Fin che siamo in questo mondo, fin che
siamo in cammino da questo all'altro mondo, la nostra conoscenza è
imperfetta, imperfetto il nostro amore e imperfetta la nostra
felicità. Questa serie di imperfezioni fa sì che la nostra vita
quotidiana sia caratterizzata da reciproche scorrettezze, offese,
incomprensioni, indelicatezze e, nei casi più gravi, da rancori,
cattiverie, violenze. Inoltre, questi guai, oltre che
dall'imperfezione naturale, sono alimentati anche dall'opera del
demonio. In questa situazione il tipo di comportamento che spesso
vediamo prevalere, è quello di chi risponde all'offesa con l'offesa,
alla cattiveria con la cattiveria, alla violenza con la violenza. Se
però accettiamo questa logica non otteniamo un miglioramento
della convivenza fra gli uomini, ma un crescente peggioramento delle
relazioni fino a rendere invivibile la vita nelle famiglie e nella
società.
L'atteggiamento da adottare per
rimediare a questo stato di cose, l'apostolo Pietro l'aveva capito in
parte. Dice infatti a Gesù: Signore, quante volte dovrò
perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?
Pietro aveva capito che dobbiamo disporre il nostro cuore a perdonare
coloro che ci offendono. Secondo lui, però, era opportuno stabilire
un limite superato il quale sarebbe stato più conveniente cambiare
atteggiamento; così, con uno sforzo di generosità prova a chiedere
al Signore se perdonare fino a sette volte potrebbe essere una buona
regola. Probabilmente la proposta di Pietro rappresenta un certo
limite a cui, nei casi migliori, può giungere la natura umana
lasciata alle sue forze. Trovare qualcuno disposto a perdonare chi lo
offende fino a sette volte, non è poi così male. Ma Gesù è venuto
ad offrirci la possibilità di andare decisamente oltre i limiti
della natura umana. Risponde infatti Gesù a Pietro: Non ti dico
fino a sette, ma fino a settanta volte sette. Perdonare fino a
settanta volte sette significa perdonare sempre, ma questo non è
possibile alle deboli forze umane. Gesù allora, ci sta forse
chiedendo qualcosa di impossibile? Sì... ma se Gesù ci chiede di
perdonare sempre, è perché con la sua grazia vuole venire in
soccorso alla debolezza delle nostre forze.
A proposito di Pietro, potremmo ancora
osservare come sia più che altro preoccupato di trovare una regola
per perdonare gli altri; forse non è molto consapevole di quanto
abbia bisogno lui di essere perdonato. La notte in cui, nonostante le
promesse, per tre volte rinnegherà il Signore, si renderà conto di
questa necessità e sperimenterà, in quella stessa notte, quanto è
grande la sua miseria e quanto è grande la bontà del Signore.
Racconta infatti il Vangelo di Luca che, ad un certo momento della
notte, dopo aver dichiarato per tre volte di non conoscere Gesù: Il
Signore, voltatosi, lo guardò... e in quello
sguardo Pietro comprende, nello stesso tempo, sia la gravità del suo
peccato, sia la straordinaria bontà del Signore che gli offre il
perdono, ed allora: Uscito, pianse amaramente (Lc 22, 61-62).
La parabola del Re misericordioso e
del servo impietoso
Passa poi il Signore a raccontare la
storia del re che vuole fare i conti con i suoi servi. In questa
storia c'è un servo che nel corso della vita ha accumulato un debito
enorme nei confronti del Re suo signore: diecimila talenti
equivalgono a circa 300 tonnellate di argento. Questo vuol dire che
quel servo non era stato molto saggio nella sua condotta, anzi,
piuttosto scriteriato, non gli importava di fare debiti pur di
soddisfare i suoi desideri, non accettava una vita modesta, alla
portata del suo portafoglio, ma, spinto da un'insaziabile bramosia,
continuava a fare debiti, forse illudendosi di riuscire a farla
franca. Evidentemente non poteva continuare su quella strada, non
poteva continuare a spendere e non guadagnare nulla senza che prima o
poi il Re gli chiedesse di restituire quanto gli aveva prestato.
Arriva per tutti il giorno in cui si deve rendere conto della propria
amministrazione.
È in questo momento che il servo
scriteriato viene costretto a riconoscere l'enormità del suo debito,
la stoltezza della sua condotta, la sua responsabilità per la
situazione disastrosa in cui si trova lui e la sua famiglia; e quando
il Re ordina che sia venduto lui con la moglie, con i figli e con
quanto possiede per saldare il debito deve ammettere che non gli
fa un torto, ma è giusto nella sua richiesta. La situazione del
servo è disperata e, sul piano della giustizia, non ha scampo. È a
questo punto che decide di fare appello alla misericordia del Re:
Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi
pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. In seguito a questo
appello accade qualcosa di singolare, di straordinariamente
sorprendente, ed è che il Re non concede al servo quello che gli sta
chiedendo, ma gli concede immensamente di più. Il servo aveva
chiesto del tempo per poter restituire il debito, il Re glielo
condona interamente: Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò
andare e gli condonò il debito. E quell'uomo passa dalla
disperazione alla liberazione, dall'oppressione al sollievo,
dall'angoscia alla pace.
Il servo cattivo manifesta la sua
durezza
È a questo punto che avviene un nuovo
colpo di scena, questa volta decisamente ripugnante. Colui che aveva
ottenuto il condono del debito al di là delle più ottimistiche
speranze, si rifiuta di aver pietà di chi, come lui, chiede un po'
di pietà e di tempo per restituire quanto deve. La cosa è tanto più
grave in quanto il debito del compagno è decisamente inconsistente,
mentre lui aveva appena ricevuto il condono di un debito enorme; e
come lui, oltre le speranze aveva ottenuto il condono, così avrebbe
dovuto aver pietà del compagno e non farlo gettare in prigione
finché non avesse restituito quanto doveva.
C'è in tutto questo qualcosa di
strano. È strano che chi ha veramente sperimentato la dolcezza della
misericordia non sia a sua volta misericordioso. Allora, chi non
vuole imparare la lezione della misericordia viene richiamato alla
scuola della giustizia: Il padrone fece chiamare quell'uomo e...
sdegnato, lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse
restituito tutto il dovuto. Termina il Signore dicendo: Così
anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non
perdonerete di cuore al vostro fratello.
La parabola e noi
Quando il Signore termina noi dobbiamo
incominciare, incominciare con il suo aiuto a capire come questa
storia riguardi ognuno di noi, quali gli insegnamenti da praticare,
quali gli errori da evitare. Penso che potremmo riassumere
l'insegnamento di questa storia in questo modo: noi abbiamo nei
confronti di Dio un debito enorme, simile ai diecimila talenti del
servo malvagio; che il nostro debito sia così enorme non ce ne
rendiamo bene conto, il Signore ci chiede allora, con questa
parabola, di credere che le cose stanno proprio in questi termini. Ci
dice inoltre che Lui è disposto a condonarci tutto se, consapevoli
del nostro debito, con umiltà e sincerità faremo appello alla sua
misericordia. L'unica cosa che ci chiede è di essere a nostra volta
misericordiosi verso coloro che hanno dei debiti verso di noi. Se lo
faremo ci farà sperimentare sempre di più la dolcezza della sua
misericordia secondo la promessa della beatitudine: Beati i
misericordiosi, perché otterranno misericordia (Mt 5,7). Se non
lo faremo, se non perdoneremo cioè di cuore ai nostri fratelli,
allora il nostro comportamento sarà odioso come lo è stato il
comportamento del servo malvagio, e il Signore dovrà sottoporci ai
rigori della sua giustizia finché non impareremo a diventare
misericordiosi. Dice infatti la parabola: Il padrone, sdegnato,
diede il servo malvagio in mano agli aguzzini, finché non gli avesse
restituito tutto il dovuto. E il Signore ammonisce: Così
anche il Padre celeste farà a ciascuno di voi se non perdonerete di
cuore al vostro fratello.
Quando il nostro debito cresce e
quando diminuisce?
Proviamo adesso ad approfondire
ulteriormente. Potremmo incominciare col porci la domanda: quando il
nostro debito nei confronti di Dio cresce e quando diminuisce? Per
rispondere conviene esaminare qual è il capitale che Dio ci ha dato
in prestito; Dio ha dato ad ognuno di noi prima di tutto l'esistenza,
poi una certa intelligenza, del tempo per crescere, i beni della
natura e delle manifestazioni del suo amore. A seconda di come
utilizziamo questi beni, il nostro debito verso di Lui aumenta o
diminuisce.
Se noi spendiamo questo patrimonio al
fine di guadagnare o crescere in conoscenza e amore di Dio, allora
utilizziamo saggiamente i suoi doni, non facciamo debiti ed otterremo
le sue benedizioni. Se al contrario, per colpa nostra, non arriviamo
a riconoscere che tutti i beni che abbiamo li abbiamo ricevuti da
Lui, e quindi non lo ringraziamo e non li utilizziamo per crescere
nella sua conoscenza e nel suo amore, allora il nostro debito non può
che aumentare a dismisura, perché è come se spendessimo un capitale
datoci in prestito senza guadagnare nulla e, se si continua a
spendere senza guadagnare, arriverà il giorno che, per poter vivere,
per avere di che sfamarsi, bisognerà fare debiti. La fame, come si
sa, può giocare dei brutti scherzi, e in ognuno di noi c'è una
grande fame di felicità ma, se finiscono i soldi, come faremo a
placare questa fame? Se con i beni che Dio ci ha dato non riusciamo
più ad essere contenti perché li abbiamo utilizzati male, o perché
scopriamo che non bastano più, dove troveremo quella gioia a cui il
nostro cuore aspira?
Il momento critico
È in questo momento che c'è o la
possibilità di un ravvedimento oppure la triste possibilità di
incrementare ulteriormente il nostro debito. Come infatti vediamo
spesso, molti, giunti a questo punto, per trovare un po' di gioia,
per non morire di fame, sono disposti a fare debiti pur di acquistare
di che sfamarsi, ossia sono disposti a trasgredire gravemente le
leggi di Dio per riempire quel vuoto del cuore che niente può
colmare se non Dio solo. Assistiamo allora ad una corsa frenetica
verso ogni sorta di piacere, di stordimento e di depravazione, nella
disperata ricerca di nuove sensazioni, nuove emozioni, nuove
soddisfazioni...
Ma il nostro debito nei confronti di
Dio può aumentare anche per un'altra ragione. Nel momento in cui ci
rendiamo conto che le risorse scarseggiano e non riusciamo più a
soddisfare il bisogno di felicità a cui tende il nostro cuore, anche
se non trasgrediamo gravemente la legge di Dio, se lasciamo prevalere
in noi una certa rassegnazione, se ci lasciamo vincere dalla noia e
dal disgusto, allora non rendiamo a Dio quello che Lui si aspetta da
noi, perché Lui si aspetta che noi diventiamo buoni, sapienti,
viventi, in cammino verso la vera felicità; deludere Dio nelle sue
aspettative non è un debito di poco conto.
Allora, lungo il corso della nostra
esistenza, in vari modi, a certe scadenze che Lui solo conosce, Dio
ci rende consapevoli del molto che gli dobbiamo, della stoltezza
della nostra condotta, della nostra responsabilità per la situazione
infelice nella quale ci troviamo. In questi momenti dobbiamo
riconoscere che Dio avrebbe tutte le ragioni per trattarci
severamente; inoltre, la considerazione che questa condotta
scriteriata ha avuto ripercussioni anche sulle persone che ci sono
vicine, rende la situazione ancora più grave. Il padrone ordina
infatti che il servo malvagio venga venduto con la moglie, i figli e
con quanto possiede, per saldare il debito.
Apparente ingiustizia
L'aspetto apparentemente ingiusto della
decisione del padrone, serve a renderci consapevoli del fatto che
comportarsi bene o male, ha un'influenza non indifferente sulla vita
delle persone che ci sono più vicine; se faremo il bene, sarà un
bene per noi e per le persone che stanno attorno a noi, se faremo il
male, ne porteremo le conseguenze noi e quelli che sono a noi più
vicini.
Giustizia e Misericordia
Tuttavia, se riconosciamo umilmente i
nostri errori, se riconosciamo le ragioni della giustizia divina, se
siamo disposti a pagare in qualche modo i nostri debiti, uno
spiraglio ci viene aperto, una speranza ci viene suggerita. Il
suggerimento è di fare appello alla misericordia di Dio; se lo
faremo, come mostra la parabola, verremo esauditi al di là delle
nostre più ardite speranze. Infine, quello che il Signore chiede a
coloro che hanno ottenuto misericordia, è di essere a loro volta
misericordiosi per non assomigliare al servo malvagio e ricadere così
sotto il braccio della sua giustizia.
Dio vuole usare misericordia con tutti,
vuole perdonare tutti, ma nessuno deve illudersi di poter
approfittare di Lui perché è buono e desidera perdonare, vediamo
infatti che il servo malvagio viene severamente punito per la sua
malvagità: Lo diede in mano agli aguzzini finché non gli avesse
restituito tutto il dovuto. E come gli aguzzini tormentano con
varie molestie coloro che vengono consegnati nelle loro mani, così,
chi non utilizza i doni ricevuti per crescere nell'amore di Dio e dei
fratelli, per diventare misericordioso come Lui è misericordioso,
verrà sottoposto alla molestia di varie tribolazioni fino a che non
si ravveda e si decida a camminare sulla retta via. Questo è ancora
misericordia di Dio che tenta in tutti i modi di richiamare coloro
che sono lontani da Lui, perché non gode della morte dell`empio,
ma vuole che l`empio desista dalla sua condotta e viva (Ez
33, 11).
Questa parabola ci mostra dunque due
volti della maestà divina: il volto della giustizia e il volto della
misericordia, e tutto accade come se la giustizia divina lavorasse
per spingere il peccatore nelle braccia della misericordia. Se
rimaniamo sul piano della giustizia non riusciremo mai ad estinguere
il debito che abbiamo nei confronti di Dio, ma la presa di coscienza
del nostro debito ha lo scopo di orientarci verso la misericordia con
un cuore contrito e umile, il cuore che Dio gradisce e desidera
riempire con la dolcezza del suo perdono e delle sue benedizioni.
Senza un cuore contrito e umile non può
esserci perdono. Chi è stato offeso può avere le migliori
intenzioni di perdonare, può manifestarne il desiderio, può
ispirare il desiderio del perdono, ma il perdono avverrà soltanto
quando chi ha peccato piegherà le ginocchia e con cuore pentito e
umile riconoscerà la gravità delle sue mancanze contro l'amore.
Questa è soprattutto la nostra situazione nei confronti di Dio, ma
ci sono anche i casi in cui gli altri hanno dei debiti nei nostri
confronti; quando questo accade il Signore vuole che siamo disposti a
perdonare di cuore ai nostri fratelli. Ma anche in questi casi,
perché il perdono possa avvenire, ci vuole da una parte un cuore che
umilmente riconosca i propri torti e voglia in qualche modo rimediare
e, dall'altra, un cuore disposto a perdonare.
Ma quand'è che possiamo dire di avere
un cuore disposto a perdonare? Avremo un cuore disposto a perdonare
quando riusciremo ad avere uno sguardo di benevolenza verso tutti,
anche verso coloro che ci fanno del male, avremo un cuore che sa
perdonare quando avremo un cuore che sa amare. Un cuore che sappia
amare non si forma in un giorno, ma è come una lenta maturazione, è
come un lungo cammino e, per maturare, come si sa, occorre essere
esposti ai raggi del sole e per camminare bisogna mettere un passo
dopo l'altro; così il nostro cuore cresce nell'amore quando, da una
parte assorbe i raggi dell'amore divino e ne sperimenta la dolcezza
e, dall'altra, si sforza di camminare, ossia si sforza di amare, di
amare tutti, i belli e i brutti, i simpatici e gli antipatici, quelli
che ci fanno del bene e quelli che ci fanno del male. Tutto questo è
possibile con il nostro impegno e con la grazia di Dio, non con il
solo nostro impegno né con la sola grazia, ma con il concorso
dell'uno e dell'altra.
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