Mons. Antonio Bloom (nato nel 1914), dopo gli studi di
medicina, divenne monaco e fu poi nominato vescovo. Attualmente èsarca
del Patriarcato russo per l'Europa occidentale. Esercita un'influenza profonda
su tutti coloro che lo avvicinano, di qualunque età o confessione.
Sacerdoti o laici, desiderosi di vivere la loro fede in mezzo al mondo,
monaci e monache che cercano di vivere più autenticamente la loro vocazione
contemplativa, riconoscono in lui una guida spirituale, a cui una lunga e ricca esperienza procura un senso molto concreto
della sofferenza e della miseria umana.
La Vita e la preghiera non possono mai essere separate. Una
vita senza preghiera è una vita che ignora una dimensione essenziale
dell'esistenza... Il mondo in cui viviamo non è un mondo profano. E' un mondo
che noi spesso sappiamo profanare anche troppo ma, in sé, è uscito dalle mani di
Dio, è amato da Dio. Il valore che Dio gli attribuisce è la vita e la morte del
suo unico Figlio. E la preghiera manifesta la nostra conoscenza di questa
realtà, la scoperta del fatto che ogni creatura, ogni cosa attorno a noi ha,
agli occhi di Dio, un valore sacro e diventa per noi preziosa, diventa amata.
Non pregare significa lasciare Dio al di fuori dell'esistenza, e non soltanto
lui, ma tutto ciò che egli significa nel mondo che ha creato, nel mondo in cui
viviamo.
Ora, ci sembra spesso difficile unire 'la vita e la preghiera. E' assolutamente un errore, che deriva dall'idea sbagliata che ci facciamo della vita e della preghiera. Pensiamo che la vita consista nell'agitarsi e che la preghiera consista nell'andarsene in disparte, nel dimenticare tutto - del nostro prossimo e della nostra situazione umana. E' falso, è una calunnia della vita, una calunnia della stessa preghiera.
Se vogliamo imparare a pregare dobbiamo, in primo luogo, renderci solidali con la realtà complessiva dell'uomo, del suo destino e del mondo intero: assumerla totalmente. In questo consiste ratto essenziale che Dio ha compiuto nell'Incarnazione, l'aspetto globale di ciò che noi chiamiamo intercessione. In genere, quando pensiamo all'intercessione, crediamo che essa si riduca a ricordare cortesemente a Dio ciò che ha dimenticato di fare. In realtà l'intercessione consiste nel fare un passo che ci porti nel cuore di una situazione tragica, un passo simile a quello del Cristo che è divenuto uomo una volta per sempre. Dobbiamo fare un passo che ci porti nel cuore di una situazione da cui non vorremo mai più uscire...
La preghiera nasce da due sorgenti: lo stupore che proviamo di fronte a Dio e alle cose di Dio - il nostro prossimo o il mondo che ci circonda, malgrado le sue ombre - oppure il senso del tragico, il nostro e soprattutto quello degli altri. Berdiaeff diceva: «Se io ho fame, è un fatto fisico; se il mio vicino ha fame, è un fatto morale». Ecco il tragico come ci appare ad ogni istante: il mio vicino ha sempre fame. Non sempre però ha fame di pane: talvolta ha fame di un gesto di umanità, di, uno sguardo pieno di affetto. Da questa sensibilizzazione alla meraviglia e alla tragedia comincia la preghiera. Quando essa permane, tutto diventa facile: immersi nello stupore preghiamo facilmente, come preghiamo facilmente quando il senso della tragedia ci afferra...
Se cominciate a unire in questo modo la vita alla vostra preghiera, esse non si separeranno mai. E la vita sarà come un combustibile che, ad ogni istante, alimenterà un fuoco sempre più grande, sempre più splendente e che a poco a poco, trasformerà voi stessi in quel roveto ardente di cui parla la Sacra Scrittura.
Ora, ci sembra spesso difficile unire 'la vita e la preghiera. E' assolutamente un errore, che deriva dall'idea sbagliata che ci facciamo della vita e della preghiera. Pensiamo che la vita consista nell'agitarsi e che la preghiera consista nell'andarsene in disparte, nel dimenticare tutto - del nostro prossimo e della nostra situazione umana. E' falso, è una calunnia della vita, una calunnia della stessa preghiera.
Se vogliamo imparare a pregare dobbiamo, in primo luogo, renderci solidali con la realtà complessiva dell'uomo, del suo destino e del mondo intero: assumerla totalmente. In questo consiste ratto essenziale che Dio ha compiuto nell'Incarnazione, l'aspetto globale di ciò che noi chiamiamo intercessione. In genere, quando pensiamo all'intercessione, crediamo che essa si riduca a ricordare cortesemente a Dio ciò che ha dimenticato di fare. In realtà l'intercessione consiste nel fare un passo che ci porti nel cuore di una situazione tragica, un passo simile a quello del Cristo che è divenuto uomo una volta per sempre. Dobbiamo fare un passo che ci porti nel cuore di una situazione da cui non vorremo mai più uscire...
La preghiera nasce da due sorgenti: lo stupore che proviamo di fronte a Dio e alle cose di Dio - il nostro prossimo o il mondo che ci circonda, malgrado le sue ombre - oppure il senso del tragico, il nostro e soprattutto quello degli altri. Berdiaeff diceva: «Se io ho fame, è un fatto fisico; se il mio vicino ha fame, è un fatto morale». Ecco il tragico come ci appare ad ogni istante: il mio vicino ha sempre fame. Non sempre però ha fame di pane: talvolta ha fame di un gesto di umanità, di, uno sguardo pieno di affetto. Da questa sensibilizzazione alla meraviglia e alla tragedia comincia la preghiera. Quando essa permane, tutto diventa facile: immersi nello stupore preghiamo facilmente, come preghiamo facilmente quando il senso della tragedia ci afferra...
Se cominciate a unire in questo modo la vita alla vostra preghiera, esse non si separeranno mai. E la vita sarà come un combustibile che, ad ogni istante, alimenterà un fuoco sempre più grande, sempre più splendente e che a poco a poco, trasformerà voi stessi in quel roveto ardente di cui parla la Sacra Scrittura.
* Estratti da una sua risposta
in occasione di un
incontro di giovani a Taizé dal 31 agosto al 3 settembre 1967; «La Documentation
Catholique»
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