giovedì 8 ottobre 2015

Beato Giovanni Enrico Newman Cardinale - Londra, Regno Unito, 21 febbraio 1801 – Birmingham, Regno Unito, 11 agosto 1890 - Tema: Anglicanesimo - Conversione - Chiesa cattolica




U n Pastore presbiteriano americano, convertito al cattolicesimo nel 1990, si sentì un giorno obiettare: «Lei si è fatto cattolico per il denaro. – No, non per il denaro, rispose, ma per le ricchezze!» Un altro Pastore, convertito poco più tardi, precisa quest'affermazione: «Noi convertiti siamo stati arricchiti al di là delle nostre speranze!... L'angoscia patita non è degna di paragone con le ricchezze acquisite: la Santa Eucaristia, il Papa, il Magistero, i sacramenti, Maria, i santi – lo splendore di Cristo riflesso nella sua Chiesa. Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo, mio Signore (Fil. 3, 8)». Nel corso della storia, sono numerosi coloro che, nati fuori della vera Chiesa di Cristo, sono riusciti, con l'aiuto della grazia, a trovare la via della verità totale. Fra di essi, Giovanni Enrico Newman occupa un posto eminente.
Nato il 21 febbraio 1801, il giovane Giovanni Enrico, figlio di un banchiere londinese, riceve dalla madre, discendente da protestanti francesi, un'educazione religiosa totalmente impregnata di calvinismo. Pieno di prevenzioni contro il cattolicesimo, crede fermamente che il Papa sia l'Anticristo. Tuttavia, a quindici anni, mentre inizia gli studi presso la scuola superiore di Ealing, vicino a Londra, avviene nel suo spirito un serio mutamento, grazie ad una luce venuta dall'alto. «Per la prima volta, scrive, risentii l'influenza di un credo determinato, e fui conscio di quel che è un dogma, impressione che, grazie a Dio, non si è mai cancellata nè offuscata». Inoltre, un'idea di divergenza con il protestantesimo s'insinua in lui: si sente chiamato da Dio a vivere nel celibato. Pertanto, scartando qualsiasi pensiero di matrimonio, si risolve a vivere celibe e ad abbracciare la carriera ecclesiastica nella Chiesa anglicana.
Primo vicario di Cristo

Studente precoce, viene ammesso all'Università di Oxford all'età di sedici anni. Appassionato di lettura, interessato da tutti i generi di conoscenza, studia con piacere la storia, le lingue orientali, la poesia e la matematica. Cultore di musica, si distrae volentieri suonando il violino. È uno spirito aperto, che si dedica a tutto con il medesimo zelo. Fin da quell'epoca, si immerge con piacere nella meditazione delle realtà invisibili, si sforza con ardore di fare del bene e di conoscere la verità. «Il dramma interiore che segnò la lunga vita di Giovanni Enrico Newman si aggirò intorno alla questione della santità e dell'unione con Cristo. Il suo più ardente desiderio era quello di conoscere e di compiere la volontà di Dio» (Giovanni Paolo II, discorso in occasione del centenario della morte di G. E. Newman, nel 1990). Quest'aspirazione si concretizzerà nel corso della sua vita attraverso una grande docilità nel seguire la voce della coscienza. Scriverà: «La coscienza è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza (...). Essa è la messaggera di Colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia, ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo» (Lettera citata nel Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 1778). Infatti, in fondo alla propria coscienza, l'uomo scopre la presenza di una legge che non si è data lui medesimo, ma alla quale è tenuto ad ubbidire; tale voce lo spinge ad amare, a compiere il bene e ad evitare il male. Tuttavia, la coscienza deve essere informata ed educata, durante tutta la vita, alla luce della Parola di Dio, ma anche prendendo «seriamente in considerazione la santa e sicura dottrina della Chiesa. Infatti, per volontà di Cristo, la Chiesa cattolica è maestra di verità» (Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanæ, n. 14).
Nel 1820, il giovane studente ottiene il grado di baccelliere in Arte, e, due anni dopo, è nominato fellow (distinzione conferita al fior fiore dei diplomati di ciascun istituto) dell'istituto Oriel, il che gli apre immediatamente le porte della società più raffinata di Oxford. Nel 1828, gli viene attribuito un posto di tutore, vale a dire che è incaricato in pari tempo dell'insegnamento letterario e dell'educazione morale degli studenti. A contatto con gli altri fellows, il giovane Newman subisce l'influenza delle idee dell'epoca: fiducia eccessiva nel mondo e nella libertà umana, senza tener conto di freni e di leggi. Scriverà: «Cominciai a mettere la superiorità intellettuale al di sopra di quella morale; me ne andavo alla deriva». Grazie alla buona influenza di un amico, Hurrel Froude, Newman si allontana da quella funesta via. Ordinato diacono della Chiesa anglicana fin dal 1824, diventa ben presto vicario della chiesa di San Clemente di Oxford, in attesa di diventare curato di San Mary's, la chiesa dell'Università (1828).
La Chiesa di cui egli è membro è allora in piena crisi. Dopo circa tre secoli di persecuzione del cattolicesimo, la religione ufficiale dell'Inghilterra è incontestata, ma ormai languente e senza vita. Il clero, mosso da viste puramente umane, si preoccupa di cumulare benefici redditizi, senza pensare che dovrebbe dare un'orientazione spirituale, esercitare un'azione apostolica. Il culto non ha più fulgore nè dignità. La Chiesa anglicana sembra essere meno la guardiana della fede religiosa che si impone alla ragione ed illumina la coscienza, che un istituto strettamente legato allo Stato, da cui ha ricevuto privilegi politici e ricchezze immani.
La passione dell'antichità
A mano a mano che si libera dalle idee mondane, Newman sente nascere in sè un grande fascino per i Padri della Chiesa, quegli scrittori ecclesiastici dei primi secoli che, con la santità e l'ortodossia della loro dottrina, sono testimoni privilegiati della Tradizione Sacra. Già all'età di quindici anni, aveva incontrato i Padri della Chiesa attraverso l'opera di Giuseppe Milner, La Storia della Chiesa di Cristo. Il libro lo aveva appassionato per via dell'antichità cristiana. Ora, il chicco seminato nell'adolescenza cresce nella sua anima, ed egli si sforza di leggere i Padri nel testo originale. Durante gli anni seguenti, si costituisce un'importante biblioteca di opere patristiche. Ma Giovanni Enrico Newman è appassionato anche di Sacra Scrittura; infatti, scrive alla sorella Harriett: «Se la domenica ti rimane un po' di tempo libero, impara a memoria certi brani della Sacra Scrittura. Mi sembra che il beneficio sia incalcolabile. Ciò impregna lo spirito di pensieri buoni e santi. È una risorsa nella solitudine, durante un viaggio, in una notte insonne». La lettura assidua della Bibbia lo prepara ad una miglior conoscenza della Chiesa. Infatti, seguendo l'osservazione di sant'Agostino, «i Profeti hanno parlato più chiaramente e più a lungo della Chiesa che non Gesù Cristo, perchè prevedevano che ci sarebbero stati più errori, volontari ed involontari, su questo punto che sul mistero dell'Incarnazione» (Catechismo del Concilio di Trento, nell'articolo «Credo nella santa Chiesa cattolica»).
Nel 1830, il Sig. Ugo Rose, di Cambridge, in cerca di collaboratori per una Biblioteca ecclesiastica, propone a Newman di scrivere una storia dei primi Concili. Per realizzare tale lavoro, Giovanni Enrico studia in profondità i Padri della Chiesa di Alessandria, in particolare sant'Atanasio ed Origene; ne ricava la convinzione che la Provvidenza, per mezzo degli Angeli, ha guidato gli eventi ed i popoli, Ebraico e pagani, verso la Rivelazione plenaria della verità in Gesù Cristo. Soltanto alla fine del 1833 il frutto di tale studio verrà pubblicato con il titolo: Gli Ariani del IV° secolo.
Tirare il campanello d'allarme
Nel luglio del 1833, Newman è appena tornato dalle vacanze passate nell'Europa del sud, quando il pastore Giovanni Keble pronuncia il discorso pubblicato poi con il titolo significativo di National Apostasy. Il discorso, che denuncia lo stato critico della Chiesa anglicana, risveglia le coscienze degli anglicani preoccupati della reale identità cristiana della loro Chiesa; rimarrà nello spirito di Newman come l'aurora del movimento religioso passato alla Storia con il nome di «Movimento di Oxford». Fin dall'inizio, Newman si associa ai capi del Movimento e contribuisce alla pubblicazione dei «Tracts for the times», scritti di poche pagine, non firmati e senza uno scopo preciso, tranne quello di tirare il campanello d'allarme sul pericolo corso dalla Chiesa anglicana. La diffusione dei volantini diventa ben presto considerevole. Nel clero anglicano, fino a quel momento intorpidito, quelle idee nuove ed inaspettate producono una specie di shock. Tutti ne sono agitati.
Se a Newman la posizione dottrinale dell'anglicanesimo sembra incontestabile, la sua decadenza morale gli pare legata all'abbandono della Tradizione patristica. Spera che, dal contatto con i Padri, nascerà un rinnovamento per la sua Chiesa. Convinto che la dottrina della Chiesa d'Inghilterra poggi essenzialmente sui Padri, ritiene che il ritorno ai Padri sia sinonimo di ritorno alle teologie anglicane del XVI secolo. Newman si mostra favorevole ad una via media, una specie di posizione intermedia fra il protestantesimo e il cattolicesimo romano, secondo cui egli mantiene contro il primo l'autorità della Tradizione e dei primi Padri e respinge nel secondo dottrine che gli sembrano innovazioni apparse nel corso dei secoli. D'altro canto, considera la Chiesa anglicana come un ramo della Chiesa cattolica, essendo gli altri due rappresentati dalla Chiesa greca e dalla Chiesa romana.
Ma, nel 1839, studiando la storia degli Eutichiani (eretici del V secolo, che sostenevano non esserci che una sola natura in Gesù Cristo), si rende conto dell'impossibilità di sostenere l'anglicanesimo. È un colpo di fulmine, assolutamente inaspettato. «Mi era difficile, spiega, dimostrare che gli Eutichiani erano eretici, senza ammettere che lo erano pure i Protestanti e gli Anglicani; trovare argomenti contro i Padri del Concilio di Trento che non ricadessero su quelli di Calcedonia (Concilio ecumenico del 451 contro gli Eutichiani); condannare i Papi del XVI secolo senza condannare nello stesso tempo quelli del V. Dall'una e dall'altra parte, la lotta dell'errore e della verità era assolutamente la stessa. I principi e la condotta della Chiesa attuale erano quelli della Chiesa di allora; i principi e la condotta degli eretici di allora erano quelli dei nostri Protestanti: ecco quel che constatavo, con mio grande rincrescimento».
Una teoria annientata
Monsignor Wiseman (prelato inglese che diventerà cardinale ed arcivescovo di Westminster nel 1850) pubblica allora un articolo sui Donatisti (un gruppo di cristiani africani che, nel IV secolo, reagivano contro la Chiesa universale e sostenevano di essere i soli ad aver conservato la verità), che paragona agli Anglicani. Un amico fa notare a Newman una frase di sant'Agoostino contenuta nell'articolo: Securus indicat orbis terrarum, che si può tradurre con: Il giudizio della Chiesa universale è certo. «Ripeté queste parole parecchie volte, racconta Newman, e, quando se ne fu andato, esse continuarono a risonare nelle mie orecchie: Securus indicat orbis terrarum. Erano parole che andavano al di là della questione dei Donatisti; si applicavano a quella degli Eutichiani. Davano all'articolo una forza che mi era di primo acchito sfuggita. Decidevano in merito alle questioni ecclesiastiche secondo una regola più semplice di quella dell'Antichità... Che luce veniva così sparsa su qualsiasi controversia nella Chiesa! Non che, per un istante, la massa non potesse sbagliarsi nel suo giudizio, non che, nella tempesta ariana, più sedi che non se ne possano contare non si siano piegate davanti alla sua furia ed abbiano abbandonato sant'Atanasio, non che la moltitudine dei vescovi non abbia avuto bisogno di esser sostenuta, durante la lotta, dallo sguardo e dalla voce di san Leone; ma perchè il giudizio riflettuto, cui tutta la Chiesa aderisce ed aderisce finalmente, è una prescrizione infallibile, una sentenza definitiva contro quelle branche che protestano e si allontanano da essa... Con una semplice frase, la parola di sant'Agostino mi colpiva con una potenza che mai avevo trovato in nessun'altra... Attraverso le grandi parole dell'antico Padre, la teoria della via media era totalmente annientata». La via media gli sembrava ormai la strada dell'eresia, quella strada denunciata dal Vangelo di san Giovanni, attraverso la quale i ladri ed i briganti si sforzano di raggiungere l'ovile di Cristo, in opposizione alla porta reale che permette di entrarvi con perfetta dignità (Giov. 10, 1-2).
Tuttavia, Newman non rinuncia ancora a difendere l'anglicanesimo. Se riconosce che la Chiesa anglicana non ha nè l'unità nè l'universalità della Chiesa di Cristo, vuol sforzarsi di provare che ha almeno gli altri segni della vera Chiesa. Redige allora il «Tract 90» in cui tenta di dimostrare che i 39 articoli promulgati dalla regina Elisabetta nel 1571 (articoli che fondano il Credo anglicano) sono compatibili con i principi cattolici. Ma il suo scritto dà fuoco alle polveri. I capi dell'università e la maggior parte dei vescovi anglicani lo condannano violentemente e considerano sospetti tutti i fautori del Volantino. Il colpo è terribile per Newman; ci vede la prova che la sua Chiesa non può nè vuole assimilare gli elementi cattolici che egli si sforza di introdurvi.
«Che farebbero i Padri al posto mio?»
Nel 1841, la sua posizione in seno all'anglicanesimo è diventata talmente difficile che si vede costretto ad affidare al suo vicario l'incarico di curato di San Mary's. Nello smarrimento del cuore straziato, si ritira a Littlemore, frazione vicinissima ad Oxford, con alcuni discepoli, e lì medita e riprende alla base gli studi sui titoli della Chiesa anglicana. Sente soprattutto il bisogno di ricercare, nella preghiera e nella mortificazione, la grazia necessaria alla risoluzione del problema che lo tormenta. Conscio di essersi sbagliato spesso, si chiede se non si sbagli anche questa volta. La lotta è penosa e lenta; la rettitudine della sua anima lo spinge a scrivere ai parrocchiani di Littlemore: «Ricordatevi di quest'uomo nei giorni futuri, anche se non sentirete più parlare di lui, e pregate per lui, affinchè sappia discernere in tutte le cose la volontà di Dio, e affinchè sia pronto a compierla ad ogni istante». La vita a Littlemore è povera ed austera; digiuni rigorosi, silenzio monastico, recita degli uffici canonici conformemente alla liturgia cattolica, meditazioni, confessione settimanale, Comunione frequente. Appena sistemato, Newman comincia a tradurre le opere di sant'Atanasio. «Avevo preso la decisione di accantonare tutte le controversie, e mi occupavo della traduzione di sant'Atanasio... Vidi chiaramente nella storia degli Ariani che gli Ariani puri erano i Protestanti, e che Roma era allora finalmente quella che è oggi. La verità poggiava non sulla via media, ma su quello che si chiamava il partito estremo...». La sua preoccupazione costante è quella di sapere quel che avrebbero fatto i Padri al posto suo. Essi lo guidavano lì, dove non pensava di recarsi.
Nel suo ritiro, un altro pensiero si presenta allo spirito di Newman: non sarebbero i «nuovi dogmi», che gli Anglicani rimproverano alla Chiesa romana di aver fabbricato, uno sviluppo omogeneo della fede apostolica? Inizia dunque a scrivere il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana. Tale studio gli permette di superare l'ultimo ostacolo che lo trattiene all'esterno della Chiesa romana; essa, infatti, non ha inventato nulla; ha soltanto tratto dal deposito della Rivelazione dottrine sempre più precise, ma sempre nel medesimo senso. Il 6 ottobre 1845, interrompe improvvisamente il suo lavoro, poi, due giorni più tardi, fa venire a Littlemore un monaco cattolico italiano, Padre Domenico. Appena giunto, Newman gli si prosterna ai piedi e gli chiede di ascoltarlo in confessione. Dopo una notte passata in preghiera, Newman, con due discepoli, fa professione di fede cattolica e riceve il battesimo, sotto condizione. Ormai appartiene «per effetto della misericordia divina, alla Chiesa che Cristo ha fondata e che dirigono i successori di Pietro e degli altri Apostoli, fra le cui mani rimangono intere e vive le istituzioni e la dottrina della comunità apostolica primitiva» (Dichiarazione Mysterium Ecclesiæ della Congregazione per la Dottrina della Fede, 24 giugno 1973). Se si può avere una legittima gioia di appartenere alla Chiesa cattolica, non è tuttavia il caso di nutrirne orgoglio, ma piuttosto di render umilmente grazie. Infatti, «tutti i figli della Chiesa devono ricordarsi che la grandezza della loro condizione è dovuta non ai loro meriti, ma ad una grazia speciale di Cristo; se non vi corrisponderanno con il pensiero, la parola e l'azione, essa non procurerà loro la salvezza, bensì un giudizio più severo» (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 14).
La più cara amica
Per quanto la «secessione» di Newman fosse prevista, l'effetto fu immenso nel mondo anglicano. Si calcola che le conversioni che si produssero subito dopo la sua furono più di trecento, ed il movimento continuerà nei decenni seguenti. Newman dovrà assumere un pesantissimo sacrificio, lasciando quel che fin allora aveva costituito la sua vita, e dovrà adattarsi ad un ambiente cattolico con cui non è spontaneamente in armonia. Ordinato sacerdote a Roma nel 1847, torna in Inghilterra per fondare a Birmingham una comunità dell'Oratorio. Dal 1851 al 1858, si consacra alla fondazione di un'università cattolica a Dublino. Criticato da un autore parziale, scrive, nel 1864, l'Apologia pro vita sua, autobiografia la cui limpidezza dello stile e la sincerità delle convinzioni gli attirano una rifioritura della simpatia e della celebrità. Fino alla morte, sopravvenuta nel 1890, Newman si dedica senza posa al servizio della Chiesa cattolica. In segno di gratitudine per tante opere intraprese con fedeltà ed amore, Papa Leone XIII gli conferisce la dignità cardinalizia, nel 1881. Alla fine della sua lunga vita, il Cardinale Newman potrà scrivere, con perfetta lealtà: «Il mio desiderio è stato quello di avere la Verità come più cara amica, e di non aver altri nemici se non l'errore».
La Chiesa è l'opera di Gesù Cristo, «opera attraverso la quale prolunga se stesso, si riflette ed è sempre presente nel mondo. Essa è la sua sposa, cui si è offerto totalmente; l'ha scelta per sè, l'ha fondata e la mantiene sempre viva. Inoltre, ha dato la propria vita, perchè essa vivesse... Fratelli, siamo perfettamente consci di questa verità: Gesù Cristo ha amato la Chiesa... Se Dio ha amato la Chiesa al punto di sacrificarle la vita, ciò significa che essa è degna anche del nostro amore» (Giovanni Paolo II, omelia pronunciata in Costa Rica, 3 marzo 1983). Sant'Agostino ha potuto scrivere la seguente formula lapidaria: «È nella misura in cui uno ama la Chiesa che possiede lo Spirito Santo». In questa formula, forse, si trova una delle lezioni più preziose della vita del Cardinale Newman. I suoi scritti proiettano una luce vivissima sull'amore della Chiesa in quanto effusione continua dell'amore di Dio per l'uomo, ad ogni tappa della storia. Il Cardinale aveva un'autentica visione soprannaturale, capace di percepire tutte le debolezze presenti nel tessuto umano della Chiesa, ma anche una percezione certa del mistero celato al di là dello sguardo umano. Possiamo far nostra l'ardente preghiera a Gesù Cristo che sgorgava spontaneamente dal suo cuore: «Fa' ch'io non dimentichi mai che hai stabilito sulla terra un regno che è il Tuo, che la Chiesa è opera Tua, stabilita da Te, il Tuo strumento; che noi siamo sottoposti alle Tue regole, alle Tue leggi, al Tuo sguardo – che quando la Chiesa parla, parli Tu. Fa' che la conoscenza intima di questa verità meravigliosa non mi renda insensibile nei suoi riguardi – fa' che la debolezza dei Tuoi rappresentanti umani non mi faccia dimenticare che sei Tu a parlare e ad agire tramite loro».
Papa Giovanni Paolo II diceva ai giovani riuniti a Toronto nello scorso mese di luglio: «Se amate Gesù, amate la Chiesa». Chiediamo a Maria, nostra Madre, di vivere quali veri figli della santa Chiesa cattolica, affinchè siamo considerati degni della vita eterna.
Dom Antoine Marie osb

"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"



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