Un domenicano di trentadue anni,
sacerdote da 18 mesi, penetra per la prima volta, il 15
settembre 1864, in una maison centrale, un carcere. Si chiama
Jean-Joseph Lataste. La prigione è situata nell’antico castello
ducale di Cadillac-sur-Garonne, la cittadina viticola della sua
infanzia; vi sono rinchiuse circa quattrocento donne, suddivise in
tre categorie, a seconda della natura e della durata della loro pena.
Inviato dal priore del convento di Bordeaux, padre Lataste viene a
predicare a queste donne un ritiro di quattro giorni: sarà
un’esperienza decisiva per l’orientamento della sua vita.
Alcide Vital Lataste è nato a Cadillac
il 5 settembre 1832; viene battezzato il giorno successivo. Lo hanno
preceduto sei fratelli e sorelle. Suo padre, Vital, proprietario di
alcuni vigneti, esercita anche un’attività di commercio in tessuti
che gli procura una certa agiatezza. È considerato un po’
originale e ostenta volentieri di essere libero pensatore; non è
praticante, ma non si oppone alla pietà di sua moglie, a cui lascia
ogni libertà di educare cristianamente i loro figli. Durante tutta
la sua vita, Alcide si preoccuperà della salvezza di suo padre.
Molto presto, il bambino si ammala
gravemente; viene affidato a una nutrice, presso la quale rimane tre
anni. Quando i suoi genitori lo riprendono, è una nuova lacerazione,
acuita dall’entrata in religione, presso le Figlie della Sapienza,
della sua sorella preferita, sua madrina.
Un periodo di scoraggiamento
Alla fine della scuola elementare, i
suoi genitori lo iscrivono, nel mese di settembre del 1841, al
seminario minore di Bordeaux. L’attrazione che prova per il
sacerdozio è controbilanciata dalla sensazione molto marcata della
sua indegnità: «Non osavo dichiararmi, tanto mi appariva grande la
missione del sacerdote, e a tal punto mi riconoscevo indegno.» Dopo
qualche anno, viene inviato al collegio di Pons, «per verificare la
sua vocazione». L’adolescente entra allora in un periodo
tormentato.
Alla fine della scuola media, il superiore scrive ai suoi genitori che «non crede che il ragazzo sia chiamato allo stato ecclesiastico». Scoraggiato, egli si lascia trascinare, all’inizio dell’anno scolastico successivo, dai compagni meno seri... «Dimenticai a poco a poco il Buon Dio, e il mio amore per la Santa Vergine diminuì... Credetti più facilmente di non avere la vocazione, per il fatto che desideravo meno averla.» Si trova allora alle prese con il demonio dell’impurità, prova frequente a quella età. Ma Alcide trova nella tenacia apostolica della sua sorella religiosa un appoggio forte, anche se non sempre gradevole. Si aggrappa alla preghiera. A partire dal suo ventesimo anno, la sua corrispondenza non recherà più traccia di questi combattimenti. Nel 1850, consegue la maturità classica. Dopo un “anno sabbatico” nella casa paterna, entra nell’amministrazione. Prima come tirocinante, poi come funzionario, lavorerà alla direzione delle imposte dal 1851 al 1857. A Bordeaux, si lega di amicizia con un giovane collega, Léon Leyer, fervente cattolico, che lo influenza profondamente.
Alla fine della scuola media, il superiore scrive ai suoi genitori che «non crede che il ragazzo sia chiamato allo stato ecclesiastico». Scoraggiato, egli si lascia trascinare, all’inizio dell’anno scolastico successivo, dai compagni meno seri... «Dimenticai a poco a poco il Buon Dio, e il mio amore per la Santa Vergine diminuì... Credetti più facilmente di non avere la vocazione, per il fatto che desideravo meno averla.» Si trova allora alle prese con il demonio dell’impurità, prova frequente a quella età. Ma Alcide trova nella tenacia apostolica della sua sorella religiosa un appoggio forte, anche se non sempre gradevole. Si aggrappa alla preghiera. A partire dal suo ventesimo anno, la sua corrispondenza non recherà più traccia di questi combattimenti. Nel 1850, consegue la maturità classica. Dopo un “anno sabbatico” nella casa paterna, entra nell’amministrazione. Prima come tirocinante, poi come funzionario, lavorerà alla direzione delle imposte dal 1851 al 1857. A Bordeaux, si lega di amicizia con un giovane collega, Léon Leyer, fervente cattolico, che lo influenza profondamente.
Léon Leyer introduce Alcide nella
conferenza di San Vincenzo de’ Paoli della parrocchia di
Sant’Andrea. Fin dall’inizio, il nuovo arrivato prende a cuore la
visita ai poveri. Non si accontenta di portare ai bisognosi un “buono
per il pane” o un abito caldo, ma prolunga la sua visita; grazie
alla familiarità che s’instaura, trasmette una parola cristiana.
Dedica inoltre molto tempo a catechismi e a lezioni serali ai
soldati. In seguito al passaggio a Bordeaux di padre Hermann Cohen,
celebre pianista diventato religioso dell’ordine del Carmelo,
Alcide estende il suo zelo all’adorazione notturna del Santissimo
Sacramento. Dopo qualche mese, viene trasferito da Bordeaux a Privas,
poi a Pau e a Nérac. Il filo che costituisce l’unità della sua
vita è la sua dedizione instancabile alle conferenze di San Vincenzo
de’ Paoli. Queste costituiscono ai suoi occhi un terreno favorevole
allo nascita di una vera amicizia, a una specie di vita di famiglia
allargata alle persone di ogni estrazione sociale. A Nérac, mette in
piedi un fourneau économique, una specie di mensa dei poveri che,
nel giro di un anno, avrà distribuito più di quarantaseimila pasti
caldi ai bisognosi.
Alcide era arrivato a Privas nel marzo
1853, preceduto da una reputazione lusinghiera tra i confratelli
della Conferenza locale. Subito, una ragazza di sedici anni, di
famiglia nobile ma senza fortuna, gli manifesta ammirazione e amore.
Alcide interpreta il sentimento reciproco che nasce in lui come il
segno della volontà di Dio. Ma non ha raggiunto la maggiore età;
Vital Lataste, sfavorevole al progetto di matrimonio del figlio,
ottiene dall’amministrazione che questi venga trasferito in una
città più vicina a Bordeaux: sarà Pau. Alcide non vedrà mai più
Cécile de Saint-Germain. Scrive a suo fratello, Émile: «Quando il
dovere parla, considero la sua voce come quella di Dio, e
obbedisco... Ecco perché mi sono deciso, senza mormorare, per tutto
quello che mio padre ha voluto.»
Duplice prova
Trascorrono due anni a Pau. Nel mese di
ottobre del 1855, Alcide riceve una terribile notizia: la sua
sorella religiosa, nella quale riponeva ogni fiducia, è appena stata
richiamata Dio. Ha offerto le sue sofferenze e la sua vita per la
vocazione del fratello. Questo shock provoca in lui un completo
rovesciamento: «Quindici giorni dopo la morte della mia sorella
religiosa, ero deciso a entrare in religione.» È allora che
apprende che Cécile è morta di febbre tifoide. Ne è profondamente
addolorato: «Ecco il mio cuore messo a nudo come un santuario
devastato.» Nel frattempo, tre domenicani arrivano a Pau per tenere
un ritiro. Una predicazione sul trionfo della vita sulla morte lo
rafforza nella sua decisione di donarsi a Dio, ma esita tra la vita
religiosa e il celibato nel mondo, al servizio dei poveri. Il senso
della sua indegnità lo trattiene ancora...
L’incontro, in treno, con padre
Edmond, restauratore dei Premonstratensi in Francia, stimola Alcide.
Egli si rivolge a padre Lacordaire, che ha appena ristabilito
l’Ordine dei Frati Predicatori; quest’ultimo gli raccomanda di
leggere la sua Vita di san Domenico. Nel marzo del 1857, durante un
ritiro presso i Carmelitani di Agen, discerne nella vita religiosa il
mezzo di rivolgere verso Dio la sua capacità di amare.
All’obiezione: «E la tua libertà? Vuoi dunque rinunciarvi per
sempre ?», risponde dentro di sé: «Che cosa cerchi e che cosa
vuoi? La salvezza! la certezza di amare e di essere amato un giorno
di un amore senza fine.» Il 4 novembre 1857, Alcide si presenta al
noviziato dei Domenicani, a Flavigny-sur-Ozerain, borgo medioevale
che deve la sua origine a un monastero benedettino fondato nel 720 e
durato fino alla Rivoluzione nel 1790.
Il noviziato, istituito in questo
villaggio da padre Lacordaire, conta oltre trenta membri. Alcide è
colmo di gioia per il clima di fervida preghiera e di carità
vicendevole, e si dimostra cortese, allegro e generoso.
Il 13 novembre riceve l’abito dell’Ordine sotto il nome
di fratel Jean-Joseph, e rinnova il suo atto di donazione a Maria. Il
maestro dei novizi è colpito dalla sua fermezza d’animo, come
anche dalla sua assiduità davanti al Santissimo Sacramento. Alcide
si dedica all’essenziale: diventare un santo. Un’unica osservanza
lo spaventa: le penitenze di regola. «Se vuoi che io soffra, dice a
Dio, mandami delle sofferenze... ma non contare su di me per farmi
soffrire!» Ben presto, essendosi schiacciato il dito mentre
sistemava dei mobili, gli si manifesta un patereccio all’indice; il
male degenera, e si prende in considerazione l’amputazione. Ciò
comportava, a quell’epoca, l’impossibilità di celebrare la Santa
Messa. Alcide accetta questa eventualità; tuttavia, il patereccio
guarisce. Qualche tempo dopo, si manifesta una osteomielite dell’anca
che provoca dolori acuti, e la prospettiva di rimanere zoppo e
fragile. I superiori mettono in discussione la professione del
giovane novizio. Questi non si turba; costretto a vivere una vita un
po’ ‘solitaria, si dedica alla preghiera. Ama però e ricerca la
vita comune. Tuttavia, nel 1863, è veramente guarito. Inviato al
convento di Tolosa per trarre beneficio dal caldo del sud della
Francia, fratel Jean-Joseph viene ammesso alla professione il
10 maggio 1859, vale a dire sei mesi dopo la data normale.
«Non disperate mai!»
Nei giorni che seguono la sua
professione, fratel Lataste gusta una pace mai provata prima,
nella certezza di amare ed essere amato da Colui che è l’Amore.
Già il giorno dopo, parte per il convento di studi di Chalais,
vicino a Grenoble; là sono riuniti diciassette fratelli studenti.
Nel mese di luglio, tutti si trasferiscono nell’antico convento di
San Massimino, nel Var, che Padre Lacordaire ha appena riscattato per
l’Ordine. La formazione ricevuta incentra la loro vita interiore
sulla conoscenza e l’amore di Gesù Cristo. L’incontro con santa
Maria Maddalena, di cui il convento ospita le reliquie, è
determinante per fratel Lataste. «Quale posto pensate che Maddalena
occupi in Cielo? chiede. Per quanto mi riguarda, non sarei sorpreso
di contemplare un giorno la peccatrice pentita immediatamente dopo la
Vergine Immacolata.» Il 10 maggio 1862, fa la professione
solenne; l’8 febbraio 1863, viene ordinato sacerdote a Marsiglia.
La sua prima predicazione pubblica, il Venerdì Santo seguente,
manifesta la sua preoccupazione per le anime: «Tutti i vostri
delitti, per quanto grandi siano, non raggiungeranno mai le
proporzioni del suo amore infinito e della sua infinita Misericordia!
Di grazia, fratelli miei, qualunque cosa abbiate fatto, qualunque
cosa facciate, non disperate mai della misericordia di Dio: ma, per
questo, non esponetevi alla disperazione con un’ostinata resistenza
alla sua grazia che vi sollecita, in questo stesso momento.»
Padre Lataste viene assegnato al
convento di Bordeaux. Di passaggio a Lourdes, ha un colloquio con
Bernadette Soubirous e ne esce convinto della realtà delle
apparizioni. Incaricato, fin dal suo arrivo a Bordeaux, di vari
ministeri, viene inviato, dopo circa un anno, a predicare nel carcere
femminile di Cadillac. Durante il diciannovesimo secolo, si pone
l’accento sugli effetti terapeutici attesi dalla detenzione, nel
timore della recidiva. L’amministrazione fa volentieri appello agli
ordini religiosi per disciplinare e cercare di rendere morigerati i
detenuti. Il 1° maggio 1835, erano arrivate a Cadillac dodici Figlie
della Sapienza, per garantirvi, sotto l’autorità del direttore, la
cura dei malati e la sorveglianza interna del carcere. Alle detenute
è imposto il silenzio più assoluto: si vuole soprattutto evitare
l’insegnamento vicendevole del male. Di che tipo di reati si tratta
nella maggior parte dei casi? I documenti citano l’infanticidio e
il furto.
Il tono di un fratello
Varcando la soglia della prigione,
padre Lataste si chiede quale bene potrà fare a quelle che
spesso vengono chiamate “ragazze perdute”. Tuttavia, egli
contrasta questo sentimento: «Mie care sorelle...», dice iniziando.
Il tono è quello di un fratello che viene ad aiutarle a riflettere
sulla radice dei loro peccati, per condurle alla conversione. Questo
occupa tre sermoni, di cui uno sull’inferno. Il terzo giorno,
traccia il parallelo tra Giuda e il buon ladrone, che non ha dubitato
della Misericordia, poi tiene una meditazione su Maria Maddalena. Già
i volti abbattuti si sono risollevati e rischiarati. L’ultimo
giorno prevede un sermone sull’Eucaristia e un altro sul Paradiso.
Durante le sue lunghe sedute al confessionale, il Padre contempla
l’opera della Misericordia nelle anime. Scopre, meravigliato, la
profondità di vita cristiana e la verità del perdono di cui sono
capaci queste donne. Il Santissimo Sacramento esposto nella cappella,
l’ultima sera, è oggetto dell’adorazione e dell’amore di
tutte. Questa esperienza ispira al Padre l’idea di un’opera da
fondare in vista della riabilitazione delle detenute. La prova che
sopportano dapprima per forza, può, con l’aiuto della grazia,
diventare offerta spontanea.
Nel settembre del 1865, padre Lataste
torna a Cadillac per un secondo ritiro, richiesto dalle detenute
stesse. Tiene un unico sermone al giorno, per trovare tempo per le
confessioni e la direzione spirituale. Lo schema è semplice: la
morte, il giudizio, il Paradiso, l’Eucaristia. Questo programma è
austero ma realistico, perché le detenute vedono in mezzo a loro, in
media, una bara ogni nove giorni: bisogna rivolgere su questa realtà
uno sguardo di fede. Il Padre predica una speranza che va al di là
delle speranze terrene: la bellezza dell’eredità celeste che lo
attende aiuterà il cristiano a operare la sua conversione e ad
accettare pene e umiliazioni. L’ultima sera, queste donne adorano
il Santissimo Sacramento esposto, un gruppo fino a mezzanotte,
l’altro da mezzanotte fino all’alba, in perfetto silenzio.
Uscendo dal confessionale, colpito da questo spettacolo, il Padre
redige il suo ultimo sermone a partire dalle parole ardenti di santa
Caterina da Siena: «Ho visto i segreti di Dio; ho visto meraviglie!»
Il contrasto tra la qualità di vita morale che egli constata in
prigione e il disprezzo che queste donne incontreranno alla loro
uscita è per lui intollerabile; si chiede: «Che ne sarà di loro?»
A partire dalla fine di quel mese,
padre Lataste viene nominato maestro degli studenti domenicani, a
Flavigny. Trascorrerà là un anno, dall’ottobre 1865 all’ottobre
1866. Volendo presentare al grande pubblico l’opera che si sente
chiamato a fondare, redige un opuscolo che intitola “Le
Riabilitate”. Vi dimostra che la vera riabilitazione deriva dal
perdono offerto da Dio.
La giustizia umana si limita a punire i
colpevoli: «la giustizia divina, dice Benedetto XVI, cerca il bene e
lo crea attraverso il perdono che trasforma il peccatore, lo converte
e lo salva... Se i malfattori accettano il perdono di Dio e
confessano la colpa lasciandosi salvare, non continueranno più a
fare il male, diventeranno anch’essi giusti, senza più necessità
di essere puniti» (18 maggio 2011).
Un dramma misconosciuto
L’opuscolo di Padre Lataste viene
pubblicato nel mag- gio 1866. L’essenziale sta in questa idea:
accogliere nella vita religiosa delle donne che escono di prigione,
pronte a lasciare il mondo per donarsi a Dio che le ha salvate. Il
Padre progetta quindi di fondare una congregazione in cui delle
religiose contemplative accettino di riceverle tra di loro, dopo un
periodo di prova. L’autore vede bene che questa congregazione
raccoglierà solo un piccolo numero di queste donne. Ma, inviando il
suo opuscolo ai deputati nonché a giornalisti, vuole sensibilizzare
i suoi concittadini riguardo al dramma che vivono le detenute
all’uscita dal carcere, e alla responsabilità della società nei
loro confronti. Il Padre dà alla fondazione anche un altro titolo:
“Casa di Betania”, che diventerà in seguito: “Congregazione
delle Suore domenicane di Betania”. Betania è il villaggio della
Giudea dove vivevano i tre amici di Gesù: Lazzaro, Marta e Maria, la
peccatrice divenuta anima contemplativa (padre Lataste, seguendo la
tradizione latina illustrata da sant’Agostino e san Gregorio Magno,
identifica Maria Maddalena con Maria di Betania). Gesù amava venire
a riposare a casa loro.
Nei loro incoraggiamenti al progetto di
padre Lataste, i superiori domenicani precisano che la fondazione non
impegna la responsabilità dell’Ordine. Il Padre trova la pietra
fondamentale della sua opera in madre Henri-Dominique Berthier.
Questa religiosa della Presen-tazione di Tours sentiva un’attrazione
per l’apostolato delle donne detenute. Ottiene, nel maggio 1866, di
fare un ritiro sotto la guida di padre Lataste e accetta di portare
il peso della fondazione. È l’inizio di una fiducia totale della
religiosa nei confronti del Padre, più giovane di lei di dieci anni,
e di una collaborazione di due anni e mezzo in profonda comunione. Il
14 agosto madre Henri-Dominique e suor Marguerite-Marie, religiosa
più giovane proveniente anche lei da Tours, prendono possesso di una
casa a Frasnes-le-Château, nei pressi di Besançon. Tuttavia, nella
società francese del XIX secolo, la nuova fondazione riveste un
carattere sorprendente, per non dire scandaloso. Le reazioni ostili
provengono in particolare dalle comunità del Terz’Ordine regolare
domenicano, sul quale padre Lataste aveva l’intenzione di innestare
Betania. Queste religiose, votate per lo più all’insegnamento e
all’educazione delle ragazze, si spaventano alla prospettiva di
essere assimilate dall’opinione pubblica a delle “pentite”. Il
capitolo provinciale dell’Ordine informa il Padre che il principio
stesso della sua fondazione causa difficoltà. Il fondatore non si
scoraggia. Questa contraddizione gli sembra essere il segno della
benedizione divina data attraverso la croce. Alla fine, le difficoltà
si attenuano e la fondazione prosegue il suo corso.
La fondazione di Betania non è, per il
Padre, un’evasione: egli rimane Frate predicatore. Per restare
fedele alla vita comunitaria, non vuole stabilirsi a Frasnes. Nelle
prediche che i suoi superiori gli chiedono di tenere, non coltiva
l’arte oratoria, ma tocca i cuori con la sua convinzione. Egli vi
associa discrezione, senso dell’umorismo e generosità.
Presto esaudito
Le varie malattie del Padre hanno
logorato la sua salu- te. Consapevole della sua fragilità,
invia al Papa una lettera sorprendente nella quale dichiara di
offrire la sua vita perché san Giuseppe sia dichiarato Patrono della
Chiesa universale e perché il suo nome sia è inserito nel Canone
della Messa; in cambio, chiede a questo grande santo di vegliare
sull’opera delle Riabilitate. All’inizio della sua lettura, Pio
IX esclama: «Ah! Ah! il buon santo religioso! sarà presto
esaudito!» Proseguendo la sua lettura, aggiunge: «Questo è molto
difficile!» Si trattava dell’inserimento nel Canone della Messa,
che non si farà che un centinaio di anni più tardi, sotto il beato
Giovanni XXIII.
Alla fine del luglio 1868, a Frasnes,
il Padre, in preda a una grande stanchezza, è ridotto al riposo
quasi assoluto. A Natale, riesce a celebrare la Messa di mezzanotte,
ma avverte madre Henri-Dominique che sarà l’ultima. Durante la
giornata, ha la consolazione di dare l’abito di piccola sorella a
una convertita di Cadillac. Nei suoi colloqui, il Padre invita le sue
figlie alla fiducia in Dio. Egli rivela un aspetto della sua profonda
vita interiore attraverso queste parole: «Si fa in me una perpetua
adorazione di Dio con un atto semplice della mia anima, sempre uguale
e sempre nuovo, senza inizio, senza momento intermedio, senza fine: è
come un riflesso, un barlume dell’eternità.» Egli ringrazia
l‘Ordine domenicano per gli anni in cui ha avuto la grazia di
indossare il suo abito e di ricevere tante benefici, e perdona ai
suoi fratelli che non hanno approvato e hanno anche combattuto la sua
fondazione. Con l’avvicinarsi della morte, raccomanda a Dio le sue
figlie ispirandosi alla preghiera sacerdotale di Cristo (cf. Gv 17);
dichiarando che offre la sua vita per Betania, affida a San Giuseppe
la fragilità della sua opera. Il 10 marzo, in una grande pace,
consegna l’anima a Dio.
Le Domenicane di Betania, religiose
contemplative che accolgono tra di loro donne provenienti da percorsi
diversi, contano oggi quattro case: due in Francia, una in Svizzera,
un’altra a Torino. Visitano le prigioni vicine ai loro conventi. Il
cemento della loro vita comunitaria è la contemplazione della Divina
Misericordia, incentrata sull’adorazione del Santissimo Sacramento,
secondo il desiderio di padre Lataste. La beatificazione di
quest’ultimo è vicina, perché si trovano ormai riuniti tutti gli
elementi necessari per questo atto solenne.
Su invito di Padre Lataste, attingiamo
nel Cuore eucaristico di Gesù l’Amore divino di cui abbiamo
bisogno per dimenticarci di noi stessi a favore di coloro – uomini
e donne – che giacciono, spogli, sul bordo della strada (cf. Lc
10,30).
Dom Antoine
Marie osb
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
Non conoscevo questo Santo (Beato) : dopo le Lodi - che ogni tanto recito dal tablet con l'app ePrex, piùttosto che dal cartaceo - mi fermo a leggere le biografie dei Santi del giorno....oggi la sua vita mi ha quasi folgorato, sicuramente mi ha scosso : disse alle detenute : "...qualunque sia il vostro passato, non consideratevi più come detenute, ma, anche voi, come anime votate a Dio”.
RispondiEliminaSono rimasto come un babbeo a bocca aperta : adesso sò cosa dire quando il maligno e tutto il male vuole convincerci che siamo perduti e senza speranza : Io sono un'anima votata a Dio, a Lui appartengo e a Lui voglio appartenere. Io sono di Cristo Gesù : Gesù ha già vinto e, con la Sua Grazia, voglio vincere appresso (dietro) a Lui.
Il Signore ti dia pace ! :-)