Ben
poco si sapeva in occidente di questo starec sino a non molto tempo
fa. Era nota soltanto la data della sua morte, ricavata da uno scarno
necrologio del “Zurnal Moskovkoj Patriarchii”, il 7 settembre
1963 durante le persecuzioni antireligiose di Kruscev. In seguito
sono giunte in Francia notizie più precise sulla sua vita, che sono
state pubblicate nella prefazione al volumetto “Igumen Nikon,
Pis’ma duhovnym djetjam” (Lettere ai figli spirituali). A questa
prefazione attingiamo i dati biografici che riportiamo.
Al
secolo si chiamava Nikolaj Nikolajevic Vorob’jev ed era nato nel
1894 da famiglia contadina del distretto di Bjezeck nel governatorato
di Tvjer’. Ricevette la prima formazione al liceo scientifico, in
cui diede prova delle sue notevoli capacità nell’ambito di tutte
le discipline. Avendo deciso di dedicarsi alla psichiatria,
s’iscrisse all’Istituto Neuropatologico di Pietroburgo, ma qui
ben presto avvenne un decisivo mutamento nella sua concezione della
vita. Si rese conto dell’impossibilità per la scienza di
conoscere l’uomo e sentì nel suo intimo la voce di Dio.
Abbandonò
gli studi di medicina alla fine del primo anno e si dedicò a vita
ascetica e solitaria consacrandosi allo studio della Scrittura e dei
Padri. Nel 1917 s’iscrisse all’Accademia teologica di Mosca, ma
quando questa venne chiusa nel 1919, egli ritornò alla vita
ascetica che condusse solitario per dieci anni nella cittadina di
Suhivici. Fu tonsurato monaco a Minsk nel 1931 e l’anno successivo
fu ordinato ieromonaco.
Nel
1933 fu arrestato e mandato per quattro anni nei campi di
concentramento della Siberia. Dopo la liberazione visse a Vysnij
Volock facendo l’inserviente di un medico. Quando alla fine della
guerra Stalin concesse una certa libertà di culto, lo ieromonaco
Nikon fu nominato parroco a Kozel’sk, donde dovette allontanarsi
per l’invidia dei suoi confratelli e nel 1948, dopo aver esercitato
l’attività pastorale a Bjelov, Iefremov ed a Smoljensk, fu
mandato, praticamente in esilio, in una parrocchia abbandonata a
Gzatsk.
Il
successo che ottenne con la predicazione tra i fedeli fu tale che per
un certo tempo gli fu vietato dalle autorità di polizia di ricevere
visite. Come egli stesso riconosce, qui egli raggiunse l’umiltà
fondamentale, cioè il fermo convincimento del cuore che noi non
siamo nulla, ma solo creature di Dio, e che in noi non c’è
alcunché di nostro, ma soltanto la misericordia di Dio.
Da
questo convincimento deriva il leitmotiv delle sue lettere: l’uomo
deve sopportare tutte le angosce e malattie, se vuole salvarsi,
perché il Cristo stesso c’insegnò che chi voleva seguirlo,
prendesse la propria croce. Con questa intima persuasione è
strettamente connesso il suo consiglio di rivivere continuamente in
noi stessi l’esperienza del pubblicano e del buon ladrone, il quale
riconobbe sulla croce d’aver meritato la sua pena. Tra i Padri,
egli si rifà particolarmente a san Giovanni Climaco ed a
sant’Isacco Siro; per quanto riguarda gli asceti Russi il suo
modello è il vescovo Ignatij Brjancianinov. A costui, forse deve,
almeno in parte, la perspicuità del suo stile, che affascina il
lettore e che è l’espressione della profondità della sua vita
interiore.
Comunque
l’igumeno Nikon è una chiara testimonianza della vitalità, sia
pur in mezzo alle persecuzioni, della Chiesa Ortodossa nell’Unione
Sovietica, che più d’uno in Occidente avrebbe voluto ridotta ad
un mero “instrumentum regni” delle autorità al potere.
A.
S.
Dalle “Lettere ai figli
spirituali” dell’igumeno Nikon
Mio
caro..., ho ricevuto la tua lettera e profondamente ho condiviso i
tuoi sentimenti. Avrei molto da dirti sui tuoi sospetti e sulle tue
amarezze, ma non sono maestro nello scrivere. Tu hai scelto una vita
estremamente difficile ai giorni nostri e se resisti sino alla fine,
tutti i tuoi affanni, non solo saranno ricompensati milioni di volte,
ma semplicemente, non dirò che saranno dimenticati, ma addirittura
ti rincrescerà che fossero troppo piccoli... Può darsi che questo
ti sembri strano, ma è proprio così. Sono profondamente convinto
che anche gli antichi martiri provavano un senso di rincrescimento,
perché avevano sofferto poco e perciò non potevano rispondere a
Dio con quell’amore, con cui avrebbero voluto amare Dio. Anche
l’amore verso un essere umano tende ad esprimersi con il compimento
di qualcosa che sia gradito alla persona amata, qualsiasi sacrificio
ciò costi. Quant’è più profondo l’amore, tanto più forte
è il desiderio di dimostrarlo. Ma dar prova di un amore
disinteressato è possibile solo con il sacrificio e, siccome il
vero amore non conosce limiti, così non li conosce neppure la sete
del sacrificio, in quanto manifestazione d’amore. Chi ama Dio,
vorrà soffrire per Dio e, a seconda della profondità dell’amore,
crescerà anche il desiderio di sopportare ogni genere di prove
purché Dio non si allontani da noi, pur di essere più vicini a
lui. E non si può fare a meno di amare il Signore, se ci
avviciniamo a lui, o per essere più esatti, se egli si avvicinerà
a noi. Si può ritenere che nell’altra vita il verme che mai
s’addormenta ed il fuoco che non si spegne altro non siano che
l’affanno del cuore, perché c’era stato un tempo in cui si
poteva manifestare il nostro amore non solo con le sofferenze, ma
anche con la fede in lui in mezzo ad ogni genere di dubbi, in mezzo a
paure, alla solitudine spirituale, alla consapevolezza della nostra
impotenza, della nostra debolezza e così via, e non l’abbiamo
dimostrato. Ecco, qui sulla terra si può e si deve dimostrare il
proprio amore verso di lui con una decisione interiore: crederò in
te, adempierò con tutte le mie forze ai tuoi comandamenti,
affronterò sofferenze per la fede in te, rinuncerò a tutto ed a
tutti – alla mia vita privata, ai parenti – purché tu, o
Signore, non ti allontani da me, non permetta che perda la fede ed il
coraggio, non permetta che mormori contro di te se mi colpiranno
affanni e sofferenze troppo pesanti, sia mie che delle persone a me
vicine. Concedimi di amarti anche in queste condizioni con tutto il
cuore. Se conserverai questo stato d’animo, ti sarà facile
percorrere il sentiero della vita. Ma se sarai incerto, se ammetterai
nel tuo cuore il sospetto, se, offendendo di tua spontanea volontà
i comandamenti di Dio, avvolgerai te stesso nelle tenebre ed
indebolirai le tue forze spirituali, se non invocherai continuamente
l’aiuto del Signore, e particolarmente se insuperbirai e renderai
te stesso pesante oltre misura. Ma anche allora non disperare, ma
ancor più umiliati e riponi tutta la tua fiducia nel Signore, nella
sua misericordia e nel suo aiuto. Questo è lo stato d’animo
giusto, ma senza l’esperienza, senza cadute e riprese spirituali
non riuscirai a giungere alla condizione giusta. Essa è
caratterizzata dalla profonda consapevolezza della propria debolezza,
della propria incapacità di vivere secondo i comandamenti e di
amare Dio come egli ci ha amato. Da questa condizione ha origine il
sentimento della penitenza, il pianto che sgorga dal cuore, la
consapevolezza di non essere in grado di pagare il proprio debito
(10.000 talenti), in una parola, il cuore contrito ed umiliato, che
Dio non distruggerà, e da cui si genera quell’amore verso il
Signore, del quale ho parlato all’inizio. Con la sola propria
volontà e con il desiderio non si raggiunge ancora l’amore, ma
con la vita secondo i comandamenti, con la penitenza, con il pianto
sulle proprie cadute, con una profonda contrizione per il fatto che,
invece di amare ed accontentare Dio, continuamente distruggiamo la
sua santa volontà. Da questo pianto e da questa contrizione trae
origine il timore di Dio, cioè la paura di offendere in qualche
cosa Dio, assieme al sentimento della vicinanza a noi di Dio, il che
è espresso con le parole del profeta David: ho visto sempre davanti
a me il Signore... Successivamente si genera a poco a poco la ferma
decisione di morire piuttosto che offendere Dio, di privarci della
sua vicinanza. Si manifesta anche la fermezza negli affanni, non solo
la loro sopportazione senza protestare, ma anche la gratitudine per
essi, poiché il cuore sentirà la gioia di essere purificato con
gli affanni e la soddisfazione dovuta al fatto che bisogna soffrire
per Dio ed amarlo. Che cosa darò in cambio a te, Signore, per tutto
ciò che mi hai dato? Perdona... la prolissità è, forse, la
inopportunità di questa lettera. Ma il tuo affanno mi ha spinto a
scriverti questo. Può darsi che a te sia utile e ti servirà di
conforto. Amico mio, ti chiedo una sola cosa: non ti allontanare mai
da Dio, per quanto profonde possano essere le tue cadute, per quanto
gravi i peccati e le offese verso Dio (dal che ti liberi il Signore),
ma, come il figlio dissoluto, chiedigli perdono e continuamente
costringi te stesso a vivere secondo i suoi comandamenti. Non
respingerò chi viene da me. Colui che va verso il Signore compiendo
ciò che prescrivono i comandamenti, anche se cade nel percorso, si
risolleva e va avanti, si trova nel numero dei soldati del Cristo, da
cui è incoronato, sebbene abbia ricevuto molte ferite in questo
combattimento spirituale contro le proprie passioni, contro la
propria natura caduta ed i demoni. Il Signore ti faccia ragionare,
rafforzi la tua fede e la tua volontà, ti difenda da ogni male.
Il
Signore ti benedica.
1952
Tutta
l’umanità ed ogni uomo in particolare porta le conseguenze di una
grave caduta ed è in stato di corruzione. L’uomo da sé non può
correggersi e salvarsi ed essere degno del Regno dei Cieli. Egli è
corretto solo dal Signore Gesù Cristo, che proprio per questo
motivo è venuto sulla terra, ma salva solo coloro i quali credono
nel Cristo e sono coscienti della loro corruzione o, come siamo
soliti dire, della loro propensione al peccato. Così dice il
Signore: Io non sono venuto a salvare i giusti (cioè coloro che si
considerano giusti, buoni), ma a chiamare alla penitenza i peccatori,
cioè coloro che si sono resi consapevoli del proprio stato di
corruzione, delle proprie colpe, dell’incapacità di correggersi
da soli e si rivolgono al Signore Gesù Cristo per aiuto, o meglio,
pregano il Signore di aver pietà di loro, di essere purificati
dalle piaghe del peccato, di essere guariti dai mali dell’anima e
di ricevere il Regno di Dio esclusivamente per sua misericordia, e
non per qualche nostra buona opera. Colui che va rettamente per la
via spirituale comincia a vedere in sé un numero sempre maggiore di
colpe, finché, alla fine, con gli occhi dello spirito vede se
stesso preda del peccato e sente con tutto il cuore di essere fango e
sozzura, di essere indegno anche d’invocare il nome di Dio e, come
il pubblicano, senza sollevare i suoi occhi, con profondo dolore del
cuore invoca: “Dio, sii misericordioso nei confronti di me
peccatore”. Dopo una lunga permanenza in questo stato d’animo,
l’uomo ne esce a suo tempo giustificato, così come uscì dal
tempio il pubblicano. Se l’uomo si considera buono e ritiene che i
suoi peccati, anche gravi, sono casuali e di non esserne colpevole
lui stesso, ma piuttosto le circostanze interiori, oppure quelli che
lo circondano o il demonio, e che lui non ha che una piccola parte di
responsabilità, tale stato d’animo è falso, è tipico
dell’inganno aperto o segreto, da cui ci salvi tutti il Signore.
Per camminare sulla via retta, bisogna fare attenzione a se stessi,
confrontare le proprie parole, opere, pensieri e tendenze con i
comandamenti del Cristo, non giustificandosi in nulla; bisogna
cercare di correggersi nella misura possibile, non accusare né
condannare gli altri, ma pentirsi davanti a Dio, umiliandosi davanti
a lui e agli uomini, poiché solo così il Signore poco a poco ci
svelerà la nostra caduta, la nostra corruzione, il nostro debito
non pagato. Uno doveva restituire 500 denari, l’altro 50, ma
tuttavia entrambi non avevano come restituirli. Bisogna che il
Signore, nella sua misericordia, perdoni a tutti e due, il che
significa che non c’è alcun giusto che non abbia bisogno della
misericordia di Dio. Ed ecco la sapienza di Dio! Chi pecca
apertamente può più presto essere perdonato ed accostarsi al
Signore, ed in tal modo salvare, di coloro che sono esternamente
giusti. Perciò il Cristo disse che i pubblicani ed i peccatori
entrano nel Regno di Dio prima di molti che sono giusti solo
esternamente. Grazie all’immensa sapienza di Dio, i peccati ed i
demoni contribuiscono a rendere umile l’uomo ed in tal modo alla
salvezza. Ecco perché il Signore proibì di strappare la gramigna
che cresce vicino al grano, poiché senza di essa facilmente
crescerebbe la superbia, ma Dio ad essa si oppone. La superbia e la
presunzione sono la rovina dell’uomo. Quale conclusione si trae da
tutto ciò? Imparate a conoscere la vostra debolezza e le vostre
colpe, non condannate nessuno, non giustificatevi, umiliatevi e Dio
vi esalterà al momento debito. Dio, sii misericordioso con noi
peccatori.
Perdonate
e pregate per me...
1950
Mia
carissima M. B.,
Cercate
prima di tutto il Regno di Dio e la sua Giustizia. L’uomo provvede
a se stesso con le proprie forze? Se vi affaticate nella vita fisica,
dovete affaticarvi anche in quella spirituale. Bisogna coltivare il
proprio cuore, o ancor meglio del proprio orticello. Se l’uomo paga
il salario ai lavoratori salariati, forse che il Signore lascerà
senza compenso coloro i quali lavoreranno per lui? Ma come dobbiamo
lavorare per lui? Lei lo sa. Dobbiamo pregare e fare attenzione a noi
stessi, dobbiamo combattere con i pensieri, non arrabbiarci per cose
da poco, cedere l’uno all’altro, anche se i nostri interessi ne
risentono (guadagnerete poi molto di più), rappacificarci il più
presto possibile, aprire i nostri pensieri (al padre spirituale),
perdonare più spesso, ecc... Si può conciliare tutto ciò con il
lavoro? Se per la nostra debolezza non è possibile conciliare
tutto, si può tuttavia molto. Nell’assenza di un’attività
spirituale completa, dobbiamo almeno pentirci ed in tal modo
conseguire l’umiltà, ma in nessun modo giustificarsi, poiché,
giustificando noi stessi, ci priviamo della possibilità di crescere
spiritualmente. Se non facciamo ciò a cui siamo tenuti inoltre non
sopportiamo le offese e gli affanni, ed in tal modo non ci pentiamo e
non ci umiliamo, io non so più che dirle. In tal caso in che cosa
saremmo migliori dei non credenti? Perciò vi supplico tutti:
sopportate le offese, i rimproveri, le ingiustizie umane, portate
l’un l’altro i vostri pesi, pur di completare in tal modo la
mancanza dell’attività spirituale e, quel che più conta,
dobbiamo ritenerci degni di tutte le offese e di tutte le sofferenze
(riceveremo ciò che meritiamo per le nostre azioni). Lei sa che
negli ultimi giorni del mondo gli uomini si salveranno per mezzo
delle sofferenze. Forse che noi siamo esclusi da questa legge? Non
per nulla i Santi Padri consigliavano di pensare spesso (almeno più
volte al giorno) alla morte, al giudizio divino, alla necessità di
rendere conto a Dio di ogni parola, di ogni pensiero, della nostra
malignità, dell’attaccamento a questo mondo, della vanagloria, di
tutto ciò che è nascosto in noi ed è noto al Signore ed alla
nostra coscienza. Lei ci pensi più spesso.
Il
Signore vi benedica tutti.
1949
...
Bisogna agire secondo le proprie forze. Fisicamente tutte le forze
vengono meno, ma nell’anima restano alcuni minuti di sole. Come è
possibile? Ricordiamo le parole del Salvatore: Cercate in primo luogo
il Regno di Dio... con quel che segue. È questo un comandamento non
diverso da quello che vieta di uccidere, di commettere adulterio,
ecc... La disobbedienza a questo comandamento spesso danneggia
l’anima molto più che una caduta casuale. La violazione di questo
precetto raffredda l’anima, la mantiene in uno stato di
insensibilità e spesso porta alla morte spirituale: Lasciate che i
morti seppelliscano i loro morti, i morti, ben inteso, nell’anima,
quelli che sono privi di un sentimento spirituale, quanti non mettono
un po’ di calore nell’eseguire i comandamenti, coloro che non
sono né caldi né freddi, quelli che il Signore minaccia di
rigettare dalla sua bocca. Dobbiamo almeno una volta al giorno porre
per alcuni minuti davanti a noi il giudizio di Dio, come se già
fossimo morti ed al quarantesimo giorno stessimo davanti al Signore
in attesa della sua sentenza. Stando con il pensiero davanti a Dio in
attesa del giudizio, piangeremo e supplicheremo il Signore di aver
pietà di noi e di rimetterci il nostro debito non pagato. Consiglio
tutti a praticare quest’attività continuamente, sino alla morte.
Meglio farlo la sera, ma si può farlo in qualsiasi momento,
concentrarsi con tutta l’anima e pregare il Signore di perdonarci e
di aver pietà di noi. Ed è ancor meglio farlo più volte al
giorno. È un comandamento divino e dei Santi Padri prendersi cura,
sia pur brevemente, della propria anima. Tutto passa, la morte è
alle nostre spalle, ma non pensiamo come ci presenteremo al tribunale
di Dio e quale sarà la sentenza del giusto Giudice, il quale
conosce e ricorda ogni movimento, anche il più lieve, dell’anima
nostra e del corpo dai tempi della nostra giovinezza sino alla morte.
Che cosa gli risponderemo? Proprio per questa ragione i Santi Padri
qui sulla terra piangevano e supplicavano il Signore di perdonare
loro, cioè per non piangere al tremendo tribunale e per
l’eternità. E se essi avevano bisogno di lacrime, noi, peccatori,
perché ci consideriamo perfetti e viviamo senz’alcuna
preoccupazione e pensiamo solo alle cose terrene? ... Perdonatemi e
pregate per voi e per me.
Il
mio saluto e la mia benedizione di Dio a tutti.
1954
Carissima
M. B.,
quanto
l’uomo realmente e non con la fantasia, è vicino a Dio, tanto
più egli si sente indegno peccatore, maggiormente peccatore che i
suoi simili. Così si sentivano i Santi Padri. Gli esempi non
mancano e lei stessa li ricorda. Il pubblicano si riteneva peccatore
per un’altra ragione. Ma, avendo coscienza del suo stato di
peccatore, non si giustificava e chiedeva solo pietà e perdono al
Signore e l’ottenne. Tutti gli uomini hanno un debito non pagato
con il Signore. Nessuna lotta spirituale può pagarlo. Il Signore
stesso dice che se anche mettete in pratica tutti i comandamenti,
dovete considerarvi servi inutili, obbligati a fare tutto ciò che
impone loro il padrone. Il che significa che noi tutti, che
continuamente trasgrediamo i comandamenti, dobbiamo essere nel nostro
intimo come il pubblicano. Non è il caso di cercare in noi stessi
alcuna dignità, qualsiasi lotta spirituale abbiamo affrontato.
Rimaniamo sempre servi inutili e solo la misericordia divina perdona
a coloro che si pentono e li “include” nel Regno di Dio. Ecco la
ragione per cui la ricerca di condizioni spirituali elevate è
proibita dai Santi Padri e dal Signore. Tutta la nostra attività
interiore deve concentrarsi nella penitenza ed in tutto ciò che ad
essa contribuisce. Quello che spetta a Dio verrà da sé, quando il
luogo sarà pulito e se lo vorrà lui. Se nell’asceta non c’è
un sincero sentimento del suo stato di peccatore e manca la
penitenza, un simile asceta inganna se stesso. Particolarmente colui
che si dedica alla preghiera, deve avere nel cuore la preghiera del
pubblicano e provare il suo sentimento di penitenza, poiché,
altrimenti egli sarà ingannato dai demoni, diventerà presuntuoso,
vanitoso e s’ingannerà. Ecco la mia risposta al suo desiderio di
sapere che cosa significhi avere lo stato d’animo del pubblicano.
Con la parabola del pubblicano e del fariseo il Signore volle
dimostrarci come e con quale stato d’animo dobbiamo pregare, e
quale è la condizione di spirito che dobbiamo evitare (quella del
fariseo). Dopo la venuta del Salvatore e le sue sofferenze, la
preghiera del pubblicano è stata sostituita dai Padri con la
preghiera di Gesù. Il significato è lo stesso.
Carissimi!
Sia con voi la pace e la salvezza del Signore.
Ho
ricevuto la vostra lettera. Il Signore vi ha visitato con la malattia
naturalmente perché essa era necessaria per la vostra salvezza. Nel
Regno di Dio si entra per mezzo di molte afflizioni, questa è la
legge spirituale. Gli Apostoli, i martiri, i venerabili e tutti i
Santi sono diventati partecipi della gloria attraverso molte e gravi
sofferenze. Colui che il Signore ama, lo castiga, colpisce ogni
figlio che accoglie. È chiaro che non c’è altra via per entrare
nel Regno di Dio, all’infuori di quella stretta, della via della
Croce, per cui voi non dovete essere tristi nelle malattie e nei
momenti di debolezza, ma dovete rallegrarvi nello spirito perché il
Signore vi è più vicino ora, e nel futuro farà che voi siate
del tutto suoi figli, a condizione perciò che rimaniate a lui
fedeli sino alla fine e sopportiate senz’alcun mormorio di protesta
ciò che egli riterrà necessario mandarvi. Colui che resisterà
alla sofferenza sino alla fine, si salverà. Bisogna invocare più
spesso il nome del Signore, porci davanti a lui e chiedergli che ci
conceda pazienza nei momenti troppo duri. Dobbiamo guardarci dalla
protesta come da un serpente velenoso. Il ladrone che non si
dimostrò ragionevole sulla croce, poiché protestava e lanciava
insulti, non solo aggravò le sue sofferenze, ma si dannò per
l’eternità, mentre il suo compagno, consapevole di scontare la
pena che s’era meritata con le sue azioni, rese in tal modo meno
dolorose le sofferenze ed entrò nel Regno dei Cieli. Nella
preghiera del mattino del venerabile Macario si legge: Dio,purifica
me peccatore, poiché non ho fatto del bene davanti a te. Se così
pensava un Santo, che dobbiamo dire noi, su che cosa dobbiamo riporre
le nostre speranze? Unicamente sulla misericordia di Dio. Dimentichi
di tutte le nostre buone azioni, come il pubblicano, dobbiamo
invocare dal profondo del nostro cuore: “Dio, sii misericordioso
con noi peccatori!”. E se il pubblicano fu purificato dalle sue
colpe solo per questa preghiera, è evidente, e noi dobbiamo
credere, che il Signore avrà pietà anche di noi, se pregheremo di
tutto cuore come il pubblicano. Questo c’insegna il Signore Gesù
Cristo: pregare e sperare nella misericordia divina. Nessuna malattia
c’impedirà di rivolgerci dal profondo dell’anima, sia pur
alcune volte al giorno, al Signore con un senso di penitenza. Mai il
Signore ha rifiutato il perdono a chi s’è pentito. Ma egli non ci
concede il suo perdono, quando noi non perdoniamo agli altri. Perciò
facciamo pace con tutti, perché il Signore la faccia con noi.
Perdoniamo a tutti, affinché il Signore ci perdoni. ... Vi protegga
il Signore e vi dia pazienza e spirito di preghiera e, per mezzo di
loro, la gioia spirituale, che supera tutti i mali fisici e le
afflizioni di questo mondo transeunte.
Cara
M., Il Signore vuole la salvezza di ogni uomo. Ma non ogni uomo vuole
con i fatti la salvezza. A parole tutti vogliono salvarsi, ma con i
fatti respingono la salvezza. In che modo la respingono? Non con i
peccati, poiché ci furono grandi peccatori, come il buon ladrone e
Maria Egiziaca, i quali si salvarono. Essi si pentirono delle loro
colpe ed il Signore perdonò loro, per cui essi ottennero la
salvezza. Ma perisce colui che pecca e non si pente ed anzi
giustifica le sue colpe. È questa una realtà tremenda,
pericolosissima. Il Signore dice: Sono venuto a chiamare alla
penitenza non i giusti, ma i peccatori. Che significano queste
parole? Il Logos di Dio dice che non c’è alcun giusto, neppure
uno... e tutti assieme furono inutili... Tutti siamo peccatori e,
quanto più uno è santo, tanto più vede in sé i suoi peccati.
Ed il Signore è venuto ad invitarci alla penitenza ed a salvare i
peccatori per mezzo di essa, poiché colui che è cosciente dei
suoi peccati, si pente davanti a Dio e chiede perdono. Ma chi non
vede le sue colpe o malignamente pensa di giustificarsi, il Signore
lo allontana da sé. Così ancora sulla terra, respinse e condannò
i farisei, i quali si consideravano giusti, anzi si ritenevano
modello per gli altri. È terribile una simile condizione. Che il
Signore liberi da essa ogni uomo. Il venerabile Sisoe il Grande
chiese agli angeli, che erano venuti a prendere la sua anima, di
pregare il Signore perché gli concedesse di vivere ancora qualche
giorno per pentirsi. Il venerabile Pimen il Grande diceva:
Credetemi,fratelli, dove sarà Satana, là sarò anch’io. Eppure
Pimen il Grande risuscitava i morti. Così anche tutti gli altri
servi di Dio sino alla morte piangevano i loro peccati, il loro
debito che non poterono pagare a Dio.
E
chi siamo noi i quali per amor proprio nascondiamo le nostre colpe,
ci giustifichiamo, facciamo i furbi, quando con una gamba siamo già
nella tomba...? Esamina tutta la tua vita, pentiti di tutto ciò che
hai commesso, di cui hai consapevolezza; chiedi con le lacrime,
prostrandoti sino a terra, come fa la Chiesa: Concedimi di vedere i
miei peccati. Se l’uomo non vede le sue colpe, ciò non vuol dire
che non ne abbia. Significa invece che egli non solo è un
peccatore, ma anche è cieco spiritualmente. E se il nostro padre
spirituale o una persona qualsiasi ci accusa di essere peccatori, non
dobbiamo giustificarci, ma supplicare Dio che ci sveli le nostre
colpe, ci conceda di pentirci di esse prima della morte e di ricevere
qui sulla terra il perdono.
1953
Carissima,
Tu
ormai sei in preda alla tristezza e ti sbigottisci per una piccola
tentazione. Il Signore permette che ciò ti accada perché tu
conosca la tua debolezza e comprenda quanto è misteriosa l’anima
dell’uomo e quale fatica si debba affrontare per purificarci dalle
passioni, diventare un tempio del Dio vivente e conseguire la
salvezza. Allorché si manifesterà la debolezza dell’uomo,
cadrai ai piedi del Signore e dalla profondità del cuore
l’invocherai come l’apostolo Pietro sul punto di annegare. Allora
riceverai l’aiuto dal Signore e comprenderai che veramente egli è
vicino a quanti invocano il suo nome dall’intimo del cuore ed ormai
con gratitudine seguirai i suoi passi e piangerai su tutte le tue
colpe, con le quali l’hai offeso. Allora il tuo cuore sarà umile,
smetterai di condannare gli altri e comincerai a preoccuparti che il
Signore perdoni i tuoi peccati e non permetta di offenderlo in futuro
violando i comandamenti. Comprenderai anche l’inconsistenza di
tutte le cose di questa terra, che il tuo affetto a questa ultima, i
contrasti, le amarezze... non hanno nessun peso e che non vale la
pena di amareggiarsi per cose del genere e perdere di conseguenza la
pace dell’anima e, forse, la salvezza.
...
Tutto il male, tutte le passioni, tutte le astuzie del demonio, tutte
le afflizioni e sofferenze si vincono con umiltà, che si manifesta
quando noi, di tutto cuore, diciamo, come il buon ladrone, al
Signore: Riceviamo quello che abbiamo meritato con le nostre opere;
ricordati di me, Signore, nel tuo Regno. Se così sapremo dire in
tutte le circostanze della vita e non protesteremo contro il Signore
né contro il prossimo, sentiremo subito un sollievo e saremo sulla
via giusta. E se abbiamo anche mormorato contro qualcuno, dobbiamo
ancor più umiliarci e dire: “Signore, in verità io non valgo
nulla, tu solo mi puoi salvare”. Se vuoi, mi puoi purificare! Disse
il lebbroso, che aveva perduto ogni speranza di guarigione, e sentì
la risposta del Signore: Sì, lo voglio, purificati. Ed il Signore
lo toccò e lo guarì. Così anche noi, avendo compreso nel
profondo dell’animo la nostra debolezza e miseria spirituale,
rivolgiamoci al Signore, l’unico nostro Salvatore e con animo
afflitto diciamogli: “Signore, se vuoi, puoi guarirmi e salvarmi!”.
E
riceveremo la risposta del Signore che fu per noi crocifisso: Sì,
lo voglio, purificati! L’anima nostra sentirà chiaramente questa
risposta e riceverà la forza di sopportare con gratitudine tutti
gli affanni di questa terra così come il buon ladrone rimase appeso
sulla croce sino a sera in preda a tremende sofferenze. Per
comprendere tutto ciò, cara M., per umiliarti e per affidarti alle
mani di Dio, ripeti continuamente: “Signore, sia fatta la tua
volontà; Signore, fa di me quello che vuoi, solo non permettere che
io mormori contro di te e salvami”. Tu sinora ti sei limitata a
leggere e ad ascoltare tutto ciò che è stato scritto sulla lotta
interiore, sul pianto, sulle sofferenze del cuore. Il Signore fa che
tu con l’esperienza l’impari e che prenda la tua decisione:
sopporterai senza proteste e ringrazierai Dio oppure ti lascerai
andare a proteste e, quel che è ancora peggio, alla disperazione?
Decidi da sola. Dà il sangue e ricevi lo Spirito. L’infanzia è
passata, è giunta l’età adulta: Dio non disprezzerà un cuore
addolorato ed umile e le reti del demonio non toccano neppure chi è
umile . Se ti abbandonerai alla protesta, se accuserai il tuo
prossimo e le circostanze della vita, passerai ben presto a mormorare
contro Dio e giungerai alla disperazione, da cui ti liberi il
Signore! Che il Signore ti conceda la pace dell’anima, l’umiltà
e la comprensione spirituale. Ti conceda la pazienza e la forza di
sopportare il peso e delle proprie passioni e di quelle degli altri,
con i quali vieni a contatto.
Mia
cara, Pensa più spesso alla morte ed a ciò che di là ti
aspetta. Ti possono venire incontro gli Angeli luminosi, ma ti
possono circondare oscuri e malvagi demoni. Solo a guardarli si può
impazzire. La nostra salvezza consiste nel non cadere nelle mani dei
demoni, ma nel liberarci da loro ed entrare nel Regno di Dio ed
essere partecipi della gioia e della beatitudine senza fine. Vale la
pena di affaticarci qui sulla terra, c’è un valido motivo? I
demoni sono superbi ed hanno il dominio sui superbi, il che significa
che dobbiamo essere umili. I demoni sono irascibili per cui bisogna
che noi siamo miti, affinché essi non si impadroniscano di noi,
poiché simili a loro nell’anima. I demoni ricordano il male, non
hanno pietà, il che vuol dire che non dobbiamo porre indugi al
perdono ed alla riconciliazione con coloro che ci hanno offesi e
dobbiamo essere misericordiosi con tutti. Dobbiamo soffocare nella
nostra anima le caratteristiche demoniache e piantare, al loro posto,
quelle degli angeli, le quali sono indicate nell’Evangelo. Se dopo
la morte prevarrà nella nostra anima l’elemento diabolico, i
demoni s’impadroniranno di noi. Se invece avremo già qui
coscienza delle nostre qualità demoniache e chiederemo perdono di
loro al Signore e perdoneremo a tutti, in tal caso il Signore
distruggerà tutto ciò che di male c’è in noi e non ci
lascerà nelle mani dei demoni. Se non condanneremo nessuno sulla
terra, anche il Signore non ci condannerà nell’altro mondo. E
così in tutto. Viviamo in pace, perdonando l’un l’altro e
rappacificandoci vicendevolmente. Pentiamoci di tutto e supplichiamo
il Signore di aver pietà di noi e di salvarci dal demonio e dalle
sofferenze eterne, finché c’è tempo. Non giocheremo con il
nostro destino eterno. Che il Signore ti dia giudizio. Amen.
Mia
cara, la preghiera fatta distrattamente non è preghiera, sebbene il
Signore l’accolga inizialmente da parte di coloro i quali appena
imparano a pregare. Ma bisogna imparare a pregare senza distrarsi. Se
ti trattieni dall’ira e ti mantieni calma, la preghiera sarà
buona, ma se non avrai pace, non potrai neppure pregare. Le preghiere
fatte nell’ira non sono accolte dal Signore il quale lascia colui
che prega in tal modo ai servitori che non hanno pietà, cioè ai
demoni, i quali cacciano dal banchetto spirituale, cioè dalla
preghiera, nella tenebra dei pensieri vuoti ed alle volte turpi. E
ciò accadrà finché non troveremo l’umiltà e non piangeremo
davanti a Dio con tutto il cuore e finché non perdoneremo a tutti e
non chiederemo perdono agli altri, in una parola, finché non
acquisiremo la pace dell’anima, poiché è detto: Nella pace
(dell’anima) è la dimora del Signore. Dove non c’è la pace
lì c’è il demonio, la tenebra e l’oppressione spirituale, che
altro non sono se non l’inizio dell’Inferno. L’umiltà ha la
forza di raccogliere i pensieri nel ricordo di Dio, mentre la
mancanza della pace, la vanagloria, la superbia disperdono i
pensieri. Se questi si disperdono, ciò significa che qualcosa non
è in ordine nella nostra anima, cioè che il demonio è entrato
in essa, per cui bisogna pentirci davanti a Dio e chiedergli perdono
e di aiutarci. Bisogna cercare le cause di questo stato d’animo.
Ciò accade alle volte (anche se non c’è l’ira) per
l’eccessiva vanità, per l’attaccamento a questo mondo, in
seguito alle lunghe conversazioni mondane, alla condanna del
prossimo. Una preghiera buona, attenta, che sgorga dal cuore è la
via al Regno dei Cieli, il quale è dentro di noi. Se manca questa
preghiera, significa che abbiamo in qualcosa offeso Dio.Sii attenta
con te stessa. Conserva la pace interiore, rappacificati il prima
possibile, riversa più spesso di fronte al Signore i tuoi affanni e
peccati, agisci secondo coscienza; così ti sentirai bene e ti
salverai. Affaticati per il Signore e ti salverai; ti troverai bene
anche qui e dopo la morte entrerai nella beatitudine eterna.
Prega
per me.
Da
“Igumen Nik on, Pis’ma duhovn ym djetjam” , Parigi 1979, tr ad.
A. S. In “Messaggero Ortodosso” , Roma, 1981, anno IV n. 10-11,
pp. 26-30; 1981, anno IV n. 2-3, pp. 6-20.
Tratto
dal sito http://www.oodegr.com/tradizione/index.htm
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