A
MARIA, Madre della tenerezza, scriveva papa Francesco, vogliamo «
affidare tutti i malati nel corpo e nello spirito, perché li
sostenga nella speranza. A lei chiediamo pure di aiutarci ad essere
accoglienti verso i fratelli infermi. La Chiesa sa di avere bisogno
di una grazia speciale per poter essere all'altezza del suo servizio
evangelico di cura per i malati» (Messaggio per la Giornata Mondiale
del Malato 2018, n° 7).
La
Vergine MARIA ha concesso a Luisa Guidotti la grazia di mettere le
sue competenze mediche al servizio dei sofferenti e di arrivare fino
a donare la propria vita per loro.
Nata
a Parma, nell'Italia centrale, il 17 maggio 1932, Luisa Guidotti
appartiene a una famiglia borghese. Suo padre è ingegnere capo di un
ufficio dell'amministrazione italiana. L'inverno trascorre a Parma e
l'estate in campagna, dove la famiglia possiede una piacevole seconda
casa. La ragazza è capricciosa e testarda. Ha solo quindici anni
quando sua madre lascia questo mondo. La famiglia si trasferisce
allora a Modena. Luisa non s'interessa alla vita mondana, ma
preferisce dedicare i suoi momenti liberi alla parrocchia,
specialmente nell'ambito della gioventù femminile dell'Azione
Cattolica, di cui diventa la presidente locale e poi la dirigente
diocesana. La sua ambizione, fin dall'infanzia, è diventare
medico-missionaria. Dopo i suoi studi secondari, s'iscrive quindi
alla facoltà di medicina di Modena. «Sono gli anni preconciliari,
scriverà in seguito, l'epoca in cui si andava prendendo coscienza
della funzione del laicato nella Chiesa : volevo andare in missione
come medico, andare per sempre, restando laica fra i laici. »
Durante
i suoi studi, in occasione di un congresso missionario, Luisa scopre
l'Associazione Femminile Medico-Missionaria (AFMM), recentemente
fondata (1954) da Adele Pignatelli. Mons. Giovanni Battista Montini,
il futuro papa Paolo VI, ha svolto un ruolo importante
nell'istituzione di questa fondazione; Adele lo aveva incontrato
quando era cappellano della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica
Italiana). Dai suoi contatti con lui era emersa gradualmente l'idea
di fondare una nuova famiglia religiosa, per medici destinati a
operare nei paesi di missione. Nel 1960, alla fine dei suoi studi,
Luisa chiede ad Adele di entrare a far parte dell'associazione come
membro ausiliario, vale a dire con un impegno temporaneo. La
fondatrice le consiglia di specializzarsi, e Luisa sceglie la
radiologia; questi studi complementari termineranno nel dicembre del
1962. Nel frattempo, Luisa apre a Modena una casa AFMM per gli
studenti provenienti dai paesi di missione; esprime anche il
desiderio di diventare membro a pieno titolo dell'associazione, ma
Adele le consiglia di aspettare. Nel 1962, durante un viaggio in
Rhodesia (ora Zimbabwe), mons. Montini visita un modesto dispensario
situato in un'immensa piantagione di canna da zucchero, nei pressi di
Chirundu. Suggerisce ad Adele di farne una missione medica; lei
accetta senza esitare. Dopo la sua elezione a Papa, nel giugno 1963,
Paolo VI riceve Adele e l'équipe missionaria destinata a Chirundu.
Il Santo Padre consegna a ciascuna un rosario e una croce; le invia a
nome della Chiesa, per rappresentare Cristo presso gli ammalati.
Luisa
non prende parte a questo viaggio. La sua formazione missionaria non
è infatti ancora completa e il suo temperamento forte rende
difficile la sua piena integrazione nel gruppo delle aspiranti
missionarie. Alla fine viene deciso che completerà la sua formazione
sul campo, in Africa. Dopo aver fatto visita ai suoi famigliari a
Modena, dove l'arcivescovo le consegna la croce di missionaria, parte
in aereo per l'emisfero australe, il 9 agosto 1966. Al suo arrivo,
scrive alla comunità rimasta a Roma: « Chirundu è magnifica!
Mettetecela tutta a studiare in modo da essere pronte a partire
presto. Le Missioni sono una cosa meravigliosa. » Patendo molto per
il caldo e le zanzare, Luisa affronta una fatica estenuante : ai
settanta pazienti ospitati, bambini o adulti, si aggiungono il
dispensario esterno, oltre ad altri tre dispensari dall'altra parte
del fiume, che occorre attraversare in piroga, con tutte le
attrezzature mediche necessarie. Fino a cento pazienti possono
presentarvisi in una sola giornata.
Preziosa
eredità
«La
memoria della lunga storia di servizio agli ammalati è motivo di
gioia per la comunità cristiana, scriveva papa Francesco.... Ma
bisogna guardare al passato soprattutto per lasciarsene arricchire.
Da esso dobbiamo imparare : la generosità fino al sacrificio totale
di molti fondatori di istituti a servizio degli infermi; la
creatività, suggerita dalla carità, di molte iniziative intraprese
nel corso dei secoli; l'impegno nella ricerca scientifica, per
offrire ai malati cure innovative e affidabili. Questa eredità del
passato aiuta a progettare bene il futuro. Ad esempio, a preservare
gli ospedali cattolici dal rischio dell'aziendalismo, che in tutto il
mondo cerca di far entrare la cura della salute nell'ambito del
mercato, finendo per scartare i poveri. L'intelligenza organizzativa
e la carità esigono piuttosto che la persona del malato venga
rispettata nella sua dignità e mantenuta sempre al centro del
processo di cura. Questi orientamenti devono essere propri anche dei
cristiani che operano nelle strutture pubbliche e che con il loro
servizio sono chiamati a dare buona testimonianza del Vangelo »
(Messaggio del 26 novembre 2017, per la Giornata Mondiale del Malato
2018, n° 51.
Dal
1965, la Rhodesia è in stato di guerra. Il governo di Ian Smith a
Salisbury ha rifiutato il processo di decolonizzazione e dichiarato
unilateralmente la sua indipendenza dall'Inghilterra. Alcuni
rhodesiani di origine africana, di ispirazione marxista, non hanno
tardato a costituire gruppi di guerriglia. In un primo tempo, è
stata progressivamente chiusa la frontiera con il vicino Zambia,
impedendo così a molti zambiani di accedere alle cure del
dispensario di Chirundu. D'altra parte, poiché la compagnia che
gestiva la piantagione ha deciso di andare in esilio in Zambia, il
dispensario si trova completamente isolato. Ridotta alla
disoccupazione, Luisa viene inviata a Salisbury per un complemento di
formazione in pediatria. Con il suo modo di presentarsi un po'
trasandato e il suo inglese disastroso, Luisa si fa notare
nell'ambito del personale medico anglofono, e ne soffre. Allora
trentaquattrenne, titolare di un diploma di medico specialista,
scrive tuttavia alla sua superiora : « Sono ancora in fase di
apprendistato (della vita in ospedale), ma, come diceva il Papa, "i
sacrifici degli inizi feconderanno il lavoro apostolico". »
Nel
1967, Luisa rientra in Italia. Con sua grande gioia, viene ammessa a
pronunciare i suoi primi voti. Tornata in Rhodesia, nel 1969, riceve
l'incarico di responsabile di un settore a Nyamaropa, che comprende
un dispensario-ospedale rurale "Regina Caeli Mission" e un
lebbrosario. Scrive: « Mi trovo molto bene a "Regina Caeli".
Sono la prima a non capire perché prima non concludessi nulla,
mentre qui tutto sembra funzionare a meraviglia. » La sua dedizione
è totale. Il dispensario ha accolto un bambino le cui condizioni
richiedono cure che non possono essere fornite sul posto. Luisa non
esita : percorre di notte circa 160 km di piste per accompagnarlo in
un centro meglio attrezzato.
Qui
manca tutto
Nel
dicembre del 1969, viene inviata a "All Souls Mission" a
Blantyre (150 km a nord di Salisbury). La missione comprende una
chiesa, in cui svolgono il loro servizio due padri gesuiti assistiti
da una piccola comunità di suore, una scuola, un dispensario e un
ospedale da campo rudimentale. Luisa scrive alle sue consorelle
dell'AFMM rimaste a Roma: « Sono arrivata alla nuova missione. Qui,
tutti sono africani, persino le suore e i preti. L'ospedale è
costituito da edifici provvisti di muri e tetti, ma non molto altro.
Sono assistita da due infermiere. Noi tre abbiamo delle conoscenze ma
poca esperienza. Qui manca tutto... sono già in arrivo 96 letti.
Quanto al denaro, non ce n'è molto, siamo costrette a fare delle
economie su tutto. Avremmo bisogno di più personale e stiamo
pensando di iniziare una scuola per formare delle infermiere. Quando
occorre fare trasfusioni, chiediamo del sangue ai parenti del
paziente. Ma nei casi in cui non è sufficiente, suore, preti,
infermiere, diventiamo tutti donatori. » Grazie a doni raccolti
dall'AFMM in Italia, Luisa può installare rapidamente l'attrezzatura
di base. Poco prima della sua morte, si procurerà un generatore
elettrico e un apparecchio a raggi X. Durante le epidemie acute di
malaria, malattia causata dalla malnutrizione cronica e dall'assenza
di giene, questo ospedale ospiterà fino a 150 pazienti. egli anni
che seguono, i contadini vengono incoraggiati ad allevare polli e
conigli per integrare il regime alimentare.
In
un'altra lettera, Luisa spiega che la cultura locale riconosce alla
donna due ruoli principali nella società : quelli di madre e di
nonna. Quando si rivolgono a lei, i pazienti di solito la chiamano
"dottoressa" e anche, a volte, in modo rispettoso e
affettuoso, "ambuya", nonna. Riferisce ancora: « In
missione la vita è semplice e piena di gioia. Il lavoro è molto e
qualche volta sono stanca, ma non cambierei questa vita con
nessun'altra. Posso dire che il Signore è stato molto buono con
me... Io amo la mia gente,... i miei malati ed anche loro amano me,
ma questo amore in ambo i lati deve crescere fino alla pienezza
dell'amore di Cristo. » Nel 1975, nonostante diverse opinioni
contrarie, Adele Pignatelli, la superiora generale, ammette Luisa
all'impegno definitivo nella comunità, per la sua più grande gioia.
Da quel momento in poi, la sua dedizione non fa che aumentare. La
mette anche al servizio dei lebbrosi di Mtemwa, a quindici chilometri
da Blantyre, dove manifesta in pienezza il suo ruolo missionario,
porta la gioia di Cristo e trascina gli altri ad amarlo e a donarsi a
Lui.
All'inizio
degli anni '60, c'erano a Mtemwa circa 600 lebbrosi, ben curati. In
seguito, una nuova terapia aveva consentito di guarire la maggior
parte dei casi, senza eliminare le terribili devastazioni già
prodotte dalla malattia. Il governo aveva allora deciso di rinviare a
casa i malati guariti e di smantellare le infrastrutture. Tuttavia,
settanta ex pazienti non trovarono nessuno che li accogliesse. Venne
loro assegnata una piccola somma per il nutrimento e fu messo a capo
del villaggio un guardiano. Questi, però, si rivelò un uomo senza
cuore. A poco a poco, ognuno si era ripiegato nella solitudine della
sua miseria. Informato di questa situazione, il superiore locale dei
gesuiti ottenne che il guardiano venisse licenziato senza indugio e
trovò per sostituirlo un personaggio piuttosto eccezionale : John
Bradbume. Discendente di Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo,
ex ufficiale dell'esercito britannico, egli aveva combattuto in
Malesia e in Birmania contro i giapponesi. Segnato da esperienze
terribili, era diventato pellegrino-eremita, viaggiando molto, finché
la Provvidenza lo aveva condotto a Mtemwa. Immediatamente, provò il
desiderio di dedicarsi ai miseri lebbrosi: « Io, l'eterno reietto,
dice a se stesso, qui almeno verrò accolto in mezzo a questi
reietti. » Nominato guardiano, questo «vagabondo di Dio » portò
il calore umano che a loro mancava.
Una
bella collaborazione
Dopo
aver sistemato il suo ospedale-dispensano a Blantyre, Luisa si mette
a esplorare il suo territorio e scopre contemporaneamente il
lebbrosario e il suo capo, John Bradburne. I primi contatti non sono
facili. Luisa ha spesso atteggiamenti un po' bruschi,
persino—autoritari, e John, a causa delle sue passate esperienze, è
diventato molto sensibile. Ben presto, arrivano a conoscersi meglio e
inizia una bella collaborazione. Luisa visita gli abitanti del
villaggio, uno per uno, e scopre che venti di loro sono ancora malati
e contagiosi; quanto a quelli che sono guariti, soffrono di varie
malattie, ma molti non hanno mai avuto la lebbra!
Frequentando
la scuola della missione come allieva, una ragazza, Elizabeth, entra
in contatto con il gruppo di coloro che si prodigano accanto a Luisa,
e li aiuta occasionalmente. Ma la sua sensibilità troppo grande nei
confronti dei malati ostacola la sua ammissione. La prima volta che
viene condotta al lebbrosario, è talmente commossa che, per sei
mesi, rifiuta di tornarvi. In seguito, riesce a dominarsi
completamente, fino al punto da poter essere ammessa nella comunità
AFMM. Indigena, è di grande aiuto, soprattutto per superare le
difficoltà di comunicazione tra le persone. Grazie a lei, il
gruppetto trasmette al lebbrosario il calore umano e l'amore divino.
Gli abitanti della città vicina sono stupefatti quando vedono
passare la jeep di Luisa piena di lebbrosi che vengono condotti
all'ospedale per esami: cantano e battono le mani felici ! Luisa
scrive : « Ora, ho una serenità e una gioia che non avrei mai
potuto immaginare. Il Signore è buono. Io non lo sono affatto, ma è
nella mia povertà che mi ha raggiunta più intensamente la sua
forza... Sono molto più contenta ora di quando avevo vent'anni. »
Avere
a cuore i malati
Verso
questo periodo, si presenta alla missione padre David Gibs, nato da
genitori europei e cresciuto in Rhodesia. È appena stato ordinato
prete e la sua prima missione è "All Souls", dove arriva
nel 1975. Descrive Luisa come non molto abbordabile « con i capelli
tirati e annodati sulla nuca, gli abiti sempre scuri ». Questa prima
impressione scompare senza indugio : Luisa è in realtà alla mano e
ha un carattere affettuoso, è sempre pronta a "chiacchierare",
senza preoccuparsi del lavoro che resta da fare. Aiuta le persone,
sia come medico attento che come consigliera affettuosa. «Era
totalmente disorganizzata, egli dichiarerà: il tempo per lei non
esisteva. Se si immergeva nella lettura di un articolo medico, o
studiava i modi per migliorare la qualità delle cure alla missione,
nulla poteva distrarla e i pazienti dovevano aspettarla talvolta per
ore. Quando finalmente si presentava, vedeva tutti i pazienti uno per
uno, senza preoccuparsi del tempo. Alla fine, nessuno si irritava per
i suoi ritardi... Ogni volta che era in ritardo, si scusava con una
tale umiltà che si era costretti a perdonarla... La sua abilità
come medico era eccezionale. Non ho mai conosciuto nessuno che abbia
avuto tanto a cuore i malati quanto Luisa. Niente era troppo
stancante per lei; non l'ho mai vista rifiutare di aiutare qualcuno,
qualunque fosse la persona o l'ora. Spesso dormiva poche ore per
notte. »
«A
volte, andavamo in un piccolo dispensario gestito da una suora
africana. Non appena saliva sull'autobus affollato, tutti la
salutavano e spesso era un uomo piuttosto anziano che le cedeva il
suo posto. Tutti erano contenti di vederla; la maggior parte aveva
beneficiato delle sue cure, o di persona, oppure per parenti o amici.
Subito si formava attorno a Luisa come una famiglia gioiosa, di cui
lei era la madre. Fu la mia impressione su di lei : una donna
profondamente vivace e felice, che amava la gente, amava la sua
professione e il suo ruolo di missionaria, disposta a soffrire
qualsiasi fatica per servire quelle persone che amava. Il viaggio di
cinque ore in autobus era stancante, ma bisognava ancora camminare
per raggiungere il dispensario. Luisa si metteva immediatamente al
lavoro, attenta a ognuno dei pazienti, che avevano talvolta camminato
per molti chilometri. Dopo aver curato l'ultimo di loro, andava a
dormire e si alzava di nuovo alle quattro e mezza del mattino, per
riprendere l'autobus del ritorno alle sei e ricominciare in un altro
punto... Insegnava anche alla scuola delle infermiere. »
Nel
frattempo, la ribellione comunista si va diffondendo. Già nel 1972,
il superiore della missione aveva proibito a Luisa e alle sue
collaboratrici la visita di alcuni villaggi lontani, considerata
troppo pericolosa. A volte si sentono degli spari non lontano dalla
missione. Luisa scrive alla sua superiora di Roma: « Siamo serene e,
per il momento, non abbiamo paura: il Signore è il mio pastore: non
manco di nulla (Sal 22). La frase che Lei mi ha inviata mi ha fatto
molto bene: «Siate prudenti, ma la carità prevale sulla prudenza."
» E anche: «Mi sembra che la nostra presenza sia importante. La
giovane comunità cristiana della Rhodesia deve sentire che la Chiesa
le è vicina quando la gente soffre, e che non è legata a nessun
sistema politico. »
Nel
maggio del 1976, la missione si trova in piena zona di guerra:
combattimenti, elicotteri militari che la sorvolano... persone, e
persino famiglie, colpite da mine antiuomo piazzate in modo
irresponsabile. Il 24 giugno, un giovane, ferito da pallottole, viene
portato alla missione. Luisa e le altre persone si prendono cura di
lui senza fare domande. Poco tempo dopo, egli parte a piedi,
accompagnato da un Fratello per recarsi in un ospedale meglio
attrezzato. Lungo la strada, viene arrestato e sospettato di essere
un ribelle. Poco dopo, la polizia si presenta alla missione e accusa
il personale sanitario di aiutare i ribelli invece di denunciarli
come terroristi. Quattro giorni dopo, arriva un distaccamento
completo della polizia. Luisa viene arrestata. Dopo aver trascorso
momenti molto penosi, anche se trattata fisicamente bene, viene
rimessa in libertà provvisoria grazie a molteplici interventi, tra
cui quello di papa Paolo VI stesso che, informato dei fatti,
intervenne prima del processo.
Solitudine
morale
In
attesa del suo processo, Luisa rientra trionfalmente alla missione.
Il villaggio viene dichiarato "protetto" dalle forze
governative e circondato da filo spinato; un contingente militare vi
dimora stabilmente. Avvengono tuttavia dei combattimenti, anche nel
villaggio, in occasione di irruzioni di ribelli. Questi ultimi
cercano di risparmiare gli edifici dell'ospedale, senza sempre
riuscirvi. Alcuni profughi cercano rifugio nel villaggio; la Croce
Rossa interviene e nutre fino a 7.000 persone in questo « asilo
protetto ». Nel mese di febbraio del 1977, sette missionari vengono
assassinati in una zona piuttosto lontana dalla missione; la guerra
civile infuria. La missione subisce vessazioni da parte della
polizia, perché è sospettata di dare aiuti (medici) ai ribelli. Una
volta, Luisa dice al capo della polizia: « Curerei anche Lei, se
avesse un attacco di cuore in mia presenza : sappia che sono medico.
» Nel 1978, cura la madre di Robert Mugabe, capo dei ribelli
comunisti e futuro dittatore dello Zimbabwe. Nonostante tutta la
discrezione che circonda questo ricovero, Luisa ne subisce le
conseguenze. Nel 1979, la maggior parte delle persone vengono
evacuate verso zone meno pericolose; Luisa rifiuta di seguirle,
nonostante l'invito che le rivolge la sua superiora generale, che non
vuole però darle l'ordine di partire per non provocare in lei una
crisi di coscienza. Luisa si trova allora in una grande solitudine
morale, nonostante il sostegno fedele di padre Gibs, rimasto anche
lui sul posto. Due mesi prima della sua morte, scrive a un'amica: «È
duro rimanere sola, senza nessuno con cui parlare. A volte, ho
l'impressione di essere inutile e di non essere amata. Poi la
tristezza e la rabbia passano. Bisognerebbe forse che io imparassi a
contare solo su Dio. Ho cercato di arrivare a questa fiducia e,
inaspettatamente, ho sperimentato la Sua presenza vera, sebbene
misteriosa. Possono spararmi, ma Dio è con me. » Un altro giorno
scrive : «È bello darsi ogni giorno un po' di più, essere
completamente e con fiducia nelle mani del Padre e chiedere allo
Spirito Santo che è in noi di insegnarci a fare la volontà del
Padre. »
Il
6 luglio 1979, mentre accompagna in ambulanza un malato verso un
ospedale, nonostante i consigli di tutti, il veicolo viene fermato a
un posto di blocco militare « per controllo ». Improvvisamente,
esplode una raffica di mitragliatrice: Luisa è ferita a morte. Muore
poche ore dopo, prima di arrivare all'ospedale. Il processo di
beatificazione di Luisa è terminato a livello diocesano e i
documenti sono stati inviati alla Congregazione delle Cause dei
Santi.
«La
preghiera alla Madre del Signore ci veda tutti uniti in una
insistente supplica, perché ogni membro della Chiesa viva con amore
la vocazione al servizio della vita e della salute, scriveva papa
Francesco. La Vergine MARIA... aiuti le persone ammalate a vivere la
propria sofferenza in comunione con il Signore GESÙ e sostenga
coloro che di essi si prendono cura. » (Papa Francesco, Messaggio
per la Giornata Mondiale del Malato 2018, n° 7).
Tratto
da: "Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
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