LA
PREPARAZIONE REMOTA DEL DONO INFANZIA E ADOLESCENZA DI CATERINA: I
LUOGHI, LA FAMIGLIA, GLI EVENTI
Circostanze
particolari hanno forgiato in Caterina Sordini quelle doti umane e
spirituali che la resero poi idonea al compito che l’attendeva.
Caterina nacque a Porto Santo Stefano, nei Presidi di Toscana, il 16
aprile 1770, lunedì dell’Angelo, quartogenita dei coniugi Lorenzo
e Teresa. Il territorio dei Presidi ebbe una storia particolare
perché se dal punto di vista geografico apparteneva alla Toscana,
dal punto di vista politico era annesso al Regno di Napoli. Ancor
oggi i santostefanesi ricordano con fierezza le loro origini
partenopee. Porto Santo Stefano si popolò di fatto grazie al
continuo afflusso di famiglie provenienti da Napoli e dall’Isola
d’Elba. I genitori di Caterina ne sono un esempio. Il padre Lorenzo
era nativo di Porto Longone, l’odierna Porto Azzurro, nell’Isola
d’Elba, mentre la madre, Teresa Movizzo, era oriunda di Napoli.
Caterina avrà in sé il temperamento appassionato e intraprendente
dei napoletani e lo spirito contemplativo, innamorato del silenzio e
della bellezza, tipico degli isolani. Il padre fu uomo di grande
pietà verso Dio e verso gli uomini, alla sua morte sarà rimpianto
come il Padre dei poveri, fu lui a seminare nel cuore dei figli il
gusto per la preghiera adorante.
Egli, infatti, quale facoltoso
commerciante di coralli s’addossava, specie nei giorni di
Carnevale, le spese necessarie per le candele da consumare durante
l’Esposizione prolungata del Santissimo Sacramento. Diventerà
famosa una frase pronunciata dalla piccola Caterina che, in giorno di
Carnevale, uscendo di Chiesa dopo esservi rimasta in adorazione con
il Padre ebbe a dire: «Babbo mio, perché non è sempre giovedì
grasso?». Dentro a un mondo stordito da un Carnevale goliardico,
che avrebbe perso presto le sue maschere ritrovandosi senza identità,
Caterina già avvertiva il suo ruolo: quello di mantenersi ancorata a
un centro, un punto fisso che non muti, l’Eucaristia, Presenza viva
e operante del Signore Gesù. L’immagine è parabola del tempo di
Caterina, ma non solo, lo è forse anche del nostro. L’educazione
alla pietà dei coniugi Sordini fu soda ed equilibrata, senza eccessi
e senza bigottismi, tanto che i loro nove figli (tre dei quali
morirono giovanissimi) poterono esprimersi in un clima di libertà e
fiducia. Lo dimostrano alcuni episodi dell’infanzia di Caterina che
ci forniscono il ritratto di una bimba ricca di candore e semplicità,
ma anche vivacissima e indipendente. A tre anni, ad esempio, nel
corso di una gita sull’Argentario si allontanò senza imbarazzo, né
15 ripensamenti dai genitori intenti a dialogare con un padre
passionista, non la ritrovarono che in tarda serata placidamente
rifugiata dentro al bosco tutta intenta a giocare con le cerase
marine che aveva gelosamente raccolto. O ancora in età scolare
quando, ignorando il divieto della madre, s’arrampicò fin sul
bordo del caminetto per prendere una grossa pigna da portare a scuola
(da una vicina di casa come allora si usava). Fuggendo per non essere
scoperta precipitò lungo le scale ferendosi l’occhio gravemente
con un ago della pigna. Immobilizzata nel letto per evitare di
toccarsi l’occhio ferito, lasciò sbigottito il dottore quando
riuscendo a liberare una mano si estrasse dall’occhio un frammento
legnoso che le si era conficcato durante la caduta.Quel che più
sorprese il buon medico fu che nonostante la gravità dell’incidente
la vista non fu per nulla compromessa. Profezia di quello sguardo
altro che le sarà dato come dono, uno sguardo che fisso
sull’Eucaristia sarà capace di vedere il mondo nella luce di Dio.
Da adolescente Caterina si acquietò, divenne una fanciulla
assennata, spigliata e disponibile nei lavori di casa, molto pia e
capace di lunghe preghiere che non mancavano di tocco mistico. Il
padre si preoccupò di trovarle un buon partito per accasarla e
scelse un bravo giovane di Sorrento, esperto commerciante marittimo.
Sulle prime Caterina oppose un rifiuto, poi però aderì di buon
grado al volere paterno. Un viaggio di Alfonso a Costantinopoli
ritardò le trattative di matrimonio ma, come pegno di nozze prima di
partire, il giovane diede a Caterina un cofanetto di gioielli.
Piacque tanto il dono alla giovane che appena poté, senza dir nulla
a quelli di casa, indossò le perle e si recò in chiesa mettendosi
in bella vista per farsi ammirare. La vide anche il padre che la
rimproverò rimandandola a casa. Caterina, una volta raggiunta la sua
camera, indugiò ancora un poco allo specchio, ma accade l’inaudito:
nello specchio, invece della sua bella immagine, vide riflessa
l’immagine di Gesù Crocifisso col capo chino che le disse: «Perché
lasci me per una povera creatura?». La visione è suggestiva:
Caterina innamorata della bellezza rimirava il suo volto, ma in
quello specchio vide riflessa la sua vera identità, il volto di
quell’Altro che ella stessa avrebbe un giorno rivelato al
mondo. Per un attimo Caterina rappresentò quell’umanità che
correndo verso la bellezza effimera avrebbe perso di vista la
Bellezza vera quella capace di salvare il mondo. Da quest’evento
maturò in Caterina la decisione di abbracciare la vita religiosa.
L’ANNUNCIO
DEL DONO VITA FRANCESCANA, IL LUME
Caterina
entrò nel Monastero delle Terziarie Francescane di Ischia di Castro
nello Stato Pontificio, il febbraio 1788. Vi entrò letteralmente con
un balzo, lasciando il padre, che l’aveva accompagnata fin lassù
con la segreta speranza che fosse solo una visita di piacere,
attonito e affranto. Sei mesi dopo Caterina faceva la vestizione
prendendo il nome di sr. Maria Maddalena dell’Incarnazione. Iniziò
così l’anno 1789, anno che segnerà l’esplodere della
rivoluzione francese: un evento spartiacque per la storia di questi
ultimi secoli. Il seme della secolarizzazione e dell’ateismo era
già stato gettato nel rinascimento, ma solo con l’illuminismo e,
soprattutto, con la rivoluzione francese cominciò a germogliare e a
diffondersi nel mondo. Anche Dio, però, aveva in serbo il suo seme e
lo gettò nel cuore di questa giovane ed umile novizia. Venne il
giovedì grasso di quello stesso 1789 e sr. Maria Maddalena attendeva
al refettorio, sua mansione in Monastero. Passò la superiora e le
chiese se avesse già fatto colazione; alla sua risposta negativa la
esortò a prendere del pane. Come Caterina portò il pane alla bocca
andò in estasi ed ecco, al posto della parete uno squarcio d’azzurro
la investì: figure misteriose in abito bianco e rosso cantavano le
lodi del Divin Sacramento e una voce, quella di Gesù stesso, le fece
intendere tutto ciò che sarebbe accaduto. Caterina vide le
sofferenze della Chiesa, del Vicario di Cristo, vide il disperdersi
delle coscienze e vide che tutto questo avrebbe trovato un rimedio se
l’uomo si fosse mantenuto ancorato a un centro, alla radice stessa
della Fede Cristiana, l’Eucaristia: «Voglio sulla terra un coro
di angeli che mi lodino e che attirino molti al mio divin cuore, che
qui, nel Sacramento, batte d’amore per loro». Il Padre di
tutti i Lumi si degnò, come disse lei stessa più tardi, di farle
capire che doveva essere Madre di una nuova Fondazione che,
interamente dedita a Dio, avrebbe dato frutti di salvezza in tutto il
mondo. Se nella visione allo specchio Caterina contemplò la sua vera
identità, qui dentro all’annullarsi di questa parete ella vide
l’identità della Chiesa. Una Chiesa che può essere missionaria
solo quando sta inginocchiata davanti al Mistero che le dà origine.
Anche i semi di Dio però hanno bisogno di marcire per fiorire e dar
frutto, quello consegnato a sr. Maria Maddalena rimase sepolto per 19
anni nel Monastero di Ischia irrorato e concimato dalle sofferenze
patite, dalle tentazioni, dalla penuria in cui versava il Monastero,
dalla continua visione interiore dell’Eucaristia, dall’attesa che
Dio rivelasse il tempo e il momento per realizzare il suo progetto.
Quando nel 1802, dopo sei scrutini andati a vuoto, il capitolo
elettivo la nominò inaspettatamente Badessa, sr. Maria Maddalena era
talmente impreparata che, in qualità di sacrestana, si precipitò a
suonare - secondo l’usanza - la campana a distesa. Poco dopo la sua
elezione avvennero fatti prodigiosi che resero la Madre famosa fra il
popolo. In particolare il 16 giugno, giorno del Corpus Domini, non
c’era in tutto il paese di Ischia un sacco di farina. Al forno del
Monastero tutte le massaie andavano a cuocere il pane, ma in quel
giovedì di giugno le sorelle converse addette alla cottura del pane
avevano solo un pugno di farina; Madre Maria Maddalena benedicendo la
farina ordinò loro di gettarla nella solita quantità d’acqua.
Sotto i loro occhi, mentre mescolavano incredule, la farina si
rapprese, ed esse poterono impastare il pane che durò
miracolosamente fino al 29 giugno festa dei Santi Pietro e Paolo.
Una sorta di miracolo Eucaristico (documentato da Atti di Curia e
intervento del Vescovo diocesano), che già indicava la missione
profetica di questa giovane Madre: dispensare alla gente il pane del
Cielo. Sotto l’Abbadessato della Madre il Monastero fiorì. Grazie
alla sua affabilità e alla sua sapienza spirituale molti la
cercavano per consigli e preghiere, lasciando spesso abbondanti
elemosine. Per cercare fondi scrisse anche al Re Carlo Emanuele IV,
il quale dopo essersi recato a farle visita in Monastero le elargì
cospicua offerta divenendole amico e ammiratore sincero. La persona
che Dio però aveva destinato per aiutare la Madre nella
Fondazione dell’Opera fu un giovane prete ischiano, don Giovanni
Antonio Baldeschi, a lui la Madre confidò il disegno di Dio e fu
lui, attraverso il fratello, don Mario Baldeschi minutante di Pio
VII, a reperire, nella persona del marchese Negrete ambasciatore di
Carlo IV di Spagna a Lisbona, un benefattore per la nuova fondazione.
Una volta raggiunta la cifra necessaria e avuta l’approvazione di
Pio VII per la santa Opera ecco che il 31 maggio 1807, Madre Maria
Maddalena con sr. Maria Clotilde (che la coadiuverà nella fondazione
prendendo il nome di sr. Maria Giuseppa dei Sacri Cuori), sr.
Marianna delle Sante Piaghe (che sarà una presenza discreta e fedele
all’interno dell’Opera), alcune ragazze e padre Baldeschi
partirono alla volta di Roma.
IL
COMPIMENTO DEL DONO GLI INIZI DELLA FONDAZIONE, LE PERSECUZIONI, LO
STABILIMENTO DELL’ORDINE
Roma
in quegli anni era in fermento: i francesi l’avevano occupata nel
1798 deportando Pio VI, che morirà in Francia un anno dopo, ma
fu liberata nello stesso 1799 dai Napoletani. Il nuovo papa, Pio VII,
si affretterà a tornarvi firmando un concordato con Napoleone nel
1801. Intanto però i Giacobini avevano conquistato molti al loro
ideale all’interno della città eterna, cosicché il 2 febbraio del
1808 senza alcuna fatica i francesi entrarono in Roma occupandola di
nuovo. Proprio in quello stesso 2 febbraio 1808, mentre tutti gli
Ordini religiosi vivevano una pagina difficile della loro storia che
si concluse con la soppressione, la piccola comunità di Adoratrici
Perpetue del Santissimo Sacramento riceveva l’approvazione
pontificia. Per un misterioso disegno del Cielo la vita della Madre,
s’intrecciò con quella di Napoleone. Basterebbe considerare le
date che hanno sigillato il corso della vita di entrambe: Napoleone
nasce nel 1769 e muore nel 1825; Madre Maria Maddalena, nasce nel
1770 e muore nel 1824. Accanto all’artefice di una rivoluzione che
fu veramente epocale, la prov22 videnza mise un angelo che operò
un’altra rivoluzione: quella che matura nel segreto delle
coscienze, guidate e sorrette dalla luce della Eucaristia. La
vicinanza della Madre con il temuto Condottiero corso non fu
ipotetica, sr. Maria Maddalena mantenne una assidua e segreta
corrispondenza (si scrivevano lettere con latte d’asina affinché
fossero illeggibili ad altri) con Letizia Bonaparte, madre di
Napoleone inoltre, numerose furono le profezie sugli esiti della vita
dell’Imperatore. Sarà proprio a causa di tali profezie che ella
dovrà molto soffrire. La Madre era tenuta in grande stima da Pio
VII, le sue previsioni puntualmente si avveravano: il Signore le
rivelò il giorno e l’ora in cui i francesi progettavano di rapire
il Papa, tanto che Pio VII accolse il giacobino, che forzava la
finestra degli appartamenti pontifici al Quirinale, con la valigia in
mano. Com’era da prevedersi la Madre fu ritenuta una spia e
deportata prima a Porto Santo Stefano - grazie all’intervento di
suo fratello Giovanni, sindaco di quella città - poi a Firenze. I
suoi scritti, saccheggiati, vennero letti per scherno nelle bettole
romane e la Madre fu soprannominata «Flaminia», con ironico
riferimento a una famosa cortigiana locale. A Firenze però la
provvidenza le preparò un luogo dove poter raccogliersi e scrivere
indisturbata tutto quello che il suo animo le dettava circa la Nuova
Opera. Riuscì anche a mantenere un carteggio continuo con il
confessore Baldeschi che l’aiutava a mettere a punto le sue
intuizioni spirituali. Tale corrispondenza non è ancora stata
ritrovata, ma l’esito di questo scambio continuo è oggi registrato
in un Direttorio datato 1814 che la Madre fece stampare non appena
poté rientrare a Roma.Ed è proprio questo rientro che fa
riflettere. Roma nel 1814 era tutt’altro che tranquilla, inoltre la
Madre a Firenze si era vista circondata da alcune giovani determinate
a seguirla fino in fondo, delle altre portate da Ischia - salvo le
fedelissime sr. Maria Giuseppa e sr. Marianna - non ne era rimasta
neppure una: perché rischiare e tornare nella Capitale? Perché non
incominciare l’opera lì a Firenze e poi, eventualmente in un
secondo tempo tornare a Roma? No, l’imperativo era chiaro: tutto
doveva ripartire dal centro della Cristianità. Era Roma l’obiettivo
di Dio, Roma cuore della Chiesa, Roma città simbolo per i cristiani
e per quel mondo «laico» che Napoleone incarnava. A Roma doveva
essere innalzato il vessillo della Pace, a Roma doveva trionfare
quella Presenza di Cristo nell’Eucaristia che avrebbe ricapitolato
la storia delle coscienze e dei popoli. Così tornò a Roma prima di
Pio VII, stampò il Direttorio, rifece le Costituzioni che dovevano
regolare la vita monastica e claustrale della comunità e progettò
l’abito delle adoratrici che volle disegnato con tale cura da
incaricare un rinomato sarto del luogo, certo Giovanni Passinati. Pio
VII stesso fu invitato al Monastero per valutare la bellezza di
quell’abito che non somigliava in nulla al frusto saio francescano,
ma era abito da sposa, degno della corte di un Re. Non dovevano
esserci risparmi per la lode al Signore, non dovevano esserci
scrupoli quando si trattava di comparire alla Presenza di Dio. La
Madre non seguì la regola di San Francesco che pure aveva vissuta
per 19 anni a Ischia di Castro e scelse la regola di Sant’Agostino,
ritenendola più adatta per l’Ordine nascente. La comunità
nascente si rivelò fin dall’inizio un centro di attrazione. Il
canto delle monache attirava i passanti, i quali spesso, all’udirlo
e vedendo risplendere nel centro della chiesa Gesù Sacramentato,
mutavano vita e costumi. La Madre non si contentò di organizzare i
turni di adorazione, ma volle che le monache leggessero dopo lunghi
intervalli di silenzio, a voce alta, degli Atti - che possediamo
ancora oggi - perché il popolo ne rimanesse edificato e si nutrisse
alla sorgente sempre viva della tradizione della Chiesa. Ma neppure
questo le bastò, anche quanti erano fuori, del tutto dimentichi di
Dio dovevano essere invitati, dovevano in qualche modo essere
richiamati a ciò che conta, ai valori eterni che solo rendono
preziosi quelli temporali. Così introdusse tre tocchi di campana per
segnalare il cambio del turno di adorazione delle monache. Un suono,
quello delle campane, che infastidiva i più, poiché erano molti,
tra i romani, quelli che alla morte di Pio VI si erano associati ai
francesi gridando: «È morto il papa Pio VI e ultimo!». Alle sue
figlie insegnò ad essere tutte di Dio per amare i fratelli nella
libertà, insegnò a guardare la vita e le situazioni dal punto di
vista di quel Gesù assiso che adoravano: loro stesse dovevano essere
il segno vivo di quella Presenza Eucaristica che così spesso gli
uomini faticano a riconoscere e a capire. Non è qui il luogo per
narrare gli episodi più significativi che ci permettono di
comprovare queste affermazioni. Ci bastino questi: in un tempo in cui
le ruote dei Monasteri erano guardate con sospetto perché fonte di
dissipazione per le monache (basterebbe citare qualche sermone di San
Leonardo da Porto Maurizio per rendercene conto), tanta era l’ansia
missionaria della Madre che esortava le sorelle rotare a fingere di
acquistare utensili dagli ebrei di passaggio per parlare loro
di Cristo e della bellezza della fede cristiana. Ancora: un giorno
Giovanni Sordini, fratello della Madre, venuto a Roma per partecipare
a una solenne liturgia fu colto al piede destro da risipola che gli
impediva di camminare, la sorella - saputolo - gli assicurò la sua
preghiera. Il fratello guarì immediatamente e tornando dalla
funzione si recò al Monastero per ringraziare la sorella. Dopo aver
suonato alla porta si sentì rispondere dalla portinaia che la Madre
non poteva accedere al parlatorio perché immobilizzata a letto dalla
risipola. Madre Maria Maddalena comunicò alle sue Figlie e a quanti
beneficiavano dei suoi consigli un profondo senso ecclesiale, ella
seppe dire cose nuove con le parole eterne della Chiesa. Il suo cuore
davanti al Signore si dilatava verso orizzonti infiniti pregando non
solo per la Chiesa, il Papa, i ministri di Dio e i peccatori, ma
anche per i politici, i cristiani di altre confessioni di fede, gli
ebrei, i mussulmani, gli atei e persino i maghi. Niente doveva essere
escluso alla presenza del Sacramento di unità di tutto il genere
umano. Non per nulla la Madre consacrò il suo Ordine - fra l’altro
l’ultimo approvato dalla Chiesa come tale - all’Addolorata, la
Vergine a cui Pio VII aveva affidato le sorti della Chiesa sotto
Napoleone, la Vergine cui viene annunciata una nuova Maternità:
quella dei figli del Suo Figlio. Dando alle sue figlie, come Madre,
l’Addolorata, Madre Maria Maddalena le legava indissolubilmente al
mistero della Croce come mistero di un dolore che è dolore di parto,
promessa di vita e di fecondità.
IL
DONO FRUTTIFICA ALLA MORTE DELLA MADRE, L’ESPANSIONE DELL’ORDINE,
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
La
Madre morì il 29 novembre del 1824, morì durante la recita del
rosario e nella certezza dell’incontro con lo Sposo. A piangerla
non c’erano solo le monache di Roma e le sue antiche sorelle
d’Ischia ma c’erano anche i molti sacerdoti ch’ella aveva
aiutato, i molti laici, specie della nobiltà, ch’ella aveva
sorretto con il suo sostegno spirituale. Un anno dopo la sua morte
c’erano già regolari iscrizioni di laici alla Pia Unione,
associazione di fedeli che s’impegnava con le monache a ruotare in
turno davanti a Gesù Eucaristia. Il sogno della Madre si era
avverato. In breve tempo, anche le altre due principali città
d’Italia, Napoli e Torino, vollero un Monastero di Adoratrici. Il
primo fu fondato nel 1828 da M. Maria Giuseppa dei Sacri Cuori,
l’inseparabile compagna della Madre. Grazie alla generosità
di una nobile proprio al centro di Napoli, vicino al Duomo, nel
Monastero di S. Giuseppe de Ruffi nacque una nuova comunità di
Adoratrici. Qui, tra gli anni 1835-36, la Pia Unione conosce una
pagina gloriosa: per la prima volta riceve l’approvazione ufficiale
28 della Santa Sede, gli adoratori assumono delle vesti particolari
ed entrano in possesso dei locali adiacenti alla Chiesa del Monastero
stesso. Il secondo, richiesto dal ministro degli esteri del Re Carlo
Alberto, conte Solaro della Margherita, fu fondato nel 1839 ad opera
di Madre Maria Cherubina, nipote della Fondatrice. Nove anni più
tardi anche qui, si sviluppò una Pia Associazione di Adoratori del
SS.mo Sacramento. Queste prime fondazioni come le altre che via via
si moltiplicheranno fino a raggiungere il centinaio, avranno in
comune una storia travagliata di persecuzioni e di ostacoli. Il
destino dell’opera dell’Adorazione Perpetua del Santissimo
Sacramento, sembra segnato da una nota ricorrente: essa si sviluppa
in contesti politici e sociali spesso difficili, dove maggiore è
contrasto, dove il relativismo favorisce l’annebbiarsi delle
coscienze. Due esempi per tutti, anche se la storia di ogni Monastero
meriterebbe di essere raccontata: le fondazioni di Monza e del
Messico, le quali conoscono analogie impressionanti con la vita e
l’opera di Madre Maria Maddalena. Nella laboriosa cittadina posta
nel cuore della Brianza, proprio nel 1808, anno in cui Madre Maria
Maddalena riceveva la prima approvazione dell’Istituto, nasce
Ancilla Ghezzi, fanciulla che fin dalla più tenera età ebbe un
contatto assiduo e particolare col divino. Fu il Signore stesso ad
indicare ad Ancilla il desiderio di avere un coro di Angeli che lo
adorassero giorno e notte nel cuore della città, facendole conoscere
l’esistenza dell’Ordine della Sordini. E proprio come
quest’ultima, Ancilla fondò il suo Monastero mentre più feroce
era la soppressione degli Istituti a causa dei disordini del
Risorgimento. Con le prime compagne abitò inizialmente presso il
Carrobiolo poi, nel 1855 la comunità ormai numerosa si trasferì nel
Monastero di Santa Maddalena, vicino al Duomo. Nel 1857 Ancilla si
recò nel Monastero di Roma con altre tre sorelle e trascorse un
periodo di formazione per ritornare poi a Monza con l’incarico di
Vicaria e Maestra delle Novizie. Nel 1859 la chiesa delle Adoratrici
venne finalmente aperta al pubblico. Nel 1863 Ancilla, ormai Madre
Maria Serafina della Croce, assunse l’incarico di Superiora che
occupò fino alla morte, avvenuta nel 1876. Fu una donna grandemente
innamorata di Gesù e nel contempo di senso pratico vivissimo.
Attorno alla sua persona e alla comunità stessa si creò un vero
Movimento spirituale che coinvolse sacerdoti, religiosi e laici. A
Monza la Pia Unione sorse fin dal 1862 e fu fiorente per lungo tempo.
Da qualche anno è partita una nuova esperienza che rifacendosi
all’eredità di Madre Maria Maddalena e Madre Maria Serafina si
propone di diffondere nel mondo le grazie che, come da sorgente,
sgorgano dall’Eucaristia, in particolare il dono dell’unità e
della Pace. Si tratta della comunità degli Adoratori Missionari
dell’Unità denominata anche Rete di Luce. In Messico il Signore
scelse una monaca di Santa Brigida, Madre Loreto del Santissimo, per
diffondere l’Ordine, la quale ignara dell’esistenza della
Fondazione italiana cercò come realizzare il volere del Cielo. Da
Roma la Congregazione dei Vescovi e Religiosi inviò le Costituzioni
delle Adoratrici di Madre Maria Maddalena che ella abbracciò con
viva fede dando inizio nel 1879 a questo nuovo sviluppo dell’Ordine.
Madre Loreto morì Brigidina quasi lasciando a Madre Maria Maddalena
l’intero merito della Fondazione. In Messico i Monasteri, che oggi
sono più di settanta, conobbero il loro primo sviluppo proprio negli
anni in cui infuriava la persecuzione, gli anni dei Cristeros
messicani, in cui accanto al sorgere di quello che sarà il primo
Stato laico del Mondo la fede si radicherà grazie al sangue dei
martiri. Dalla comunità di Torino si svilupparono i Monasteri
di Vigevano e di Bassano del Grappa. Le monache Adoratrici giunsero a
Vigevano nello stesso anno in cui a Monza moriva Madre Serafina della
Croce, il 1876, furono ivi chiamate dal vescovo mons. Pietro de
Gaudenzi. La comunità crebbe in tal misura che, nel 1912, si rese
necessario il trasferimento in un secondo Monastero, quello attuale
progettato con l’annessa Chiesa da una suora della comunità:
l’architetto sr. Maria del Sacro Cuore Vittadini. Qui l’Ordine
conosce un risvolto del tutto particolare: da un gruppo di donne
impegnate assiduamente nella preghiera di adorazione Eucaristica e
seguite dall’allora Superiora Madre Maria Eucaristica, nasce un
Istituto di consacrazione laicale: le Adoratrici Eucaristiche
secolari. Il contatto assiduo con l’Eucaristia le conduce a
spendersi senza sosta nei servizi resi alla parrocchia portando la
comunione ai malati, insegnando catechismo e offrendo sostegno
laddove più urgente è la necessità. L’Istituto secolare è
attualmente presente, oltre che a Vigevano e a Bassano del Grappa, in
Spagna, a Barcellona, e in Messico. Da Vigevano nacquero anche altri
due Cenacoli Eucaristici, il Monastero di Mantenga di Varallo e
quello di Feriolo di Baveno, sorsero quasi come profezia del dilagare
dell’abbandono che stava subendo il tabernacolo. La loro esperienza
pur essendosi umanamente chiusa a causa delle mancate vocazioni
rimane aperta come domanda a tutti quanti non si danno pace finché
tutti non abbiamo sperimentato quanta luce porta nella vita
l’esperienza della Presenza costante del Signore in mezzo ai suoi.
Il Monastero di Vigevano conta, infine, diversi Adoratori laici che
attingendo alla fonte del carisma diffondono nella loro diocesi
l’amore e la venerazione alla Presenza Reale del Signore Gesù
nell’Eucaristia. Dalla comunità di Monza sorsero i Monasteri di:
Seregno, Genova e Innsbruck. Da Napoli, Castellammare e da
Castellammare, Cagliari, quest’ultimo grazie a sr. Maria Modestina
una suora proveniente da Genova. Da Cagliari infine nacque Oristano.
Ultimo della lista italiana fu Ischia, dove le sorelle francescane,
avendo mantenuta viva la memoria di Madre Maria Maddalena
dell’Incarnazione chiesero ed ottennero, nel 1973, di entrare a far
parte dell’Ordine.
In
Europa l’Ordine si sviluppò, oltre al già menzionato Innsbruck in
Austria, anche in Spagna.Il primo Monastero spagnolo fu quello
di Vich. Qui un giovane sacerdote ebbe l’ispirazione di indirizzare
un gruppo di giovani, desiderose di consacrarsi a Dio, verso una vita
monastica e contemplativa, dedita all’Adorazione del Santissimo
Sacramento. Quando domandò l’approvazione in Vaticano si sentì
rispondere che esisteva già l’Istituto dell’Adorazione Perpetua.
Due giovani allora partirono da Vich alla volta di Roma per ricevere
nel Monastero delle Adoratrici un’adeguata formazione. Tornate a
Vich diedero inizio alla giovane comunità di Adoratrci che, in un
primo tempo per necessità economiche, dovette accollarsi la gestione
di un collegio. Poi però, spronate da papa Leone XIII, le monache si
dedicarono completamente all’Adorazione perpetua, confidando nella
Provvidenza. Anche in Spagna fu dopo la guerra civile del 1937 (con
la relativa persecuzione che vide le sorelle di Vich riparare in
Italia) che l’Ordine si diffue. Nel giro di pochi anni sorsero,
infatti, i Monasteri di Berga (1940) e di Barcellona (1952).
Dal
Messico si diffuse negli Stati Uniti e in Alaska. Mentre in Cile la
Fondazione avvenne nel 1885 per desiderio del Vescovo di Santiago e
una Suora del Buon Pastore guidata a distanza dalle Madri di Roma.
Altro prezioso frutto lo si ebbe in Kenia, a Karjma, dove la
Fondazione nasce grazie all’infaticabile opera di una sorella del
Monastero di Vigevano sr. Maria Diletta Manera, biografa della Madre
Fondatrice, recentemente scomparsa, coaudiuvata da altre sorelle
provenienti da Seregno, Monza e poi Bassano del Grappa. Anche a
Karjma vi è un notevole sviluppo dell’area laica dell’Ordine. Il
centinaio di Monasteri di Madre Maria Maddalena sono oggi un fermento
vivo nelle città e nel mondo. Con la loro vita dimostrano l’intimo
connubio tra contemplazione e missione. La loro clausura papale dice
al mondo efficientista quanto povere siano le opere dell’Uomo senza
Dio, quanto sia limitato il cuore umano di fronte alle grandi domande
dell’esistenza, ma la loro presenza dentro il cuore delle città,
dentro al turbinio della vita quotidiana dice che sopra ogni ferita
umana Dio versa l’olio della speranza, che dentro al buio del
dolore e della perdita di senso della vita, la luce di Cristo
continua a risplendere. Le comunità di Madre Maria Maddalena sono
come città poste sul monte pronte all’accoglienza e attente alle
nuove povertà, quelle dell’anima, mentre i laici che attingono
alla loro spiritualità sono mandati nel mondo come sacramento di
quella Presenza che è Farmaco d’immortalità per un uomo che,
creato per l’eternità, soffre la diuturna sperimentazione del male
e della morte.
bellissima e interessante narrazione della vita della Madre. Grazie. Don Giosy Cento Sacerdote di Ischia di Castro.
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