Avete
udito che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Io invece vi
dico di non resistere al maligno; ma a chi ti percuote sulla guancia
destra, presenta anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in
giudizio per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello {482}.
1.
– Vedete, fratelli, che Gesù Cristo non parlava dell’occhio del
corpo quando ci comandava di strapparci l’occhio che dà scandalo
ma che, con tale espressione, indicava coloro la cui amicizia ci
nuoce e che possono gettarci nel baratro della perdizione? Come
potrebbe, infatti, ordinare per legge di strappare il nostro stesso
occhio colui che, pur usando qui una iperbole così forte, non ci
permette di cavare l’occhio neppure al nemico che ci ha strappato
il nostro?
Se
d’altra parte qualcuno biasima la legge antica, in quanto essa
ordina di vendicarsi esigendo «occhio per occhio e dente per dente»,
a me pare che costui non comprenda né la saggezza che il legislatore
deve avere, né le diverse circostanze dei tempi e neppure il
vantaggio che è derivato agli uomini da questa divina condiscendenza
alla loro debolezza. Se voi considerate in quali condizioni era il
popolo, in quali disposizioni d’animo viveva e vi ricordate in
quale epoca fu data questa legge, potrete facilmente riconoscere che
unico e identico è l’autore del vecchio e del nuovo Testamento e
che molto opportunamente egli ha istituito sia l’uno che l’altro,
contemperando le leggi con i tempi. Se avesse fin dall’inizio
istituito le elevate e sublimi leggi evangeliche, gli uomini non
avrebbero accolto né la legge antica né quella nuova:
proclamandole, invece, in tempi diversi, e istituendo ciascuna
nell’epoca più adeguata, si è servito sia dell’una che
dell’altra per rinnovare tutta la terra. D’altra parte, dando
quel comando, non era certo perché voleva spingere gli uomini a
strapparsi gli occhi a vicenda ma, al contrario, perché voleva
trattenere le loro mani, impedendo di usarsi reciprocamente violenza.
La minaccia di questa pena era un freno all’ira; il Signore
cominciava così a seminare a poco a poco, ma in profondità, una
certa saggezza nel mondo, ordinando che gli uomini si accontentassero
di una vendetta uguale al male che avevano subito, anche se chi aveva
per primo arrecato ingiuria meritava una pena più grave e un’equa
giustizia. Ma, poiché Dio voleva fin d’allora temperare la
giustizia con la misericordia, condannava colui che aveva peccato di
più a una pena minore di quella che si meritava, insegnando in tal
modo ad avere molta pazienza nel sopportare i mali di cui soffriamo.
Cristo,
dopo aver citato l’antica legge per intero, mostra poi che non è
proprio vostro fratello che vi offende, ma il diavolo. Per questo aggiunge: «Io invece vi dico di non resistere al maligno». Non
c’invita a non resistere a nostro fratello, ma a non resistere «al
maligno», mostrando chiaramente che è il diavolo l’ispiratore e
l’istigatore della violenza che ci vien fatta, riducendo e placando
sensibilmente in questo modo la nostra ira verso colui che ci ha
fatto del male, in quanto la colpa dell’offesa è fatta ricadere su
un altro, sul diavolo. Ma come! – voi mi direte – allora non si
deve resistere alla malvagità? Certo che si deve resistere, ma non
nel modo che voi credete. Si deve resistere nel modo che Gesù stesso
ci comanda, essendo cioè pronti a sopportare il male che ci vien
fatto. Solo così potrete vincerlo. Non è col fuoco che si spegne il
fuoco, ma con l’acqua. E per intendere che anche nella legge antica
colui che subiva l’ingiuria risultava vittorioso e quindi otteneva
la ricompensa, considerate con attenzione questo fatto e vedrete
tutto il suo valore di anticipazione. Infatti colui che per primo
offende è responsabile della perdita di ambedue gli occhi, cioè di
quello dell’offeso e del suo, il che giustamente lo espone all’odio
e all’esecrazione di tutti. Invece chi ha subito la violenza, anche
se si vendica in modo proporzionato all’offesa ricevuta, non verrà
accusato di aver compiuto alcun male. Troverà, anzi, molti uomini
pronti a consolare il suo dolore in quanto è innocente, anche se si
è vendicato restituendo l’offesa sofferta. Il male che ne è loro
venuto è uguale per ambedue, ma l’apprezzamento del loro atto non
è uguale né dinanzi a Dio né dinanzi agli uomini, per cui alla
fine anche il male subito non è uguale e si ha una grande differenza
tra offeso e offensore, pur trovandosi entrambi a soffrire la
medesima perdita.
2.
Ebbene, allo stesso modo che, quando dice «chi avrà detto sciocco a
suo fratello, sarà sottoposto al fuoco della Geenna», non intende
riferirsi soltanto a questa parola d’offesa, ma a ogni offesa, così
qui, senza dubbio, non ci impone soltanto di sopportare pazientemente
uno schiaffo, ma di non turbarci per qualsiasi cosa avessimo a
soffrire. E come lì egli scelse l’insulto più grave, così anche
qui si riferisce all’offesa che appare più ingiuriosa e violenta,
cioè appunto lo schiaffo.
Stabilisce
questo comando nell’interesse di chi dà lo schiaffo e di chi lo
riceve. Premunito infatti da quest’istruzione del Salvatore, colui
che riceve quest’offesa non penserà di aver subito alcunché di
terribile, non si sentirà oltraggiato, ma si considererà come un
uomo che riceve un colpo durante un combattimento, piuttosto che per
un’offesa. Dal canto suo l’offensore, arrossendo di vergogna
dinanzi alla manifestazione di pazienza dell’altro, non vorrà
certo dare un secondo schiaffo – cosa che non farebbe neanche se
fosse più feroce di una belva – ma si riconoscerà grandemente
colpevole anche del primo schiaffo che ha dato. Niente infatti smonta
i violenti quanto la pazienza degli offesi. questa mansuetudine non
soltanto blocca l’impeto della violenza ma giunge a suscitare il
pentimento per le ingiurie già arrecate; dinanzi ad essa i più
malintenzionati si arrestano, colti dallo stupore e dall’ammirazione,
e spesso diventano non solo amici, ma di casa e servi devoti, da
nemici e rivali dichiarati quali erano. Viceversa, quando ci si
vendica, succede tutto il contrario. Ci si copre a vicenda di offese,
si diviene peggiori di quanto non si fosse prima, non si fa che
alimentare sempre più la fiamma dell’ira e spesso si giunge agli
estremi, arrivando anche all’assassinio. Per questo Cristo non
soltanto comanda a colui che è stato schiaffeggiato di non adirarsi,
ma gli ordina anche di soddisfare il desiderio dell’offensore, per
dimostrargli che non nutre nessun risentimento verso di lui per la
prima ingiuria che ha ricevuto. Comportandoti così, tu riuscirai a
colpire chi ti offende ben più sensibilmente di quanto potresti fare
restituendo il colpo con le tue mani: anche i più malvagi finiranno
col vergognarsi di quanto hanno fatto e diverranno più mansueti.
«E
a chi ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la tunica,
lasciagli anche il mantello». Gesù esige da noi tale pazienza non
soltanto quando siamo stati percossi, ma anche quando subiamo una
perdita di denaro. Per questo egli usa ancora un’espressione
iperbolica. Come dapprima ci ha comandato di vincere tollerando
l’offesa, così ora c’invita a ottenere la vittoria lasciando a
chi ci spoglia più di quanto ci vuol togliere. E non dice
semplicemente: dà il mantello a chi lo vorrebbe; ma: «a chi ti vuol
chiamare in giudizio», cioè a chi vuol farti causa e citarti in
tribunale. Dopo aver vietato di adirarci senza motivo contro il
fratello e aver proibito di chiamarlo «sciocco», va ben oltre,
comandando di presentare la guancia destra; così ora, in questo
passo, dopo aver raccomandato di metterci al più presto d’ accordo
con il nostro avversario, rende ancor più esigente il precetto,
consigliando non soltanto di cedere ciò che egli vuole, ma di
lasciargli più di quanto egli vuol rubarci e mostrare così, nei
suoi confronti, anche maggior liberalità. Voi potreste dirmi a
questo punto: Ma come? Dovrò andar nudo per la città? Non saremo
mai nudi se ci atterremo diligentemente a queste norme; anzi, saremo
ben più riccamente vestiti di quanto possono essere tutti gli altri.
Prima di tutto, perché non ci sarà più nessuno che avrà animosità
nei nostri confronti, se noi siamo in questa disposizione d’animo.
3.
– E quand’anche vi fosse qualcuno così crudele e inumano da
offenderci, si troverebbero infiniti altri i quali, ammirando la
nostra virtù, ci coprirebbero non soltanto con i nostri abiti, ma
anche con i loro corpi, se fosse possibile. E se, infine, saremo
ridotti a ritrovarci nudi per aver adempito questo precetto, ciò non
sarebbe disonorevole; anche Adamo era nudo nel paradiso e non se ne
vergognava. Isaia spoglio e scalzo, ara abbigliato in modo più
splendido di tutti i giudei {483}. E Giuseppe, non fu mai così
glorioso come quando venne spogliato {484}.
Non
è dunque un male ritrovarsi in simile nudità, ma piuttosto è
vergognoso e ridicolo vestirsi con gli abiti oggi di moda, così
ricchi e sontuosi. Per questo Dio lodò quegli uomini, mentre al
contrario condanna costoro, sia per bocca dei profeti che degli
apostoli.
Non
consideriamo quindi impossibile praticare questi precetti: essi,
oltre che vantaggiosi, sono molto facili da attuare, se noi
vigiliamo. Infatti arrecano tale vantaggio, che non soltanto giovano
a noi, ma anche a chi queste offese ci fa subire. Ecco quel che
soprattutto è eccellente in questi precetti: che, mentre persuadono
noi a sopportare il male, contemporaneamente insegnano a chi ci
offende l’amore per la virtù e per la sapienza. Chi vi toglie la
veste, crede di ottenere un buon profitto, rubando la roba degli
altri. Ma se voi gli dimostrate, al contrario, che siete disposti
anche a dargli quelle cose che egli non vi chiede e opponete la
vostra generosità alla sua miseria, la vostra virtù alla sua
avidità, egli otterrà – voi lo comprendete – un elevato
insegnamento e sarà indotto non mediante parole, ma con le vostre
opere, a disprezzare il vizio e a desiderare la virtù. Dio vuole,
infatti, che noi siamo utili non solo a noi stessi, ma anche a tutti
i nostri prossimi: se voi date quanto vi si vuol prendere, anche per
evitare di essere trascinati in giudizio, voi cercate solo il vostro
particolare vantaggio; ma se siete disposti a dare anche quanto il
vostro nemico non vi vuol togliere, voi lo rimandate dopo averlo reso
migliore. Cristo vuole che i suoi discepoli siano come il sale, che
possiede questa qualità: conserva se stesso e mantiene anche gli
altri elementi ai quali si mescola. Allo stesso modo la luce
risplende non per se stessa ma anche per gli altri. Dato che questa è
la funzione che Gesù vi ha affidata, aiutate colui che siede nelle
tenebre illuminandolo, e fategli capire che egli non vi ha preso
nulla con la forza; convincetelo che non vi ha offeso con le sue
ingiurie: così egli potrà ammirare la vostra virtù, se gli
mostrerete che voi gli avete donato quanto lui credeva di avervi
rubato. Trasformate, mediante la vostra mansuetudine, il suo peccato
in un atto della vostra generosità. E se voi credete che quanto vi
dico sia troppo elevato, aspettate il seguito e vedrete chiaramente
che non avete raggiunta ancora la perfezione. Colui che ha stabilito
per voi le leggi della pazienza e della sopportazione del male, non
si arresta qui, ma si spinge ancor più avanti.
E
se qualcuno ti costringerà a far un miglio, tu va’ con lui per due
{485}.
Vedete l’elevatezza e l’eccellenza del precetto? Dopo aver donato
la vostra tunica e il vostro mantello, - dice Gesù – se il vostro
nemico vuole che lo serviate, sebbene ridotti a questa nudità, per
qualche altro lavoro e per altre fatiche, voi non dovete opporvi.
Cristo vuole che tutto sia in comune tra noi; non soltanto i nostri
beni, ma anche i nostri corpi, per porre gli uni a disposizione dei
poveri e gli altri di chi ci insulta; nel primo caso ciò è
l’effetto della bontà, nel secondo caso della fortezza. Per questo
ci invita a fare due miglia con chi vuole obbligarci a farne uno con
lui. Ci innalza, insomma, ancor più in alto e comanda di avere la
stessa generosità come nelle altre occasioni. Se per i comandi
espressi precedentemente, pur essendo molto inferiori a questi
ultimi, si riceverà grande ricompensa, pensate quale premio dovranno
attendersi coloro che avranno praticato questi precetti così
sublimi; e come essi diverranno, ancor prima di ricevere il premio
celeste, se dimostrano una totale impassibilità pur trovandosi
ancora in un corpo mortale e soggetto alle passioni. Se essi non sono
toccati né dalle calunnie, né dalle ferite, né dalla perdita dei
loro beni e non cedono di fronte a nessun altro male di questo
genere, ma anzi più soffrono e più diventano generosi, immaginate
come dovrà essere la loro anima. Ecco perché Gesù, riferendosi
alle fatiche e alle sofferenze del corpo, ordina qui quanto ha
ordinato prima parlando delle percosse e della perdita dei beni. È
come se dicesse: Non basta sopportare la violenza e la rapina; se si
vuole anche abusare del vostro corpo imponendovi un massacrante
lavoro, e questo ingiustamente, vincete e superate questa ingiustizia
e accettatela di buon cuore. «Se qualcuno ti costringerà a
camminare», dice Gesù, cioè se qualcuno ti trascinerà, senza aver
nessun diritto o ragione di farlo, per pura violenza, ebbene, sii
pronto anche a tale evenienza, in modo da poter tollerare anche più
di quanto ti si vuol imporre.
Da’
a chi ti chiede e non voltare le spalle a chi vuole un prestito da te
{486}.
Questo comando è meno elevato e difficile di quelli che lo
precedono. Ma non ve ne stupite. Il Signore suole sempre comportarsi
così,
mescolando ai grandi precetti i piccoli. Tuttavia, se questo precetto
è lieve in confronto agli altri, l’ascoltino bene coloro che
rubano i beni altrui, quelli che sperperano i loro denari con le
prostitute, procurandosi così un duplice fuoco, con l’accumulare
inique ricchezze e con lo spenderle in modo così peccaminoso. Quanto
al prestito di cui parla Gesù, non è un affare da cui si trae un
interesse o un
usura, ma è dare in uso semplicemente, senz’alcun interesse. E
questo appunto intende dire altrove, lì dove ordina di dare anche a
coloro dai quali non si spera di riavere o di ricevere mai niente.
Avete
udito che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico.
Io invece vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi
perseguitano, affinché siate simili al Padre vostro che è nei
cieli, il quale fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e i buoni e
piovere sui giusti e gli ingiusti {487}.
Notate come Cristo riserva per ultimo quello che è il compimento del
bene, la più elevata delle azioni sublimi. Per questo egli insegna
non soltanto a sopportare colui che ci schiaffeggia, ma ad offrire
anche l’altra guancia; non soltanto ad aggiungere alla tunica, che
ci vien presa, il mantello, e a camminare anche per due miglia con
chi ci costringe a farne uno: in modo cioè da disporci ad accettare
con tutta facilità precetti ancora più alti. Ma che cosa ci
potrebbe essere di più grande di questi precetti? – voi mi
chiederete. Ecco: che non consideriamo come nemico colui che ci
offende; e anzi qualcosa di più. Il Signore non dice infatti
soltanto di non odiare, ma di amare i nemici. Non ci invita solo a
non fare del male a coloro che ci odiano, ma a far loro del bene.
4.
– Se qualcuno osserverà attentamente, vedrà che Cristo ha
aggiunto un comando che va anche più lontano. Egli infatti non ci
ordina solo di amare i nemici, ma pure di pregare per loro.
Considerate
attraverso quanti gradi ci fa passare per giungere sino alla vetta
della virtù, alla sommità della perfezione. Vi invito a contarli.
Il primo gradino consiste nel non essere mai i primi a fare del male;
il secondo consiste nel non restituire alla pari il male che ci vien
fatto; il terzo, nel non rispondere con l’ingiuria all’ingiuria,
ma a restar calmi e pazienti dinanzi a chi ci offende; il quarto,
nell’offrire volontariamente sé stessi a chi ci vuol fare del
male; il quinto, nel mostrarci disposti a tollerare anche più di
quanto ci vien fatto subire; il sesto, nel non odiare chi così ci
maltratta; il settimo, nell’amare chi ci fa offesa; l’ottavo, nel
far del bene a chi ci fa del male; e il nono, infine, nel pregare Dio
per chi ci perseguita. Vedete la sublimità della virtù cristiana?
Per questo Cristo annette a tale perfezione un premio splendido.
Siccome
questo comando è molto elevato ed esige un’anima generosa e
disposta a un grande sforzo, Gesù lo premia con una ricompensa
superiore a quella promessa per tutte le altre virtù. Egli non
ricorda qui la terra, che ha promesso ai mansueti, né la
consolazione, che ha promesso a coloro che piangono, né la
misericordia che spetterà ai misericordiosi, e neppure il regno dei
cieli; ma promette la ricompensa più stupefacente di tutte: questi
uomini diverranno simili a Dio, nella misura in cui essi possono
esserlo. «Affinché» - dice - «siate simili al Padre vostro che è
nei cieli». Vorrei che voi osservaste come Gesù né qui né
precedentemente dice «Padre suo»; ma dapprima, parlando dei
giuramenti, lo chiama Dio e sommo re, oppure «Padre vostro», come
fa ora. Egli agisce così perché riserva la grande rivelazione per
un momento favorevole.
E
aggiunge, continuando a parlare del Padre: «il quale fa sorgere il
suo sole sopra i malvagi e buoni e piovere sui giusti e gli
ingiusti». È come se dicesse: il Padre, infatti, si guarda bene
dall’odiare coloro che lo ingiuriano, ma anzi fa del bene a coloro
che lo insultano. E, tuttavia, il paragone fra l’azione di Dio e la
nostra non è esatto, non soltanto per la superiorità del bene che
Dio fa agli uomini, ma anche per l’eccellenza della sua dignità.
Chi vi disprezza è un uomo simile a voi, un servo come voi: ma chi
offende Dio è uno dei suoi servi, che da lui ha ricevuto mille
favori. Voi donate al Signore solo delle parole, quando pregate in
favore dei vostri nemici; Dio, invece, dona beni grandissimi e
meravigliosi, facendo sorgere il sole su di loro e procurando la
pioggia durante tutto l’anno. Ebbene, Dio ci concede di essere
simili a lui, nei limiti in cui può esserlo un uomo. Non odiate,
quindi, chi vi fa un torto, poiché costui vi procura un così grande
bene e vi eleva a un così eccelso onore. Non rispondete con
imprecazioni a chi vi oltraggia, poiché se non sosterrete questo
sforzo, ne perderete anche il frutto. Vi troverete così a subire un
danno e insieme a non averne alcuna ricompensa. Questo è dell’uomo
estremamente insensato: non essere capace di sopportare lievi
sofferenze, dopo averne sofferte di ben più gravi.
Ma
come è possibile – voi direte – perdonare a coloro che ci
offendono? Ma come, - rispondo io, - pur vedendo che Dio si è fatto
uomo, che si è abbassato tanto e ha sofferto per voi in modo così
terribile, esitate ancora e chiedete come potete perdonare le
ingiurie a chi è servo come voi? Non lo sentite che grida dall’alto
della croce: «Perdona loro, perché non sanno quello che fanno?»
{488}. Non udite Paolo che dice: «Risuscitato, è asceso al cielo ed
è assiso alla destra di Dio, ove intercede per noi?» {489}. Non vi
ricordate che, anche dopo la sua morte in croce e dopo la sua
ascensione, egli inviò i suoi apostoli ai giudei che lo avevano
ucciso, perché ricolmassero di beni quel popolo che pur si preparava
a far loro soffrire mille mali? Ma voi dite di essere stati troppo
offesi e che, quindi, non potete perdonare. Rispondetemi: Siete stati
offesi come lo è stato il Signore, che fu legato, flagellato, preso
a schiaffi, coperto di sputi dai servi, condannato a morte, e alla
più ignominiosa tra tutte le morti, dopo che aveva elargito a tutti
infiniti benefici? Se tuo fratello ti ha offeso gravemente, proprio
per questo beneficalo in misura ancora maggiore, per rendere ancora
più splendida la tua corona e per liberare tuo fratello dal
gravissimo male in cui giace. Quanto più i pazzi furiosi colpiscono
con calci e ingiurie i loro medici, tanto più costoro li
compatiscono e tanto più si sforzano di guarirli Perché sanno che
quelle ingiurie derivano dall’eccessiva violenza della loro
malattia. Imitate questo comportamento quando avete a che fare con i
vostri nemici; trattate così coloro che vi offendono. Costoro sono
veramente malati e sono sottoposti veramente a ogni violenza.
Liberateli da questo tremendo male; aiutateli ad allontanare l’ira
e a cacciare il crudele demone del furore. Noi ci commuoviamo alla
vista degli indemoniati e stiamo bene in guardia a non cadere anche
noi in preda al diavolo. Comportiamoci, ora, nella stessa maniera
verso chi è trasportato dal furore. Gli iracondi, infatti, sono
simili agli indemoniati. Anzi, sono ancor più miseri e degni di
compassione, in quanto sono pazzi furiosi, pur possedendo integra la
ragione; la loro follia è quindi inescusabile. Tuttavia, non
insultate questi ammalati, ma cercate piuttosto di averne
compassione.
5.
– Quando vediamo una persona tormentata dalla bile e che, presa
dalla vertigine, sta per rigettare questo cattivo umore, noi le
tendiamo la mano per sostenerla, poiché è come schiantata, e non ci
preoccupiamo, né ci allontaniamo, anche se sporchiamo i nostri
abiti, perché pensiamo soltanto a liberarla da quella angustia
molesta. Trattiamo perciò allo stesso modo questi altri malati:
sopportiamo sino alla fine, mentre rigettano i cattivi umori che li
agitano, e non abbandoniamoli sino a quando non si sono completamente
liberati da ogni amarezza. Essi allora ti porteranno un’infinita
gratitudine e si renderanno conto da quale perturbazione tu li hai
liberati. Ma perché dico che costoro ti ringrazieranno? Dio stesso
ti ricompenserà subito con una corona di gloria, ti ricolmerà di
infiniti beni, perché avrai salvato il fratello tuo da una sí
micidiale malattia. Ed anche quell’uomo ti onorerà come suo
signore e nutrirà un profondo rispetto per la tua mitezza. Non vedi
che le donne, colte dai dolori del parto, mordono coloro che le
assistono, senza che costoro diano segni di sentir dolore o, meglio,
sentono sí il dolore, ma lo sopportano con coraggio e patiscono
insieme a quelle che sono in travaglio e soffrono fortemente quasi
fossero spezzate dal parto. Imita, almeno, le persone che assistono
costoro e non essere meno virile delle donne. Quando queste donne
avranno partorito (ché in verità coloro che facilmente si lasciano
prendere dalla collera sono pù pronti delle donne a far rissa),
riconosceranno che tu sei un vero uomo. E se questi comandi ti
sembrano duri, ricordati che Cristo è venuto per questo: per
imprimere nel nostro animo queste nuove disposizioni e per metterci
in condizione di essere ugualmente utili ai nostri amici e ai nostri
nemici. Perciò ci ordina di aver cura gli uni degli altri: di
preoccuparci dei nostri fratelli, quando ci comanda di abbandonare
l’offerta davanti all’altare per correre a riconciliarci con
loro; e dei nostri nemici, quando ci ordina di amarli e di pregare
per essi. E ci esorta a far questo non soltanto mostrandoci l’esempio
di Dio, ma anche con un esempio del tutto opposto.
Poiché
se amate coloro che vi amano, che merito ne avete? E non fanno così
anche i pubblicani? {490}
La stessa cosa dice anche Paolo: «Non avete ancora resistito fino al
sangue, nella lotta contro il peccato» {491}. Se mettete in pratica
quanto vi dico – afferma in sostanza Gesù – sarete con Dio; ma
se trascurerete di far questo, sarete al livello dei pubblicani.
Notate come la differenza fra i precetti non è così grande quanto
il divario tra le persone: tra imitare Dio e imitare i pubblicani.
Non pensiamo quindi alla difficoltà del comando, ma ricordiamoci
della ricompensa: pensiamo a chi ci rendiamo simili se lo adempiamo,
e a chi rassomigliamo se lo trasgrediamo.
Cristo
esige che noi ci riconciliamo con il fratello e che non lo lasciamo
finché non abbiamo eliminato l’inimicizia tra noi e lui; quando si
tratta invece di tutti gli altri, non ci impone questo, ma esige
soltanto la nostra parte e rende così più lieve la legge. Siccome
ha detto ai suoi discepoli, parlando dei giudei, che essi avevano
perseguitato i profeti, nel timore che ciò spingesse gli apostoli a
odiare gli ebrei, ordinò loro non soltanto di tollerarli, ma anche
di amarli. Egli strappa, come potete ben vedere, sino all’ultima
radice l’ira e la concupiscenza sia della carne, sia delle
ricchezze, sia della gloria e di tutte le cose che riguardano questa
vita terrena. Egli ha in vista tale scopo sin dall’inizio di questo
discorso, e molto di più ora.
In
realtà, chi è povero di spirito, chi è mansueto, chi piange,
svuota e rende inerte la sua ira; chi è giusto e misericordioso, non
è avido di ricchezze; chi ha il cuore puro è libero da ogni
desiderio cattivo. Chi soffre le persecuzioni e sopporta con fermezza
gli oltraggi e le calunnie, si mette in condizione di disprezzare
tutte le cose presenti e di purificarsi dal fasto e dalla vanagloria.
Dopo aver sciolto da questi vincoli le anime dei suoi ascoltatori e
averli, in certo senso, unti per prepararli alla lotta, di nuovo, ma
in altro modo e con maggior cura, sradica dal loro animo tali vizi.
Comincia con l’ira e taglia completamente i tendini a questa
passione, dicendo che colui che si adira senza ragione contro suo
fratello, colui che lo chiama «raca» oppure «sciocco», sia
punito; e chi sta facendo la sua offerta, non deve accostarsi
all’altare prima di aver eliminato ogni inimicizia; e chi ha un
nemico dovrà renderselo amico, prima di affrontare il giudizio.
Passa in seguito alla concupiscenza e ai desideri cattivi. Dice che
chi guarda una donna con occhio impuro sia punito come adultero, e
aggiunge che si deve strappare e separare del tutto da noi la donna
impudica, l’uomo o l’amico la cui compagnia ci scandalizza; chi,
poi, è legato a una donna in matrimonio legittimo, non la deve
ripudiare, né desiderarne un’altra. In questo modo taglia alla
radice i cattivi desideri. Respinge decisamente l’avarizia,
vietandoci di giurare o di mentire, oppure di trattenerci la tunica
se qualcuno per caso volesse prendercela, orinandoci, anzi, di
lasciargli anche il mantello e di dargli anche fisicamente il nostro
aiuto e la nostra assistenza: in questo modo riesce efficacemente a
soffocare l’amore per le ricchezze.
6.
– Aggiunge, infine, alla colora dai vari colori di questi diversi
precetti, il comando: «Pregate per coloro che vi perseguitano».
Così
innalza i suoi discepoli alla più alta perfezione.
È
evidente, infatti, che sopportare gli schiaffi senza reagire è più
che essere mansueti; dare il mantello insieme alla tunica è più che
essere misericordiosi; sopportare con fermezza l’ingiustizia è più
che essere giusti; seguire chi in malo modo ci costringe a camminare
è più che essere pacifici; e pregare per i nostri persecutori è
più che essere perseguitati.
Ecco
come Cristo ci innalza a poco a poco fino al più alto dei cieli. E
dopo tutto questo, di quale terribile supplizio saremo degni, se,
mentre ci viene comandato di imitare Dio, non faremo neppure quanto
fanno i pagani e i gentili? Se i pubblicani, i pagani e i peccatori
amano coloro che li amano, a quali pene saremo condannati se
addirittura non faremo neppure questo, manifestando invidia per la
stima di cui i nostri fratelli sono circondati e se, mentre Gesù ci
ordina di essere più giusti dei farisei, saremo invece inferiori
agli stessi pagani? Come potremo vedere il regno e avvicinarci a
quelle sacre soglie, se non saremo migliori dei pubblicani? Cristo ci
fa intendere questo quando dice: «Non fanno così anche i
pubblicani?».
Ma
la cosa che più di tutte le altre deve farci ammirare il modo in cui
Cristo educa gli uomini, è il fatto che egli propone le ricompense
per le lotte affrontate e superate con grande prodigalità: noi
potremo vedere Dio, ricevere in eredità il regno dei cieli, divenire
figli di Dio e simili a lui, ottenere misericordia, godere delle sue
divine consolazioni e di un premio infinito: Se, al contrario, Gesù
è costretto a ricordarci i dolorosi castighi in cui possiamo
incorrere, lo fa senza soffermarvisi troppo. Una sola volta parla, in
un così lungo discorso, del fuoco della Geenna; e allorché vuol
correggere i suoi ascoltatori, si comporta più con l’esortazione
che con le minacce, come quando dice: «Non fanno così anche i
pubblicani?», oppure «se il sale diventa insipido»; e, ancora,
quando dichiara: «sarà chiamato minimo nel regno dei cieli». In
altri casi, invece di presentare la punizione, parla dei peccati in
cui si cade, lasciando all’ascoltatore di immaginare la severità
della pena. Fa così, ad esempio, quando dice: «chiunque guarda una
donna con desiderio cattivo, ha già commesso in cuor suo adulterio
con lei», oppure «chi manda via la propria moglie, la spinge
all’adulterio»; e ancora quando dichiara: «ciò che si dice in
più, vien dal maligno». Rivolgendosi a persone dotate di ragione,
non c’è affatto bisogno, per allontanarle dal peccato, di parlare
della punizione, ma basta porre in rilievo la gravità del peccato
stesso. Ecco perché cita qui l’esempio dei pubblicani e dei
gentili, in quanto sa che questo paragone non manca di fare grande
impressione sui discepoli. Paolo imita questo comportamento, quando
dice: «Non affliggetevi come gli altri che non hanno alcuna
speranza, o come i gentili che non conoscono Dio» {492}. E per
mostrare che non chiede niente di molto eccezionale, ma soltanto
qualcosa un po’ al di sopra dell’ordinario, Gesù dice: Non
fanno forse altrettanto anche i gentili? {493}
E
il suo discorso non si ferma qui, ma egli lo conclude citando le
ricompense e lasciando ai suoi ascoltatori buone speranze, con queste
parole: Siate
dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste {494}.
Ovunque è necessario, egli nomina il cielo per elevare il pensiero
dei suoi discepoli: essi, infatti, erano ancora deboli e avevano
ancora sentimenti grossolani.
Consideriamo
anche noi perciò, nel nostro animo, tutte queste istruzioni e
dimostriamo amore anche per i nemici. Respingiamo la ridicola
abitudine, che hanno molte persone prive d’intelligenza, di
aspettare di essere salutate per prime da coloro che incontrano,
trascurando così quanto può render beati ed esigendo, invece, ciò
che è soltanto ridicolo. Perché non volete salutare per primi
coloro che incontrate per via? Lo faccio – tu dici - perché
quegli aspetta che lo saluti io per primo. Ma non è forse questa una
buona ragione per affrettarti a salutarlo e così ricevere la
ricompensa che Cristo ti ha promesso? No, - mi dici, - io non lo
faccio, perché è l’altro che vuole questo da me. Cosa può
esservi di peggio di un modo così stravagante di ragionare? Poiché
egli – tu aggiungi – ha interesse che io mi tolga tale
ricompensa, non voglio approfittare di questa occasione. Ma se sarà
l’altro a salutarti per primo, tu non avrai più nulla da
guadagnare, anche se egli renderà il saluto. Se invece lo preverrai,
avrai fatto un affare della sua superbia e dal suo orgoglio mieterai
un abbondante frutto. Non significa essere estremamente insensati
privarci volontariamente di un concreto vantaggio, che potremmo
guadagnare spendendo poche parole? Non solo, ma voi cadete nello
stesso peccato che rimproverate al vostro fratello. Infatti se voi lo
condannate perché egli attende di essere salutato per primo da un
altro, perché volete imitarlo in questo atteggiamento che gli
rimproverate? Perché credete di far bene, mentre fate quello che in
lui giudicate essere un male? Vedete come non c’è nessuno più
irrazionale dell’uomo che vive nell’iniquità. Ecco perché vi
scongiuro di perdere questa cattiva e ridicola abitudine. Questa
malattia ha diviso un’infinità di amici e ne ha fatti altrettanto
nemici. Siamo dunque benevoli verso gli altri, prevenendoli nel
saluto. Se Cristo ci comanda di sopportare gli schiaffi, di lasciarci
prendere la tunica e di obbedire ai nostri nemici quando ci
costringono ad affaticarci per loro, quale scusa potremo invocare, se
diamo prova di un orgoglio tanto testardo, quando si tratta di dare
un semplice saluto? Voi forse obietterete: Ma se noi gli renderemo
questo ossequio, saremo disprezzati e beffeggiati. Ma come! Per non
essere disprezzati dagli uomini, voi offendete Dio? E per impedire
che qualche uomo folle, servo come voi, vi disprezzi, non esitate a
calpestare la legge del Signore, che vi ha fatto tante grazie? Se è
certo una cosa fuori posto che un uomo, simile a voi, vi disprezzi, è
un’assurdità disprezzare Dio che vi ha creati. Pensate, infine,
anche a questo: quando gli uomini vi disprezzeranno, ebbene, essi non
faranno che procurarvi un più grande merito. Voi subite, infatti,
quel disprezzo per Dio, perché avete ascoltato e ubbidito alla sua
legge. Cosa c’è di più glorioso di questa sofferenza, e dove si
troveranno degne corone per onorarla? Voglia il cielo che io sia
offeso e disprezzato per il mio Dio, piuttosto che essere onorato da
tutti i re della terra. Niente, infatti, è pari alla gloria di
essere disprezzato per tal motivo. Cerchiamo dunque di conseguire
questa gloria, come Dio stesso ci ha ordinato, considerando meno di
niente la gloria terrena. Dimostrando in tutte le occasioni perfetta
virtù e sapienza, regoliamo e ordiniamo tutta la nostra vita. In
questo modo già sin d’ora godremo abbondantemente dei beni del
cielo e della gloria di lassù, vivendo cioè come angeli tra gli
uomini, quasi fossimo esseri spirituali che abitano sulla terra,
tenendoci al di sopra di tutti i desideri terreni e di tutte le
passioni che turbano gli uomini. E, insieme a tutte le potenze
celesti, potremo infine godere di quei beni ineffabili che io auguro
a tutti noi per mezzo della grazia e della misericordia di nostro
Signore Gesù Cristo. A lui la gloria, la potenza e l’adorazione,
insieme al Padre che non ha principio, e con lo Spirito Santo
sorgente di ogni bontà, ora e sempre e per tutti i secoli dei
secoli. Amen.
{482}
Mt. 5, 38-40.
{483}Cf.
Is. 20, 3.
{485}Mt.
5, 41.
{488}Lc.
23, 34.
San GIOVANNI CRISOSTOMO dal "COMMENTO AL VANGELO DI S. MATTEO"
vol. 1°
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