giovedì 14 agosto 2014

MARIA SAGRARIO ELVIRA MORAGAS CANTARERO (1881 — 1936) MONACA PROFESSA DELL'ORDINE DELLE CARMELITANE SCALZE - MARTIRE SPAGNOLA - Beatificazione: 10 maggio 1998 - Festa: 15 agosto




Elvira Moragas Cantarero nacque l'8 gennaio 1881 da una famiglia profondamente cristiana a San Martino di Tillo presso Toledo.  A quattro anni con la famiglia si trasferì a Madrid dove il padre continuò a svolgere la sua attività di farmacista fino al 1909, anno in cui morì; la sorella maggiore di Elvira, Sagrario, morì ad appena undici anni, nel 1890, fra la costernazione della famiglia. Elvira ricevette un’educazione e formazione umanistica dal padre che poi proseguì e perfezionò nella scuola delle Mercedarie di San Fernando a Madrid."
Frequentò gli studi superiori con ottimi risultati nell’Istituto Cardenal Cisneros e poi si iscrisse alla Facoltà di Farmacia dell’Università madrilena. Unica donna fra 80-85 studenti, dal 1900 al 1905 frequentò con profitto gli studi universitari laureandosi a ventiquattro anni con ottimi voti.
Ottenuta la laurea prese ad aiutare suo padre nella farmacia ed alla sua morte iniziò a gestirla personalmente, divenendo quasi sicuramente la seconda donna spagnola titolare di un’attività farmaceutica. Due anni dopo perse anche la mamma e restò sola con il fratello Riccardo che restò sempre unito a sua sorella.
Ebbe almeno due pretendenti, cosa naturale per una ragazza di qualità così fuori del comune. Il primo fu congedato presto per la sua giovane età. L'altro sentiva per Elvira molta attrazione e la frequentava piuttosto assiduamente.
Si mostrava corretto, educato e rispettoso. Però Dio vegliava su questa donna di elezione. Un giorno ella si accorse della cattiva condotta del giovane e delle sue idee antireligiose. Immediatamente ruppe con lui, senza far caso a tutte le sue minacce. Rinunciò per sempre alle idee dell'amore umano e si volse all'Amore senza limiti.

Elvira che resse la farmacia con delicatezza e amabilità, stabilì che il sabato fosse il giorno dedicato all’elemosina ai poveri proprio lì in farmacia e questa consuetudine durò per molto tempo anche dopo la guerra; ormai era un appuntamento cui i poveri e bisognosi conoscevano bene e vi si recavano numerosi.
Si diede al lavoro con diligenza. Usava tutta la sua scienza e la sua competenza professionale per lenire la sofferenza dei malati. Per tutti aveva la parola giusta, la medicina desiderata, la comprensione per un dolore.
Frequentava la parrocchia di San Marco e aiutava nella catechesi. Conobbe don Lope Ballesteros, cui affidò la direzione della sua anima: Dio la chiamava insistentemente. Questo sacerdote aveva una sorella carmelitana scalza e questo diede l'occasione per conoscere il Convento di Santa Ana y San José  dove viveva.
Le domeniche Elvira se ne andava nei sobborghi, dove si lasciava afferrare dalla sua carità. Portava medicine e affetto a tanti bisognosi. Quando a volte non aveva tempo di comprarle, portava loro perfino le coperte del suo letto. Tutto le sembrava poco per dare gioia a tanti con i quali la vita si mostrava così ingrata.
Quando il Signore chiamò a sé il suo confessore, Elvira si rivolse al grande "apostolo di Madrid", P. Giuseppe Maria Rubio Peralta S.J., beatificato il 6 ottobre 1985 da Giovanni Paolo II. Un giorno, dopo la consueta lunga attesa per la coda di penitenti che si formavano al suo confessionale, ascoltò queste parole: "Dio la vuole per Sé". Già decisa a questo, non ebbe alcun dubbio: se ne sarebbe andata appena suo fratello avesse finito gli studi. Mancava ancora poco.
Nell'attesa, si sottoponeva a un regime di vita anche più austero di quello che già osservava. Passava lunghe ore in preghiera e praticava severe penitenze. Mentre per suo fratello preparava i cibi più delicati ed appetitosi, ne preparava per sé di più semplici e di qualità inferiore. Spesso si privava del dessert e cercava sempre il modo di soddisfare il bisogno di rinuncia e di dedizione.
Arrivò il giorno tanto atteso: Riccardo poté farsi carico della farmacia e così Elvira si sentì libera. Poteva finalmente compiere i suoi desideri. I due fratelli, sempre tanto uniti, dovevano separarsi. "Piangemmo molto tutti e due", ricorderà Riccardo. Ma il Carmelo aspettava Elvira ed ella non si fece attendere: era il 21 dicembre 1915. Elvira aveva 34 anni e si addentrò nella vita carmelitana cambiando il nome in Maria Sagrario di S. Luigi Gonzaga. La Madonna del Sagrario nella Cattedrale di Toledo aveva dato un'impronta mariana a tutta la famiglia.
In convento continuò la sua opera di beneficenza di farmacista con l’aiuto del fratello Riccardo, divenuto titolare della farmacia; condusse la sua vita di carmelitana scalza con grande impegno e con particolare gioia; per il suo spirito di orazione e il suo amore all’ Eucaristia incarnò perfettamente l'ideale contemplativo ed ecclesiale del Carmelo Teresiano.
Sempre di buon umore, visse trasmettendo allegria nel servizio a Dio ed agli altri.
Alla sua elevata cultura si dovevano aggiungere i grandi valori morali che fin dalla infanzia aveva cominciato a vivere. Ed ecco che ora abbandonava tutti i beni materiali per vivere volontariamente nella povertà, nella privazione e nella rinuncia a tante cose. La sua vita spirituale si fondava già su ottime fondamenta. A lei piaceva tutto: la preghiera, il silenzio, l'austerità penitenziale, la recita in coro, la gioia. Tutto le dava un piacere immenso.
La sua Maestra disse di lei: "Aveva un carattere forte ed energico, capace di portare a termine i più grandi ideali di santità".  La notte di Natale del 1916 fece la sua prima professione; nell’Epifania del 1920 emise la professione solenne "fino alla morte".
Nella vita religiosa si mostrava sempre affabile e semplice. Se le domandavano qualcosa, insegnava tutto quel che sapeva, con grande misura e spontaneità. Quando le dicevano qualche cosa a sua lode, cercava con destrezza di cambiare argomento.
Mai cercava di imporre il suo criterio: cedeva o conservava il silenzio. Un giorno una sua compagna le rimproverava la sua condotta e lei non rispondeva niente. Una religiosa che era presente alla scena non si poté trattenere e le disse: "Non sente ciò che sta dicendo? Perché non dà una spiegazione?". Al che Suor Sagrario rispose: "Ma ha ogni ragione e sta dicendo la verità".
Nel gennaio 1927, alla morte della Priora, la Comunità la elesse priora. Era la più giovane delle capitolari. Lei che aveva sempre cercato di passare nascosta, ignorata, senza essere notata, abbracciò la croce e si convertì in Madre premurosa verso tutte le sue figlie. Vedeva che Dio realizza la sua storia della salvezza attraverso mediazioni umane, che ci manifestano la sua Volontà.
Scaduta da priora le fu dato l'ufficio di "rotara", cioè di colei che alla porta avrebbe dovuto passare parole e cose fuori della clausura. Ufficio che esige molta prudenza, delicatezza e spirito di sacrificio. E così Suor Sagrario fu l'incaricata di accogliere, ricevere, salutare tutte le persone che si avvicinavano alla "ruota" a qualsiasi titolo, tanto i familiari delle religiose che venivano a visitarle, quanto i vari fornitori del Monastero.
Ella traboccava di carità nel suo nuovo ufficio, consolando cuori, cercando rimedio ai bisognosi, senza altra mira e speranza di ricompensa che la promessa dal Signore nel Vangelo.
Alla porta arrivavano notizie ogni volta più preoccupanti sulla situazione della Spagna. Lei le riceveva serena, fiduciosa, in paziente e lungo ascolto delle persone per quanto glielo permettevano i suoi doveri e il tempo della preghiera. Poi davanti al Tabernacolo, si abbandonava all'Unico che poteva risolvere tutto. Avrà pensato che forse presto si sarebbero avverati i suoi desideri? È facile, poiché una religiosa ricorda che, verso questo tempo, parlando con lei, le manifestava la santa impazienza di versare il suo sangue per amore a Cristo.
Poi fu di nuovo eletta Priora ed ancora una volta obbedì, si donò, si dedicò a servire. Era la sposa di un Dio Crocifisso e voleva vivere la stessa sua sorte. Presto consumerà il martirio, che molto prima aveva immaginato nel suo cuore.
Dio senz'altro stava preparando la sua vittima. Infatti quegli ultimi giorni dovettero essere per lei di grande purificazione. Si notava in lei un non so che di alto e santo. Viveva distaccata da sé, a disposizione di tutte. Con frequenza ripeteva: "L'unica cosa che voglio è fare tutte contente, che tutte siano felici". Era simile ad una madre che, prossima a partire, dispensa affetto ai suoi bambini.
Il 18 luglio 1936 scoppiò la Guerra  Civile spagnola, che insanguinò la Nazione dal 1936 al 1939, mietendo solo fra i religiosi ben 7300 vittime.
La Beata riunì la comunità ed invitò a tornare in famiglia, perché tutto era assai pericoloso. Nessuna però volle uscire, vedendo che la Madre non era disposta ad abbandonare il Monastero.
Le religiose che vissero con lei raccontarono: "Lo stesso giorno 18 luglio furono prese a sassate le finestre della Chiesa e del convento, e le religiose si resero ben conto dell'imminente pericolo. Quello stesso giorno la Comunità cominciò la sua dolorosa odissea. Il pomeriggio, dopo i vespri, mentre tutte erano riunite, la Nostra Madre ci disse: 'Va tutto molto male. Si sono ribellati i militari. Se va avanti così, non so che sarà di noi. Vi supplico e vi consiglio che chi di voi desidera andarsene in famiglia, lo dica con ogni libertà...'
I giorni 18 e 19 luglio godemmo di una relativa calma nel nostro convento, sebbene provassimo una grande sofferenza morale. Pareva che lo spirito presentisse la grande strage che stava per succedere nella nostra Patria.
Di continuo vegliavamo il Santissimo, collocato in un Tabernacolo nella parte interna del luogo destinato alla comunione delle religiose. I secolari, allarmati al vedere la nostra comunità in simile congiuntura, non cessavano di spingerci con tutti i mezzi che venivano loro in mente perchè uscissimo. Ma il coraggio della Madre sosteneva le figlie, e nessuna chiese di uscire. Però alla fine fu necessario cedere alle suppliche di alcune famiglie e tre gruppi di religiose si sentirono in obbligo di separarsi dalle loro sorelle, con grande pena e con santa invidia per non poter partecipare alle angustie e condividere la sorte di tutte. Rimanemmo nove religiose e in più la nostra Priora".
"Durante tutto il giorno 20 luglio il nostro convento fu crivellato dalle pallottole di fucile. Celebravamo la festa del nostro Santo Padre Elia. Festa memorabile! Alle cinque del pomeriggio, la Comunità ridotta, pur prevedendo quello che poteva accadere, se ne andò in coro a recitare Mattutino. Passati forse quindici minuti, la suora che in cucina preparava la cena udì forti colpi e grida alla porta principale e alla ruota. La folla si accingeva ad assaltare il convento. Avrebbero voluto bruciarlo. Ma i vicini si opposero, temendo che il fuoco si propagasse alle loro case. Perciò decisero di sfondare la porta e la ruota, per entrare in clausura.
Intanto la suora corse in coro ad avvisare le altre di ciò che stava accadendo. Furono momenti di grande paura e confusione. La Nostra Madre e altre sorelle andarono nell'eremo dell'orto, mentre le rimanenti salirono a consumare le ostie del Santissimo Sacramento. In pochi minuti, il nostro chiostro fu invaso da ogni tipo di gente. Alcuni con il fucile, altri con i bastoni corsero per tutto il convento, ruppero vetri, calpestarono quadri con orribili bestemmie e fracassarono a terra quante immagini ed oggetti di culto trovavano. Le donne badavano a vuotare il convento buttando la roba in mezzo alla strada, dove fecero uno spaventoso falò con tutto ciò che tiravano fuori. Il chiasso di tutta la gente armata o meno, le corse pazzesche insieme con il fracasso che alzavano nel fare a pezzi immagini, tavoli, ecc., dava l'impressione che nel nostro convento fosse entrato l'inferno.
Noi per alcuni momenti riparammo nell' eremo ma, udendo suonare tutte le campane e campanelle e non sapendo che cosa sarebbe stato delle sorelle che mancavano nel nostro gruppo, decidemmo di tornare in convento. La Nostra Madre fu la prima a presentarsi agli aggressori e solamente quando l'assicurarono che non ci avrebbero fatto nessun male, ci chiamò e ci accingemmo ad uscire. Certune di noi, protette e rasserenate da alcuni di loro che mostravano migliori sentimenti, potemmo ritirarci per indossare vestiti secolari. Altre uscirono con l'abito, tra gli insulti e lo schiamazzo della folla che in gran numero occupava le strade e contemplava lo spettacolo. Lì ci misero in fila vicino al muro. La Madre, pensando che fosse per ammazzarci, disse: ' Preparatevi, ché ci stanno per uccidere '. E aggiunse: 'Viva Cristo Re!'.
In quel momento arrivò un taxi per portarci via. La Nostra Madre si rifiutò di entrare perché temeva di esporre le sue figlie al pericolo di qualcosa di peggio; perciò disse che era preferibile che ci ammazzassero lì. Non ce lo accordarono...
Alla fine la pattuglia diede l'ordine di partenza e l'automobile prese ad andare senza che sapessimo dove ci portava. Ma avevamo il nostro cuore gonfio di gioia vedendoci perseguitate per il fatto che professavamo il nostro titolo di Spose di Gesù. Cominciammo a pregare in coro: la nostra Madre intonò con tutto il fervore il 'Te Deum', la 'Salve' e alcuni salmi a voce alta, senza timore per le guardie che ci sorvegliavano e, attraverso i finestrini, ci guardavano con disprezzo e ci irridevano. Arrivammo alla Centrale della Polizia: ci fecero scendere dall'automobile, ci condussero sotto una scala e, andandosene, ci lasciarono lì, senza render conto o dar ordini a nessuno. Vedevamo la Nostra Madre tranquilla e forte con la sua pace abituale. Ci diceva: '... Se io vi avessi obbligate ad uscire dal convento... Sono io la colpevole di tutto!'. Una delle nostre sorelle le disse: ' No, Madre, la colpa l'abbiamo noi, che abbiamo voluto restare nel nostro convento, seguendo la nostra vocazione fino all'ultimo momento, fin quando non ci hanno cacciate '. Allora la Madre disse in tono riconoscente e soddisfatto: 'Bene!' e non tornò più su questo argomento.
Alla Centrale di Polizia c'era grande movimento. Era piena di guardie armate e, dopo quanto era successo con i franchisti alla caserma della Montagna, si vedeva un continuo salire e scendere di gente che verificava negli uffici il domicilio dei rispettivi familiari. Noi continuammo a stare sotto la scala, senza che nessuno si preoccupasse della nostra sorte, finché un impiegato pieno di meraviglia ci domandò il motivo di così lunga attesa. Gli raccontammo la nostra storia e con grande cura riferì ad un capoccia ciò ch'era successo e quello diede ordine di portarci in automobile alle nostre case.
Tutte ci abbracciammo e ci demmo l'arrivederci finché il Signore avesse voluto. Incominciammo allora a sentire in cuore la tristezza. Come sarebbe finito tutto? Quando saremmo tornate a vederci nel nostro convento? La Nostra Madre ci incoraggiò con parole affettuose e ci separammo.
...Madre Maria Sagrario finì con il rifugiarsi con una suora nella casa dei genitori di questa, dove rimase fino all'imprigionamento, occupandosi delle sue religiose e fortificandole con i suoi affettuosi consigli. Suo fratello don Riccardo Moragas la visitò varie volte, manifestandole il desiderio che andasse con lui a Pinto, dove viveva con i suoi. La Madre non acconsentì a quanto le proponeva il fratello, perchè, diceva: ' devo vegliare su tutte le mie sorelle '.
"Riservava speciale attenzione per quelle sue figlie che, appartenendo a famiglie più umili e bisognose, necessitavano di aiuto. Ad una di loro, mandandole un poco di quel denaro che aveva potuto prendere partendo dal convento, le diceva in una lettera: 'Quanto stiamo soffrendo tutte! Non avrei mai creduto d'arrivare a tanto. Benedetto sia Dio che ci dà queste sofferenze per offrirgliele come amore a Lui...."
Il 14 agosto come tutti gli altri giorni la Madre Sagrario fece l'orazione e tutte le preghiere quasi si trovasse in convento, e alle quattro circa del pomeriggio, dopo la Via Crucis, cominciò a recitare l'Ufficio dell'Assunzione di Maria. Ma dovette interromperlo perché a quell'ora si presentarono nella casa dove stava dei miliziani che domandarono di suor Sagrario, esibendo dei dati precisi come gente ben informata sulla preda da prendere. Quando la Madre venne a sapere ciò che succedeva, si presentò subito, dicendo che era lei. La arrestarono sul momento e la condussero, insieme alla religiosa con cui viveva, nella prigione repubblicana di via Marqués del Riscal, famosa per le crudeltà che si facevano. Lì si trovarono con altre tre religiose della Comunità.
Appena arrivata, la isolarono così che le sue figlie non poterono dirle nulla. Ma poterono osservare il suo atteggiamento di persona raccolta e assorta nelle varie occasioni in cui passando da una stanza all'altra quando erano chiamate per l'interrogatorio, la incrociavano mentre era sola, con il rosario in mano e una grandissima pace sul volto, senza che badasse a niente o si preoccupasse di quanto succedeva intorno, come chi già non appartiene a questo mondo.
Non sappiamo quello che soffrì né i modi brutali che dovette sopportare durante le poche ore della sua prigionia. A notte già inoltrata, una nostra religiosa vide che la conducevano in una stanza vicina alla sua, e vide anche che la volevano obbligare a scrivere su un foglio. La Madre si rifiutava. Alla fine, si mise in ginocchio e, dopo alcuni istanti di preghiera, si alzò decisa e si mise a scrivere un attimo. Che avrà scritto? Propendiamo per una sua professione di fede, forse l’espressione dei martiri di quell’epoca insanguinata: “Viva Cristo Re”, poiché quando finì di scrivere la portarono via tra insulti e bestemmie".
Durante la notte fu trasportata nella Padrera de San Isidro e nelle prime ore del mattino venne fucilata. Era il 15 agosto del 1936, giorno dell’Assunzione di Maria; aveva 45 anni. Non si sa cosa disse in quei momenti, comunque tanto attesi, ma vi sono due foto scattate dopo la sua morte, dove è visibile la serenità del viso, senza smorfie di dolore, con gli occhi aperti pieni di una santa rassegnazione.
La sua morte, considerata un martirio, fece avviare i processi per la sua beatificazione dall’arcivescovo di Madrid nel 1962, che si sono conclusi con la solenne proclamazione da parte di Papa Giovanni Paolo II in Piazza S. Pietro a Roma il 10 maggio 1998.
Nell’arazzo per la cerimonia Madre Sagrario è raffigurata con la palma del martirio, vicino ai suoi piedi vi sono alcuni vasi e strumenti da farmacista, sul fondo il convento carmelitano e l’eremo di S. Isidro dove fu fucilata.
In lei i farmacisti di Spagna e del mondo hanno trovato una celeste patrona, che ha saputo stare con competenza e bontà nel laboratorio e nella farmacia, ma con dignità ed eroismo anche davanti alla morte..


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