Verso
la comunione intima con Dio
Per
rispondere alle domande lasciate in sospeso la volta scorsa, potremmo
dedurre dal comportamento di Gesù le indicazioni che ci orientano
verso una comunione intima con Dio. Questa intima comunione con Dio
non è qualcosa di facoltativo, ma è la meta che tutti raggiungeremo
quando entreremo in paradiso, è il bene massimo che possiamo
desiderare ed il solo capace di renderci pienamente felici. Ora, per
raggiungere qualsiasi intimità bisogna necessariamente ritirarsi ed
isolarsi da tutto. Il bambino, ad esempio, lascia i giochi ed i
compagni quando vuole rifugiarsi nelle braccia della mamma. I
fidanzati si appartano dagli amici e dai divertimenti per conoscersi
più a fondo e manifestarsi il loro affetto. Lo scienziato di genio
si isola da tutto e da tutti per dedicarsi alle sue ricerche. Lo
sportivo di valore si sottopone a dure discipline ed ha le sue
giornate di ritiro per raggiungere traguardi elevati. Allo stesso
modo, bisogna ritirarsi da tutto ciò che non è Dio per giungere a
beneficiare dell'intimità con Dio.
L'intimità
con Dio però, non è un bene di cui abbiamo normalmente esperienza e
perciò è un bene che non sappiamo desiderare, di conseguenza non
siamo disposti a fare un gran che per venirne in possesso. Ciò di
cui abbiamo esperienza è invece il beneficio che otteniamo dalle
cose e dalle persone che ci circondano. Godiamo così della bellezza
dei mari e dei monti, delle giornate di sole, di una casa
confortevole, della compagnia delle persone che ci vogliono bene e a
cui vogliamo bene. Se si presentasse allora qualcuno a chiederci il
distacco da questi beni non avrebbe molto successo.
Col
passare del tempo però, facciamo anche un'altra esperienza,
sperimentiamo cioè che le cose e le persone si rivelano a poco a
poco incapaci di rispondere pienamente alle nostre attese; un senso
di vuoto, di disagio e di insoddisfazione affligge allora le zone più
profonde del nostro cuore. È bene non reprimere questa presa di
coscienza, perché sarà uno dei mezzi che orienterà il nostro
desiderio verso la ricerca dell'intimità con Dio. Un altro mezzo è
il fascino che la persona di Gesù esercita su coloro che hanno fame
e sete di una vita veramente autentica e piena, una vita che non si
può trovare nelle realtà di questo mondo.
La
via del distacco, del deserto e della notte
I
primi che hanno subito questo fascino sono naturalmente i discepoli
che abbiamo sentito nominare nel Vangelo, li vediamo infatti andare
alla ricerca di Gesù quando si accorgono che non è più in mezzo a
loro: Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue
tracce. Seguendo quelle tracce, uscirono anche loro di casa, si
inoltrarono anche loro nel deserto ed infine trovarono Gesù in
preghiera.
Come
accennato in precedenza, il percorso di Gesù è un po' il simbolo
del cammino che ogni discepolo deve percorrere per giungere a
beneficiare dell'intimità divina. Per comprendere come le cose
potrebbero essere proprio in questi termini, conviene riflettere su
quello che accadrà ad ognuno di noi nel momento della morte. In quel
momento infatti, dovremo sicuramente lasciare ogni affetto terreno, e
questo è simboleggiato dall'uscire di casa, ma con gli affetti ci
separeremo anche da ogni bene materiale, e questo è simboleggiato
dal deserto, che è privo di ogni bene come tutti sappiamo. La nostra
intelligenza infine dovrà abbandonare ogni sua conoscenza naturale e
affidarsi totalmente alla fede per giungere, attraverso il buio della
morte, alla luce dell'incontro con il Signore, e questo è
simboleggiato dall'ora buia in cui Gesù esce di casa per andare a
pregare. Questo camminare nel buio del Signore è anche un'allusione
al cammino di fede che la nostra intelligenza è chiamata a
percorrere, cammino che non abbiamo tracciato noi, ma che ci condurrà
infallibilmente a beneficiare dell'intimità divina se seguiremo
diligentemente le tracce di Gesù.
Ad
esempio, una traccia che Gesù ci ha lasciato per il momento della
morte, sono le parole di abbandono pronunciate quando anche Lui stava
morendo sulla croce; nell'ora estrema non rimane che dire: Padre,
nelle tue mani consegno il mio spirito (Lc 23, 46). Naturalmente,
ogni altra parola di Gesù è per noi una traccia da seguire per
giungere all'incontro definitivo e beatificante con Dio.
Interrogativi
Potrebbero
a questo punto sorgere alcuni interrogativi o perplessità circa la
necessità di seguire il cammino indicatoci dal Signore. Ad esempio:
perché recarsi in un luogo deserto? Non sarebbe meglio un luogo dove
la natura manifesta tutto il suo splendore e rapisce lo spirito
invitandolo a lodare e ringraziare Dio per la sua bellezza? Perché
uscire di casa, ossia educarci al distacco dalle persone che ci
vogliono bene e a cui vogliamo bene? Non è forse l'affetto un
riflesso dell'amore di Dio? Perché chiedere all'intelligenza di
procedere nel chiaro scuro della fede dove c'è molto più scuro che
chiaro? Proviamo a rispondere a questi interrogativi e ad altri
simili con un'immagine: quando si deve attraversare l'oceano
Atlantico per raggiungere l'America, si procede per un certo tratto
di strada in macchina, poi bisogna lasciarla per salire o sulla nave
o sull'aereo, unici mezzi adatti a condurci dall'altra parte; chi si
intestardisse a non lasciare la macchina si condannerebbe a rimanere
sempre da questa parte della riva.
Abbiamo
dunque una riva che è al di qua dell'oceano ed un'altra che si trova
al di là; tutte le realtà naturali nelle quali ci muoviamo è come
se fossero al di qua dell'oceano mentre quelle soprannaturali è come
se si trovassero dall'altra parte. Mediante le realtà naturali
possiamo spingersi solo fino ai bordi del mare, ma non possiamo
attraversarlo, il nostro vero bene e la nostra vera vita si trovano
tuttavia al di là del mare, ossia nelle realtà soprannaturali, ecco
perché il Signore dice ai suoi discepoli: Passiamo all'altra riva
(Mt 4, 35). Questo passare all'altra riva è per noi come un passare
attraverso la morte per poi risorgere, come un passare attraverso le
tenebre per sfociare nella luce, un passare per dove non si sa niente
per giungere a sapere tutto, è come passare attraverso il deserto
per raggiungere la terra promessa; questo ci insegnano i santi
dottori.
La
difficoltà del passaggio sta nel fatto che noi siamo molto legati ai
nostri punti di vista e ai beni di questo mondo, ed allora facciamo
molta fatica a lasciarli, anzi, se dipendesse da noi non ci
penseremmo proprio. Questi beni non sono però la meta finale alla
quale siamo chiamati, ma sono come dei cartelli stradali che Dio ha
posto lungo la via per aiutarci a raggiungerla. Se uno volesse
rimanere fermo ad ammirare i cartelli stradali non raggiungerebbe mai
la meta, è come se non volesse scendere dalla sua auto, l'aereo che
attraversa l'oceano sarebbe costretto a partire senza di lui.
La
necessità della prova
Potremmo
anche esaminare il problema secondo un altro aspetto: come fa Dio a
sapere se, in quello che facciamo, cerchiamo di piacere a Lui
piuttosto che a noi stessi? Come fa a sapere se mettiamo Lui al primo
posto oppure, nei fatti, consideriamo altre realtà più importanti
di Lui? Questa verifica viene fatta quando il Signore ci invita su
dei percorsi per i quali decidiamo di passare solo per far piacere a
Lui. Proviamo a chiarire con qualche esempio. Uno potrebbe essere
molto contento di partecipare alla messa domenicale quando la chiesa
è piena di gente, la cantoria esegue magnifici canti, il parroco è
simpatico e le sue prediche incantano; ma la nostra fedeltà alla
messa sarebbe la stessa se il parroco non ci fosse per niente
simpatico, le sue prediche non fossero un gran che, la cantoria non
ci fosse proprio, e in chiesa si ritrovassero sempre le solite
quattro vecchiette? Se nonostante queste circostanze sfavorevoli la
nostra fedeltà non subisse defezioni, allora vorrebbe dire che il
nostro amore per il Signore è superiore all'amore per il bel canto,
non dipenderebbe dalla simpatia o dall'antipatia verso il parroco e
neanche dal numero dei partecipanti alla messa. In questo caso la
nostra partecipazione non sarebbe un gran piacere per noi, ma sarebbe
un gran piacere per il Signore, perché sarebbe il segno che amiamo
Lui sopra ogni cosa. Allora, Gesù che prega nel deserto ci
incoraggia a rimanere fedeli nonostante le aridità e le solitudini
per le quali dovremo passare.
Un
altro campo in cui verrà verificato il nostro amore per il Signore è
quello degli affetti. Gli affetti sono una realtà che molto
assomiglia all'amore di Dio e sono anche la realtà che più di ogni
altra riesce a riempire il cuore dell'uomo, di qui il pericolo o la
tentazione di fermarsi in essi. Contro questo pericolo il Signore ci
ammonisce: Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la
moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita,
non può essere mio discepolo (Lc 14, 26). Questo vuol dire che
un discepolo di Cristo verrà inevitabilmente a trovarsi in
circostanze nelle quali dovrà scegliere fra l'amore di una persona
cara e l'amore del Signore, anche in questo caso, scegliere il
Signore ci costerà sicuramente qualche cosa, ma questo sacrificio
sarà il segno che il Signore nella nostra vita ha veramente il posto
che si merita, ossia il primo.
Così,
Gesù che esce di casa per andare a pregare nel deserto, ci indica la
necessità di esercitarci nel distacco anche dalle persone più care,
altrimenti corriamo il rischio di attaccarci alle persone care e di
staccarci da Dio, il che significa perdere entrambi gli amori e
andare in rovina. Non è raro infatti constatare storture e drammi in
quelle famiglie dove un figlio è diventato oggetto di amore morboso
e praticamente idolatrico, oppure tradimenti, follie e morte quando
un uomo si lascia sopraffare dalla passione per una donna, o
viceversa. Questi esempi ci mostrano la forza ed il pericolo degli
affetti quando degenerano, ossia quando non sono posti sotto il
governo della sapienza divina. La carità e la tenerezza dei santi
invece sono un esempio dello splendore e della grandezza a cui gli
affetti possono giungere quando accettano di sottomettersi alle
esigenze dell'amore di Dio.
Un
ulteriore campo in cui il nostro amore per il Signore viene messo
alla prova è quello dell'intelligenza. Ognuno di noi si muove nella
vita secondo l'intelligenza che ha, secondo quanto comprende delle
realtà che lo circondano. Ai nostri modi di vedere siamo inoltre
molto attaccati e se qualcuno tentasse di modificarli o di ampliarli
incontrerebbe sicuramente qualche resistenza. La nostra intelligenza
si rivela tuttavia insufficiente a comprendere anche solo le realtà
visibili, se poi ci avviciniamo ai progetti e alle vie di Dio
l'oscurità si fa ancora più fitta. Il rimedio a questa oscurità è
la virtù teologale della fede che con il battesimo è seminata nel
nostro cuore. La nostra tendenza dominante è tuttavia di procedere
con la luce naturale della ragione, anche se non vediamo molto
lontano ci sentiamo però a nostro agio, ma a coloro che vogliono
seguire il Signore viene chiesto di procedere basandosi su una luce
soprannaturale che è appunto la fede, questo cambiamento del punto
di appoggio è un passaggio che normalmente comporta delle difficoltà
e delle resistenze. Queste difficoltà e resistenze dipendono dal
fatto che la fede è allo stesso tempo luce e tenebra fitta; è luce
perché ci dice come stanno le cose dal punto di vista di Dio ed è
tenebra perché gran parte di quelle cose noi le possiamo solo
credere e non vedere.
La
fede inoltre orienta decisamente la nostra vita verso le realtà
soprannaturali ed eterne nei confronti delle quali ci sentiamo
abbastanza a disagio perché non le conosciamo, non ci sono familiari
e ci incutono timore, così, avventurarsi oltre il cortile di casa è
una cosa che non tutti gradiscono. In certi momenti della vita si è
però invitati ad una scelta: o si vuole continuare a procedere con
la luce dell'intelligenza naturale, oppure si accetta di sottomettere
quest'ultima alla luce oscura della fede in modo tale che sia la fede
a dirigere la nostra esistenza. Quando uno decide di sottomettersi
alla fede, che è poi dire di sì a Dio, gli è dato di sperimentare
il soccorso delle sue consolazioni; questo tuttavia non impedisce che
lungo il cammino la nostra intelligenza si trovi alle prese con due
generi di difficoltà: le une di carattere prevalentemente teorico,
le altre di carattere più pratico.
Difficoltà
di tipo teorico e pratico
In
campo teorico, ad esempio, molte sono le verità a cui ci è chiesto
di aderire senza vedere e senza comprendere, può così accadere che
certe verità siano per noi particolarmente dure da accettare. Molti
ad esempio non avranno difficoltà a credere nell'esistenza di Dio,
ma faranno fatica ad accettare che Dio sia uno in tre persone. Altri
avranno difficoltà ad accettare che Gesù sia vero Dio e vero uomo,
per altri ancora la difficoltà sarà nell'accettare la presenza
reale di Gesù nel sacramento dell'Eucaristia, oppure ci sarà chi
non riuscirà ad ammettere la dottrina sull'inferno. Queste
difficoltà si superano con un atto di fede, la nostra intelligenza
deve cioè accettare di non avere l'ultima parola, di non essere il
riferimento assoluto e aderire ugualmente, senza vedere e senza
comprendere, alle verità che Dio ci propone mediante gli
insegnamenti di Gesù e della Chiesa. Con l'atto di fede accettiamo
che l'intelligenza di Dio sia prima e la nostra seconda, e questa è
una cosa molto ragionevole, mentre sarebbe stoltezza pretendere il
contrario.
Le
difficoltà di tipo pratico dipendono dal fatto che la vita cristiana
è un lungo cammino di purificazione e di santificazione, questo
cammino è un processo molto complesso e noi riusciamo a comprenderne
solo alcuni aspetti, mentre altri, e sono la maggioranza, ci
rimangono totalmente incomprensibili. Ad esempio, è abbastanza
chiaro che è un nostro dovere esercitarci nelle virtù cristiane e
cercare di correggere i nostri difetti, ma quello che spesso non
riusciamo a comprendere sono le situazioni concrete per le quali il
Signore ci fa passare. Capita allora che certe situazioni da cui
vorremmo venir liberati continuano ad opprimerci, altre in cui ci
troviamo bene le dobbiamo lasciare, certe grazie che a nostro
giudizio il Signore dovrebbe concederci si fanno aspettare, certi
nostri progetti vengono contrastati, le nostre idee combattute,
difficoltà interiori ed esteriori sono all'ordine del giorno, in
generale, le cose vanno proprio al contrario di come avremmo voluto.
Essendo chiaro a Dio solo ciò che dobbiamo diventare, è normale che
ci tocchi passare per vie che non conosciamo e non comprendiamo.
Quando allora il Signore si alza presto al mattino e si inoltra di
notte nel deserto, è come se ci indicasse la via e ci incoraggiasse
a sopportare i disagi e le oscurità che il nostro cammino di
santificazione comporta.
Dov'è
Gesù?
Conviene
a questo punto notare come il motivo per cui Pietro e quelli che
erano con lui si mettono a cercare Gesù, non dipenda tanto
dall'amore, quanto dalla necessità di rispondere alle pressanti
domande della gente. Molte persone infatti, che il giorno precedente
avevano assistito agli insegnamenti ed alle guarigioni di Gesù,
insieme ad altre che nel frattempo avevano sentito parlare di Lui, si
presentano al mattino alla casa di Pietro e chiedono: Dov'è Gesù?
Pietro e i suoi compagni devono onestamente confessare: Non lo
sappiamo. È a questo punto che partono alla sua ricerca e,
seguendone le tracce, lo trovano in preghiera nel deserto.
L'insegnamento
che potremmo ricavare potrebbe allora essere di non stupirci se a
volte è uno stato di necessità e non l'amore a spingerci a cercare
il Signore. Anche a noi, come è successo a Pietro, potrebbe capitare
di venir interpellati dalle persone o dagli eventi a proposito di
Gesù, e anche noi potremmo trovarci nell'imbarazzo di non saper
rispondere. A questo proposito vediamo che un discepolo della Verità,
quando non sa rispondere, non si arrampica sui vetri e non si
accontenta di una risposta qualunque, ma confessa onestamente la sua
ignoranza e si mette con buona volontà alla ricerca della verità.
Pietro
e i suoi compagni, con affanno e disagio interiore, si mettono quindi
a cercare Gesù, e quando Lo trovano la prima cosa che gli dicono è:
Tutti ti cercano. La descrizione della scena sembra lasciar
trasparire una certa irruenza dei discepoli nel rivolgersi a Gesù;
appena Lo vedono infatti, non gli rivolgono un saluto, ma: Trovatolo
gli dissero: "Tutti ti cercano!". Evidentemente la loro
preoccupazione più urgente era quella di manifestargli la causa del
loro turbamento e del loro affanno. I loro modi avevano ancora
bisogno di qualche aggiustamento.
I
programmi di Gesù
Ascoltati
i discepoli, Gesù dice loro che il suo programma non è di tornare a
Cafarnao, ma di andare per i villaggi vicini a predicare.
Evidentemente i programmi di Dio sono sempre un po' diversi dalle
nostre attese. Questa decisione di Gesù ci mostra inoltre che Dio
non sempre si concede con prontezza a chi lo cerca, o meglio, c'è un
momento in cui Dio si manifesta al di là dei nostri meriti e delle
nostre attese, e c'è un momento in cui si nasconde; nel primo
momento accende in noi il desiderio di Lui, nel secondo ci chiede
l'impegno della ricerca o della vigile attesa del suo ritorno; nel
primo si riceve, nel secondo ci è chiesto di dare. Tutti ti
cercano dicono i discepoli a Gesù e Lui avrebbe potuto
rispondere: Bene, chi cerca trova, chi chiede riceve, a chi bussa
sarà aperto e beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà
ancora svegli, ma andiamo ad accendere il fuoco dell'amore di Dio
anche nei villaggi vicini (Mt 7, 8; Lc 12, 3), e fu così che
andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e
scacciando i demoni.
Vediamo
così che il deserto, la notte e la solitudine, non sono stati per il
Signore un motivo di depressione, anzi, l'assenza di ogni bene
esteriore ha evidenziato ancora di più che tutta la sua forza e la
sua vitalità apostolica provenivano da Dio solo. È quanto vediamo
ancora oggi nella vita dei santi: sono poveri in tutto ma, animati
dall'amore di Dio, fanno del bene ad un gran numero di persone.
Questo per dire di non aver paura se il Signore volesse far passare
anche noi per la via del deserto, della notte e della solitudine,
tutte cose che si possono trovare anche nei luoghi più affollati e
in pieno giorno.
L'importanza
dell'insegnamento
Prima
di terminare conviene riflettere su un fatto più volte sottolineato
nel Vangelo che abbiamo letto, questo fatto è l'importanza che Gesù
dedica all'attività dell'insegnamento. I primi versetti ascoltati
mostrano come la prima cosa che Gesù fa quando entra nella sinagoga
di Cafarnao sia quella di insegnare, ed il suo insegnamento ha
un'autorità e una profondità tale da lasciare stupefatti i suoi
ascoltatori, l’ultimo versetto ci dice ancora che Gesù andò
per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe, e nella
risposta ai discepoli Gesù afferma che un motivo fondamentale della
sua venuta nel mondo è proprio la predicazione, dice infatti:
Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi
anche là; per questo infatti sono venuto!, e di fronte a Pilato
Gesù dichiara: Per questo io sono nato e per questo sono venuto
nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla
verità, ascolta la mia voce (Gv 18, 37).
Ora,
se l’insegnamento, la predicazione, il rendere testimonianza alla
verità, sono il motivo per cui Gesù è venuto nel mondo, questo
significa che abbiamo un urgente bisogno di venir istruiti sui
progetti e le vie di Dio, bisogno di cui siamo poco consapevoli,
malati come siamo di superficialità, pigrizia intellettuale e
stoltezza. La malattia più grave che ci può capitare è quella di
non sapere di essere ammalati, ossia di essere ignoranti; per questo
i filosofi dicono che uno incomincia a diventare sapiente quando si
rende conto di essere ignorante. Una malattia meno grave di cui tutti
in qualche misura soffriamo, è quella di cercare di vivere un po'
secondo gli insegnamenti del mondo e un po' secondo gli insegnamenti
di Dio, ma questa è l'impossibile impresa, nella quale spesso
indugiamo, di servire due padroni, non riusciremo ad accontentare né
l'uno né l'altro, e nemmeno noi stessi.
Un
altro caso abbastanza comune è quello di chi non si pone troppi
problemi, gli insegnamenti di Dio non li prende neppure in
considerazione e si muove nella vita con la disinvoltura di chi sa
cosa vuol dire stare al mondo. Contro questo atteggiamento San Paolo
ha una sentenza formidabile: Se qualcuno crede di sapere qualche
cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere (1Cor 8, 2).
Questo significa che non sappiamo bene cosa voglia dire stare al
mondo; stare al mondo infatti, è essere immersi in un mistero, ed il
peso di questo mistero prima o poi ci farà andare in frantumi, la
Chiesa ce lo ricorda il mercoledì delle ceneri: Ricordati che sei
polvere e in polvere ritornerai. Tutti andremo in frantumi, ma
chi vive secondo gli insegnamenti del Signore sa che andare in
frantumi è la via che conduce alla risurrezione. Lasciarsi
interpellare dal mistero della vita, non accontentarsi di una
conoscenza superficiale, ammettere la propria ignoranza ed il disagio
che questo comporta, significa dare ascolto ai richiami che ci
attirano verso la ricerca della verità.
Se
il Signore attribuisce così tanta importanza al suo compito di
trasmetterci la sapienza, è perché mediante la sapienza avremo la
vita, ci dice infatti: Io sono la luce del mondo, chi segue me
avrà la luce della vita (Gv 8, 12), ma perché la sapienza possa
germogliare nei nostri cuori dobbiamo coltivare il desiderio di
conoscere la verità. San Tommaso affermava che nessun desiderio
eleva tanto l'uomo quanto quello di conoscere la verità e Santa
Teresa di Gesù Bambino, in punto di morte, l'ultimo giorno della sua
vita confessava: Si, mi pare di aver cercato sempre la verità
sola, ed è diventata dottore della Chiesa.
Se
coltiveremo la nostra intelligenza così come si coltiva un giardino,
faremo sicuramente un po' di fatica, ma con l'aiuto del Signore
giungeremo a conoscere la verità e la verità ci farà liberi (Gv 8,
32). Cercare la verità vuol anche dire non accontentarsi finché non
si siano trovati quegli insegnamenti che abbiano autorità,
profondità e bellezza, abbiano cioè al loro interno qualche cosa
che ci fa dire: Questa è la verità! Ma per trovare bisogna
cercare. Così è successo, ad esempio, a Edith Stein. Venuta in
possesso del libro della "Vita di Santa Teresa d'Avila
raccontata da lei stessa", non riusciva a smettere di leggerlo e
quando giunse alla fine esclamò: Questa è la verità!
L'esempio ed il Vangelo ascoltato ci dicono inoltre che, se vogliamo
cercare gli insegnamenti con il sigillo della verità dobbiamo
cercarli nei luoghi dove circola la Parola di Dio; bisogna purtroppo
constatare che in molti casi non mancano tanto gli insegnamenti
autorevoli, ma un sincero desiderio di cercare la verità. A questo
proposito il salmista esprime il rammarico di Dio che si china a
guardare sulla terra per vedere se c'è almeno qualche uomo saggio,
qualcuno che cerchi Dio (Sal 52, 3), ma non ne trova, tutti hanno
cose più importanti a cui pensare. Il legame fra la verità e Dio è
poi confermato da Gesù quando afferma: Io sono... la verità
(Gv 14, 6).
Esercizi
facoltativi?
Non
dobbiamo pensare che coltivare l'intelligenza, cercare la verità,
faticare per ottenere sapienza e saggezza siano esercizi facoltativi
e privi di ripercussioni pratiche; come infatti i vari prodotti di un
giardino vengono sommersi dalle erbacce se il giardino non è
costantemente accudito, così le varie attività umane vengono
sommerse dalla stoltezza se non c'è da parte nostra l'impegno
costante di vivere saggiamente. Ora, le attività umane che
caratterizzano la vita quotidiana di tutti gli uomini sono: pensieri,
parole, opere; ma se non c'è saggezza nei nostri pensieri non ci
sarà nemmeno saggezza nelle nostre parole e nelle nostre opere.
Così, a lungo andare, la nostra vita verrà sopraffatta dal non
senso, dalla noia, dall'apatia e nei casi estremi dalla follia.
Quanto
vale per la singola persona vale anche per la vita delle famiglie,
della società e delle nazioni; se ci fermassimo a riflettere sui
costi sociali della stoltezza penso che non mancherebbero le
sorprese. Quanto detto può aiutarci ad apprezzare la grande
misericordia che Gesù ci dimostra con il suo forte impegno a favore
della nostra istruzione. Allora, se anche noi faremo la nostra parte
coltivando il giardino dell'intelligenza, otterremo buoni frutti. Se
la nostra intelligenza si lascerà fecondare dalle parole del Signore
crescerà in sapienza, e da pensieri sapienti deriveranno parole
sagge ed opere sagge; il crescere della saggezza, inoltre,
vivificherà sempre più la nostra anima come ci assicura San Paolo:
Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello
interiore si rinnova di giorno in giorno... fino a raggiungere
una quantità smisurata ed eterna di gloria (2 Cor 4, 16-17).
Che
il Signore ci conceda di credere e di desiderare queste cose, a Lui
onore e gloria nei secoli, Amen.
Dal
sito http://www.medvan.it/
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