lunedì 8 agosto 2016

Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)- Breslavia, Polonia, 12 ottobre 1891 - Auschwitz, Polonia, 9 agosto 1942





La Croce di Cristo! Nella sua costante fioritura, l'albero della Croce porta sempre frutti rinnovati di salvezza. Per questo i credenti si rivolgono alla Croce con fiducia, traendo dal suo mistero d'amore il coraggio e la forza per camminare sulle tracce di Cristo crocifisso e risuscitato. Il messaggio della Croce è così entrato nel cuore di tanti uomini e di tante donne, trasformando la loro esistenza.
Un esempio eloquente di tale straordinario rinnovo interiore è il percorso spirituale di Edith Stein. Una giovane alla ricerca della verità, grazie all'opera discreta della grazia divina, è diventata una santa e martire: si tratta di Teresa Benedetta della Croce, che ripete oggi a tutti, dall'alto dei Cieli, le parole che hanno segnato la sua esistenza: Quanto a me, non sia mai che mi glori d'altro che della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo (Gal. 6, 14)» (Omelia di Papa Giovanni Paolo II, in occasione della canonizzazione di Santa Teresa Benedetta della Croce, l'11 ottobre 1998).
Edith Stein è nata il 12 ottobre 1891, a Breslavia (oggi Wroclaw, in Polonia), in una famiglia ebraica. Ha tre anni, quando suo padre muore all'improvviso. Sua madre assume allora con coraggio la direzione di un'importante azienda di commercio di legname, e, in pari tempo, l'educazione dei sette figli. Molto rispettosa delle pratiche della Sinagoga, essa è il modello indiscusso di tutta la famiglia. «Potevamo leggere nell'esempio di nostra madre, scriverà Edith, il vero modo di comportarci. Quando diceva: è un peccato, questo termine esprimeva il colmo della bruttura e della cattiveria, e ne rimanevamo sconvolti». Tuttavia, i figli di questa donna esemplare non condivideranno il suo profondo attaccamento al Giudaismo. Ben presto, i fratelli maggiori di Edith parteciperanno solo per pietà filiale alle feste religiose familiari.

Illusione di autonomia
A partire dall'adolescenza, Edith diventa atea. Dirà di aver «consapevolmente ed intenzionalmente perso l'abitudine di pregare» a quattordici anni, volendo contare solo su se stessa, ansiosa di affermare la propria libertà nelle scelte della vita. Quest'illusione di un'indipendenza totale dell'uomo nei confronti di Dio è oggi molto diffusa. Il Santo Padre ne fa risalire l'origine ai nostri primi genitori: «Il Libro della Genesi descrive in modo molto espressivo la condizione dell'uomo, quando riferisce che Dio lo mise nel giardino dell'Eden, al centro del quale era posto l'albero della conoscenza del bene e del male (2, 17). Il simbolo è chiaro: l'uomo non era in grado di discernere e di decidere da sè quel che era bene e quel che era male, ma doveva riferirsi ad un principio superiore. L'accecamento dell'orgoglio diede ai nostri primi genitori l'illusione di essere sovrani ed autonomi, e di poter far astrazione dalla conoscenza che viene da Dio» (Enciclica Fides et ratio, 14 settembre 1998, n. 22). Una simile illusione di autonomia è errata, perchè l'uomo, creato da Dio, dipende da Lui senza posa. Riconoscere la dipendenza totale della creatura rispetto al Creatore è una fonte di saggezza e di libertà, di gioia e di fiducia. Al termine di una lunga ricerca, Edith Stein riconoscerà che soltanto colui che si unisce all'amore di Cristo diventa veramente libero.
La sete del Vero
È attraverso studi di filosofia ed un culto esigente della verità che Edith si avvia a poco a poco verso la piena luce. «La sete della verità, dice, rimase in me l'unica preghiera». Scriverà: «Chi cerca la verità, consapevolmente o inconsapevolmente, cerca Dio». In cerca della verità sull'uomo, Edith si butta nello studio della psicologia. Delusa dallo scetticismo dominante, segue la scuola del filosofo Husserl. Questi pone come principio che la verità è necessaria, immutabile, eterna; si impone a qualsiasi intelligenza. L'opinione contraria, che vorrebbe far dipendere la verità da colui che pensa, gli sembra una tendenza malsana, vicina alla pazzia. Ai giorni nostri, il Concilio Vaticano II ricorda che «la ragione è capace di raggiungere la realtà intelligibile, con una vera certezza, anche se, a seguito del peccato, essa è in parte oscurata e affievolita» (Gaudium et spes, 15). Ma, malgrado l'alta stima che ha per la scienza, Edith, convertita, riconoscerà che «il cuore dell'esistenza cristiana non sta nella scienza, ma nell'amore» (ved. Giovanni Paolo II, omelia per la beatificazione di Edith Stein, il 1° maggio 1987).
Nella sua ricerca della verità, Edith è aiutata da eventi provvidenziali. Nel novembre del 1917, uno dei suoi amici, il professor Reinach, collaboratore di Husserl, muore in guerra. Di origine israelitica, ha ricevuto il battesimo in una confessione protestante un anno prima, assieme alla moglie, la quale diventerà cattolica qualche anno più tardi. La signora Reinach fa appello ad Edith per classificare gli scritti filosofici del marito. Testimone dell'intimità e della felicità dei coniugi Reinach, la giovane teme di trovare l'amica annientata dal dolore. Ma, sostenuta dalla fede in Cristo, essa ha ben presto accettato di condividere le sofferenze del Salvatore nella Passione, ed è stata invasa da una pace profonda. La Croce, penetrando nel più profondo del suo essere, l'ha, nello stesso tempo, ferita e guarita. Edith, che la trova trasformata dalla prova, non lascia affatto trasparire i sentimenti che la agitano, ma ne riceve un'impressione indelebile. Diventata carmelitana, confiderà ad un sacerdote: «Fu il mio primo incontro con la Croce, con quella forza divina che essa conferisce a coloro che la portano. Per la prima volta, la Chiesa, nata dalla Passione di Cristo e vittoriosa della morte, mi apparve visibilmente. Al momento stesso, la mia incredulità cedette, il Giudaismo impallidì ai miei occhi, mentre la luce di Cristo mi spuntava nel cuore: la luce di Cristo afferrata nel mistero della Croce. È per questa ragione che, vestendo l'abito delle Carmelitane, ho voluto aggiungere al mio nome quello della Croce».
Quando suona l'ora
Un giorno, compra il libro degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio di Loyola, per puro interesse intellettuale. Molto scossa da tale lettura, è vicina alla conversione, ma non si decide ancora a compiere il passo decisivo. «Il messaggio della fede si rivolge a molte persone che non lo accolgono», scriverà sul fnire della sua vita, come se non riuscisse ancora a capire il suo lungo periodo di esitazione.
L'«ora della grazia» suona quando è in vacanza presso amici, nel corso dell'estate 1921: «Un giorno, scrive, afferrai, a caso, un'opera piuttosto imponente. Aveva per titolo: Vita di Santa Teresa (d'Avila), scritta da lei stessa. Cominciai a leggere. Fui immediatamente avvinta, e non mi interruppi più, fino alla fine. Quando richiusi il libro, mi dissi: questa è la verità!» Compra subito un catechismo cattolico ed un messale. Li studia e li assimila in breve tempo. Ecco le sue impressioni, quando entrò per la prima volta in una chiesa: «Nulla mi parve estraneo: grazie allo studio compiuto, comprendevo le cerimonie fin nei minimi particolari. Un sacerdote dall'aspetto venerabile salì all'altare e celebrò il Santo Sacrificio con un fervore profondo. Dopo la Messa, aspettai che il celebrante avesse terminato la sua azione di grazia… Lo seguii nella canonica e gli chiesi il battesimo».
Il parroco, un po' turbato, risponde che era necessaria una certa preparazione per l'ammissione alla Chiesa. Edith insiste: bisogna che egli controlli immediatamente la sua conoscenza della fede. Ne nasce una conversazione prolungata, al termine della quale il sacerdote, pieno di ammirazione per l'opera della grazia in quell'anima, fissa senza procrastinare la data del battesimo per il giorno di Capodanno 1922. Per ricordo della lettura che ha deciso la sua conversione, Edith sceglie quale nome di battesimo quello di Teresa.
Che dirà la sua ammirabile madre, israelita esemplare ? Edith tiene ad annunciarle lei stessa la notizia; cadendo in ginocchio, dice semplicemente: «Mamma, sono cattolica». Per la prima volta in vita sua, la ragazza vede sua madre piangere; entrambe hanno il cuore straziato, ma rimangono profondamente unite. Per pietà filiale, Edith rimane per sei mesi con sua madre, continuando ad accompagnarla alla sinagoga, dove capisce sempre meglio che l'Antico Testamento raggiunge il suo pieno significato nel Nuovo. Il suo raccoglimento profondo commuove la signora Stein che dirà: «Non ho mai visto nessuno pregare come Edith».
La vera sicurezza
Al momento dell'instaurazione del Terzo Reich, nel 1933, Edith è diventata professoressa titolare a Münster. Una sera, ricevuta da amici, sente parlare di persecuzioni massicce inflitte agli Ebrei tedeschi. «Improvvisamente, scrive, mi apparve chiaramente che la mano del Signore si abbatteva pesantemente sul suo popolo (il popolo ebraico), e che il destino di quel popolo diventava la mia sorte». Qualche giorno più tardi, partecipa ad una cerimonia nella Cappella delle Carmelitane di Colonia. Un sacerdote commenta la Passione del Salvatore. «Mi rivolsi interiormente al Signore, racconta Edith, dicendogli che sapevo che era la Sua Croce che era ora posta sul popolo ebraico. La maggior parte degli Ebrei non capiva, ma quelli che capivano dovevano assumerla volontariamente, in nome di tutti. Era quel che desideravo fare. Gli chiesi soltanto di mostrarmi come. Quando la meditazione finì, ebbi l'intima certezza di essere esaudita. Ignoravo, tuttavia, sotto quale forma mi sarebbe stata data la Croce». Dirà, più tardi, alla Madre Badessa: «Non è l'attività umana che può aiutarci, ma le sofferenze di Cristo. Aspiro a condividerle».
La persecuzione rende ormai impossibile a Edith insegnare in Germania. «Fui quasi sollevata di essere colpita dalla sorte comune, scriverà, ma evidentemente dovevo riflettere sul da farsi». Le viene offerto un posto in America del Sud, per continuare lì i suoi lavori di ricerca. Ma ha deciso di realizzare il suo vecchio sogno: «Non era finalmente giunto il momento di entrare fra le Carmelitane? Il convento delle Carmelitane era il mio scopo da quasi dodici anni… In fondo, era molto penoso per me continuare ad aspettare. Ero diventata un'estranea nel mondo». Già qualche anno prima, aveva chiesto al suo direttore spirituale l'autorizzazione di entrare nell'Ordine delle Carmelitane. Per riguardo per sua madre e per via dell'importanza delle sue attività d'insegnamento, il sacerdote aveva rifiutato. Ma, nel 1933, le difficoltà che si opponevano alla vocazione di Edith sono sparite: «Non potevo più esser utile, scrive. E mia madre, non avrebbe preferito sapermi in un convento in Germania, piuttosto che in una scuola in America del Sud?» Una lettera del 1931 mostra che non prese la sua decisione alla leggera e che dovette lottare per trovare la strada giusta: «È nella natura delle cose che, prima di compiere un passo decisivo, si sciorini per un'ultima volta davanti a sè tutto ciò che si abbandona, considerando il rischio che si prende. Senza nessuna assicurazione umana, ci si deve rimettere totalmente nelle mani di Dio. Siamo allora tanto meglio e tanto più profondamente al sicuro».
La famiglia di Edith ignora completamente la sua decisione. A poco a poco, Edith si confida con i fratelli e le sorelle, pregandoli di non rivelare nulla alla madre; anche lei aspetta un momento propizio per parlarle. La prima domenica di settembre, l'occasione tanto attesa si presenta. Ecco la commovente narrazione fatta da Edith stessa: «Ero sola in casa con mia madre, che sedeva accanto alla finestra lavorando a maglia. Improvvisamente, mi fece la domanda attesa da tanto tempo: «Cosa farai a Colonia presso le suore? – Vivrò con loro!» La mamma non smise di lavorare a maglia. Il gomitolo si ingarbugliò. Con le mani tremanti, si provò a districarlo. La aiutai, pur continuando la nostra conversazione. Da quel momento, non ci fu più pace in famiglia. Un'oppressione pesante incombeva sulla casa. Di tanto in tanto, mia madre formulava ancora una domanda qua e là. Seguiva un silenzio. I miei fratelli e sorelle pensavano come mia madre, ma non volevano aumentare il suo cruccio… La decisione (di entrare fra le Carmelitane) era talmente grave, talmente carica di conseguenze, che nessuno poteva dire con certezza quale fosse la strada buona… Dovevo compiere quel passo nell'oscurità totale della fede».
Perchè ha voluto farsi Dio ?
Edith accompagna un'ultima volta sua madre alla sinagoga il 12 ottobre. Sulla via del ritorno, sua madre le chiede: «Non era bella la predica? – Certo, mamma. – Si può dunque esere pii anche fra gli Ebrei? – Sicuramente, se non si è imparato a conoscere altro. – Perchè mai hai imparato altro? Non voglio rimproverare nulla a Gesù. Può esser stato un essere molto buono. Ma perchè si è voluto far Dio?» Edith capisce, dal tono della conversazione, che il momento di rispondere a questa domanda non è ancora giunto: preferisce osservare il silenzio. «Quel giorno, aggiunge, c'era folla in casa. L'uno dopo l'altro, i nostri ospiti si accomiatarono. Finalmente, rimasi sola nella stanza con la mamma. Mettendosi le mani sul viso, si mise a piangere. Andai accanto a lei e mi strinsi dolcemente al petto quella venerabile testa dai capelli brizzolati. Restammo così a lungo, finchè volle mettersi a letto. Ma quella notte, non potemmo chiuder occhio un solo istante».
Il 15 ottobre 1933, festa di Santa Teresa, Edith Stein entra nel Convento delle Carmilitane di Colonia, dove assume il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. A lungo le sue lettere alla madre rimangono senza risposta… Poi, riprendono gli scambi regolari. Il 14 settembre 1936, festa dell'Esaltazione della Santa Croce, nel momento in cui Teresa Benedetta della Croce rinnova i voti, ha improvvisamente un'intuizione molto netta: «Mia madre è accanto a me». Il giorno stesso, un telegramma gliene apprende la morte, sopraggiunta proprio all'ora della cerimonia. Poco tempo dopo, Suor Teresa Benedetta della Croce ha la gioia di accogliere la sorella Rosa, che va a Colonia e riceve finalmente il Battesimo, differito a lungo, nel timore di ferire ancora di più l'anziana mamma. Rosa raggiungerà Edith fra le Carmelitane nel 1938.
Le ali degli angeli
Poco dopo, le due sorelle vengono inviate nel Convento delle Carmelitane di Echt, in Olanda, per evitare che siano arrestate in quanto Ebree e mandate in un campo di deportazione. Il pericolo non è completamente scartato. Suor Teresa Benedetta della Croce scrive a questo proposito: «È bene che ci ricordiamo in questi giorni che la povertà consiste anche nel vederci private della nostra clausura. Ci siamo impegnate a rimanere rinchiuse in un chiostro, ma Dio, Lui, non si è impegnato a lasciarci per sempre all'interno dei nostri muri. Non ne ha bisogno, poichè possiede altre mura per proteggerci… Se rimarremo fedeli alle nostre regole di clausura, anche se fossimo buttate in mezzo alla strada, Dio manderebbe i suoi angeli per proteggerci, e le loro ali ci circonderebbero più sicuramente delle mura più spesse e più alte».
L'11 luglio 1942, le autorità religiose delle confessioni cristiane olandesi mandano al commissario del Reich un telegramma in cui insorgono contro la deportazione delle famiglie ebraiche. Il 26 luglio, una viva protesta nello stesso senso viene letta in tutte le chiese del paese. Le forze d'occupazione nationalsocialiste reagiscono con violenza. Arrestano tutti gli Ebrei cattolici dei Paesi Bassi, ivi inclusi i frati e le suore. Il rappresentante di Hitler non lascia sussistere nessun dubbio sul fatto che si tratta di una misura di repressione: «Essendosi i vescovi cattolici occupati di una questione che non li riguardava, tutti gli Ebrei cattolici saranno espulsi fin dalla corrente settimana. Qualsiasi protesta sarà inutile». Il 2 agosto 1942, Edith e Rosa Stein vengono arrestate ed internate nel campo di Westerbork (Olanda). La sosta a Westerbork sembra che sia durata dal 5 al 6 agosto. Il campo conta milleduecento Ebrei cattolici, fra cui una quindicina di religiosi. Un migliaio circa di essi vengono deportati con Suor Teresa Benedetta nella notte dal 6 al 7.
In quest'occasione, Papa Pio XII prepara prima una lettera di energica protesta contro la persecuzione degli Ebrei. Poi, riflettendo alle repressioni ancora più dure che il suo messaggio rischia di provocare, vi rinuncia, e spiega ad uno dei suoi intimi: «È meglio tacere in pubblico e fare in silenzio, come prima, tutto quel che è possibile fare per quella povera gente» (ved. Pio XII, di Pascalina Lehnert, Ed. Téqui, 1985). Il Papa ha effettivamente fatto tutto il possibile per salvare gli Ebrei (ved. Pio XII e la seconda guerra mondiale, di Pierre Blet S.J., Ed. Perrin 1997). Dopo la guerra, eminenti personalità israelitiche testimoniarono del fatto che la sua azione aveva salvato la vita a decine di migliaia di persone.
«Sono contenta di tutto»
Suor Teresa Bendetta della Croce riesce ad inviare due messaggi al Convento delle Carmelitane di Echt. Il primo non comporta nè la data, nè l'indicazione del luogo. Vi si legge: «Sono contenta di tutto… L'esperienza della Croce si può acquisire solo se ci si sente veramente pesare la Croce sulle spalle. Fin dal primo istante, ne ero convinta e ho detto fra me e me: «Ave Crux, Spes unica: Ave, Croce, unica speranza!»
Il secondo messaggio, in data 6 agosto, spedito da Westerbork, baracca 36, dice: «Il primo trasporto per la Silesia o la Cecoslovacchia partirà domani mattina… Finora, ho potuto pregare meravigliosamente».
Un testimone, che ebbe la fortuna di sfuggire alla deportazione, ha scritto: «Fra i prigionieri che sono arrivati il 5 agosto al campo di Westerbork, Suor Benedetta spiccava nettamente sull'insieme con il suo atteggiamento tranquillo e calmo. Le grida, i lamenti, lo stato di sovreccitazione angosciata dei nuovi arrivati erano indescrivibili! Suor Benedetta passava fra le donne come un angelo di consolazione, calmando le une, curando le altre. Molte madri sembravano cadute in uno stato di prostrazione simile alla pazzia; rimanevano lì a gemere, come inebetite, trascurando i figli. Suor Benedetta si occupò dei piccoli, li lavò, li pettinò, procurò loro da mangiare, nonchè le cure indispensabili. Per tutto il tempo che rimase nel campo, dispensò attorno a sè un aiuto talmente caritatevole che se ne rimane completamente sconvolti». Papa Giovanni Paolo II spiega l'origine di questa grande carità quando dice: «L'amore di Cristo fu il fuoco che incendiò la vita di Teresa Benedetta della Croce… Il Verbo incarnato fu tutto per lei» (Omelia della canonizzazione, 11 ottobre 1998). La Santa aveva scritto: «Il nostro amore per il prossimo è la misura del nostro amore per Dio. Per i cristiani - e non soltanto per essi - nessuno è «straniero». L'amore di Cristo non conosce frontiere».
Il calvario di Edith Stein e della sorella Rosa, che l'accompagna fino alla fine, finisce nel campo di Auschwitz. Entrambe vi troveranno la morte il 9 agosto 1942, in un dramma straziante noto solo a Dio. Si conoscerà la data in modo certo attraverso la Gazzetta Ufficiale olandese del 16 febbraio 1950, che pubblica gli elenchi delle vittime morte in deportazione. Si sa soltanto che prima della partenza del convoglio per Auschwitz, i deportati avevano dovuto subire frequenti interrogatori e molteplici vessazioni. Il 9 agosto 1942, gli occhi della Santa si chiudono alla luce del giorno, e la sua anima si spalanca agli splendori della vita eterna.
Santa Teresa Benedetta della Croce, ora paga della gloria divina, ha saputo lasciarsi guidare dalla mano del Padre celeste. Nella sua totale fiducia in Dio, aveva composto questa bella preghiera: «Signore, lasciami camminare senza vedere sulle tue vie. Non voglio sapere dove mi conduci. Non sono tua figlia? Tu sei il padre della Sapienza ed anche mio padre. Anche se mi conduci attraverso la notte, è verso di te. Signore, avvenga quel che tu vuoi: sono pronta, anche se non mi appaghi mai in questa vita. Sei il Signore del Tempo. Compi tutto secondo i piani della tua Sapienza. Quando chiami dolcemente al sacrificio, aiutami, sì, a compierlo. Fammi superare totalmente il mio piccolo «io», affinchè, morta a me stessa, viva solo per te!»
È la grazia che noi pure chiediamo alla Santissima Vergine Maria ed a San Giuseppe, per Lei e tutti coloro che Le sono cari, vivi e defunti.
Dom Antoine Marie osb
 
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"


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