lunedì 1 dicembre 2014

Charles de Foucauld - Pensieri



PENSIERI

1
Io vorrei tanto per me, e di conseguenza vorrei per voi, – perché mi sembra davvero una buona cosa – un po’ di solitudine e di silenzio. Da una parte sono molto solitario, perché non ho qui una sola persona che abbia verso di me il minimo attaccamento (se non, forse, un povero, fantaccino, Miloud; pregate per la sua conversione! è un’anima semplice e un buon cuore)… C’è anche un furiere maggiore di fanteria, un francese, che mi dimostra vera amicizia.
Ma dall’altra parte, dalle quattro e mezzo del mattino alle sei e mezzo della sera, non smetto mai di parlare e di veder persone: schiavi, poveri, malati, soldati, viaggiatori, curiosi. Questi, i curiosi, ormai li ho solo raramente, ma gli schiavi, i malati, i poveri aumentano anziché diminuire… Celebro la santa Messa prima del giorno, per non essere troppo disturbato dal rumore e per fare il ringraziamento un po’ tranquillo; è però inutile che lo faccia di buon’ora, durante il ringraziamento vengo sempre chiamato tre o quattro volte…

2
Ecco come fr. Charles esamina la sua vita a Béni-Abbés. Egli si domanda: «In che modo fare l’elemosina meglio che per il passato?» e risponde: «Facendola come la faceva Gesù, in un’imitazione più fedele del Modello Divino. Preoccupandosi meno di dare denaro e dando di più quello che dava Gesù: la nostra fraterna tenerezza il nostro tempo, la nostra pena».
Ancora si domanda: «In che modo praticare l’eguaglianza e la fraternità con gli indigeni?» e risponde: «Lasciandoli avvicinare a me, parlarmi, soprattutto non impiegando i soldati per allontanarli da me, non avendo paura di dedicare loro il mio tempo; anziché evitare le loro lunghe conversazioni, desiderarle, ma spostarle sempre verso Dio: riuscire a guidare io queste chiacchierate, distaccarle dalla terra e farle sempre salire alle cose spirituali. Non temere il contatto degli indigeni, né quello dei loro vestiti, coperte, ecc…
Non avere paura né della loro sporcizia né delle loro pulci… Vivere insieme agli indigeni con la familiarità che aveva Gesù verso i suoi apostoli, i quali erano simili ad essi… Soprattutto, vedere sempre Gesù in loro e, di conseguenza, trattarli non soltanto con senso di eguaglianza e di fraternità, ma anche con l’umiltà, col rispetto, con l’amore, con la dedizione comandate da questa fede».


3
Ecco il programma: amore, amore, bontà, bontà.

4
Diventare i loro amici, amarli e farsi amare, portarli alla virtù, e dalla virtù e dalla buona volontà ad ogni verità, vivere per salvarli. Ecco il programma: amore, amore, bontà, bontà.

5
Ci vorrebbero molti buoni preti, non per predicare (li accoglierebbero come nei villaggi bretoni accoglierebbero dei turchi che andassero a predicare Maometto, e anche peggio), ma per prendere contatto, farsi amare, ispirare stima, fiducia, amicizia, rendere possibile un avvicinamento, dissodare la terra prima di seminare.

6
Per gli schiavi ho una piccola camera nella quale li riunisco e in cui trovano sempre alloggio, accoglienza, pane quotidiano, amicizia; a poco a poco insegno loro a pregare Gesù. Dal 5 gennaio, giorno in cui la loro cameretta fu terminata, ne ho avuti tutte le notti qui alla Fraternità, grazie a Dio… Con più virtù da parte mia, più intelligenza e maggiori risorse, si potrebbe raggrupparli ancora meglio! Talvolta, vedo anche venti schiavi al giorno.
I viaggiatori poveri trovano anch’essi nella Fraternità un umile asilo e un po’ da mangiare… Ma il locale è stretto, la virtù del monaco e il suo savoir-faire sono ancor più scarsi… Adesso posso ricevere appena una quindicina d’ospiti: fra un po’ di tempo, una trentina, perché continuo a costruire. Ma bisognerebbe potere accoglierne ancor di più: spesso capitan qui dai trenta ai quaranta viaggiatori al giorno.
Gl’infermi e i vecchi abbandonati trovano qui un rifugio, un tetto, cibo e cure. Ma le cure son così insufficienti, e il cibo così scarso!… Tre o quattro vecchi m’han già chiesto di essere ospiti fissi della Fraternità…

7
Più si dà al Signore e più egli rende. Ho creduto di dar tutto lasciando il mondo ed entrando nella trappa: ho ricevuto più che non avessi donato… Ho creduto ancora di dare tutto lasciando la trappa: sono stato colmato senza misura… Godo infinitamente d’essere povero, vestito come un operaio, come un domestico, in questo umile stato che fu quello di Nostro Signore, e, per un eccesso eccezionale di grazia, d’esserlo così a Nazareth.

8
Per me, per mostrarmi il tuo amore, per mostrarmi l’orrore del peccato che vuoi espiare con tali supplizi, per indurmi a non commettere più peccati che ti son costati così cari, per insegnarmi il coraggio e per additarmi il cammino del martirio, per darmi l’esempio di questa sofferenza che è la dimostrazione della virtù, dell’amore e del coraggio, e senza la quale non si entra in cielo; per me, per farti amare da me nel vedere ciò che soffri per amor mio; per me, per trascinarmi al tuo seguito, su questa via del dolore che distaccandomi dal mondo m’attacca a Dio; per me, per mostrarmi il disprezzo che bisogna avere verso tutti i documenti terreni, dal momento che un Dio, il quale ha scelto per parte sua ciò che sulla terra è il più perfetto, ha scelto tali dolori; per me, per farmi vedere che cosa sono gli uomini e che cosa è Dio, quanto quelli sono ingiusti e crudeli, quanto questo è buono e amoroso; per me, per distaccarmi dagli uomini che fanno soffrire e per attaccarmi a Dio che soffre per me; per me, per ispirarmi un profondissimo dolore per le mie colpe, che costano al mio Beneamato tanti tormenti; per me, per intenerire il mio cuore e far scorrer dai miei occhi torrenti di lacrime, nel vedere il mio Beneamato, infinitamente amabile, divinamente vero, bello e buono, che mi ama infinitamente e che aguzzini vociferanti e imprecanti, con la bestemmia e l’ingiuria sulla bocca, battono e battono con colpi sempre più fitti, coprendo di contusioni il suo dorso, le spalle, le reni, i fianchi, le braccia, il petto, rendendolo in un istante tutto livido e, poi un minuto dopo, facendone sgorgare il sangue.

9
«Amiamo Dio, perché ci ha amati per primo». La Passione, il Calvario, è una suprema dichiarazione d’amore.
Non è per redimerci che tu hai sofferto tanto, Gesù! Il più piccolo dei tuoi atti ha un valore infinito, poiché è l’atto d’un Dio, e sarebbe stato sufficiente, anzi sovrabbondante, per redimere mille mondi, tutti i mondi possibili.
È per santificarci, per portarci, per spingerci ad amarti liberamente, poiché l’amore è il mezzo potente per attirare l’amore, poiché amare è il mezzo più potente per farsi amare… e poiché soffrire per chi si ama è il mezzo più invincibile per dimostrare che si ama… e più le sofferenze sono grandi, più la prova è convincente, più l’amore di cui si dà dimostrazione è profondo.
Mio Dio, quanto ci ami, tu che per noi hai voluto essere sprofondato in quest’abisso di sofferenze e di disprezzo, tu che in tal modo hai voluto darci tante lezioni, ma innanzitutto, soprattutto, hai voluto dimostrarci il tuo amore, quest’amore inaudito grazie al quale il padre ha dato il suo unico Figlio, e l’ha dato in mezzo a tali sofferenze e tali umiliazioni allo scopo di indurci, con la vista, con la certezza di un sì immenso amore, dimostrato e dichiarato in maniera così toccante e commovente, allo scopo d’indurci con ciò ad amare Dio a nostra volta, ad amare l’Essere così amabile che ci ama tanto. Amiamo Dio, poiché egli ci ha amati per primo.

10
Il santo Vangelo ci dice: «Gli diede nome Gesù». Gesù vuol dire Salvatore: il salvatore è colui che dona la salute, il Cielo, il possesso di Dio attraverso la conoscenza e l’amore. Nostro Signore ha voluto che il suo stesso nome gridasse, cantasse il suo immenso amore per noi: perché amare vuol dire volere il bene; volere un bene immenso è amare immensamente; il nome di Salvatore grida che Dio ci vuole un bene immenso, infinito; l’eterno possesso di lui stesso ci ripete ad ogni momento che Dio ci ama infinitamente, immensamente.
Attraverso il suo nome, Gesù ci lascia intravedere che egli, divin Salvatore, verserà tutto il suo sangue per dare il paradiso agli uomini; ci chiede zelo per le anime e sacrificio fino al martirio; ci dice che lui, il nostro Amato, è venuto sulla terra «per servire le anime lavorando per la loro salute e dare la sua vita per la salvezza di molti», e ci invita a imitarlo consacrando la nostra vita alla stessa opera ed offrendo per essa il nostro sangue.

11
Egli ci ha dato l’esempio: vita nascosta (Nazareth), vita solitaria (i quaranta giorni di deserto), vita pubblica (i tre anni di predicazione). Queste tre vite sono ugualmente perfette, poiché Gesù, sempre ugualmente perfetto in ogni periodo della sua vita, sempre Dio, le ha condotte tutte e tre. Esse sono ugualmente perfette in se stesse, ma per noi non è ugualmente perfetto l’abbracciare l’una o l’altra; è indispensabile abbracciare quella in cui Dio ci vuole.

12
Gesù si offre per essere il compagno di tutte le ore. E questo non ci basta? Lasceremo il Creatore per andare alle creature?
Si, Gesù basta: là dove Egli è, niente manca.
Adoriamo, baciamo, amiamo, lodiamo ogni parola del nostro Diletto.
Sarebbe troppo dolce sentire che amiamo Gesù, che siamo amati da lui e che siamo contenti della sua felicità: se sentissimo ciò, la terra sarebbe un paradiso. Contentiamoci di volere e di sapere con più merito e meno dolcezza.
La volontà dell’Amato, qualunque essa sia, deve essere non solo preferita, ma adorata, amata e benedetta senza limiti: bisogna adorarla come il Diletto stesso, ed amarla come lui smisuratamente.
Teniamo, senza tregua, lo sguardo rivolto all’immenso amore di Dio per noi, questo amore che egli ha fatto sopportare per ognuno di noi tante sofferenze, e che gli rende così dolce, piacevole e naturale farci le grazie più grandi.
Si può compiangere colui che fa la volontà di Nostro Signore? Vi è forse qualcosa di più dolce al mondo che fare la volontà di colui che si ama? E se, nell’eseguirla, si trova qualche sofferenza, allora la dolcezza è raddoppiata!…

13
Il 1 dicembre 1916, giorno della sua morte Charles de Foucauld scrisse a sua cugina Maria de Bondy: «Come è vero, non ameremo mai abbastanza; ma il buon Dio che sa con che fango ci ha impastati, e che ci ama più di quanto una mamma può amare suo figlio, il buon Dio che non può morire, ci ha detto che non respingerà chi andrà da Lui…»

14
L’amore consiste nel permutare tutti i beni con tutti i dolori, per amore del Signore.

15
L’amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama; quando si vuol amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa. Se accade che si soccomba a una tentazione, è perché l’amore è troppo debole, non perché esso non c’è: bisogna piangere, come san Pietro, pentirsi, come san Pietro, umiliarsi, come lui, ma sempre come lui dire tre volte: «Io ti amo, io ti amo, tu sai che malgrado le mie debolezze e i miei peccati io ti amo».
L’amore che Gesù ha per noi, egli ce l’ha dimostrato abbastanza perché noi possiamo crederci senza sentirlo; sentire che noi l’amiamo e ch’egli ci ama, sarebbe il paradiso; il paradiso, salvo rari momenti e rare eccezioni, non è per quaggiù.
Narriamoci spesso la duplice storia delle grazie che Dio ci ha fatto personalmente dopo la nostra nascita, e delle nostre infedeltà; vi troveremo – soprattutto noi che abbiamo vissuto per molto tempo lontani da Dio – le prove più sicure e più commoventi del suo amore per noi, come anche, purtroppo, le prove sì numerose della nostra miseria. C’è motivo per immergerci in una fiducia senza limiti del suo amore (egli ci ama perché è buono, non perché noi siamo buoni, le madri non amano forse i loro figli traviati?) e motivo per sprofondarci nell’umiltà e nella diffidenza verso di noi.

16
L’ora meglio impiegata della nostra vita è quella in qui maggiormente amiamo Gesù. Ricordarsi soltanto di Gesù, pensare soltanto a Gesù, considerando un guadagno qualsiasi perdita con la quale riusciamo a dare in noi maggior posto al pensiero e alla conoscenza di Gesù, al cui confronto tutto il resto è nulla.

17
Com’è divinamente buono a permettere che delle formiche come noi lo amino.
Di che parleremmo noi, non di colui che è la nostra vita, per il quale respiriamo, per il quale solo noi vogliamo vivere, al quale apparteniamo senza limiti e senza riserve, corpo, anima, mente, cuore…
Tutto è di lui, tutto è per lui! È com’egli è divinamente buono a permettere che delle formiche come noi lo amino!

18
Avere la purezza e l’innocenza di un bambino per essere degni del Regno dei Cieli e di Gesù.
Non temere che una cosa al mondo: non amare abbastanza Gesù.
Niente è più perfetto e migliore dell’amore, perché l’amore è nato da Dio e non può riposarsi che in Dio.
L’amore è pronto, sincero, pio, dolce, prudente, forte, paziente, fedele, costante, magnanimo, non cerca mai se stesso.
Considerando tutto alla stessa stregua, preferisce però l’abiezione all’onore, essere trascurato ad essere circondato di premure, la penuria all’abbondanza, per essere più simile a Gesù.
Se, sia pur per un attimo, si comincia a ricercare se stessi, si cessa di amare.
Chi non è pronto a soffrire ogni cosa e ad abbandonarsi interamente alla volontà del Diletto, non sa che significhi amare.

19
Il 1 dicembre 1916, il giorno della sua morte, fr. Charles scrive: Cancellarci, annullarci, ecco il mezzo più potente che possediamo per unirci a Gesù e far del bene alle anime; san Giovanni della Croce lo ripete ad ogni riga. Quando si vuol soffrire e amare, si può molto, si può molto, si può il massimo che si possa al mondo. Si sente che si soffre; non sempre si sente che si ama ed è una grande sofferenza in più; ma si sa che si vorrebbe amare e voler amare significa amare. Si trova che non si ama abbastanza ed è verissimo: ma si amerà abbastanza; ma il Signore, che sa con che fango ci ha impastati e che ci ama più di quanto una madre possa amare il suo figliuolo, ci ha detto, Lui che non mente, che non avrebbe respinto chi a Lui venisse.
Lo stesso giorno scrive anche all’amico Luigi Massignon che è al fronte:
Non bisogna mai esitare a domandare i posti dove maggiori siano pericolo, sacrificio, possibilità di dedizione: lasciamo l’onore a chi lo vuole, ma rischio e pena reclamiamoli sempre.
Come cristiani siamo tenuti a dare l’esempio del sacrificio e della dedizione. È un principio al quale bisogna essere fedeli sempre, con semplicità, senza domandarci se in una simile condotta s’insinui l’orgoglio. È il nostro dovere; quindi compiamolo e preghiamo il nostro Diletto, lo Sposo della nostra anima, che ci conceda di compierlo in totale umiltà e con pienezza d’amore per Dio e per il prossimo.

20
Solo guardando al di là di questo mondo in cui tutto passa e muore, si trova la vera gioia nella speranza di un’altra vita di cui questa è solo il preludio; vita in cui il bene fatto, l’amore di cui sono assetati i nostri spiriti e i nostri cuori, saranno pienamente ed eternamente soddisfatti.
In questa speranza e nella fede nelle verità che Dio ci ha rivelate e che sono belle come un poema, come il più bello dei poemi non v’è poema più bello d’un semplice trattato di teologia dogmatica, è il poema dell’amore divino, ben più meraviglioso e avvincente dei nostri poemi pieni dei nostri poveri amori terrestri – in questa fede, in questa speranza, nella contemplazione di queste bellezze e nel compimento della legge di carità – «ama gli uomini come Dio li ama» – che è la base della morale cristiana, sono felice, molto felice, e i miei giorni trascorrono in una pace profonda.

21
Il mio più grande sacrificio è stata la separazione dalla mia famiglia. Una volta alla trappa, ho sofferto molto. Non per via della comunità, dove tutti erano molto buoni con me. Ma il pensiero della mia famiglia mi torturava. Talvolta dicevo tra me e me: sempre, sempre; mai, mai, mai. Sempre vivere qui, mai più rivederli.

22
Ho un grande fondo di orgoglio. Non tengo conto a sufficienza della presenza di Dio. Mi lascio assorbire da ciò che faccio o dalle distrazioni, dalle fantasie. Non ho sufficientemente lo sguardo rivolto a Gesù, che è qui. Non lo vedo a sufficienza in ogni uomo. Non sono sufficientemente sovrannaturale con loro. Né sufficientemente dolce né sufficientemente umile, e neppure accurato come si dovrebbe nel fare loro del bene ogni volta che lo potrei. Gli esercizi di pietà lasciano a desiderare. Li faccio tiepidamente, talvolta in modo breve oppure troppo rapido, pieno di distrazioni. Mi capita in certi casi di essere vinto dal sonno o di rinviare di ora in ora le cose da fare. Una così grande tiepidezza che mi fa soffrire fino ad umiliarmi. Ometto le piccole penitenze, curo troppo il mio corpo. Invece di amare il disprezzo, mi compiaccio degli atti buoni.

23
Se una parte di me è nel cielo purissimo che sovrasta le nubi, se io resto in una terra sempre illuminata dal sole e al di sopra delle nubi, però con l’altra parte io amo, io devo amare, ho l’imperioso dovere di amare appassionatamente gli uomini.

24
Mio Dio, quanto siete divinamente tenero! Quanto siete amante, quanto siete buono!… Risorto, le vostre prime apparizioni sono due apparizioni di consolazione alle due anime più afflitte dalla vostra Passione e Morte. A vostra Madre dapprima, «alla quale appariste per primo e presso la quale rimaneste lungo tempo», come avete detto a santa Teresa; a Maria Maddalena in seguito… Con quale dolcezza apparivate a questa cara santa, a questa vostra «appassionata adoratrice», come vien chiamata! Quale dolcezza in quel «Maria»!… Con quale voce dovette essere detto!… E infine, mio Dio, quale divina tenerezza per tutti noi, per tutti gli uomini di tutte le età, nelle parole che pronunciate: «Va’ a dire ai miei fratelli». Voi ci chiamate tutti «vostri fratelli»! Quanto è dolce ciò, quanto siete buono!
Siamo teneri come Gesù, amanti come lui… Consoliamo gli afflitti come lui, e dapprima coloro ch’egli stesso ci ha messo più vicino nella vita, una madre, un’anima cara; e coloro che hanno più bisogno di consolazione, coloro che, più deboli, stanno per piegare sotto un dolore pungente…
Consoliamo, consoliamo come lui e i suoi fratelli, che sono anche i nostri, consoliamo le sue membra, le parti del suo corpo, quelle membra delle quali egli dice: «Ciò che farete a uno di questi piccoli, lo farete a me». Siamo, come lui, dei teneri consolatori, dei fratelli amanti di tutti gli uomini afflitti, di tutti gli uomini, ma di tutti, perché di tutti ha detto: «Ciò che voi farete a uno di questi piccoli, lo farete a me».

25
La mia vita continua, sempre la stessa: occupatissima esteriormente benché molto calma: ogni giorno la stessa cosa: poveri e malati che si succedono; interiormente, mi rimprovero di non dare abbastanza tempo alla preghiera, alle cose puramente spirituali: di giorno, non smettono mai di bussarmi alla porta e la notte, che sarebbe il tempo propizio, m’addormento meschinamente: è per me una vergogna e una sofferenza, questo sonno che prende più posto di quanto vorrei; io non ho tempo per esso, ed esso se lo prende… Il mio esame di coscienza mi rimprovera soprattutto tre cose: tiepidezza verso Gesù; non Lo prego né tanto né così teneramente come potrei o dovrei; tiepidezza verso il prossimo: non vedo abbastanza, nel prossimo, Gesù, non lo amo come me stesso; tiepidezza dinanzi alla croce: non cerco di soffrire, sono pigro e ingordo…

26
«Venite e vedete come è buono il Signore…». Quando si è intravisto come è buono il Signore, come si può fare diversamente dal desiderare appassionatamente di passare la propria vita a contemplarlo, ad onorarlo, nel fare ogni sua volontà, lontano dalla vanità del mondo? No, ogni nostro tempo è preso, abbiamo intravisto il Re dei re che ha sedotto per sempre i nostri cuori. Noi l’amiamo, non volgiamo più alcun amore terrestre perché abbiamo un Bene da amare e non c’è in noi posto per due… Abbiamo intravisto il cielo, siamo morti al mondo… Vogliamo essere di Dio solo; è sufficiente ai nostri cuori; non sono i nostri cuori sufficienti per rendergli tutto l’amore e l’adorazione che lui merita… Non vogliamo essere divisi; vogliamo essere tutti di lui, ai suoi piedi, come dei fratelli, ma saremo di lui solo, tutti a lui, tutti a lui… – Noi siamo spose, veramente sposate… spose per il fatto stesso che desideriamo esserlo e che gli promettiamo di essere sempre completamente di lui… come è umile e dolce lui, il Re del Cielo, ad accettare così per sue spose tutte queste povere piccole anime che si offrono a lui… Qualche volta è difficile trovare un fidanzato sulla terra, e, tuttavia, è così poca cosa, è cosa così infima, così cenere e polvere, un fidanzato terrestre; è così un niente, così niente di niente!… Ma Lui, il Re del Cielo, lo si può avere per fidanzato quando si vuole… Accetta ogni anima… la più povera, la più indegna, la più colpevole, la più infangata, che si offre a lui con un cuore sincero… Lui le accetta tutte… Mio Dio, come sei buono!…
È la fede che fa la vita della sposa del Cristo… essa è nella luce; essa sa, essa vede… Vede che è la sposa di Gesù, che la sua sorte è divina; vede che è felice, che la sua vita deve essere un perpetuo «Magnificat» e che la sua felicità è incomprensibile…

27
Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per lui: Dio è così grande, c’è una tale differenza tra Dio e tutto ciò che non è lui…

28
Più tutto ci manca, più siamo simili a Gesù crocifisso.
Più siamo attaccati alla croce, più stringiamo Gesù che vi è inchiodato.
Ogni croce è un guadagno, perché ogni croce ci unisce a Gesù.

29
Più vado avanti e più sono convinto che per il momento non c’è possibilità di realizzare delle conversioni isolate…
Non sono qui per convertire in un colpo solo i Tuareg, ma per provare a capirli e a migliorarli. Sono certo che il buon Dio accoglierà in cielo quelli che furono buoni e onesti, senza bisogno che essi siano cattolici romani.

30
Dio si serve dei venti contrari per condurci in porto.

31
Più noi abbracciamo la Croce
più stringiamo strettamente Gesù
che vi è attaccato.
Quanto più tutto ci manca sulla terra,
tanto più noi troviamo
ciò che può darci di meglio la terra:
la Croce
Vivere come se io dovessi morire oggi Martire.
È grazie alle croci che Gesù ci manda, più che alle mortificazioni che noi stessi scegliamo, che berremo nel calice dello Sposo e saremo battezzati nel suo battesimo, perché meglio di noi stessi egli sa crocifiggerci.

32
Mi chiederete qual è la mia vita. È la vita di un monaco missionario fondata su tre principi: Imitazione della vita nascosta di Gesù a Nazareth. Adorazione del Santissimo Sacramento esposto. Residenza tra i popoli infedeli più trascurati da tutti, facendo tutto il possibile in vista della loro conversione. Vita d’austerità uguale a quella della Trappa, ma molto più dura per la sua maggiore povertà e perché il clima è duro e snervante e l’alimentazione ben diversa da quella europea, né si può pensare ad introdurre qui quella dei nostri paesi perché ciò sarebbe un lusso costoso. Si deve vivere di ciò che la regione offre: grano, datteri e latticini. Come vesti ed abitazione non troverete che quanto v’è di più povero e di più rustico, nulla che assomigli alle tonache curate e ai conventi di Francia, ma qualcosa di molto simile probabilmente a ciò che dovettero essere il vestito e l’umile casa di Gesù di Nazareth. Avrete una vita diversa da quella della Trappa in questo che, benché tutto vi si faccia secondo un orario e nella più stretta ubbidienza, non vi esistono quelle piccole prescrizioni esteriori la cui minuzia è una caratteristica della Trappa; si tratta di una semplicissima vita di famiglia. Diversa, anche perché non avrete alcun ufficio cantato, né altra preghiera vocale all’infuori del breviario, ma molta orazione e adorazione, molta preghiera o lettura silenziosa ai piedi dell’altare. Sono e sono sempre stato solo da dieci anni. Se Dio m concederà ora dei Fratelli da convertire, dividersi per la salvezza delle anime in piccoli gruppi di tre o quattro, moltiplicando tali gruppi al massimo; ciò riuscirà più efficace per la salvezza delle anime che la fondazione di monasteri con maggior numero di frati… Vedo questi distaccamenti, questi romitaggi di tre o quattro monaci missionari, come delle avanguardie, votate a preparare la via per cedere il posto agli altri religiosi organizzati e al clero secolare, quando il terreno sarà stato dissodato.

33
Quando abbiamo da sopportare una grave prova, da affrontare un pericolo od una sofferenza, passiamo nella preghiera solitaria gli ultimi momenti, l’ultima ora che ce ne separa.
Amiamo e pratichiamo ogni giorno la preghiera solitaria e segreta, quella preghiera che solo il Padre celeste vede, in cui siamo assolutamente soli con lui e nessuno sa che preghiamo, colloquio a due, segreto delizioso, in cui apriamo il nostro cuore in libertà, lontano da ogni sguardo ai piedi del Padre.

34
Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvi, per ricevere la grazia di Dio; è là che ci si svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio e che si svuota completamente questa piccola casa della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo… Gli ebrei passarono per il deserto; Mosè ci visse prima di ricevere la sua missione; san Paolo, uscito da Damasco, andò a passare tre anni in Arabia; anche il vostro patrono san Girolamo e san Giovanni Crisostomo si prepararono nel deserto… È indispensabile. È un tempo di grazia. È un periodo attraverso il quale ogni anima che vuol portare frutti deve necessariamente passare. Le sono necessari questo silenzio, questo raccoglimento,
quest’oblìo di tutto il creato in mezzo ai quali Dio pone in essa il suo regno e forma in essa lo spirito interiore… La vita intima con Dio… La conversazione dell’anima con Dio nella fede, nella speranza e nella carità… Più tardi, l’anima produrrà frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in essa l’uomo interiore.

35
Mi auguro e spero sempre di avere un compagno; ho in vista un ottimo sacerdote. Ma il suo direttore non gli permette ancora dì raggiungermi, esigendo dei segni più chiari della volontà di Dio a suo riguardo. Non rimane che attendere, confidando nel divin Maestro. Conosco tanto il sacerdote quanto il suo direttore, un uomo assai illuminato e virtuoso; entrambi sono la buona volontà in persona. Raccomando tutto questo a Gesù. Personalmente, trovandomi solo ai piedi del santo Tabernacolo, avendo Gesù così vicino notte e giorno, e potendo ormai celebrare la messa osi mattina, non mi manca nulla. Non provo alcun bisogno di compagnia, ne ho anzi paura, gustando infinitamente la solitudine con Gesù e temendo la responsabilità. Ma dovrei amare Gesù ben poco per badare ai miei gusti: e considerando unicamente la sua
gloria, che è il solo fine da tener presente, sarebbe molto meglio se avessi con me un santo e buon sacerdote; ciò significherebbe adorare e recitare l’ufficio divino in due; ma significherebbe soprattutto avere alla mia morte un sostituto, cosicché il paese conserverebbe il suo Tabernacolo, le sue preghiere, i suoi sacrifici e il suo sacerdote di Gesù…

36
Entro in ritiro la domenica di Passione e vi rimarrò fino alla pentecoste… Ho un bisogno estremo di solitudine…
Sono felice, sempre più felice, nell’amore del nostro amatissimo Gesù… Sono sempre in ritiro, fino alla Pentecoste; ciò mi fa bene; ritorno alla mia vita di «operaio figlio di Maria», sotterrandomi, facendomi piccolo, pregando più che leggendo,
rimettendomi con tutte le mie forze al caro «ultimo posto», nella condizione di Cenerentola, nella condizione del nostro amatissimo Gesù lavoratore, servo, povero e oscuro.
Il mio piccolo ritiro è finito… esso si conclude in una pace profonda, più grande, più dolce di quanto mai abbia provato… è come un’inondazione di pace… quanto è buono il buon Dio!… Sono più che mai deciso a restare qui nella vita di «operaio figlio di Maria», cercando di imitare la vita nascosta del nostro amato Gesù, in un umile lavoro, nell’oscurità, nella preghiera, nell’umiltà interiore ed esteriore, «nascosto in Dio con Gesù»…

37
Il sacerdote imita più perfettamente Nostro Signore, Sommo Sacerdote, che ogni giorno offriva se stesso.
Io debbo collocare l’umiltà dove l’ha collocata nostro Signore, praticarla come l’ha praticata lui e perciò praticarla nel sacerdozio, secondo il suo esempio.
I fratelli sacerdoti, al pari di Maria e Giuseppe, hanno ogni giorno Gesù tra le loro mani… siano sale della terra, facciano risplendere dinanzi agli uomini le loro buone opere affinché questi glorifichino Dio, muoiano a tutto ciò che non è Gesù, poiché «se il chicco di grano non muore resta solo; se viceversa muore produce molto frutto».
Ricordino i fratelli sacerdoti che si fa bene agli altri nella misura di ciò che si ha dentro di sé, quanto a spirito interiore ed a virtù.
Il prete è un ostensorio, suo compito è di mostrare Gesù. Egli deve sparire e lasciare che si veda solo Gesù…
Mai un uomo può imitare più compiutamente Nostro Signore come quando offre il Sacrificio o amministra i Sacramenti. Una ricerca d’umiltà che si staccasse dal sacerdozio non sarebbe buona perché si staccherebbe da nostro Signore il quale è «la sola via».
Chiedo di ricevere l’Ordine sacro per glorificare, per quanto sta in me, con l’offerta del divino Sacrificio, il nostro amato Signore Gesù Cristo.
Predicare il Vangelo, salvare i figli di Dio, distribuir loro con le proprie mani il Corpo di Cristo, quale vocazione.

38
Sono sempre solo; ora, anzi, non ho più nemmeno un chierico per la messa: il giovane negro che me la serviva non è più con me. Qualche giorno dopo la sua partenza il Buon Dio mi ha mandato un mio vecchio e buon amico, un orientalista che è venuto qui per studiare la lingua tuareg e che per questo rimarrà con me cinque o sei mesi. Grazie alla sua presenza posso celebrare la santa messa. Gesù è buono e mi colma di grazie nonostante la mia miseria. Mi abbandono a Lui per questo e per tutto. L’unica cosa che mi manca, lo sento, è la mia conversione. Preghi per me, padre amatissimo, affinché io sia finalmente ciò che devo essere, affinché mi decida a corrispondere a tante grazie ed incomincia ad amare Gesù.
Alla fine di ottobre saranno vent’anni che lei mi ha ricondotto a Gesù, vent’anni che è mio padre. Quante grazie ottenute da Dio in questo tempo e quanti benedici ricevuti da lei! Ed io rimango miserabile, insignificante, indolente e freddo!
Preghi per il suo figliolo, che prega pure fervorosamente per lei e che si mette ai suoi piedi chiedendole di benedirlo…

39
Ho chiesto al Signore, come mia sorte, di condividere tutte le sue tristezze… di essere seppellito in Nostro Signore.
Stiamo attenti, stiamo attenti a non attaccare il nostro cuore ad una cosa creata, qualunque essa sia, bene materiale, bene spirituale, corpo, anima. Vuotiamo, vuotiamo il nostro cuore di tutto ciò che non è la cosa unica. Nient’altro sia il nostro tesoro che Dio. Né il prossimo, né noi stessi, né i santi, né gli angeli, ne i principati, né le potenze; non attacchiamoci a nulla. A nulla diamo il nostro amore, di nulla facciamo il nostro tesoro. Il nostro unico tesoro sia Dio, il nostro cuore sia tutto di Dio, tutto in Dio, tutto per Iddio. Lui solo; siamo vuoti di tutto, tutto il
creato, distaccati anche dai beni spirituali, anche dalle grazie di Dio, vuoti di tutto per poter essere completamente pieni di Dio… Noi non vogliamo, non accettiamo altro tesoro che lui, perché non sopportiamo che ci sia nel nostro cuore altra cosa che lui. Egli ha diritto a tutto, tutto il nostro cuore; noi lo conserviamo tutto, tutto intero per lui solo.
Svuotiamoci dunque di tutto e stiamo bene attenti perché nulla
vi rientri e perché questo cuore dato a Dio e svuotato per lui resti sempre perfettamente vuoto e puro, e appartenga veramente a lui solo.

40
Sono felice di essere e di fare quel che vuole Gesù. Felice della felicità infinita di Dio. Se non ci fosse questa sorgente inesauribile di felicità e di pace, il male che si vede attorno condurrebbe alla tristezza.

41
Silenziosamente, nascostamente come Gesù a Nazareth, oscuramente, come lui, «passare sconosciuto sulla terra, come un viaggiatore nella notte», poveramente, laboriosamente, umilmente, dolcemente, facendo il bene come lui disarmato e muto dinanzi all’ingiustizia come lui; lasciandomi, come l’agnello divino, tosare ed immolare senza far resistenza né parlare; imitando in tutto Gesù a Nazareth e Gesù sulla Croce, conformiamo sempre alla condotta di Gesù a Nazareth e di Gesù sulla Croce, imitare Gesù nella sua vita a Nazareth e, giunta l’ora, imitarlo nella sua Via Crucis e nella sua morte.

42
Rendersi estranei ai modi di pensare, di parlare, di agire delle persone del mondo; non occuparsi di quel che pensano, dicono, fanno; fare ciò che è più perfetto, imitare Gesù, non cercare di essere eccentrico, originale – Gesù non lo era – ma nemmeno aver paura di sembrarlo, se le persone del mondo giudicano tale quel che facciamo perché è il più perfetto, perché Gesù l’avrebbe fatto… Se il mondo ci giudica male e ci trova pazzi, tanto meglio, saremo più simili a Gesù!

43
Si può sempre far molto con l’esempio, la bontà, la preghiera, stringendo più strette relazioni con anime tiepide o lontane dalla fede, per ricondurle, a poco a poco, a forza di pazienza, di dolcezza, di bontà, per effetto della virtù più che dei consigli ad una vita cristiana oppure, ancora, entrando in relazioni d’amicizia con persone del tutto contrarie alla religione, per far cadere, con bontà e virtù, le prevenzioni che nutrono e per ricondurle a Dio…
Bisogna estendere le nostre relazioni con i buoni cristiani per sostenerci nell’ardente amore di Dio e con i non praticanti, cercando di avere con loro, non solo rapporti mondani, ma legami
di affetto cordiale, conducendoli ad aver per noi stima e confidenza e, per questo tramite, a riconciliarsi con la nostra fede. Bisogna essere missionari in Francia come nei paesi infedeli, e questo è compito di tutti i cristiani: sacerdoti e laici, uomini e donne.

44
Ciò che va a fare la Santa Vergine nella Visitazione non è una visita a una cugina per consolarsi ed edificarsi a vicenda col racconto delle meraviglie di Dio in loro; è ancora meno una visita di carità materiale per aiutare sua cugina negli ultimi mesi della sua gravidanza e nel parto; è assai più di tutto questo. Essa parte per santificare san Giovanni, per annunciare la buona novella, per evangelizzarlo e santificarlo, non con le sue parole, ma portando in silenzio Gesù presso di lui, nella sua casa.
Così fanno i religiosi e le religiose votate alla contemplazione nei paesi di missione. Essi vi vengono per evangelizzare e santificare i popoli infedeli, senza parole, portando Gesù in mezzo a loro nella santa Eucaristia, e portandolo nella loro vita, la vita evangelica di cui danno l’esempio e di cui sono le immagini viventi.

45
Lavorare: come? supplicando, sacrificandomi, morendo, santificandomi, amandolo!
Avendo un gran bisogno di preghiere, ne cerco e ne chiedo nella mia famiglia, l’intima famiglia di Gesù. Vi scrivo dunque,
sentendo la necessità e il dovere di riunire tutto ciò che può darmi forza per l’opera di Gesù. Indirizzandomi a voi, chiedo non soltanto il vostro aiuto personale, ma vi domando di riunire a vostra volta tutto ciò che può darvi forza per l’opera di Gesù, che io vedo così necessaria, e intorno alla quale credo fermamente di dover lavorare. Vi prego quindi di chiedere per l’opera di Gesù, alla quale attendo, aiuto, suppliche, sacrificio per i fratelli e le sorelle che Gesù invierà.
L’opera a cui da lungo tempo mi sento portato a dedicarmi è la formazione di due piccole comunità chiamate «Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù» e «Piccole Sorelle del Sacro Cuore di Gesù»… Fra qualche giorno ritorno nella mia cella accanto al Tabernacolo solitario, e sentirò profondamente più che mai che Gesù vuole ch’io lavori all’istituzione di questa doppia famiglia. Lavorare come? Supplicando, sacrificandomi, morendo, santificandomi, amandolo!
Per questo appunto io, peccatore indegno di far parte della famiglia intima, vi prego e vi supplico di aiutarmi.
Nostro Signore ha fretta. La sua vita nascosta di Nazareth, così povera, meschina e raccolta, non é imitata. Lo scopo di ogni vita umana, dovrebbe essere l’adorazione della Santa Ostia. Il Sahara, otto o dieci volte più esteso della Francia, è più popolato di quel che si creda, e possiede tredici sacerdoti. Nell’interno del Marocco, grande come la Francia è popolato da circa otto o dieci milioni di uomini, non c’è nemmeno un sacerdote, non c’è un solo Tabernacolo né un altare.
Nostro Signore ha fretta. I giorni assegnatici per amarlo, imitarlo, salvare con lui le anime, scorrono e nessuno lo ama, nessuno lo imita, nessuno salva le anime.
Voglia lo sposo, il Fratello Gesù ispirarvi, dirigervi… Vi insegni ad aiutarmi secondo la sua volontà!…

46
Ho chiesto dove dovrò andare partendo di qui fra qualche giorno. In Oriente, ma in quale casa? Lo ignoro completamente. Dio me lo dirà attraverso la voce del mio direttore… Vedete bene che ho bisogno delle preghiere del mio fratello… Degrado anche voi, mio caro fratello: essere fratello di un domestico, di un servo, di un garzone, non è una cosa brillante agli occhi del mondo… Ma voi siete morto al mondo e nulla può farvi arrossire!… L’avvenire è così misterioso!… Dio ci accompagna per vie così inattese! Se mai l’obbedienza vi portasse verso queste terre lontane, dove tante anime si perdono per mancanza di sacerdoti, dove la messe abbonda e perisce per mancanza di operai, beneditela senza riserve! Là dove possiamo far maggiore bene agli altri, noi stiamo bene. L’oblìo di sé e la devozione completa ai figli del nostro Padre celeste sono la vita di Nostro Signore, la vita di ogni cristiano e soprattutto quella dei prete…
E se mai voi foste chiamato verso questi paesi dove i popoli siedono all’ombra della morte, benedite Dio senza riserve e donate il corpo e l’anima nel fare splendere la luce di Cristo fra le anime bagnate del suo sangue!

47
Sì, Gesù basta: dove c’è lui non manca nulla. Per quanto cari siano coloro nei quali brilla un suo riflesso, lui solo è il Tutto nel tempo e nell’eternità. Siamo ben fortunati ad avere un Tutto che nulla ci può togliere e che sarà sempre nostro, purché non lo abbandoniamo noi stessi.

48
Chiedere, desiderare e, se Dio lo vuole, soffrire il martirio per amare Gesù di grande amore… Zelo delle anime, amore ardente per la salvezza delle anime che tutte sono state riscattate per un prezzo inusitato. Non disprezzare nessuno ma desiderare il maggior bene per tutti gli uomini, perché tutti sono ricoperti dal sangue di Gesù come da un ampio mantello… Fare tutto ciò che posso per la salvezza di tutte le anime, perché tutte sono costate così care a Gesù e sono state e sono ancora tanto amate da lui! Essere perfetti, essere santi, anch’io, perché Gesù ha voluto tanta stima per me da dare, per me, tutto il suo sangue.
Avere dei gran desideri di perfezione, credere possibile ogni cosa per la gloria di Dio, quando il mio confessore mi dà una prescrizione; come si può, pensare che Dio mi rifiuti una grazia, dopo aver dato per me tutto il suo sangue? Orrore infinito del peccato e dell’imperfezione che vi conduce, perché è stata tanto cara a Gesù… Dolore per i peccati degli altri e per vedere Dio offeso, perché il peccato gli causa un tale orrore, che l’ha voluto espiare tra tanti tormenti… Fiducia assoluta nell’amor di Dio, fede incrollabile in questo amore di cui m’ha dato prova volendo soffrire per me tali dolori… Umiltà vedendo tutto ciò che ha fatto per me, e il poco che ho fatto per Lui…

49
La mia vita scorre in una calma incomparabile. È così dolce sentirsi nelle mani di Dio, sorretti da questo Creatore che è bontà suprema, amore – Deus caritas est – che è l’amore, l’amante, lo Sposo delle nostre anime nel tempo e nell’eternità – è così dolce sentirsi sorretti da quella mano attraverso questa breve vita, verso l’eternità di luce e d’amore per la quale ci ha creati…

50
Il buon Dio vi sosterrà e vi consolerà con i sacramenti, dopo avervi sostenuto senza di essi. Lui solo è necessario. Egli sa quel che ci occorre, e ce lo dà al momento giusto: il Buon Pastore dà alle sue pecorelle tanto povere il pascolo di cui hanno bisogno nei diversi momenti: ora consola per impedire lo scoraggiamento, ora permette che si avverta lo smarrimento dell’anima per dar luogo all’umiltà, che è la verità. Siamo in buone mani; il Cuore che mi avete fatto conoscere non cessa di vegliare su di noi; il nostro Sposo ci ama infinitamente, ci osserva senza posa ed è onnipotente; prepara la nostra felice eternità attraverso i mezzi che egli conosce, facendoci lavorare faticosamente allorquando noi, come i ragazzini, vorremmo riposarci…

51
Avere veramente la fede. la fede che ispira tutte le azioni. questa fede nel soprannaturale che dappertutto ci fa vedere soltanto lui, che toglie al mondo la maschera e mostra Dio in tutte le cose, che fa scomparire ogni impossibilità, che rende prive di senso parole come inquietudine, pericolo, timore, che fa camminare nella vita come un bambino attaccato alla mano della mamma, con una calma, una pace, una gioia profonde che pongono l’anima in uno stato di distacco assoluto da ogni cosa sensibile di cui essa vede chiaramente il nulla e la puerilità, che dà un’immensa fiducia nella preghiera, la fiducia del bambino quando chiede una cosa giusta al babbo, che dà lo spirito di preghiera mettendo l’anima in comunione continua con Dio che vede sempre presente; questa fede la quale, come dice il Signore a santa Teresa, ci mostra che «al di fuori delle azioni gradite a Dio tutto è menzogna»; questa fede, la quale ci fa vedere tutto sotto un’altra luce: gli uomini come immagini di Dio, che bisogna amare e venerare come ritratti del Beneamato e ai quali bisogna fare tutto il bene possibile, e le altre creature come cose che devono tutte quante, senza eccezione, aiutarci a procurarci il cielo, lodando Dio per esse, servendoci di esse o privandoci di esse; questa fede che, lasciandoci intravedere la grandezza di Dio, ci rende percettibile la nostra piccolezza; questa fede che ci fa intraprendere senza esitare, senza vergognarci, senza temere, senza mai indietreggiare, tutto ciò che è gradito a Dio. Purtroppo questa fede è così rara! Mio Dio, concedimela! «Mio Dio, io credo, ma aumenta la mia fede!»

52
Torniamo al Vangelo: se non viviamo il Vangelo, Gesù non vive in noi. Torniamo alla povertà, alla semplicità cristiana. Nei diciannove anni passati fuori di Francia, un progresso spaventoso ha provocato in tulle le classi della società, e soprattutto nella classe meno ricca, anche nelle famiglie molto cristiane, il gusto e l’abitudine alle cose inutili e costose, insieme ad una grande leggerezza ed al vezzo per le distrazioni mondane e frivole, tanto fuori posto in tempi così gravi, in tempi di persecuzione, e nient’affatto in accordo con una vita cristiana.
Il pericolo sta in noi, e non nei nostri nemici. I nostri nemici possono soltanto farci riportare vittorie. Il male, noi non possiamo riceverlo che da noi stessi. Tornare al Vangelo è il rimedio: è ciò di cui abbiamo tutti bisogno.

53
Amare, non significa convertire, ma per prima cosa ascoltare, scoprire questo uomo, questa donna, che appartengano a una civiltà e ad una religione diversa.

54
Io voglio abituare tutti gli abitanti cristiani, musulmani, ebrei e idolatri a considerarmi come loro fratello, il fratello universale. Essi cominciano a chiamare la casa «la Fraternità», e ciò mi è dolce.

55
La mia vita si divide tra la preghiera (Messa, breviario recitato ad alta voce perché anche il mio povero corpo lodi il Signore per quel che può; orazione; meditazione del Santo Vangelo, ordinariamente per iscritto; Via Crucis; alcune preghiere vocali, rosario, letture; teologia), lavoro manuale (innanzitutto la sacrestia e poi il giardino); quindi (il che porta via parecchio tempo) ricevo i visitatori, ai quali do orzo e datteri nella misura che mi riesce possibile)… Ecco come si divide la mia giornata: levata alle tre, preghiera fino alle otto (Messa al levar del sole); dalle otto alle dieci lavoro manuale; dalle dieci a mezzogiorno e mezzo preghiera, lettura, pranzo. Da mezzogiorno e mezzo alle sedici e trenta lavoro manuale; dalle sedici e trenta alle venti preghiera; dalle venti alle ventitre riposo; dalle ventitre all’una preghiera; dall’una alle tre riposo.

56
O mio Dio, quanto siete divinamente buono! Voi ci rendete felici fin da questo mondo dal momento in cui dimentichiamo noi stessi per voi.

57
O mio Dio, vi amo: la cosa che desidero di più al mondo è la vostra felicità: or ecco che voi siete infinitamente felice per l’eternità, ed io godo pienamente per questa che è la cosa che desidero di più al mondo: qualunque cosa accada agli altri o a me, io ho nella vostra risurrezione, nella vostra beatitudine infinita ed eterna, una sorgente di felicità inesauribile, un fondo di felicità che nulla può togliermi: qualunque cosa possa accadermi, il mio desiderio più ardente, il bisogno della mia anima, il più profondo di tutti, è pienamente appagato; qualunque cosa mi accada o accada agli altri, io ho, possiedo per l’eternità l’essenziale di ciò che possa desiderare, il bene che è di gran lunga il più caro, il più dolce al mio cuore, un bene che sorpassa tutti gli altri beni, il più ambito dei miei desideri, ciò che costituisce l’essenza della beatitudine degli Angeli e dei Santi, ciò che qualunque cosa accada a me o a tutti gli altri uomini farà della mia vita un cielo, della mia vita un paradiso, alla sola ed unica condizione, ch’io vi ami; ciò che mi trasformerà in cielo tanto più quanto più vi amerò: il bene dei beni, il bene desiderato soprattutto, è la certezza della vostra felicità. Io vi amo: voi siete felice; io sono felice, o mio amato Bene! Alleluia, alleluia, alleluia!

58
Il mio soggiorno si è prolungato oltre le previsioni e si prolungherà ancora. Il mio piccolo lavoro sta per giungere alla fine; ma per la revisione finale mi occorre un esperto conoscitore di targui: ne ho trovato qui uno ottimo… È utile la mia presenza in questo luogo? Se non lo è, certamente la presenza del Santissimo fa molto bene. Gesù non può essere in un luogo senza risplendere. E inoltre, le relazioni con gli indigeni li familiarizzano, li tranquillizzano, fanno dissipare gradatamente i loro pregiudizi e le loro prevenzioni. È una cosa assai lenta, esigua… Si fa fatica a non demoralizzarsi vedendo il male che regna dovunque in questi luoghi, la scarsità del bene, i nemici di Dio così audaci, i suoi amici così fiacchi, e anche noi stessi così miserabili, dopo tante grazie. Tuttavia io non devo rattristarmi, ma guardare ben più in alto, verso 1’Amato; poiché è lui, e non noi stessi, che dobbiamo amare, ed è il suo bene che ci sta a cuore. Se egli è felice, lo siamo anche noi; se è tranquillo, lo siamo anche noi.

59
Quanto è misero il nostro corpo che soffre nonostante la Santa Eucaristia e trova sollievo per un po’ di vigore fisico! Quanto siamo meschini! E quando saremo liberati da questo corpo mortale?… Io sono felice, sempre più felice. Sento scendere nel mio cuore una pace profonda. Sento che cammino verso Dio. Penso alla sua immensa felicità e gioisco senza fine al pensiero della felicità perfetta, infinita, inalterabile di un Dio così amabile. Sono felice della felicità di colui che amo ed il pensiero della sua immutabile pace calma la mia anima. La vista stessa del mio nulla, anziché affliggermi, mi aiuta a dimenticarmi e a pensare soltanto a Colui che è tutto.

60
Poiché il nostro beneamato è felice, siamo felici della sua felicità. …Rallegratevi! Rallegratevi per amore. Il Beneamato è felice, siamo felici della sua felicità. Il nostro cuore lotti nella gioia e nella pace, perché Colui che amiamo più di noi stessi è in una felicità e in una pace infinite, perfette, immutabili… Non ripiegatevi troppo su questo fango che siamo noi stessi: bisogna fare, ogni giorno, il nostro esame di coscienza, chiedere perdono, soffrire per la nostra infedeltà, per la meschinità del nostro amore, e umiliarci… L’amore guarda ciò che ama, guarda incessantemente il Beneamato, non può staccare gli occhi da Lui e sta a contemplarlo senza fine. Poiché il nostro Beneamato è felice, siamo felici della sua felicità.

62
.La mia anima è sempre la stessa… sempre nella gioia, in questo giubilo ai piedi di Gesù… Gusto profondamente questa semplicità di vita… le lunghe ore di preghiera e di letture così semplici, così solitarie… Mi confondo e mi meraviglio della condotta di Dio nella mia anima… mi affondo e mi annego in questa pace… e sono profondamente stupito di accorgermi che le letture, la teologia, lungi dal distrarmi dall’unione con Gesù, mi ci fanno penetrare più profondamente…
Cerco di approfittare di queste grazie, di queste dolcezze, di questa pace, dell’aria buona che respiro, di questa solitudine che fa così bene, di questa atmosfera sana dove mi sembra essere, per meditare, leggere, lasciare che il buon Dio mi formi…

62
Quando si ama, si imita, quando si ama, si guarda il Beneamato e si fa come fa lui; quando si ama, si trova tanta bellezza in tutti gli atti del Beneamato, in tutti i suoi gesti, in tutti i suoi passi, in tutti i suoi modi di essere, che si imita, si segue tutto, ci si conforma a tutto. È una cosa istintiva, quasi necessaria.

63
I mezzi di cui egli si è servito nel Presepio, a Nazareth, sulla Croce sono: Povertà, Abiezione, Umiliazione, Abbandono, Persecuzione, Sofferenza, Croce. Eccole, le nostre armi, quelle del nostro Sposo divino, il quale ci chiede di lasciargli continuare in noi la sua vita…
Seguiamo questo Modello unico; saremo allora sicuri di trovarci nel giusto perché non siamo più noi che viviamo, ma lui che vive in noi, e i nostri atti non sono più i nostri umani e miserabili atti, ma i suoi, divinamente efficaci.

64
Ama, obbedisci, imita… Ama Gesù, obbediscilo, imitalo. L’obbedienza ti metterà in quegli stati in cui egli ti vuole: in essi, imitalo. In tutti i casi, imitalo. Fuori della sua imitazione non c’è perfezione. E per te, in modo particolarissimo, la sua imitazione è la tua vocazione, il tuo dovere, il tuo obbligo di tutti gli istanti della tua vita. La sua imitazione presiede a tutta la tua vita, è la direzione della tua vita.

65
Se dobbiamo imitare amorosamente, mettendoci tutto il cuore, la vita esterna di Nostro Signore, quanto più ancora dobbiamo conformare le nostre anime alla sua, pensare tutti i suoi pensieri, condividere tutti i suoi desideri, avere tutti i suoi sentimenti, formare insomma un so1 cuore ed un’anima sola con lui…

66
La mia vocazione ordinaria è la solitudine, la stabilità, il silenzio. Ma se credo di essere chiamato ad altro, obbedisco. L’amore, quando ha Dio per oggetto obbedisce sempre. Non si tratta di mettere in atto un’evangelizzazione Non ne sono degno né capace, e l’ora non è ancora arrivata, Si tratta di un lavoro preparatorio: entrare in confidenza e diventare amici di questa gente.

67
Sono molto freddo. Tiepidezza estrema nelle mie preghiere, niente mortificazioni. La mia vita è terra terra, tiepida e vuota. Faccio fatica a pregare. Appena comincio, ecco che subito il sonno e insopportabili pensieri mi fanno la guerra. Questa difficoltà è presente in ogni ora. Vedo bene che una cosa sola mi manca: la mia conversione. Pregate per me, abbé Huvelin carissimo, affinché io sia finalmente quel che devo essere.

68
Assomigliare a te, condividere le tue opere, è questa la gioia più grande per il cuore che ti ama. Assomigliare, imitare è un bisogno violento dell’amore; è uno dei gradi di quell’unione cui mira di natura sua l’amore. La somiglianza è la misura dell’amore.

69
Tu, Gesù, sei andato a vivere la loro vita, la vita dei poveri operai che vivono del loro lavoro. La tua vita fu, come la loro, povertà e lavoro. Ispirami, o mio Dio, ciò che vuoi da me a riguardo del lavoro manuale.

70
Si può fare a meno di tutto tranne che di una buona morte. Una delle anime più belle ch’io abbia conosciuto, un vecchio padre domenicano morto a Gerusalemme durante il sonno la notte di Natale, dopo aver cantato la messa di mezzanotte e prima di celebrare quella dell’aurora, mi diceva: «Si può fare a meno di tutto, anche della virtù, tranne che di una buona morte». Dandovi il dolore di veder partire tanti dei vostri cari, il buon Dio vi ha fatto la grazia di vederli partire tutti con l’unico necessario. La morte, punizione del nostro primo peccato, resta un castigo; ma quando essa è cristiana, tutto ciò che di doloroso per coloro che restano è la separazione, il vuoto, il crudele ricordo degli ultimi istanti; ma per colui che se n’è andato è la pace, la certezza di un’eternità felice, la sicurezza immutabile, anche se egli non entra subito in cielo, ha la certezza di entrarvi presto, e ormai la sua vita è tutta amore e perfezione. Vede quelli che ha lasciato, li ama meglio di quanto non facesse quaggiù, li soccorre con le sue preghiere e con tutti i mezzi che Dio gli dà.

71
Non posso dire di desiderare la morte, una volta la desideravo, ma adesso vedo che c’è tanto bene da fare, tante anime senza pastore, che vorrei soprattutto fare un po’ di bene e lavorare un poco per la salvezza di queste povere anime. Ma il buon Dio le ama più di me e non ha bisogno di me. Sia fatta la sua volontà…

72
Compi ogni atto come vorresti averlo compiuto al momento della morte.
Ama Dio sopra ogni cosa, con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze e il tuo spirito.
Ama tutti gli uomini come te stesso per amore di Dio. Fai a tutti gli uomini quello che vorresti venisse fatto a te.
Umiliati in te stesso. Dio solo è grande, tutti gli uomini sono piccoli; l’uomo che si inorgoglisce è insensato, perché ignora se andrà in cielo o all’inferno.
Dio vede tutti i tuoi pensieri, le tue parole ed azioni; ricordatelo e fai tutto pensando che egli ti vede.
Compi ogni atto come vorresti averlo compiuto al momento della morte. L’ora della morte è ignota, fa’ che la tua anima sia continuamente come tu la vorrai in quell’ora.
Ogni sera rifletti ai tuoi pensieri, parole, azioni della giornata, domanda perdono a Dio di quelle cattive e di tutti i peccati della tua vita, come se tu dovessi morire in quella notte, e dirgli dal fondo del tuo cuore: Mio Dio, io ti amo con tutto il mio cuore sopra tutte le cose. Mio Dio, tutto quello che tu vuoi anch’io lo voglio. Mio Dio, tutto quello che tu vorrai ch’io faccia, io voglio farlo.

73
Il Signore si prostra per pregare. Imitiamolo: vi sia caro pregare prostrati, in ginocchio, nelle posizioni più penitenziali, più umili, più supplici. Sono, comunque, quelle che meglio si addicono a noi, e sono anche le più dolci per noi, perché le più ricche d’amore. Qual è la posizione più ricca di amore se non quella di stare in ginocchio ai piedi di colui che si ama? Stiamo dunque ai piedi del nostro Beneamato. Non facciamoci scrupoli a stare seduti alla sua presenza, come santa Maddalena, o in piedi, ma preferiamo stare in ginocchio, e ogni volta che ci è possibile, sia in ginocchio o prostrati, come egli ce ne dà qui l’esempio e come vediamo fare anche a santa Maddalena, come esigono l’umiltà, la penitenza e soprattutto l’amore, facciamo le nostre preghiere.

74
Non ho denaro, ma posso propormi, offrirmi, vendermi in qualche modo… Offrirmi così per far vivere una povera vecchia e permettere a suo figlio di entrare in convento mi seduce irresistibilmente… Penso non senza rimpianto di dover lasciare questo dolce nido, così silenzioso e raccolto, in cui trascorro giornate intere ai piedi del Tabernacolo, ma la fede m’insegna che Dio si dona ovunque e che infine se Dio si dona qui a me con tanta liberalità, è proprio perché impari a mia volta ad offrirmi adesso a lui e per lui.
Poiché non a questa povera donna, né per lei, né per suo figlio penso di darmi, di vendermi, oh! no, ma bensì a Gesù e per Gesù. «Ciò che fate ad uno di questi piccoli lo fate a me». Quando interrogo Nostro Signore su questo, mi sembra di udire tre massime: «Fate agli altri ciò che volete sia fatto a voi… Ciò che fate ad uno di questi piccoli lo fate a me… Chi ascolta voi ascolta me». Di qui traggo la conclusione che il mio proposito è buono e conforme alla sua volontà e che egli mi chiama a fare questo per gli altri, a darmi, a vendermi, a perdermi totalmente per uno di questi piccoli, per potermi in tal modo donare, vendere e perdere totalmente per lui…

75
Abbracciare l’umiltà, la povertà, la rinunzia, l’abiezione, la solitudine, la sofferenza con Gesù nel suo presepio; non tenere in nessun conto la grandezza umana, l’elevatezza, la stima degli uomini, ma stimare tanto i più poveri quanto i più ricchi. Per me, cercare sempre l’ultimo degli ultimi posti, disporre la mia vita in modo da essere l’ultimo, il più disprezzato degli uomini.

76
Pensate molto agli altri, pregate molto per gli altri. Consacratevi alla salvezza del prossimo con tutti i mezzi in vostro potere, preghiera, bontà, esempio ecc. È il modo migliore di provare allo Sposo divino che Lo amate; «Tutto ciò che farete ad uno di questi piccoli sarà fatto a me». L’elemosina materiale che si fa ad un povero la si fa al Creatore dell’universo.
Il bene che si procura all’anima di un peccatore va alla Purezza increata. Dio ha voluto che così fosse per conferire alla carità verso il prossimo, di cui ha fatto il secondo comandamento simile al primo, una vera somiglianza col primo, quello dell’amore di Dio. Credo non ci sia parola del Vangelo che abbia fatto su di me più profonda impressione di questa, un’impressione tale da trasformare la mia vita: «Tutto ciò che farete ad uno di questi piccoli sarà fatto a me». Se si riflette che queste sono parole della Verità increata, quella della stessa bocca che ha detto: «Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue», con che forza si è sospinti a cercare ed amare Gesù nei piccoli, nei peccatori, nei poveri, concentrando ogni nostra aspirazione nella conversione delle anime e offrendo tutto quanto sta in noi di materiale per il sollievo delle miserie temporali.

77
La mia vocazione tante volte riconosciuta è la vita di Nazareth, la vita di piccolo fratello del Sacro Cuore di Gesù. Sono convinto di non poter fare di più per il servizio dell’unico Adorato, che seguendo perfettamente tale vita ed il regolamento preparato per me e per altri…
Seppellirmi fin d’ora nella vita di Nazareth, come vi si seppellì Egli stesso per trent’anni, come vorrei che vi si seppellissero i miei fratelli, realizzandovi per quanto possibile il bene che Egli vi realizzava, senza voler fare il bene che Egli non faceva… e considerare tutto il resto, per quanto seducente, come una tentazione di colui che si trasforma in angelo di luce. Questa, mi pare, è la regola che devo seguire per il resto della mia vita, che non durerà più dei trent’anni passati da Gesù a Nazareth.
Se sbaglio me lo dica.

78
Ho taciuto per Dio e per Dio oggi rompo il silenzio. C’è un gruppetto di monaci che non può recitare il Padre Nostro senza pensare con dolore a quel vasto Marocco dove tante anime vivono senza santificare Dio, far parte del suo Regno, compiere la sua volontà né conoscere il divino Pane della Santa Eucaristia.
Sapendo che bisogna amare quelle povere anime come noi stessi, vorremmo fare, con l’aiuto di Dio tutto ciò che dipende dalla nostra piccolezza per portare verso di esse la luce del Cristo. Con questo scopo, per fare in favore di quegli infelici quanto vorremmo fosse fatto per noi se ci trovassimo al loro posto, ci proponiamo di fondare alla frontiera marocchina, non una Trappa, non un grande e ricco monastero, non un’azienda agricola, ma una specie di umile piccolo romitaggio, dove alcuni poveri monaci vivrebbero di qualche frutto e di un po’ d’orzo raccolti con le loro mani, in stretta clausura, in penitenza e nell’adorazione del Santissimo Sacramento, senza uscire dal loro recinto, senza predicare, ma pronti ad ospitare chiunque capiti nei loro paraggi, buono o cattivo, amico o nemico, musulmano o cristiano. Sarebbe l’evangelizzazione non attraverso la parola, bensì attraverso la presenza del Santissimo Sacramento, l’offerta del divino Sacrificio, la preghiera, la penitenza, la pratica delle virtù evangeliche, la carità, una carità fraterna ed universale che divida fin l’ultimo boccone di pane con qualsiasi sconosciuto che si presenti, e che riceva chiunque come fratello amatissimo…

79
Il Signore adopera, per parlare al Padre, alcune parole della Scrittura. Facciamo lo stesso: preghiamo spesso Iddio con le parole della Scrittura. Serviamoci di queste parole infinitamente sante, parole dello Spirito Santo, e adoperiamole per le nostre preghiere d’una certa lunghezza, come facevano gli antichi ebrei, come fa la sposa di Cristo, la santa Chiesa. Serviamocene anche nelle nostre giaculatorie, come fa qui il Signore. In molti altri passi egli ci dà lo stesso esempio, per meglio inculcarcelo e per insegnarci che quella era in lui un’abitudine e che di conseguenza deve diventare un’abitudine anche per noi. E non soltanto egli si serve delle parole della Scrittura per esprimere i gridi della sua anima, ma se ne serve nei momenti più solenni, durante le tentazioni nel deserto e sulla croce: queste parole d’un salmo son le ultime parole che dice prima di morire. Dobbiamo seguirlo, quest’esempio ch’egli ci dà in modo tanto inequivocabile.
D’altra parte non è forse evidente che le parole della Scrittura ispirata da Dio valgono più delle parole nostre, e che a Dio non possiamo offrire nulla di più gradito, dopo il corpo di suo Figlio, che le parole che il suo cuore ha effuso dal cielo sulla terra, le parole giunte a noi dalle sue stesse labbra?

80
Si compia la volontà di nostro Signore; io preferirei andare molto presto da lui, ma non c’è nulla che me lo faccia sperare… Si compia completamente la sua volontà benedetta, che io resti qui ancora per poco o per molto, ma ch’egli tragga dalle nostre vite, lunghe o brevi, il maggior conforto possibile per il suo Cuore… Non ci abbandoniamo e non vogliamo vivere altro che per lui… Questo non impedisce, al contrario, che il giorno in cui egli ci chiamerà sia benedetto; noi l’ameremmo assai poco se non desiderassimo con gran desiderio di vederlo. Egli stesso, la sera di Pasqua, desiderava con gran desiderio di vedere il Padre.

81
Il Signore approva i fanciulli che cantano: «Osanna al Figlio di David!». Approva, vuole che gli uomini lo lodino. Non gli basta che lo ringrazino, che gli chiedano perdono, che lo preghino di concedere grazie: queste tre parole «misericordia, perdono, aiutaci»… Bisogna anche lodarlo. Lodare significa esprimere la propria ammirazione e insieme il proprio amore, perché l’amore è inseparabilmente unito ad un’ammirazione senza riserve. Perciò lodare Dio è effondersi ai suoi piedi in parole di ammirazione e di amore, è ripetergli in tutti i modi, infinitamente amato, che la sua bontà, la nostra ammirazione e il nostro amore sono senza misura; e dirgli senza fine, dirgli senza riuscire a porre termine a sì dolce dichiarazione, ch’egli é bello e che noi l’amiamo.
La lode è parte essenziale dell’amore; di conseguenza, è parte indispensabile dei nostri doveri verso Dio: cosa facile, questa, a capirsi. Ma c’è un secondo motivo per il quale dobbiamo innalzare a Dio la lode: è il fatto che permetterci di rivolgerglielo è da parte sua un incomparabile favore: permettere a qualcuno di dirci, di ripeterci in tutti i modi che ci ama non è forse il favore più grande che possiamo fargli? Non significa forse dirgli che il suo amore ci fa piacere, ci è gradito, non equivale forse a dichiarargli che anche noi lo amiamo? Dio ci permette di stare ai suoi piedi mormorando senza fine parole di ammirazione e di amore. Quale grazia! Quale bontà! Quale felicità! Ma, anche, quale ingratitudine se disprezzassimo simile favori! E non approfittarne è già disprezzarlo. Ora, Dio non solo ci permette quest’altissima felicità, ma ce la comanda: ci comanda di dirgli che lo ammiriamo e che lo amiamo. Come non rispondere a un invito così prezioso e così dolce? Quale ingratitudine! Quale indegnità! Quale grossolanità! Quale mostruosità!
Mio Signore e mio Dio, insegnami a trovare tutta la mia gioia nel lodarti, cioè nel ripeterti senza fine che sei infinitamente perfetto e che infinitamente ti amo.

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Con la preghiera noi possiamo tutto: se non riceviamo è perché ci mancava la fede o perché abbiamo pregato troppo poco o perché sarebbe per noi male se la nostra richiesta venisse esaudita o perché Dio ci dà qualcosa di meglio di ciò che chiediamo. Mai, però, accada che non riceviamo quel che domandiamo perché la cosa è troppo difficile da ottenersi. Non esitiamo a domandare a Dio anche le cose più difficili, come la conversione di grandi peccatori o di popoli interi: tanto più, anzi, domandiamogliele quanto più sono difficili, con la fede che Dio ci ama appassionatamente e che più un dono é grande più colui che ci ama appassionatamente ama farcelo; ma domandiamo con fede, con insistenza, con costanza, con amore, con buona volontà. Ed abbiamo la certezza che domandando così, con molta costanza, noi verremo esauditi ricevendo la grazia richiesta o una migliore.
Domandiamo dunque arditamente al Signore le cose più impossibili ad ottenersi, quando esse servono alla sua gloria, convinti che il suo cuore ce le concederà tanto più facilmente quanto più sembrano umanamente impossibili: dare l’impossibile a colui che egli ama è cosa dolce al suo cuore, e quanto mai egli ci ama?

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Una settimana fa sono stato mandato a pregare un poco accanto a un povero operaio nativo del posto, cattolico, morto nella frazione vicina: quale differenza fra questa casa e le nostre abitazioni! Io agogno Nazareth

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Davanti al SS. Sacramento non riesco a fare un’azione prolungata: la mia situazione è strana: tutto mi sembra vuoto, fondo, smisurato, vano, eccetto il tempo che trascorro ai piedi di Gesù a contemplarlo… ma poi, quando sono davanti a Lui, mi sento arido, secco, senza una parola o un pensiero e spesso, ahimè, finisco con l’addormentarmi. Leggo con la ragione ma tutto mi appare vuoto…

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Non meravigliatevi delle tentazioni, delle aridità, delle miserie; è la parte migliore. Quanto più la tentazione è forte, profonda l’aridità, umiliante la miseria, tanto più lo sposo divino chiede alla nostra anima di combattere, di resistere, di sperare nel suo amore. Sottoporre a questa prova i nostri poveri cuori… non è forse una grazia? Che cosa può fare per noi di più che unirci sempre più a sé, rendendoci spiritualmente simili a lui!
E tra i mezzi per elevare la nostra anima, non potremmo immaginarne uno più dolce e più delicato di ogni nostra ora una dichiarazione d’amore… Una prova di puro amore, un atto d’amore nell’oscurità, le apparenze dell’abbandono, il dubbio in se stessi con le amarezze dell’Amore e nessuna delle sue dolcezze…
Perduto, Annegato, Inabissato in voi.
Mio Dio, come siete buono! Che giornata felice! Nient’altro da fare in tutto questo giorno di domenica che trattenermi ai vostri piedi con i vostri santi Genitori. Guardandovi e adorandovi, perduto in voi! E questa notte che comincia passerà nello stesso modo se sono fedele.
Che delizia o divino Gesù Bambino, e che dolcezza stare ai vostri piedi! Che cosa dolce tenervi tra queste braccia! Indegno qual sono, come sono felice! Ma quando penso, o mio Dio, che non dipende che da me che tutti i miei giorni e tutte le mie notti passino così fino a che io entri nell’eternità, che gioia profonda e che ricchezza di godimento e di pace, di gratitudine, di meraviglia!… Sì, questo non dipende che da me. Questa è stata la vita dei vostri santi Genitori: questa è la vita cui mi chiamate: guardare, le cose esteriori come apparenze, fantasmi, miraggi, immagini che passano come quelle delle lanterne magiche, e lasciarle passare nel loro svolgersi, chiudendo gli occhi su di esse e non aprendoli che su di voi, o Gesù, restando sempre, sempre. qualunque cosa si faccia e dove si sia, perduto, annegato, inabissato, in voi, solo «essere» ed unico «necessario», in voi, nostro Dio, in voi, nostro Tutto, diletto e soave, o amato, o tanto dolce Bambino Gesù!… Questo dipende da me, con la vostra grazia… Oh! datemi questa grazia.

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Io sono felice, felice di essere ai piedi del SS. Sacramento a tutte le ore, felice di essere e di fare, salvo i miei peccati e le mie miserie, ciò che vuole Gesù; felice soprattutto della felicità infinita di Dio. Se non ci fosse questa fonte inesauribile di felicità e di pace, la felicità e la pace infinita, eterna, immutabile del Diletto, il male che si vede intorno a sé da ogni parte, e pure le miserie che si vedono in se stessi condurrebbero presto alla tristezza. Se nei paesi cristiani c’è tanto bene e tanto male, pensate a ciò che possono essere questi paesi, dove, per così dire, non c’è che male, da cui il bene è quasi del tutto assente, tutto è menzogna, doppiezza, astuzia, cupidigia d’ogni specie, violenza; e quanta ignoranza, quante barbarie! La grazia di Dio può tutto, ma di fronte a tante miserie morali…, si vede che i mezzi umani sono impotenti e che Dio solo può operare una così grande trasformazione. Preghiera e penitenza! Più vado innanzi, più vedo in ciò il mezzo principale d’azione su queste povere anime. Che faccio in mezzo a loro? Il gran bene che faccio è che la mia presenza procura quella del SS. Sacramento. Sì: c’è almeno un’anima tra Timbuctu e El Goléa che onora e prega Gesù. Infine la mia presenza fra questi indigeni li familiarizza con i cristiani e specialmente con i sacerdoti. Quelli che mi succederanno troveranno spiriti meno diffidenti e meglio disposti. È ben poco: è tutto quello che si può per ora; voler fare di più comprometterebbe tutto per l’avvenire.

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Leggiamo sempre il Vangelo amorosamente, come se fossimo seduti ai piedi dell’Amato, ascoltando mentre ci parla di se stesso. Dobbiamo cercare di capirla, questa Parola amata: colui che ama non s’accontenta d’ascoltare le parole dell’essere amato come una gradevole melodia, ma cerca di afferrare, di capire le minime sfumature; lo desidera tanto più quanto più ama, perché tutto ciò che viene dall’essere amato ha tanto valore, soprattutto le sue parole che sono come qualche cosa della sua anima.
Quale dolcezza ineffabile in questo colloquio del nostro Dio! Quale incomparabile grazia, dal canto suo, di aprirsi, di mostrarsi così a noi, di darci di sé quanto mai avremmo potuto intuire, e rivelandocene con le sue stesse labbra tanti particolari! Quale bontà si riserva abbondante su di noi! Come, o Dio, ci troviamo sommersi nelle onde del tuo amore! Ogni parola della sacra Scrittura è una grazia delicatissima e amorosissima del nostro Beneamato che ci parla e ci parla di sé.
Ascoltiamo, leggiamo, accogliamo amorosamente ogni parola del nostro Beneamato. Nel fondo dei nostri cuori facciamo ad ogni parola dei Libri santi l’accoglienza amorosa della sposa che sente la voce dello sposo: «La mia anima s’è disciolta dentro di me, quand’egli ha parlato…».
Amorosamente, seduti ai piedi di Dio.

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Non tormentatevi nel vedermi solo, senza amici, senza aiuti spirituali; non soffro affatto di questa solitudine, la trovo dolcissima; ho il Santo Sacramento, il migliore degli amici, a cui parlare giorno e notte. Sono felice e non mi manca niente.

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Quanto sarebbe auspicabile che dei buoni cristiani, o almeno delle buone persone non musulmane, si dedicassero a quest’opera e prendessero questo posto: sarebbe anche molto facile, ma dove sono le anime? Vendere cotonina e tela blu a buon prezzo è un sistema molto semplice per avvicinare la gente, per trovare tutte le porte aperte, per rompere il ghiaccio dappertutto… Così facendo, se colui che vende è un’anima buona, si farà buona impressione, si avranno amici in tutto il paese e in tal modo si potrà cominciare. Se, in mancanza di meglio, voi poteste trovare qualche anima buona disposta a dedicarsi a questo commercio, sacrificandosi silenziosamente per amore di Dio, che bella cosa sarebbe! Degli onesti piccoli commercianti francesi verrebbero accolti con gioia dalle autorità, le quali arrossiscono dei loro compatrioti stabilitisi nel sud: nessun francese viene a vivere nelle oasi se non per vendere alcool: è una vergogna.
Ci vorrebbero dei cristiani come Priscilla e Aquila, che facessero del bene in silenzio vivendo come poveri commercianti. Entrando in relazione con tutti, si farebbero da tutti stimare e amare e potrebbero far del bene a tutti.

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Se non credessi con tutte le mie forze che le parole «dolce, penoso, gioia, sacrificio», ecc. debbono scomparire dal nostro vocabolario, direi che sono un po’ triste per il fatto di dovermi assentare da Beni Abbès: triste per dover lasciare per qualche tempo il divino Tabernacolo, triste per sentirmi meno solo ai piedi di Gesù, preoccupato della mia miseria e della mia insufficienza, oppresso dalla mia fiacchezza e dalla mia incapacità.

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Gli indigeni mi danno anche delle consolazioni; settantacinque in media vengono ogni giorno a chiedermi l’elemosina: un po’ d’orzo; la difficoltà è d’avere un po’ d’orzo; altri vengono a farmi visita. Tutti sembrano ben disposti.
Farò del bene – o piuttosto Dio si servirà di me per farne – nella misura in cui sarò santo; e io sono un peccatore; pregate Dio perché mi converta e domandate a tutta la vostra comunità che porto nel cuore di pregare per la conversione del suo indegno fratello in Gesù.

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Per quanto mi riguarda, nulla di nuovo: calma, pace, silenzio, ringrazio Dio di questa vita nascosta, così perduta, così simile a quella di Nazareth. Da parte di Dio nulla mi manca: ho tutto ciò che desideravo, anzi di più.
Continuo a benedire Dio, a sentirmi felice, infinitamente felice, in questa vita di Nazareth che egli mi ha fatto tanto desiderare e che mi ha donato così perfettamente.
Sto bene in salute, ma vado declinando; non faccio più ciò che facevo in passato; la mia vita si indebolisce; sento anche che il corpo a poco a poco si va dissolvendo, e confesso che, nonostante tutto, nonostante i miei pochi meriti ed i miei tanti peccati, nonostante il lungo purgatorio che mi attende, provo una gioia grande ed immensa. Non merito certo che castighi, ma Gesù ci comanda di sperare; dunque, spero e mi abbandono alla speranza nella sua misericordia.

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In primo luogo, preparare il terreno in silenzio, con la bontà, con il contatto, con il buon esempio: stabilire il contatto, farsi conoscere da loro e conoscerli; amarli, dal profondo del cuore, farsi stimare e amare da loro; con ciò, far cadere i pregiudizi, ottenere fiducia, acquistare autorità – e questo richiede tempo –, poi parlare in privato ai meglio disposti, con molta prudenza, a poco a poco, a ognuno in maniera diversa, in modo da dare a ciascuno quello che è capace di ricevere.
I musulmani sono incapaci di discussione. La fede può nascere in loro, con l’aiuto della grazia, soltanto quando ci saremo imposti alla loro ammirazione e alla loro stima, vivendo in mezzo a loro le virtù cristiane.
Prima di parlar loro del dogma cristiano, bisogna parlare di religione naturale, condurli all’amore di Dio, all’atto d’amore perfetto. Quando saranno arrivati a compiere atti d’amore perfetto e a chiedere con tutto il cuore la luce a Dio, saranno vicini alla conversione. Allorché vedranno uomini più virtuosi di loro, più sapienti di loro, che parlano di Dio meglio di loro, e che sono cristiani, allora essi saranno disposti ad ammettere che forse quegli uomini non sono nell’errore, e saranno pronti a chiedere a Dio la luce.

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Più vado avanti e più sono convinto che per il momento non c’è possibilità di realizzare conversioni isolate. Non sono qui per convertire in un solo colpo i Tuareg, ma per provare a capirli e a migliorarli. Sono certo che il buon Dio accoglierà in cielo quelli che furono buoni e onesti senza bisogno che essi siano cattolici romani.

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Chiunque ama vuole imitare: è il segreto della mia vita

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L’obbedienza è l’ultimo, il più alto e il perfetto dei gradi dell’amore. Quello dove si cessa di esistere per se stessi, dove ci si annulla, dove si muore come Gesù sulla croce.

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In nessun caso sarà permesso dire di no a chi ci domanda qualcosa, si deve donare l’ultimo soldo, l’ultimo pezzo di pane della casa. E se non abbiamo nulla, si farà entrare l’ospite e il povero e si andrà a mendicare per lui.

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Tutta la nostra vita, per quanto muta essa sia, la vita di Nazareth, la vita del deserto, la stessa vita pubblica devono essere una predicazione del Vangelo fatta con l’esempio.
Tutta la nostra esistenza, tutto il nostro essere deve gridare che noi apparteniamo a Gesù, deve presentare l’immagine della vita evangelica. Tutto il nostro essere deve diventare una predicazione viva, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualcosa che gridi Gesù, che faccia vedere Gesù, che risplenda come un’immagine di Gesù.

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Come bisogna fare per avvicinare i Tuareg?
Atteggiatevi con semplicità, in modo gradevole e con bontà. È meglio amarli per essere riamati. Siate umani, caritatevoli e sempre lieti. Con loro bisogna sempre ridere. Io rido sempre, mostrando i miei brutti denti. Fatevi conoscere. Si racconta che noi mangiamo i bambini e che di notte ci trasformiamo in bestie. Fate loro capire che la vita dei Francesi è fatta di pacifica onestà, di fatica, di laboriosità. Fate loro vedere che i nostri contadini conducono una vita simile alla loro, che noi gli assomigliamo.

100
Vedermi alla sera di questa vita così miserabile, dopo aver prodotto così pochi frutti, come il chicco di grano che non muore.
È la solitudine che cresce. Ci si sente sempre più soli al mondo. Gli uni sono partiti per la loro patria, gli altri vivono la loro vita sempre più lontano dalla nostra. Ci si sente come l’oliva rimasta sola attaccata al ramo, dimenticata dopo la raccolta.


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