sugli
occhi del cieco
e gli comandò di andarsi a lavare alla piscina di
Siloe.
Il
Sacro Testo fa notare che Siloe significa mandato,
perchè
questo nome aveva un significato mistico che ricordava precisamente
Colui che doveva essere mandato, ossia il Messia.
La
piscina o fontana di Siloe si trovava nella parte sud-est di
Gerusalemme, fuori delle mura, tra il monte Ofel e il Sion; il cieco, per
recarvisi, dovette essere accompagnato da qualcuno. Andò, si lavò
e acquistò subito la vista.
Gli
occhi del cieco si aprono e vedono
Quale
sorpresa dovette avere nel vedere la luce e nel vedere quello che lo
circondava! I ciechi nati si formano un concetto tutto soggettivo del
mondo e delle cose che li circondano; non concepiscono proprio quello
che non può essere oggetto del tatto e che non
può essere
apprezzato da una loro esperienza. Certe cose sembrano
loro più grandi della realtà, certe altre più piccole;
possono concepire
un monte come un semplice
rialzo e un palazzo come un
monte. A volte sembra loro di stare a grande distanza e credono immensa una strada, a volte un grande spazio sembra loro ristretto.
Il
cieco si trovò in un mondo che non immaginava; si guardò attorno
stupefatto, vide la strada per la quale era venuto, vide le case,
ammirò
i campi, volse lo sguardo al cielo, ne contemplò la magnificenza,
sentì una nuova vita interiore, formata in lui dal riflesso di tutto
ciò che vedeva e, poiché aveva il cuore buono abituato alla
preghiera dalle lunghe dimore fatte alla soglia del Templo, ritornò
sui suoi passi per andare a ringraziare Dio. Che felicità sentiva a
non andare a tentoni; che gioia nel saper dove mettere il piede; che
gioconda curiosità nel notare tutti quelli che incontrava, nello
squadrarli da capo a piedi, nel considerarne la bellezza o la
bruttezza!
Era
stato un povero schiavo di quanto lo circondava e si sentiva libero;
era stato inceppato dalle tenebre e si sentiva come guidato dalla
luce, nella quale godeva, quasi respirandola; era povero e si sentiva
ricco, poiché gli sembrava d'essere venuto in possesso del mondo che
percepiva e del quale godeva.
Psicologicamente,
quel fare franco e, se si può dire, un po' spavaldo, che ebbe con i
giudici che dopo ripetutamente lo interrogarono, era conseguenza
anche di quel senso di libertà e di padronanza che gli dava la vista
acquistata. Egli vide, per la prima volta, quelli che aveva
conosciuto per esperienza duri e sprezzanti, e potendoli squadrare
nel loro volto arcigno, sospettoso e ipocrita, si sentì autorizzato
a dar loro una lezione.
Ritornato
sui suoi passi, egli dovette andare prima di tutto a dare la bella
notizia ai suoi genitori, e fu subito notato dai vicini di casa, che
si stupirono a vederlo camminare senza guida. Lo guardarono con
attenta curiosità e si scambiarono le loro impressioni mentre egli
si avvicinava. Alcuni dicevano: Non è questi colui che stava a
sedere e cercava l'elemosina? Altri, vedendolo avvicinare,
esclamavano: “Sì è proprio lui”; altri ancora, ai quali
sembrava assurdo che potesse vedere, dicevano:“No, è impossibile;
forse è uno che gli somiglia”. Egli poi, giunto nel crocicchio
della gente che, incuriosita, già andava raccogliendosi, affermò
con sicurezza che non ammetteva equivoci: Sono proprio io, ero
cieco e ora ci vedo per misericordia di Dio. A quest'affermazione si
accertarono che fosse lui e crebbe in loro la curiosità di sapere
come avesse avuto la vista, ed egli rispose: Quell'uomo che si
chiama Gesù fece del fango, unse i miei occhi e mi disse: Va' alla
piscina di Siloe e lavati. Sono andato, mi sono lavato e ci vedo.
Chiamò Gesù quell'uomo perché non lo conosceva ancora, ma
ne aveva sentito parlare, e la gente stessa non doveva essergli
familiare, perché tutti gli chiesero: Dov'è quest'uomo? Ed
egli rispose che non lo sapeva.
Un
miracolo sconcertante per i nemici del Signore
Tra
la gente che si era affollata c'erano alcuni che avevano autorità e,
sentendo parlare di Gesù Cristo e del fango che aveva fatto in
giorno di sabato, sembrando loro questo una violazione della legge,
accompagnarono il giovane dai farisei, cioè dinanzi al sinedrio, per
far fare un'inchiesta accurata sul fatto.
Per
i nemici del Salvatore quel miracolo era sconcertante, perché non
poteva essere effetto d'illusione e perché poteva avere una grande
influenza sul popolo. Perciò cominciarono col volerne bene assodare
le circostanze, nella speranza di trovarvi qualche punto debole per
poterlo negare. Interrogarono perciò il giovane per sentirsi
ripetere com'era stato guarito, ed egli, già annoiato da tante
domande, ripeté più sinteticamente il fatto, dicendo: Mise il
fango sui miei occhi, mi lavai e ci vedo.
Parlò
con tanta sicurezza che i farisei, in quel momento, non misero in
dubbio la sincerità del racconto della guarigione e cominciarono a
discutere fra loro. I più ostili dicevano che Gesù non poteva
essere da Dio perché non osservava il sabato; altri, più temperati
e logici, facevano riflettere che un peccatore non avrebbe potuto
fare questo miracolo e gli altri dei quali avevano conoscenza, perché
Dio non avrebbe confermato l'inganno di un impostore. La discussione
si animò talmente che ci fu una scissura fra loro e, non potendo
venire ad una conclusione, pensarono di approfondire meglio la
questione e domandarono al giovane che cosa egli pensasse di Colui
che l'aveva guarito. Egli rispose: Io dico che è un profeta,
È
profondamente psicologica la domanda dei farisei, e mostra tutto
l'imbarazzo della loro mente e della loro coscienza; chi, infatti, è
titubante in una questione grave sulla quale non sa decidersi,
domanda anche ai più umili che cosa ne pensano, e spera di avere un
argomento plausibile per attenersi alla risoluzione che,
inconsciamente, più lo attrae.
Essi
avrebbero voluto condannare Gesù ma non osavano, e speravano che una
parola di disprezzo che avrebbe potuto dire il giovane li avrebbe
tolti d'impiccio. Forse furono alcuni di quelli meno sfavorevoli e
più titubanti nella coscienza che rivolsero al giovane quella
domanda, quasi oziosamente e indifferentemente, senza mostrare di
volergli dare importanza, ma con la speranza di una testimonianza a
loro favorevole. Il giovane si sentì lusingato e rispose col tono di
chi sta alla pari con chi lo interroga: Io dico che è un profeta. La risposta per i più scalmanati non aveva nessun valore giuridico: anzi,
il mostrarsi il giovane entusiasta di Gesù diede loro il pretesto
per sospettare un trucco. Misero in dubbio l'autenticità del fatto e
non vollero ammettere che proprio quel giovane fosse il cieco nato
che chiedeva l'elemosina senza prima chiamare e interrogare i suoi
genitori.
Depongono
i genitori
Dal
contesto si può rilevare che i messaggeri che andarono a chiamarli
dovettero spaventarli con minacce e avvertirli che, se avessero in
qualunque modo parlato bene di Gesù, si sarebbero esposti ad essere
espulsi dalla sinagoga. Essi perciò assunsero un atteggiamento
estremamente prudente, sapendo che I'essere espulsi dalla sinagoga
equivaleva all'essere come scomunicati.
Introdotti
dinanzi al sinedrio, furono rivolte loro due domande, una per
l'identificazione del giovane: “È questo quel vostro
figlio che voi dite essere nato cieco ?”, e un'altra per
conoscere in qual modo fosse guarito: “Come dunque ora ci
vede?”. Le domande le fecero insieme, perché essi sapevano che
quegli era il giovane e premeva loro conoscere dai genitori com'era
guarito, sperando di controllare, nel racconto, una qualunque
contraddizione che potesse offrire loro il pretesto di condannare
Gesù come un impostore. Frattanto, fecero uscire il giovane per
evitare qualunque intesa, fatta magari a cenni, con i suoi genitori.
Questi, cercando di dissimulare la paura che avevano di trovarsi
dinanzi all'autorità, risposero con calma che sapevano benissimo che
quel giovane era loro figlio e che era nato cieco, ma ignoravano come
ora vedeva e chi gli aveva aperto gli occhi. Soggiunsero che il
giovane aveva un'età sufficiente per dar conto di ciò che lo
riguardava e che perciò avessero interrogato lui stesso, che doveva
saperlo. Con questo, uscirono dall'imbarazzo in cui erano e furono
licenziati.
Il
miracolato con impeto difende Gesù e mette in imbarazzo il sinedrio
Rimaneva
così assodato giuridicamente che realmente quel giovane era stato
cieco e quindi che realmente era guarito.
I
farisei, perciò, lo richiamarono in udienza con la speranza di farlo
schierare contro Gesù e quindi di far svalutare da lui stesso Colui
che l'aveva guarito o, almeno, di strappare dal suo labbro qualche
contraddizione sul miracolo, che ne avesse sfatato l'importanza.
Avutolo davanti, cercarono di prenderlo con le buone, dicendogli: Dà
gloria a Dio, cioè: “Di la verità e pensa che si tratta
della gloria di Dio, dovendo essere smascherato un impostore; non ti
far ingannare dal beneficio ricevuto e non mentire, se non sei un
falsario anche tu e fingi una guarigione che non è mai esistita; noi
sappiamo, infatti, che quest'uomo è peccatore”.
E volevano continuare e dire che, come tale, non aveva potuto fare
quel miracolo, ma il giovane non li lasciò continuare e, urtato da
quell'ingiuria rivolta al suo benefattore, li interruppe, dicendo: Se
sia peccatore io non lo so; questo solo conosco: che ero cieco e ora
io vedo. E voleva dire: “Voi affermate che è peccatore, e
della vostra affermazione siete responsabili voi; io non lo so, cioè
non lo ammetto, perché ero cieco e ora vedo; un peccatore non
avrebbe potuto fare questo miracolo”.
Siccome
il giovane ricordava il miracolo avuto come argomento per negare che
Colui che glielo aveva fatto fosse un peccatore, lo interrogarono
nuovamente sul miracolo per tentare di svalutarlo e per dimostrargli
che Gesù aveva violato il sabato ed era veramente un peccatore;
dissero perciò di nuovo: Che cosa ti ha fatto? Come ti ha
aperto gli occhi? Domandarono prima che cosa avesse fatto, per
dargli subito l'impressione della violazione del sabato. Ma il
giovane, annoiato della nuova inquisizione sull'accaduto, disse con
vivacità, come appare dal contesto: Già ve l'ho detto e l'avete
ascoltato; perché volete sentirlo di nuovo? E, per pungerli sul
vivo e per farli smettere, soggiunse: Volete forse diventare anche
voi suoi discepoli? Ma essi, adirati al sommo, lo ingiuriarono e
dissero in tono di disprezzo e di odio: Sii tu discepolo di Costui,
quanto a noi, siamo discepoli di Mosè. Noi sappiamo che a Mosè ha
parlato Dio, mentre costui non sappiamo di dove sia.
L'odio stesso che avevano per Gesù li fece scendere a competizione
con quel giovane, il quale cominciò a discutere con loro alla pari e
disse: Qui appunto sta la stranezza: che voi non sapete di dove Egli
sia, eppure mi ha aperto gli occhi. E voleva dire: “Agisce tanto
soprannaturalmente per virtù di Dio che, senza far capo a voi o aver
da voi l'approvazione, ha operato un miracolo così strabiliante.
Dunque ha un'autorità e una potenza superiore a voi. Voi affermate
che è un peccatore, ma noi sappiamo bene che Dio non ascolta i
peccatori per confermare la loro malvagità o le loro imposture;
ascolta operando cose straordinarie solo chi lo
onora e fa la sua volontà. Dacché mondo è mondo non si è udito
dire che alcuno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. Se questi
non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Rosso
in volto, concitato, entusiasta, senza riflettere più a quelli che
lo interrogavano come giudici, il giovane si accalorò nella
discussione e diede una solenne lezione a quegli ipocriti.
Alcuni
hanno affermato che egli non parlasse in modo giusto dicendo che Dio
non ascolta i peccatori, ma questo è falso, perché se Dio ascolta
anche le preghiere dei peccatori, non li ascolta quando pretendono
che Egli avalli con miracoli le loro malvagità. L'argomentazione era
quindi stringata, e poiché Dio aveva operato quel miracolo per
glorificarsi in quell'infelice e manifestare in lui le opere sue,
come disse Gesù (versetto 3), noi crediamo che il giovane parlasse
per impulso di grazia e che il Signore umiliasse così la superbia
del sinedrio. In fondo, il ragionamento del giovane era quello che
avrebbero dovuto fare i giudici che lo interrogavano: ciò che compie
quest'uomo è straordinario e miracoloso, cioè suppone l'intervento
di Dio. Ora, il Signore non interverrebbe se Egli fosse un peccatore,
violatore della Legge; dunque quest'uomo è da Dio, e senza di Dio
non potrebbe far nulla di ciò che fa.
Nell'ascoltare
quella vivacissima difesa che il giovane fece di Gesù, gli scribi e
i farisei montarono su tutte le furie e, non potendogli rispondere
direttamente perché a corto di argomenti, lo vituperarono, dicendo:
Sei tutto un impasto di peccati e pretendi d'insegnare a noi?
Con questa ingiuria sanguinosa lo cacciarono fuori, ossia
probabilmente gli applicarono la scomunica, per impedirgli di
propagare il miracolo avuto o per togliere ogni prestigio alla sua
testimonianza.
Gesù
dona al giovane miracolato la "vista" dell'anima egli si
rivela Figlio di Dio
Il
fatto produsse grande scalpore per la notorietà del giovane guarito,
e ci fu chi andò a riferirlo a Gesù. Il Redentore ne fu addolorato
e, avendo dato a quell'infelice la vista del corpo, volle dargli
anche quella dell'anima, illuminandolo pienamente. Quel giovane lo
credeva un profeta ed era necessario che lo riconoscesse per Figlio
di Dio; l'aveva confessato e difeso come santo e doveva confessarlo e
adorarlo come Santo dei Santi; perciò, incontratolo, gli disse:
Credi tu nel Figlio di Dio? Ed egli rispose: Chi è,
Signore, perché io creda in lui? Aveva la volontà di credere ma
gli mancava la luce, come prima voleva vedere fisicamente e gli
mancavano gli occhi. Gesù Cristo, illuminandolo interiormente con un
grande fulgore di grazia, gli disse solennemente: Lo hai visto, Colui
che parla con te è proprio lui. Il giovane lo guardò, ne vide in
quello sguardo la maestà, ne sentì la potenza, e riconobbe la
gloria; si sentì l'anima tutta piena di soave unzione, sentì nel
cuore una gran fiamma d'amore, esultò nello spirito, si sentì come
schiacciare dalla grandezza di Colui che gli parlava, si prostrò
fino a terra e, adorandolo come Dio, disse: Credo, o Signore.
I
farisei a Gesù, ironicamente: Siamo forse ciechi?
Quelli
che lo circondavano, al vedere quel profondo atto di adorazione
rimasero meravigliati, perciò Gesù soggiunse: Io sono venuto in
questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono
vedano e quelli che vedono diventino ciechi. E voleva dire: Voi
vi stupite? Gli orgogliosi, gonfi della loro sapienza che credono di
vedere, rifiutano la verità e diventano interiormente ciechi; gli
umili, invece, che vengono a me con semplicità, vedono la luce di
Dio, ricevono la fede e si salvano. Io, così, divento per gli uni
tenebre e per gli altri luce”. Egli voleva scuotere i farisei che
erano con Lui, ma essi se ne offesero e soggiunsero: Siamo forse
ciechi anche noi? Essi si credevano illuminati, scienziati,
dottori della Legge, perfetti, e dissero ironicamente: “Vuoi
trattare da ciechi anche noi che siamo luce d'Israele?”. E Gesù
rispose con profondo dolore: "Oh, foste voi ciechi”, ossia
"Foste veramente accecati in buona fede nel rinnegarmi e nel
rifiutare la luce della Verità! Voi allora non avreste sull’anima
il peccato. Ma poiché affermate di vedere, agite in malafede,
rinnegate con malizia la verità e rimanete nel peccato”.
I
farisei di oggi ripetono ironicamente: Siamo ciechi anche noi?
Pronunciando
queste parole, Gesù era profondamente addolorato; non era Lui a dare
la cecità spirituale agli orgogliosi, ma per la loro malizia Egli
costituiva per loro un’occasione di cecità; è in questo senso che
dice d'essere venuto a fare un giudizio.
Quelli
che vicino a Lui si accecano, mostrano di avere l'anima lontana da
Dio; Egli è per loro come la rivelazione della loro perversità, e
quindi la manifesta, come un giudice, col suo criterio, e con la luce
della legge smaschera le colpe dei rei. Quelli che vicino a Lui
vedono la luce mostrano di avere l'anima retta, e quindi Egli è per
loro come la rivelazione della loro bontà. Essendo poi giudice di
giustizia, Egli priva della luce quelli che vi pongono ostacolo e,
senza luce, essi sono ciechi spiritualmente; dona la sua luce a
quelli che la desiderano ed essi vedono, vedono nello splendore della
Verità.
Chi
ha gli occhi e sta al buio non è come cieco? Si volge intorno e non
vede nulla, poiché le tenebre lo avvolgono. Chi, stando al buio, ha
una lampada, subito vede e la luce gli fa come ritornare la vista.
Questo
giudizio di accecamento e di illuminazione Gesù non lo fece solo con
gli Ebrei, ma lo fa nel mondo e lo farà in tutti i secoli. Quelli che
rifiutano la verità divina e si credono nella luce della scienza
sono poveri ciechi; anche quando vedono le cose materiali e ne
scrutano i misteri, non ne vedono la ragione, la causa, l'armonia e
il fine ultimo, e brancolano nelle tenebre. Sono come ciechi che
vedono col tatto e percepiscono solo le dimensioni di ciò che
toccano, senza vederne i colori e la bellezza.
Quale
tremendo giudizio ha fatto Dio a questa nostra generazione superba
che si è creduta nel secolo dei lumi e vive nella più tetra e
oscura caligine di errori! Quale umiliazione all'orgoglio incretinito
è tutto il “filosofame”balordo che sostituisce alle visioni
della fede sul mondo, sulle cose e sulla vita le panzane di cervelli
infermi e tumultuanti nelle incomposte follie dei loro pensieri!
Quale avvilimento è il conoscere la materia e ignorare lo spirito, è
il rinnegare la fede e il rendersi schiavi di errori banali,
dogmatizzanti nella loro stoltezza! Quale abiezione è il rinnegare
il Cristo e la Chiesa e il prostrarsi ai farabutti ed ai tiranni che
non salvano e non illuminano ma perdono e accecano!
Anche
nel campo cattolico avviene questo giudizio di Dio, ogni volta che
per cercare luce si va nelle umide e tenebrose grotte dell'errore. I
modernisti, i neo-critici, i pomposi cultori dei cosiddetti alti
studi, i pedissequi di quei pazzi sfrenati che rinnegano il
patrimonio santo della Chiesa per accogliere le stoltezze dei
supercritici razionalisti tedeschi, francesi o della Mecca, sono
cechi che non vedono più nella Scrittura, non capiscono la storia,
non approfondiscono le leggi dello spirito, confondono l'eresia con
le Verità, l'idolo con Dio, la realtà con le ipotesi e scorrazzano
da pazzi nelle branche della cultura, cogliendovi le ciaccate
catarrose o come perle, le aberrazioni del pensiero come oro
splendente, solo perché raccolgono i riflessi rossigni d'una vampata
che non è luce ma parte delle devastazioni d'un incendio!
Non
si creda che esageriamo o che usiamo un linguaggio troppo duro; noi,
invece, con l'anima in fiamme dal dolore, usiamo un linguaggio molto
blando. Non ci sono espressioni capaci di fulminare le aberrazioni di
quelli che rinnegano la Verità e sposano l’errore! Bisognerebbe
unire insieme le espressioni più... forbite di tutti i dialetti, le
irruzioni maledicenti di tutte le ire egli impeti di tutte le
battaglie, per ricacciare nell'inferno, dal quale sono uscite, tutte
le infami stoltezze della nostra generazione, in tanti campi!
Bisognerebbe porre queste stoltezze nei raggi divini, per vedere che
sono come lebbra purulenta, muffa di putrefazione, posteme
cancrenose, lupus divorante!
O
Gesù, fa lavare gli occhi ciechi del mondo di oggi nelle acque della
grazia e fa' che si aprano alla luce
Gesù
Cristo compie il suo giudizio anche oggi: vedono i veri figli della
Chiesa, vedono gli umili, vedono quelli che pregano, ma i cosiddetti
dotti, avvelenati dalle moderne stoltezze, non vedono sono ciechi e
rimangono ciechi.
O
Gesù, o Gesù, sputa su questa terra di errori, impastala, mostra
che è fango e non è oro, fanne sentire il bruciore e il fastidio
agli occhi ciechi che non ti vedono, falli lavare nelle acque della
grazia che ci hai meritato con la tua redenzione e fa' che si aprano
alla tua luce! Compi un giudizio di misericordia, affinché quelli
che non vedono vedano; apri fino allo splendore dell'evidenza i
tesori delle tue verità; facci conoscere i tesori delle Sacre
Scritture, i tesori della fede, i tesori delle armonie della tua
grazia nel povero greto umano; guidaci al Cielo per la diritta via
della giustizia e della tua Legge; facci comprendere e approfondire
la verità storica di tutto lo sviluppo della Divina Provvidenza
nelle vicende umane, e al criticismo balordo che, come tutti i
mormoratori e calunniatori, demolisce e non edifica, sostituisci la
luce della Verità che intuisce e scopre la Verità nei fulgori della
tua sapienza e nelle intuizioni dell'esperienza e della logica. Compi
il tuo giudizio di misericordia, o Gesù, e fa' rifulgere nuovamente
le arti come ancelle del tuo trono e come voci gentili di bellezza,
di forza, di virtù e di bene, affinché le mostruosità impure o le
deformazioni del bello non deturpino più questa terra che è tutta
un capolavoro dell'arte divina del Creatore. Rinnovaci, fa' che
vediamo, aprici la via della vita, rendici veggenti nella fede,
luminosi nella speranza e accesi di fiamma nel tuo dolcissimo amore!
I
profondi insegnamenti che ci vengono dal racconto evangelico
Seguiamo
passo passo il racconto evangelico per trarne almeno una parte dei
grandi insegnamenti dei quali è ricco. Non sono insegnamenti che
ricaviamo per accomodazione o per la fecondità della nostra mente,
ma fluiscono dalla fecondità della Parola di Dio.
Sant'Agostino
ci ammonisce che Gesù con i suoi miracoli ha insegnato, e quindi le
applicazioni spirituali stanno nelle divine intenzioni di Gesù e
fluiscono dal Sacro Testo. Tutto il Vangelo è, infatti, più una
raccolta di fatti che di massime, è un codice vivo di esperienza che
si ricava dalla vita vissuta da Gesù Cristo e dall'ambiente nel
quale l'ha vissuta. Se si prescindesse da questo nel commento dei
Vangeli, essi letteralmente sarebbero non un codice, ma un racconto.
Gesù
passando vide un uomo cieco dalla nascita. Egli, venendo in terra, ha
visto tutti gli uomini, ha visto l'uomo cieco dalla nascita perché
macchiato e ferito dal peccato originale, nato nella cecità dello
spirito, impossibilitato a spingere lo sguardo nei Cieli eterni e a
riceverne la luce. Gesù venne in terra per poco tempo, passò per la
nostra valle e vi si fermò per guarire la cecità umana.
La
privazione della vista nell'infelice che Gesù guarì era certamente
una sventura. Gli Apostoli la attribuirono ai peccati del cieco o dei
suoi genitori, supponendo che ogni sventura sia il castigo di colpe
commesse; ma Gesù rettificò questa loro opinione, che era generale,
e disse che quel poveretto era nato cieco perché si fossero
manifestate in lui le opere di Dio. Prima di nascere non avrebbe
potuto peccare, era un assurdo; la cecità avrebbe potuto essere un
effetto dei peccati dei genitori come lo sono tante infezioni
luetiche, conseguenza di colpe, ma in quel caso Gesù esclude questa
causa e parla di un disegno particolare di Dio. Dunque vi sono delle
sventure, delle croci e delle tribolazioni che costituiscono un
privilegio di grazia e di Provvidenza per la manifestazione e il
compimento delle opere di Dio. Dunque anche nei miracoli, come
dicemmo ampiamente nel II volume di quest'opera, il Signore ha un
disegno di Provvidenza che nella sua onniscienza e prescienza
armonizza gli stessi eventi e le forze naturali ai suoi fini d'amore.
Il miracolo non è un evento quasi capriccioso o arbitrario, ma è
ponderato e disposto mirabilmente da Dio in ogni sua circostanza e
particolare, e s’incunea, per così dire, in tutti gli eventi
naturali e vi si incastona come una gemma di particolare splendore.
Nel caso del cieco nato, questo giovane era stato prescelto da Dio
come un soggetto delle manifestazioni del Verbo Incarnato, come una
parte viva delle opere che Egli doveva compiere e come un argomento
luminoso della sua Verità. Non era un disgraziato ma un prediletto;
era come una delle comparse più splendide di una scena di
misericordia e di amore. Era una comparsa di fiducia, diremmo, scelta
con amore e preparata con tante piccole grazie interne per renderla
capace della sua parte. Dio previde la vita di quel giovane, lo volle
cieco perché servisse alla sua gloria, ma lo volle anche per dargli
la vista come una gioia ineffabile.
Quello
che negli altri è un dono che non si pondera, non si apprezza e non
si gode, quello che negli altri è un organo qualunque, in lui, per
la privazione che ne ebbe, costituì un beneficio particolare e gli
diede un godimento ineffabile.
Di
tutte le nostre croci e tribolazioni possiamo pensare: Ecco un fatto
nel quale può e deve manifestarsi l'opera di Dio e la sua gloria.
Ecco per me un'occasione di rendere testimonianza alla bontà e alla
gloria di Dio. Eccomi nella scena della vita come un attore che serve
al disegno della divina Grandezza”. Anche quando le croci sono
frutto dei nostri peccati, anche allora servono alla gloria di Dio,
perché ristabiliscono l'ordine e la giustizia e ci fanno dare frutti
di pazienza, di rassegnazione e di amore.
Anche
noi, finché è giorno, solo finché è giorno possiamo operare
Bisogna
che io compia le opere di Colui che mi ha mandato – disse Gesù
–finché è giorno, poi viene la notte, quando nessuno può
operare. Sono
parole arcane che riguardano anche noi, poiché come creature di Dio
e come parte del Corpo mistico del Redentore
anche
noi abbiamo una missione da compiere nella vita finché è giorno,
cioè nel tempo che il Signore ci concede. Noi possiamo immaginare
che la vita sia un divertimento o un gioco di ventura che dipende dai
nostri capricci: dobbiamo vivere nella divina Volontà, seguire i
disegni che Dio ha su di noi e non farci sorprendere dalla notte
della morte in uno stato di oziosità pratica.
Quale
vita oziosa conducono i poveri mondani, tutti intenti alle opere del
peccato e della carne! Che ozio c'è nell'assordante frastuono delle
attività umane, tutte volte alla materia!
Finché
sono nel mondo – soggiunse Gesù – sono la luce del mondo,
e ciò dicendo sputò in terra, fece con lo sputo del fango e lo
spalmò sugli occhi del cieco nato, ingiungendogli d'andarsi a lavare
alla fontana di Siloe.
Gesù
Cristo è Luce del mondo con la sua sapienza, e finché gli uomini
non lo ricacciano Egli li illumina.
Nell'apostasia
universale, il mondo cade in tenebre fitte – come già
dolorosamente vediamo in tante nazioni scellerate -, e l'assenza di
Gesù significa per esso la cecità più profonda. Gesù è, nel
mondo, vivente nell'Eucaristia e nel sacerdozio, nella Chiesa e nel
Papa; ora, le nazioni che rinnegano l'Eucaristia, il sacerdozio, la
Chiesa e il Papa sono destinate alle tenebre, che s'infittiscono
talmente da renderle come cieche.
Gli
antichi credevano che la saliva fluisse dal cervello e la prendevano
come simbolo della sapienza; Gesù Cristo utilizzò questa credenza
per farsi comprendere e sputò in terra quasi per esprimere in un
simbolo accessibile al popolo in qual modo era luce del mondo:
impastò la saliva con la terra e mise sugli occhi del cieco il fango
che ne formò; poi lo fece lavare alla fontana di Siloe, la fontana
del Messia, e il cieco vide. È il simbolo popolare di un mistero
profondo.
L'eterna
Sapienza assunse la povera polvere umana e, come Dio plasmò l'uomo
dal fango, così l'eterna Sapienza, in cui termina la natura assunta
nel seno immacolato di Maria per opera dello Spirito Santo, plasmò
l'uomo nuovo. Si donò all'uomo, e l'uomo lo assorbì quasi in sé e
si unì a Lui nelle acque del Battesimo, diventando parte del suo
Corpo mistico; in questa fusione avvenuta attraverso l'acqua
ricevette la fede, e vide.
Gesù,
quando guarì il sordomuto, gli toccò la lingua con lo sputo e
gliela sciolse (cf. Mc 7,33); quando guarì il cieco di Betsaida gli
mise lo sputo negli occhi e quel cieco riacquistò a gradi la vista
(cf. Mc 8,23); con la sua sapienza donò la vista a chi non l'aveva,
aprì gli occhi a chi li aveva perduti e sciolse la lingua alla lode
di Dio, perché incarnandosi nella polvere umana ci illuminò e
rischiarando gli occhi abbuiati dal fango umano li riaprì alla luce
eterna.
Lo
sputare è anche un segno di disprezzo, il massimo segno di
svalutazione di una cosa o di una creatura; ora, Gesù sputò sulla
terra perché essa non è il termine delle nostre aspirazioni; ne
formò il fango per mostrare quello che essa era nello stato di
degradazione in cui l'ha ridotta il peccato; spalmò il fango sugli
occhi spenti perché, come si accennò, ne avessero sentito il
fastidio e avessero bramato l'acqua della purificazione. Egli volle
dire alla cieca umanità, tutta rivolta alla terra: “Ecco quello
che ti attrae: un po' di fango! Lavati nelle acque rigeneratrici
della grazia che ti ho meritato e apri gli occhi alle eterne
magnificenze dei Cieli".
Col
mezzo più umile e disadatto, Gesù donò la vista al cieco e, con
mezzi umili e naturalmente inadeguati, Egli ci dona la grazia
sacramentale. Si mostrò onnipotente, donando la vista col fango e si
mostra Fonte di vita, donandoci la grazia attraverso la materia e la
formula sacramentale. Così specificamente risana i peccatori: unisce
al fango dei loro peccati la sua misericordia, lo rende visibile ai
loro occhi interni, facendone sentire loro il fastidio ; eccita, col
pentimento, il desiderio della purificazione, e il fango, reso da
Gesù materia sacramentale, dona all'anima la vista e la vita.
Vediamo
lontano con la televisione, con i telescopi, con i cannocchiali... e
siamo ciechi perché senza Dio!
Che
tristezza è pensare alla nostra cecità in un'epoca che presume di
essere epoca di lumi! Chi lo direbbe? Vediamo lontano, a distanza di
migliaia di chilometri con la televisione, vediamo nelle profondità
del firmamento con i telescopi giganti, vediamo negli abissi con i
cannocchiali marini, vediamo nel mondo infinitesimale con i
microscopi perfezionati e siamo ciechi, perché non vediamo la luce
di Dio.
E
perché? Perché l'orgoglio ci acceca! Il cieco nato, di fronte agli
scribi e ai farisei, era un veggente acutissimo; ciechi veri erano
proprio quegli infelici, perché non si umiliavano. Andiamo da Gesù
perché con la sua misericordia ci faccia percepire il fango che
siamo e il fango che sono i poveri idoli che sono stati elevati nel
mondo per funestarlo, ciechi e guide di ciechi. Se non ci con
vinciamo della nostra estrema miseria, non andremo da Gesù per
mondarci e non vedremo mai.
Come
accolsero gli scribi, i farisei e in particolare il sinedrio il
miracolo di Gesù? Era luce vivissima, ed essi, invece di vedere, si
accecarono di più. Mentre per il cieco il fango divenne luce, per
essi la luce divenne fango e li accecò. Fecero un processo, è vero,
un'inchiesta accurata, un giudizio, ma lo fecero per rimanere in
tenebre più fitte. Così, spesso, il mondo guarda le luci di Dio e
così, dolorosamente, le guardano anche le anime buone, quando si
lasciano influenzare dallo spirito del mondo.
È
un dato di fatto che, salvo rare eccezioni, i Santi e le opere più
belle di Dio sono disconosciuti non solo dalla gente volgare ma anche
da quelli che potrebbero e dovrebbero avere la vista interiore meno
offuscata. La storia non insegna nulla a questi ciechi volontari, ed
è deplorevolissimo perché, almeno una volta, dovrebbe venir loro il
dubbio di potersi ingannare, come si sono ingannati in passato i
mormoratori dei Santi e gli avversari di tutte le opere di Dio.
Nessuno pensa: “E se m'inganno io? Se mi trovo dinanzi ad un fatto
straordinario? Se è Dio che opera?”. Si danno giudizi avventati,
si crede di essere infallibili e si cade in vera e dolorosa cecità.
È così che noi dobbiamo ricordare con rossore la lotta fatta da
poveri ciechi ai maggiori luminari della Chiesa e dobbiamo coprire
col velo dell'oblio le persecuzioni fatte alle opere suscitate da Dio
nella Chiesa, per non coprirci di rossore! I nostri Padri, i santi
Pontefici e i santi Vescovi avevano in passato un mezzo d'indagine
più efficace per discernere lo spirito vero dal falso e le opere di
Dio da quelle fantastiche o diaboliche: pregavano, digiunavano,
indagavano con spirito di semplicità e di umiltà e, anche quando
volevano provare lo spirito di chi era strumento nelle mani di Dio,
lo facevano con quella soave carità che non esponeva al pericolo di
strappare il buon grano, volendo strappare la zizzania. A volte
l'orgoglio ci acceca, e credendo di rendere onore a Dio c'illudiamo
ed emuliamo lo spirito degli scribi e dei farisei.
È
tanto bello e salutare umiliarsi e supplicare il Signore di non
accorciare la sua mano su di noi, dandoci nella sua bontà Santi
pieni del suo spirito e del suo amore che ci aiutino ad aprire gli
occhi alla sua luce e ci guidino, con i loro esempi, nel
pellegrinaggio terreno!
Sac.Dolindo Ruotolo
Nessun commento:
Posta un commento