La considerazione della
dignità della missione cui Dio ci chiama, può far sorgere nell'animo umano la
presunzione, la superbia. Ci può accecare una falsa coscienza della
vocazione cristiana, che ci fa
dimenticare che siamo di fango, che siamo polvere e miseria; ci fa
dimenticare che il male non è solo
nel mondo, intorno a noi, ma anche dentro di noi e si annida nel
nostro stesso cuore, rendendoci
capaci di ogni bassezza ed egoismo. Solo la grazia di Dio è roccia
ben ferma; noi siamo sabbia,
e sabbia mobile. Se diamo uno sguardo alla
storia degli uomini o alla situazione attuale del mondo, ci addolora vedere che, dopo
venti secoli, sono così pochi gli uomini che si chiamano cristiani;
e quelli che si onorano di
questo nome sono spesso infedeli alla loro vocazione.
Dinanzi a questo spettacolo non mancano coloro che annunciano il fallimento di Cristo. Ma Cristo non ha fallito: la sua parola e la sua vita fecondano continuamente il mondo. L'opera di Cristo, il compito che il Padre gli ha affidato, si stanno realizzando, la sua forza passa attraverso la storia portando la vera vita e quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
In questo lavoro che sta
realizzando nel mondo, Dio ha voluto che fossimo suoi
cooperatori, ha voluto
correre il rischio della nostra libertà. La contemplazione della
figura di Gesù nel presepio di
Betlemme mi commuove nel profondo dell'anima: è un bambino
indifeso, inerme, incapace di
offrire resistenza. Dio si consegna nelle mani degli uomini, si
avvicina e si abbassa fino a noi.
Gesù Cristo, pur essendo
di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio; ma
spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo. Dio si affida
alla nostra libertà, alla
nostra imperfezione, alle nostre miserie. Permette che i tesori
divini siano portati in vasi di
argilla, e che li facciamo conoscere mescolando le nostre debolezze
umane alla sua forza divina.
Ma l'esperienza del
peccato non ci deve far dubitare della nostra missione. Certamente,
i nostri peccati possono
rendere difficile agli altri riconoscere Cristo in noi; dobbiamo
quindi affrontare
coraggiosamente le nostre miserie personali, cercare di purificarci,
sapendo che Dio non ci ha promesso la
vittoria assoluta sul male in questa vita, ma ci chiede lotta.
Sufficit tibi gratia mea, ti basta la mia
grazia, rispose Dio a Paolo che gli chiedeva di essere liberato dalla
prova che lo umiliava.
Il potere di Dio si
manifesta nella nostra debolezza, e ci spinge a lottare, a
combattere contro i nostri difetti,
pur sapendo che non otterremo mai del tutto la vittoria durante la
vita terrena. La vita
cristiana è un continuo cominciare e ricominciare, un rinnovarsi di
ogni giorno.
Cristo risuscita in noi
se diveniamo compartecipi della sua Croce e della sua Morte.
Dobbiamo amare la Croce,
la donazione, la mortificazione. L'ottimismo cristiano non è un ottimismo dolciastro e
neppure la mera fiducia umana che tutto andrà bene. Affonda le
proprie radici nella coscienza
della libertà e nella fede nella grazia; è un ottimismo che ci
porta a essere esigenti con noi stessi,
cioè a sforzarci per corrispondere alla chiamata di Dio.
In questo modo, malgrado
le nostre miserie, anzi, attraverso le nostre miserie, attraverso la nostra vita di uomini
fatti di carne e di terra, Cristo si manifesta: nel nostro sforzo di
essere migliori, di realizzare
un amore che aspira a essere puro, di dominare l'egoismo, di donarci pienamente agli altri,
facendo della nostra esistenza un costante servizio.
Non voglio concludere
senza un'ultima riflessione. Il cristiano, nel far presente Cristo
in mezzo agli uomini essendo
Cristo egli stesso, non cerca solo di vivere un atteggiamento
d'amore, ma anche di far conoscere
l'amore di Dio attraverso il suo amore umano. Gesù ha concepito tutta
la sua vita come una rivelazione di questo amore: Filippo — rispose a uno dei suoi
discepoli — chi vede me vede il Padre. Seguendo
quest'insegnamento, l'apostolo Giovanni
invita i cristiani a manifestare con le loro opere l'amore di Dio che
hanno conosciuto: Carissimi,
amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama
è generato da Dio e conosce
Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In
questo si è manifestato
l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo figlio unigenito nel
mondo, perché noi avessimo la
vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare
Dio, ma è lui che ha amato noi e ha
mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri
peccati.
Carissimi, se Dio ci ha
amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.
È necessario quindi che
la nostra fede sia viva, che ci porti realmente a credere in Dio e a mantenere un costante
dialogo con Lui. La vita cristiana deve essere vita di preghiera
incessante, sforzandoci di stare alla
presenza di Dio dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Il
cristiano non è mai un solitario,
perché vive in una continua intimità con Dio, che è vicino a noi e
nei Cieli.
Sine intermissione orate,
prescrive l'Apostolo: pregate senza interruzione. E, ricordando questo precetto
apostolico, Clemente Alessandrino scrive: Ci viene comandato di
lodare e onorare il Verbo che conosciamo
come salvatore e re; e per Lui il Padre, non in giorni scelti, come
fanno altri, ma costantemente
durante tutta la vita, e in tutti i modi possibili.
CLEMENTE ALESSANDRINO,
Stromata, 7, 7, 35 (PG 9, 450).
In mezzo alle occupazioni
della giornata, quando bisogna vincere la tendenza all'egoismo, quando sentiamo la gioia
dell'amicizia con gli altri uomini, in ogni momento il cristiano
deve rinnovare il suo incontro
con Dio. Per Cristo e nello Spirito Santo il cristiano ha accesso all'intimità di Dio
Padre, e percorre la strada che conduce al regno che non è di questo
mondo, ma che in questo mondo si
inizia e si prepara.
Bisogna entrare in
intimità con Cristo nella Parola e nel Pane, nell'Eucaristia e
nella preghiera. Bisogna
trattarlo come si tratta un amico, un essere reale e vivo, perché
Cristo è risorto e dunque vive. Cristo,
leggiamo nella lettera agli Ebrei, poiché resta per sempre, possiede
un sacerdozio che non
tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di
lui si accostano a Dio, essendo
egli sempre vivo per intercedere a loro favore. Cristo, il Cristo
risorto,è il compagno, l'Amico.
Un compagno che si lascia soltanto intravvedere, ma la cui realtà
riempie tutta la nostra vita, e
ci fa desiderare la sua compagnia definitiva. Lo Spirito e la sposa
dicono: « Vieni! ». E chi ascolta
ripete: « Vieni! ». Chi ha sete venga; chi vuole attinga
gratuitamente l'acqua della vita...
Colui che attesta queste cose dice: « Sì, verrò presto! ». Amen.
Vieni, Signore Gesù.
San Josemaría Escrivá, Cristo presente nei cristiani
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