«Siate imitatori di Dio», ordina
l'Apostolo a tutti i cristiani nella persona degli Efesini (V, l) S.
Tommaso c'insegna a imitare l'immutabilità di Dio con la costanza
nelle avversità e nelle prosperità; la sua imperturbabilità, col
non lasciarci scuotere da nessuna prova; ecc. (p.
3a q. art. 6).
«Siate imitatori di Dio», ordina
l'Apostolo a tutti i cristiani nella persona degli Efesini (V,
l). Sublime dignità, sommo onore è quello d'imitare Dio! E se non è
possibile all'uomo imitare Dio nella sua magnificenza e in altre
simili perfezioni, sta in nostro potere, dice S. Gerolamo (Comment.),
il tenergli dietro, almeno da lontano, nella sua umiltà, nella sua
mansuetudine, nella sua carità.
S. Tommaso c'insegna a
imitare l'immutabilità di Dio con la costanza nelle avversità e
nelle prosperità; la sua imperturbabilità, col non lasciarci
scuotere da nessuna prova; la veracità, la sincerità, la pazienza,
la clemenza, ecc. (p. 3a q.
art. 6).
«Tutto ciò che ha vita,
ama il suo simile», dice il Savio (Eccli.
XIII, 19). Ora come la creatura ama ciò che le somiglia, così Dio
creatore ama la creatura fatta a sua immagine. Volete voi dunque
piacere a Dio? Cercate, per quanto potete, d'imitare i suoi attributi
divini, quali la sapienza, la bontà, la giustizia, la purezza,
l'integrità, la santità. Vi sta a cuore di piacere a Cristo?
Procurate di ricopiarne in voi l'umiltà, la pazienza, la dolcezza,
lo spirito di carità e di mortificazione...
«Gli idolatri adoravano dèi
colpevoli di mille delitti, che non si potevano onorare senza
profanazione, perché non si potevano imitare senza vergogna»,
scrive Bossuet. Ma ecco la regola del Cristianesimo che dobbiamo
scolpirci nella memoria. È dovere del cristiano imitare tutto ciò
che onora; o come dice S. Agostino, tutto ciò che forma l'oggetto
del nostro culto, dev'essere il modello della nostra vita. Il
Salmista, sfogato il suo zelo contro gli idoli muti e insensibili,
conchiude augurando che diventino simili a loro quelli che li servono
e che in essi confidano (Psalm.
CXIII, 8). Con ciò voleva dire che l'uomo deve conformarsi a quello
che adora e che perciò gli adoratori degli idoli meritano di
diventare sordi e muti come questi. Ma noi, adoratori di un Dio vivo,
dobbiamo vivere come lui, di vera vita. È nostro dovere essere
santi, perché santo è il Dio che serviamo (Levit.
XI, 44). Bisogna che siamo misericordiosi, perché misericordioso è
il Padre nostro celeste (Luc.
VI, 36), e che perdoniamo ai nemici, com'egli a noi perdona (MATTH.
VI, 14). Egli fa sorgere il sole tanto sui buoni quanto sui
cattivi (MATTH, V. 45), e noi dobbiamo abbracciare nella nostra
carità così gli amici come i nemici. Conviene che noi siamo
spirituali, e che adoriamo in ispirito, perché Dio è spirito
(IOANN. IV, 24). Finalmente Gesù Cristo ci comanda che siamo
perfetti, perché perfetto è Colui che adoriamo (Sur
la dévotion à la Sainte Vierge).
«Noi siamo veramente
trasformati in Dio, osserva anche S. Bernardo, quando ci conformiamo
a Lui» (Serm. in Cantic.).
Più ci allontaniamo dal
mondo, e più ci avviciniamo a Dio; quanto meno rassomigliamo al
mondo, più rassomigliamo a Dio; più poco imitiamo il mondo e più
imitiamo Dio... Dobbiamo camminare come camminò Gesù Cristo; e che
cosa significa ciò? «Non altro a mio parere, risponde S. Prospero,
se non questo, che disprezziamo le prosperità ch'egli ha
disprezzato, che non temiamo le avversità ch'egli ha incontrato, che
speriamo quello che ha promesso, che facciamo del bene anche agli
ingrati, che non rendiamo male per male, che preghiamo per i nostri
nemici, che sentiamo pietà dei traviati, che calmiamo gli avversari,
che sopportiamo con cuore magnanimo gli uomini finti od orgogliosi,
che siamo morti alla carne per non vivere se non di Gesù Cristo.
Infatti come chi è morto non sparla di nessuno, non disprezza, non
adula, non invidia, non odia nessuno e non cerca di rapire né la
roba, né la fama, né l'onestà altrui; così quelli che
crocifiggono la propria carne con le sue concupiscenze e con i suoi
vizi, non possono né peccare, né allontanarsi da Dio; ma lo imitano
e gli divengono simili»
(De Vita
contempl. lib. II, cap. 31).
Sac Cornelio A Lapide
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