giovedì 10 ottobre 2019

Serva di Dio Luisa Guidotti - Laica consacrata e medico missionaria - 40 anni fa il suo martirio



A MARIA, Madre della tenerezza, scriveva papa Francesco, vogliamo « affidare tutti i malati nel corpo e nello spirito, perché li sostenga nella speranza. A lei chiediamo pure di aiutarci ad essere accoglienti verso i fratelli infermi. La Chiesa sa di avere bisogno di una grazia speciale per poter essere all'altezza del suo servizio evangelico di cura per i malati» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato 2018, n° 7).
La Vergine MARIA ha concesso a Luisa Guidotti la grazia di mettere le sue competenze mediche al servizio dei sofferenti e di arrivare fino a donare la propria vita per loro.

Nata a Parma, nell'Italia centrale, il 17 maggio 1932, Luisa Guidotti appartiene a una famiglia borghese. Suo padre è ingegnere capo di un ufficio dell'amministrazione italiana. L'inverno trascorre a Parma e l'estate in campagna, dove la famiglia possiede una piacevole seconda casa. La ragazza è capricciosa e testarda. Ha solo quindici anni quando sua madre lascia questo mondo. La famiglia si trasferisce allora a Modena. Luisa non s'interessa alla vita mondana, ma preferisce dedicare i suoi momenti liberi alla parrocchia, specialmente nell'ambito della gioventù femminile dell'Azione Cattolica, di cui diventa la presidente locale e poi la dirigente diocesana. La sua ambizione, fin dall'infanzia, è diventare medico-missionaria. Dopo i suoi studi secondari, s'iscrive quindi alla facoltà di medicina di Modena. «Sono gli anni preconciliari, scriverà in seguito, l'epoca in cui si andava prendendo coscienza della funzione del laicato nella Chiesa : volevo andare in missione come medico, andare per sempre, restando laica fra i laici. »
Medici per la missione
Durante i suoi studi, in occasione di un congresso missionario, Luisa scopre l'Associazione Femminile Medico-Missionaria (AFMM), recentemente fondata (1954) da Adele Pignatelli. Mons. Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI, ha svolto un ruolo importante nell'istituzione di questa fondazione; Adele lo aveva incontrato quando era cappellano della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana). Dai suoi contatti con lui era emersa gradualmente l'idea di fondare una nuova famiglia religiosa, per medici destinati a operare nei paesi di missione. Nel 1960, alla fine dei suoi studi, Luisa chiede ad Adele di entrare a far parte dell'associazione come membro ausiliario, vale a dire con un impegno temporaneo. La fondatrice le consiglia di specializzarsi, e Luisa sceglie la radiologia; questi studi complementari termineranno nel dicembre del 1962. Nel frattempo, Luisa apre a Modena una casa AFMM per gli studenti provenienti dai paesi di missione; esprime anche il desiderio di diventare membro a pieno titolo dell'associazione, ma Adele le consiglia di aspettare. Nel 1962, durante un viaggio in Rhodesia (ora Zimbabwe), mons. Montini visita un modesto dispensario situato in un'immensa piantagione di canna da zucchero, nei pressi di Chirundu. Suggerisce ad Adele di farne una missione medica; lei accetta senza esitare. Dopo la sua elezione a Papa, nel giugno 1963, Paolo VI riceve Adele e l'équipe missionaria destinata a Chirundu. Il Santo Padre consegna a ciascuna un rosario e una croce; le invia a nome della Chiesa, per rappresentare Cristo presso gli ammalati.
Luisa non prende parte a questo viaggio. La sua formazione missionaria non è infatti ancora completa e il suo temperamento forte rende difficile la sua piena integrazione nel gruppo delle aspiranti missionarie. Alla fine viene deciso che completerà la sua formazione sul campo, in Africa. Dopo aver fatto visita ai suoi famigliari a Modena, dove l'arcivescovo le consegna la croce di missionaria, parte in aereo per l'emisfero australe, il 9 agosto 1966. Al suo arrivo, scrive alla comunità rimasta a Roma: « Chirundu è magnifica! Mettetecela tutta a studiare in modo da essere pronte a partire presto. Le Missioni sono una cosa meravigliosa. » Patendo molto per il caldo e le zanzare, Luisa affronta una fatica estenuante : ai settanta pazienti ospitati, bambini o adulti, si aggiungono il dispensario esterno, oltre ad altri tre dispensari dall'altra parte del fiume, che occorre attraversare in piroga, con tutte le attrezzature mediche necessarie. Fino a cento pazienti possono presentarvisi in una sola giornata.
Preziosa eredità
«La memoria della lunga storia di servizio agli ammalati è motivo di gioia per la comunità cristiana, scriveva papa Francesco.... Ma bisogna guardare al passato soprattutto per lasciarsene arricchire. Da esso dobbiamo imparare : la generosità fino al sacrificio totale di molti fondatori di istituti a servizio degli infermi; la creatività, suggerita dalla carità, di molte iniziative intraprese nel corso dei secoli; l'impegno nella ricerca scientifica, per offrire ai malati cure innovative e affidabili. Questa eredità del passato aiuta a progettare bene il futuro. Ad esempio, a preservare gli ospedali cattolici dal rischio dell'aziendalismo, che in tutto il mondo cerca di far entrare la cura della salute nell'ambito del mercato, finendo per scartare i poveri. L'intelligenza organizzativa e la carità esigono piuttosto che la persona del malato venga rispettata nella sua dignità e mantenuta sempre al centro del processo di cura. Questi orientamenti devono essere propri anche dei cristiani che operano nelle strutture pubbliche e che con il loro servizio sono chiamati a dare buona testimonianza del Vangelo » (Messaggio del 26 novembre 2017, per la Giornata Mondiale del Malato 2018, n° 51.
Dal 1965, la Rhodesia è in stato di guerra. Il governo di Ian Smith a Salisbury ha rifiutato il processo di decolonizzazione e dichiarato unilateralmente la sua indipendenza dall'Inghilterra. Alcuni rhodesiani di origine africana, di ispirazione marxista, non hanno tardato a costituire gruppi di guerriglia. In un primo tempo, è stata progressivamente chiusa la frontiera con il vicino Zambia, impedendo così a molti zambiani di accedere alle cure del dispensario di Chirundu. D'altra parte, poiché la compagnia che gestiva la piantagione ha deciso di andare in esilio in Zambia, il dispensario si trova completamente isolato. Ridotta alla disoccupazione, Luisa viene inviata a Salisbury per un complemento di formazione in pediatria. Con il suo modo di presentarsi un po' trasandato e il suo inglese disastroso, Luisa si fa notare nell'ambito del personale medico anglofono, e ne soffre. Allora trentaquattrenne, titolare di un diploma di medico specialista, scrive tuttavia alla sua superiora : « Sono ancora in fase di apprendistato (della vita in ospedale), ma, come diceva il Papa, "i sacrifici degli inizi feconderanno il lavoro apostolico". »
Nel 1967, Luisa rientra in Italia. Con sua grande gioia, viene ammessa a pronunciare i suoi primi voti. Tornata in Rhodesia, nel 1969, riceve l'incarico di responsabile di un settore a Nyamaropa, che comprende un dispensario-ospedale rurale "Regina Caeli Mission" e un lebbrosario. Scrive: « Mi trovo molto bene a "Regina Caeli". Sono la prima a non capire perché prima non concludessi nulla, mentre qui tutto sembra funzionare a meraviglia. » La sua dedizione è totale. Il dispensario ha accolto un bambino le cui condizioni richiedono cure che non possono essere fornite sul posto. Luisa non esita : percorre di notte circa 160 km di piste per accompagnarlo in un centro meglio attrezzato.
Qui manca tutto
Nel dicembre del 1969, viene inviata a "All Souls Mission" a Blantyre (150 km a nord di Salisbury). La missione comprende una chiesa, in cui svolgono il loro servizio due padri gesuiti assistiti da una piccola comunità di suore, una scuola, un dispensario e un ospedale da campo rudimentale. Luisa scrive alle sue consorelle dell'AFMM rimaste a Roma: « Sono arrivata alla nuova missione. Qui, tutti sono africani, persino le suore e i preti. L'ospedale è costituito da edifici provvisti di muri e tetti, ma non molto altro. Sono assistita da due infermiere. Noi tre abbiamo delle conoscenze ma poca esperienza. Qui manca tutto... sono già in arrivo 96 letti. Quanto al denaro, non ce n'è molto, siamo costrette a fare delle economie su tutto. Avremmo bisogno di più personale e stiamo pensando di iniziare una scuola per formare delle infermiere. Quando occorre fare trasfusioni, chiediamo del sangue ai parenti del paziente. Ma nei casi in cui non è sufficiente, suore, preti, infermiere, diventiamo tutti donatori. » Grazie a doni raccolti dall'AFMM in Italia, Luisa può installare rapidamente l'attrezzatura di base. Poco prima della sua morte, si procurerà un generatore elettrico e un apparecchio a raggi X. Durante le epidemie acute di malaria, malattia causata dalla malnutrizione cronica e dall'assenza di giene, questo ospedale ospiterà fino a 150 pazienti. egli anni che seguono, i contadini vengono incoraggiati ad allevare polli e conigli per integrare il regime alimentare.
In un'altra lettera, Luisa spiega che la cultura locale riconosce alla donna due ruoli principali nella società : quelli di madre e di nonna. Quando si rivolgono a lei, i pazienti di solito la chiamano "dottoressa" e anche, a volte, in modo rispettoso e affettuoso, "ambuya", nonna. Riferisce ancora: « In missione la vita è semplice e piena di gioia. Il lavoro è molto e qualche volta sono stanca, ma non cambierei questa vita con nessun'altra. Posso dire che il Signore è stato molto buono con me... Io amo la mia gente,... i miei malati ed anche loro amano me, ma questo amore in ambo i lati deve crescere fino alla pienezza dell'amore di Cristo. » Nel 1975, nonostante diverse opinioni contrarie, Adele Pignatelli, la superiora generale, ammette Luisa all'impegno definitivo nella comunità, per la sua più grande gioia. Da quel momento in poi, la sua dedizione non fa che aumentare. La mette anche al servizio dei lebbrosi di Mtemwa, a quindici chilometri da Blantyre, dove manifesta in pienezza il suo ruolo missionario, porta la gioia di Cristo e trascina gli altri ad amarlo e a donarsi a Lui.
All'inizio degli anni '60, c'erano a Mtemwa circa 600 lebbrosi, ben curati. In seguito, una nuova terapia aveva consentito di guarire la maggior parte dei casi, senza eliminare le terribili devastazioni già prodotte dalla malattia. Il governo aveva allora deciso di rinviare a casa i malati guariti e di smantellare le infrastrutture. Tuttavia, settanta ex pazienti non trovarono nessuno che li accogliesse. Venne loro assegnata una piccola somma per il nutrimento e fu messo a capo del villaggio un guardiano. Questi, però, si rivelò un uomo senza cuore. A poco a poco, ognuno si era ripiegato nella solitudine della sua miseria. Informato di questa situazione, il superiore locale dei gesuiti ottenne che il guardiano venisse licenziato senza indugio e trovò per sostituirlo un personaggio piuttosto eccezionale : John Bradbume. Discendente di Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo, ex ufficiale dell'esercito britannico, egli aveva combattuto in Malesia e in Birmania contro i giapponesi. Segnato da esperienze terribili, era diventato pellegrino-eremita, viaggiando molto, finché la Provvidenza lo aveva condotto a Mtemwa. Immediatamente, provò il desiderio di dedicarsi ai miseri lebbrosi: « Io, l'eterno reietto, dice a se stesso, qui almeno verrò accolto in mezzo a questi reietti. » Nominato guardiano, questo «vagabondo di Dio » portò il calore umano che a loro mancava.
Una bella collaborazione
Dopo aver sistemato il suo ospedale-dispensano a Blantyre, Luisa si mette a esplorare il suo territorio e scopre contemporaneamente il lebbrosario e il suo capo, John Bradburne. I primi contatti non sono facili. Luisa ha spesso atteggiamenti un po' bruschi, persino—autoritari, e John, a causa delle sue passate esperienze, è diventato molto sensibile. Ben presto, arrivano a conoscersi meglio e inizia una bella collaborazione. Luisa visita gli abitanti del villaggio, uno per uno, e scopre che venti di loro sono ancora malati e contagiosi; quanto a quelli che sono guariti, soffrono di varie malattie, ma molti non hanno mai avuto la lebbra!
Frequentando la scuola della missione come allieva, una ragazza, Elizabeth, entra in contatto con il gruppo di coloro che si prodigano accanto a Luisa, e li aiuta occasionalmente. Ma la sua sensibilità troppo grande nei confronti dei malati ostacola la sua ammissione. La prima volta che viene condotta al lebbrosario, è talmente commossa che, per sei mesi, rifiuta di tornarvi. In seguito, riesce a dominarsi completamente, fino al punto da poter essere ammessa nella comunità AFMM. Indigena, è di grande aiuto, soprattutto per superare le difficoltà di comunicazione tra le persone. Grazie a lei, il gruppetto trasmette al lebbrosario il calore umano e l'amore divino. Gli abitanti della città vicina sono stupefatti quando vedono passare la jeep di Luisa piena di lebbrosi che vengono condotti all'ospedale per esami: cantano e battono le mani felici ! Luisa scrive : « Ora, ho una serenità e una gioia che non avrei mai potuto immaginare. Il Signore è buono. Io non lo sono affatto, ma è nella mia povertà che mi ha raggiunta più intensamente la sua forza... Sono molto più contenta ora di quando avevo vent'anni. »
Avere a cuore i malati
Verso questo periodo, si presenta alla missione padre David Gibs, nato da genitori europei e cresciuto in Rhodesia. È appena stato ordinato prete e la sua prima missione è "All Souls", dove arriva nel 1975. Descrive Luisa come non molto abbordabile « con i capelli tirati e annodati sulla nuca, gli abiti sempre scuri ». Questa prima impressione scompare senza indugio : Luisa è in realtà alla mano e ha un carattere affettuoso, è sempre pronta a "chiacchierare", senza preoccuparsi del lavoro che resta da fare. Aiuta le persone, sia come medico attento che come consigliera affettuosa. «Era totalmente disorganizzata, egli dichiarerà: il tempo per lei non esisteva. Se si immergeva nella lettura di un articolo medico, o studiava i modi per migliorare la qualità delle cure alla missione, nulla poteva distrarla e i pazienti dovevano aspettarla talvolta per ore. Quando finalmente si presentava, vedeva tutti i pazienti uno per uno, senza preoccuparsi del tempo. Alla fine, nessuno si irritava per i suoi ritardi... Ogni volta che era in ritardo, si scusava con una tale umiltà che si era costretti a perdonarla... La sua abilità come medico era eccezionale. Non ho mai conosciuto nessuno che abbia avuto tanto a cuore i malati quanto Luisa. Niente era troppo stancante per lei; non l'ho mai vista rifiutare di aiutare qualcuno, qualunque fosse la persona o l'ora. Spesso dormiva poche ore per notte. »
«A volte, andavamo in un piccolo dispensario gestito da una suora africana. Non appena saliva sull'autobus affollato, tutti la salutavano e spesso era un uomo piuttosto anziano che le cedeva il suo posto. Tutti erano contenti di vederla; la maggior parte aveva beneficiato delle sue cure, o di persona, oppure per parenti o amici. Subito si formava attorno a Luisa come una famiglia gioiosa, di cui lei era la madre. Fu la mia impressione su di lei : una donna profondamente vivace e felice, che amava la gente, amava la sua professione e il suo ruolo di missionaria, disposta a soffrire qualsiasi fatica per servire quelle persone che amava. Il viaggio di cinque ore in autobus era stancante, ma bisognava ancora camminare per raggiungere il dispensario. Luisa si metteva immediatamente al lavoro, attenta a ognuno dei pazienti, che avevano talvolta camminato per molti chilometri. Dopo aver curato l'ultimo di loro, andava a dormire e si alzava di nuovo alle quattro e mezza del mattino, per riprendere l'autobus del ritorno alle sei e ricominciare in un altro punto... Insegnava anche alla scuola delle infermiere. »
Nel frattempo, la ribellione comunista si va diffondendo. Già nel 1972, il superiore della missione aveva proibito a Luisa e alle sue collaboratrici la visita di alcuni villaggi lontani, considerata troppo pericolosa. A volte si sentono degli spari non lontano dalla missione. Luisa scrive alla sua superiora di Roma: « Siamo serene e, per il momento, non abbiamo paura: il Signore è il mio pastore: non manco di nulla (Sal 22). La frase che Lei mi ha inviata mi ha fatto molto bene: «Siate prudenti, ma la carità prevale sulla prudenza." » E anche: «Mi sembra che la nostra presenza sia importante. La giovane comunità cristiana della Rhodesia deve sentire che la Chiesa le è vicina quando la gente soffre, e che non è legata a nessun sistema politico. »
Nel maggio del 1976, la missione si trova in piena zona di guerra: combattimenti, elicotteri militari che la sorvolano... persone, e persino famiglie, colpite da mine antiuomo piazzate in modo irresponsabile. Il 24 giugno, un giovane, ferito da pallottole, viene portato alla missione. Luisa e le altre persone si prendono cura di lui senza fare domande. Poco tempo dopo, egli parte a piedi, accompagnato da un Fratello per recarsi in un ospedale meglio attrezzato. Lungo la strada, viene arrestato e sospettato di essere un ribelle. Poco dopo, la polizia si presenta alla missione e accusa il personale sanitario di aiutare i ribelli invece di denunciarli come terroristi. Quattro giorni dopo, arriva un distaccamento completo della polizia. Luisa viene arrestata. Dopo aver trascorso momenti molto penosi, anche se trattata fisicamente bene, viene rimessa in libertà provvisoria grazie a molteplici interventi, tra cui quello di papa Paolo VI stesso che, informato dei fatti, intervenne prima del processo.
Solitudine morale
In attesa del suo processo, Luisa rientra trionfalmente alla missione. Il villaggio viene dichiarato "protetto" dalle forze governative e circondato da filo spinato; un contingente militare vi dimora stabilmente. Avvengono tuttavia dei combattimenti, anche nel villaggio, in occasione di irruzioni di ribelli. Questi ultimi cercano di risparmiare gli edifici dell'ospedale, senza sempre riuscirvi. Alcuni profughi cercano rifugio nel villaggio; la Croce Rossa interviene e nutre fino a 7.000 persone in questo « asilo protetto ». Nel mese di febbraio del 1977, sette missionari vengono assassinati in una zona piuttosto lontana dalla missione; la guerra civile infuria. La missione subisce vessazioni da parte della polizia, perché è sospettata di dare aiuti (medici) ai ribelli. Una volta, Luisa dice al capo della polizia: « Curerei anche Lei, se avesse un attacco di cuore in mia presenza : sappia che sono medico. » Nel 1978, cura la madre di Robert Mugabe, capo dei ribelli comunisti e futuro dittatore dello Zimbabwe. Nonostante tutta la discrezione che circonda questo ricovero, Luisa ne subisce le conseguenze. Nel 1979, la maggior parte delle persone vengono evacuate verso zone meno pericolose; Luisa rifiuta di seguirle, nonostante l'invito che le rivolge la sua superiora generale, che non vuole però darle l'ordine di partire per non provocare in lei una crisi di coscienza. Luisa si trova allora in una grande solitudine morale, nonostante il sostegno fedele di padre Gibs, rimasto anche lui sul posto. Due mesi prima della sua morte, scrive a un'amica: «È duro rimanere sola, senza nessuno con cui parlare. A volte, ho l'impressione di essere inutile e di non essere amata. Poi la tristezza e la rabbia passano. Bisognerebbe forse che io imparassi a contare solo su Dio. Ho cercato di arrivare a questa fiducia e, inaspettatamente, ho sperimentato la Sua presenza vera, sebbene misteriosa. Possono spararmi, ma Dio è con me. » Un altro giorno scrive : «È bello darsi ogni giorno un po' di più, essere completamente e con fiducia nelle mani del Padre e chiedere allo Spirito Santo che è in noi di insegnarci a fare la volontà del Padre. »
Il 6 luglio 1979, mentre accompagna in ambulanza un malato verso un ospedale, nonostante i consigli di tutti, il veicolo viene fermato a un posto di blocco militare « per controllo ». Improvvisamente, esplode una raffica di mitragliatrice: Luisa è ferita a morte. Muore poche ore dopo, prima di arrivare all'ospedale. Il processo di beatificazione di Luisa è terminato a livello diocesano e i documenti sono stati inviati alla Congregazione delle Cause dei Santi.

«La preghiera alla Madre del Signore ci veda tutti uniti in una insistente supplica, perché ogni membro della Chiesa viva con amore la vocazione al servizio della vita e della salute, scriveva papa Francesco. La Vergine MARIA... aiuti le persone ammalate a vivere la propria sofferenza in comunione con il Signore GESÙ e sostenga coloro che di essi si prendono cura. » (Papa Francesco, Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato 2018, n° 7).

Tratto da: "Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)"

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