Bisogna
pregare sempre
Certe
parole di Cristo sembrano particolarmente dure, quelle, per esempio,
che esigono la rinuncia ai beni di questo mondo. C'è chi ha
osservato che una tale rinuncia è praticamente impossibile. La sola
cosa da fare, la sola risoluzione assolutamente indispensabile alla
ricerca di Cristo - quella che governa tutte le altre e senza la
quale nulla è effettivamente possibile - è quella di pregare. Anche
quando c'è altro da fare, non si è mai dispensati dal pregare.
Davanti a certe difficoltà che sembrano insuperabili, l'unica
soluzione è chiedere aiuto.
Non
sembra una cosa difficile. Pensate a un avvocato che sollecita la
grazia per un condannato a morte: questo è pregare. Basta
riconoscere che non possiamo cavarcela da soli, e sperare che un
altro ci venga a salvare. Allora si grida «aiuto!», come il
naufrago che scorge una nave.
Purché,
naturalmente, si ammetta l'esistenza di Dio, e si accetti di avere a
che fare con Lui. Mia madre mi raccontava che, durante un
bombardamento, un'infermiera che non riusciva a pregare le chiese di
farlo per lei: anche questo è preghiera. Chiedete a chi può di
pregare per voi, andate in un convento con questa precisa intenzione,
oppure chiedete a un sacerdote di celebrare una Messa per voi: è più
importante di quanto non sembri. Anche se quelli a cui lo chiedete si
scordano di farlo, voi avrete pregato lo stesso, perché avete
chiesto qualcosa a Dio per mezzo loro. Non c'è nessuno, dunque, che
non possa pregare, se lo vuole davvero; anche se non ha la fede e non
sa come mettersi alla presenza di Dio. Per questo Cristo ci dice di
pregare sempre, senza stancarci mai.
Ci
sono però due obiezioni: la prima è che non tutti sono capaci, e ho
appena risposto; la seconda è che non basta. A questo rispondo
categoricamente che invece basta; a condizione, certo, che si tratti
di una vera preghiera. Non si può infatti chiedere qualcosa a Dio
prendendosi gioco di Lui. In questo senso è vero che non tutti
possono pregare: chi prende Dio in giro, coscientemente o meno, non
lo può fare. Chi si immerge sistematicamente nell'egoismo e
nell'orgoglio (della carne o dello spirito, che è molto peggio) non
può pregare. E se chiede che si preghi per lui, o finge - ed è
un'ennesima presa in giro - o fa sul serio e allora smette per un
momento di sprofondare nel male, e basta che perseveri in questo
atteggiamento per essere salvo.
Pregare,
dunque, non sembra difficile. Non parlo di lunghe ore di adorazione,
delle veglie interminabili dei duri dell'orazione (non mi occupo di
questo e non mi chiedo se sia facile o difficile). Parlo di un grido
semplicissimo e istantaneo che chiede aiuto, o chiede sinceramente
agli altri di farlo. E facile perché non richiede la fede né, a
maggior ragione, la speranza e la carità, e neanche la certezza
assoluta che Dio esista: basta un dubbio, un dubbio sufficientemente
profondo, un'inquietudine sufficientemente reale. Conoscete
senz'altro la preghiera di Charles de Foucauld prima della
conversione: «Mio Dio, se esisti, insegnami a conoscerti!». Si può
chiedere tutto in questo modo, purché esista un vero desiderio e una
vera ansia.
Tuttavia
per alcuni non c'è niente di più difficile; a volte, diventa
addirittura impossibile. L'infermiera di cui parlavo prima sentiva
nel suo profondo di voler pregare, ma di esserne assolutamente
incapace. Era con rabbia che
diceva alla madre: «Preghi, lei che può!», con un misto di risentimento.
Eppure erano tutte e due stese a
terra sotto le
bombe, ma essere stesi a terra a causa di Dio è un altra
cosa.
Quando ho emesso i voti, mi sono steso a terra.
Era presente un mio parente che, dopo, mi disse: «Quando ti
ho visto così
mi sono detto: io non ce la farei!». Eppure non
è difficile, fisicamente
parlando, non è un salto in alto o in lungo... è
un salto
in basso: la difficoltà è solo morale. Eppure
questa difficoltà
può diventare assoluta, una vera e propria impossibilità.
Inginocchiarsi
La
più piccola preghiera, anche indiretta, implica sempre
qualcosa
del genere. Tra prostrarsi a terra, inginocchiarsi,
e
chiedere a Dio qualcosa, non c’è una grande differenza;
è solo questione
di grado. Uno scrittore ha detto che davanti
alla morte
inginocchiarsi è moralmente necessario, anche se non
si sa
davanti a chi, o a che cosa ci si
inginocchia.
Inginocchiarsi,
dunque, è moralmente necessario,
ma può
essere anche moralmente impossibile, e allora, se lo si
fa
(per esempio
in Chiesa), sarà solo per finta o
per
fare come
gli altri.
Quando si è presa da troppo tempo l'abitudine di
cavarsela da soli,
o di infischiarsene di tutto (da epicurei
o da stoici: ogni morale
che non prega si riduce a questo), può diventare praticamente
impossibile
invocare l'aiuto di un Essere superiore e
inchinarsi
davanti a Lui.
Questa
difficoltà può diventare un’incapacità assoluta: l’incapacità
di pregare non per delle ore, ma per un decimo di secondo. Chi
prega per un decimo di secondo
può
pregare sempre,
è solo questione di abitudine e di fedeltà. Quando gli Apostoli
dicevano: «Signore, insegnaci a pregare», sentivano che mancava
loro qualcosa, un punto di partenza, uno scatto iniziale. Quando lo
si trova, le distrazioni non hanno più importanza: basta ritornare
instancabilmente al punto di partenza, allo scatto iniziale, al primo
decimo di secondo, al primo grido vero che si è lanciato a Dio.
Tutto
questo è molto incoraggiante, ma anche desolante, perché temo che
molti cristiani (anche praticanti) non abbiano mai pregato nella loro
vita, neanche un istante, neanche un secondo: si sono messi in
ginocchio e non si sono inchinati, si sono segnati con l'acqua santa
e non hanno supplicato. Ripeto: neanche un secondo, perché è tutto
o niente, è una deflagrazione interiore che ci sconvolge interamente
l'esistenza, anche se non ce ne accorgiamo subito.
La
lampada accesa
Ce
ne sono poi tanti che sono stati visitati dalla preghiera, hanno
supplicato nei momenti di angoscia... e poi non sono stati fedeli,
non hanno saputo tenere accesa la lampada, hanno lasciato spegnersi
questa vita nuova che pervadeva il loro animo. Perché la preghiera
non è un atto, è una vita, un modo di esistere: può capitare
all'improvviso, ma, se non la lasciamo spegnersi, ci invaderà
completamente.
Ecco
allora l'unico esame di coscienza: «Quando sono in chiesa, o solo
nella mia stanza, mi inginocchio veramente?». Se lo fate, fatelo
ancora, fatelo sempre, lasciatevi invadere da questo atteggiamento.
Se no, coltivate almeno l'inquietudine, l'angoscia, il tormento. Non
posso predicare la pace a chi non s'inginocchia veramente, posso
predicare solo l'inquietudine e l'angoscia; è la grande predicazione
della Chiesa sui
Novissimi, predicazione fondata sulla parola di Dio: «Il timore è
l'inizio della sapienza».
Chi
non si inginocchia non conosce l'amore, checché lui ne dica. Egli
rimane insensibile all'amore: "Popolo insensibile!", diceva il
Curato d'Ars. Per questo la Chiesa, nella sua misericordia, cerca di
renderlo sensibile, se non altro, al timore гiреtendo i giudizi di
Gesù sulla sua generazione: «Ho cantato l'amore e non hai voluto
ascoltare. Ho gridato il timore, e non hai voluto saperne: quello che
non vuoi è metterti in ginocchio. Che cosa posso fare? Guai a te!
Larga è la Vita che porta alla perdizione!». Se leggete questi
testi alla luce di ciò che ho detto, vi saranno molto chiari. Che
scusa abbiamo per non volerci o per non poterci inginocchiare, quando
qui potere e volere sono la medesima cosa?
I
due posti
Voglio
supporre che siate capaci di inginocchiarvi. In questo caso vi chiedo
questo prima di tutto, prima di ogni preghiera verbale: chiudetevi in
camera, inginocchiatevi lentamente e coscientemente, misurando bene
il significato del vostro gesto. Non siete al primo posto
nell'universo e vi state presentando a Colui che è al primo
posto... potete anche avere dei dubbi al suo riguardo, non importa,
purché siate in ginocchio e proclamiate di non essere, voi, al primo
posto.
Se
sentite una resistenza, non insistete, e soprattutto non mettetevi a
dire delle lunghe preghiere: fareste come i farisei. del Vangelo.
Semplicemente chiedete la grazia di mettervi in ginocchio. Dite: «Mio
Dio, se esisti, insegnami ad accettare la tua esistenza, ad accettare
di essere al secondo posto... e cioè all’ultimo». Perché non ci
sono che due posti: il primo e l'ultimo. Morire è fare l'esperienza
di essere all'ultimo. Accettare di morire e accettare l'ultimo posto
è la stessa cosa, in fin dei conti.
La
Rochefoucauld diceva: «Ci sono due cose che non si possono guardare
in faccia: il sole e la morte». E quello che ripetono i Padri della
Chiesa: conoscere se stessi e conoscere Dio, questa è la vera
sapienza, e consiste nell'inginocchiarsi. Morituri te salutant:
quelli che devono morire Ti salutano, salutano Te, il Sole che non
muore. C'è chi accetta di dirlo (anche se non vede il Sole perché
ci sono le nubi) e chi non lo accetta: non c'è altro problema da
risolvere sulla terra.
E
quello che chiamo pregare a freddo. Dopo potrà anche venire il
fervore, ma non importa. Il fervore non può durare sempre, dipende
da Dio; come dice il Qoélet, c'è un tempo per il giorno e un tempo
per la notte, un tempo per la pioggia e un tempo per il sole, un
tempo per il fervore e un tempo per l'aridità. Ma l'inginocchiarsi
non ha ragione di essere interrotto, non dipende dal freddo o dal
calore: l'inginocchiarsi radicale e implacabile... implacabile come
la condanna a morte di cui è l'accettazione.
La
domanda
Da
quanto detto nasce la domanda: «Io mi inginocchio?». Questa
domanda, vi avverto, adesso che l'avete sentita, non potrete più
dimenticarla, la vostra vita non sarà più la stessa, non potrete
restare nel vago: o cadrete in ginocchio o vi indurirete nel peccato.
Non dipende da me, è il nocciolo della Rivelazione: «Ti vuoi
inginocchiare?».
Potete
certo evitare questa domanda, ma saprete di farlo, e saprete che si
tratta di una cosa grave, perché sapete, ormai, che inginocchiarsi è
una cosa seria e grave. E proprio per questo si ha voglia di evitare
la domanda. Dovete dunque decidere. Se non riuscite, chiedete a Dio
di aiutarvi. Non riuscite a inginocchiarvi - d'accordo! - chiedete la
grazia di farlo, è il primo passo. E fatelo a freddo, senza
entusiasmo e senza fervore, semplicemente perché è la verità.
A
questo punto vi darò un consiglio scandaloso, che riprende
semplicemente quello che dice Cristo sulla preghiera dei farisei: se
avete l'abitudine di dire preghiere in modo meccanico, perdete questa
abitudine, smettete di pregare. Smettete di
pregare per cominciare a farlo, come quel canonico, che stava dicendo
l'ufficio con i confratelli e gridò, impaurito da un temporale
improvviso: «Basta, fratelli, fermiamoci e mettiamoci
a pregare!». E oso dire: guardatevi anche dal fervore che non sta in
ginocchio. -
Per
concludere
vi propongo questa preghiera: «Mio Dio, non riesco a inginocchiarmi
e non ne ho voglia. Abbi pietà
di me e aiutami a farlo, perché non voglio dirti niente
prima di essere in ginocchio; non ho il diritto di aprire la bocca
prima
di
essere prostrato a terra davanti all'Essere invisibile che Gesù
Cristo è venuto a rendere visibile».
Marie
Dominique Moliniè – Tratto da “Beati gli umili”
Padre
M.-D. Molinié, sacerdote cattolico, domenicano e
tomista, nato nel 1918 e morto nel 2002, convertito in seguito allo
studio della filosofia durante il quale divenne amico di Cioran, é
stato folgorato dalle intuizioni di Santa Teresa del Bambin Gesù.
Durante tutta la sua vita è stato posseduto dal desiderio di
abbozzare per i nostri contemporanei la dottrina nascosta dal Padre
ai sapienti e agli intelligenti, secondo quanto dice Gesù: "Ti
rendo lode Padre perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai
sapienti e le hai rivelate ai piccoli".
A questo riguardo diceva: "La filosofia e la teologia sono cose troppo serie per essere abbandonate agli intellettuali... Solo un cuore di bambino ha il diritto ed il dovere di consacrarsi a queste discipline".
Teologo e predicatore di ritiri in numerose comunità contemplative e gruppi di laici, ha lasciato un’immensa eredità spirituale. Ci sono innanzitutto i suoi libri di spiritualità (tra cui La lotta di Giacobbe, Il coraggio di aver paura, Beati gli umili) e di teologia (in particolare la serie Un feu sur la terre, Réflexions sur la théologie des saints) pubblicati durante la sua vita.
A questo riguardo diceva: "La filosofia e la teologia sono cose troppo serie per essere abbandonate agli intellettuali... Solo un cuore di bambino ha il diritto ed il dovere di consacrarsi a queste discipline".
Teologo e predicatore di ritiri in numerose comunità contemplative e gruppi di laici, ha lasciato un’immensa eredità spirituale. Ci sono innanzitutto i suoi libri di spiritualità (tra cui La lotta di Giacobbe, Il coraggio di aver paura, Beati gli umili) e di teologia (in particolare la serie Un feu sur la terre, Réflexions sur la théologie des saints) pubblicati durante la sua vita.
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