In
tutti i tempi Chiesa cattolica vuol dire l’universale molteplicità,
riflettuta da fedeli di diverse razze, nazioni e culture, che hanno
preso sul serio il Vangelo di Gesù e lo hanno applicato alla propria
vita. Un esempio bello, da noi in Europa poco conosciuto, è quello
della giovane farmacista Satoko Kitahara del Giappone. La sua umile
testimonianza di fede ispirò molte persone per il divino e indirizzò
al bene il loro ambiente di vita. Con il passare degli anni le azioni
cristiane di Satoko non hanno perso nulla del loro carisma mariano.
Il
28 marzo del 1948 era una bella giornata di primavera; la giovane
studentessa di farmacia, Satoko Kitahara, usciva dalla sua elegante
casa situata in un quartiere di Tokyo per far visita ad una collega
di studio a Yokohama. Erano passati appena tre anni da quando tutto
il Giappone, paralizzato, dopo il bombardamento atomico su Hiroshima
e Nagasaki, aveva sentito la voce dell’Imperatore Hirohito
rivolgere al popolo l’appello “di sopportare l’insopportabile”
: cioè la capitolazione. Alla fine della guerra tredici milioni di
giapponesi erano senza casa. A Tokyo, mezzo distrutta, circa in
diecimila vivevano come ratti, in capanne di latta e rimesse. Il loro
cibo quotidiano consisteva in appena due ciotole di riso. La cosa
peggiore però era la disperazione e il numero spaventoso di suicidi.
Anche
la giovane Satoko, elegantemente vestita, aveva molte domande
inquietanti sul vero senso della vita e ne discuteva con la sua amica
lungo le vie di Yokohama. Arrivate davanti alla Chiesa dedicata al
Sacro Cuore di Gesù, Satoko sentì di dover entrare. Per tutte e due
era la prima volta che entravano in una Chiesa cattolica. Cercarono
di orientarsi in quell’ambiente silenzioso e ignoto. In fondo, a
sinistra, su un altare si trovava una statua di gesso a grandezza
naturale, una donna con una ragazza inginocchiata ai suoi piedi, S.
Bernadette, come Satoko seppe successivamente. “Vedevo per la
prima volta una rappresentazione di Maria”, raccontò più tardi.
“Fissavo la statua e provai un’attrazione molto forte,
inspiegabile. Fin dall’infanzia mi accompagnava un desiderio forte
e indefinibile per tutto ciò che è puro”.
L’amabile
provvidenza di Dio
Satoko
tornò a Tokyo pensierosa, non conosceva il significato della statua
di Lourdes. Fu presa totalmente dai suoi studi universitari; li
concluse un anno dopo, nel marzo del 1949, ottenendo brillantemente
il titolo di dottoressa in farmacia
Cercando
con il cuore il suo posto nella vita, la ragazza rifiutò due
allettanti posti di lavoro e anche alcune proposte di matrimonio, una
da parte di un medico proprietario di una clinica privata. Suo padre,
un famoso professore universitario, rispettò generosamente le sue
decisioni. “Tua madre ed io non ti ostacoleremo mai nelle scelte
della tua vita, finché saranno buone”.
Poco
tempo dopo, a vent’anni, Satoko accompagnò in una scuola privata
cattolica la sorellina Choko, per il primo giorno di scuola presso le
Suore di S. Maria della Mercede. Nel discorso inaugurale sentì delle
parole che la colpirono molto. “Nella sua affettuosa
provvidenza, Dio ha mandato i vostri figli in questa scuola”.
Satoko proveniva da una famiglia aristocratica, con una millenaria
successione di sacerdoti shintoisti fino al diciannovesimo secolo,
cioè fino al nonno. Ora sperava di sapere di più sulla
“affettuosa provvidenza di Dio”, perché la colta signorina,
che conosceva anche alcune lingue straniere ed era una pianista
eccellente, non aveva mai sentito questa espressione. Due mesi dopo,
in maggio, Satoko accompagnò di nuovo Choko a scuola. Lì incontrò
una giovane suora e, vedendone il volto sereno, si risvegliò in lei
lo strano sentimento, il desiderio di purezza provato a Yokohama
nella Chiesa del Sacro Cuore. Poiché non riusciva a comprendere
questo suo sentimento, cercò di sfuggirgli. Per sei settimane cercò
di distrarsi. Era appassionata di teatro, di concerti e di cinema e
arrivò a vedere sei film in una settimana. Finiti i suoi risparmi
per le piccole spese, chiese in prestito a Kazuko, la sorella più
grande, i soldi per il cinema. Ma il senso di irrequietezza e di
vuoto non se ne andava.
A
luglio, Satoko non sopportò più questo stato d’animo e si confidò
con una delle suore spagnole. Madre Angeles le parlò del
cristianesimo e nella sua ascoltatrice nacque subito un “amore
nuovo”, che non sarebbe mai finito. Satoko iniziò ad andare ogni
giorno a Messa alle 6.00 del mattino, e alle 10.00 tornava per la
catechesi, “per conoscere quella fede per la quale le suore
straniere erano state spinte ad abbandonare la preziosità della
famiglia e a servire la gente in un paese straniero e lontano”.
I genitori non vedevano la cosa di buon occhio, ma dopo quattro mesi
arrivò il momento: “Alla fine di ottobre, terminato il corso
sul cattolicesimo, ero convinta di aver trovato la verità. Chiesi il
battesimo. Anche se gli altri catecumeni normalmente dovevano
aspettare un anno, riuscii a convincere tutti di essere pronta, tanto
che il 20 ottobre fui battezzata con il nome di Elisabetta e due
giorni dopo cresimata con il nome della Madre di Gesù, Maria. Da
allora iniziai a provare un desiderio interiore di servire … Con
alcune signore visitavo orfanotrofi , aiutavo nel catechismo per
bambini ed altro. Ma qualcosa ancora mi mancava”. Forse la
vocazione? La giovane cattolica era pronta ed era già pronto, sotto
il cuscino, il biglietto del treno per partire verso il postulato
delle Suore di S. Maria della Mercede, ma la notte Satoko ebbe
all’improvviso 40 di febbre. La diagnosi del medico fu tubercolosi.
Satoko
Elisabetta (anni 20), nel giorno del suo battesimo non volle
indossare uno dei suoi amati e colorati kimono, ma un abito da sposa
con il velo. Era la sua segreta promessa a Gesù di voler appartenere
totalmente a Lui, come le suore di S. Maria della Mercede che il
giorno dei loro voti indossano un abito bianco
Fra
Zeno, “il mendicante della Madonna”
Zeno
Zebrowski, fratello nell’Ordine Francescano, era un figlio
spirituale della prima ora di Massimiliano Kolbe ed era stato accanto
al Santo nella sua missione in Giappone. Rimase poi in quel paese per
52 anni fino alla morte. Per i giapponesi divenne “il mendicante
della Madonna” e il simbolo dell’amore cristiano perché, dopo la
Seconda Guerra Mondiale, il fratello questuante attraversò tutto il
paese per aiutare i più poveri. Nel dicembre del 1950, durante uno
dei suoi viaggi che duravano mesi, Fra Zeno andò per la prima volta
a Tokyo e qui incontrò Satoko. Lei stava suonando il pianoforte al
primo piano di un magazzino all’ingrosso di scarpe, appartenente
alla sorella Kazuko, quando la chiamarono e le chiesero di scendere
perché l’aspettava uno che aveva l’aspetto di San Nicola. “Ed
ecco, mi trovai davanti ad uno straniero alto, con un abito nero e
una barba bianca, il quale, con i suoi occhi buoni, mi sembrava
riuscisse a guardare fin nel fondo della mia anima. Egli notò il mio
rosario ed io gli dissi: ‘Ho ricevuto il Battesimo un anno fa’. –
‘Bene, bene!’, mi rispose lo straniero in un giapponese stentato.
‘La Madonna ti donerà molte grazie, tu prega per la gente
terribilmente povera che vive qui per strada!’. Poi mi diede
un libricino stampato modestamente e sparì. Tornata nella mia
camera, lessi del sacerdote cattolico Massimiliano Kolbe, che aveva
operato a Nagasaki e che era stato ucciso ad Auschwitz. Tutto era
nuovo per me!”. Dieci minuti dopo, sulle rive del pantanoso
fiume Sumida, Fra Zeno trovò un “centro di straccivendoli” e
avrebbe subito voluto distribuire ai bambini sporchi i doni che aveva
ricevuto elemosinando. In quel momento si rivolse a lui Ozawa, uno
scaltro ex-commerciante: “Tu appartieni alla ‘religione Amen’,
ma noi non siamo mendicanti e non abbiamo bisogno della tua carità”.
Dalla fine della guerra, come un “boss”, Ozawa organizzava la
vita di circa cento senzatetto, i quali ogni sera venivano pagati per
stracci, rottami, carta da macero, rifiuti, secondo il peso e la
qualità; con quei modesti ricavi essi si erano costruiti delle
abitazioni provvisorie. Poi si presentò anche Matsui, trentacinque
anni, un tempo scrittore. Egli odiava i cristiani e guardò in modo
sprezzante il frate francescano. Matsui, che dopo la guerra aveva
lavorato in uno studio legale, aveva aiutato gli straccivendoli del
fiume Sumida a fondare un’associazione giuridica. Egli si era
prefisso lo scopo di salvare il “centro degli straccivendoli”
dalla mafia e dalla distruzione da parte del comune; lui stesso
viveva in questa cosiddetta “città delle formiche”, “perché
le formiche lavorano sempre duramente dappertutto e acquistano forza
dalla loro unione”. Si rivolse a Fra Zeno in modo brusco: “Se
ci vuoi aiutare, allora portaci sui giornali, in modo che le autorità
comunali non possano cancellarci e ridurci in cenere”. E senza
colloqui ulteriori diede alla stampa la notizia: “Qui parla la
‘città delle formiche’. Con l’aiuto di Fra Zeno stiamo
costruendo una Chiesa”. La notizia arrivò come un fulmine a
ciel sereno! Venne subito un giornalista per fare delle foto a Ozawa,
Matsui e Fra Zeno. Il giorno dopo Satoko lesse affascinata l’articolo
e in seguito decise di cercare la “città delle formiche” sulla
sponda del Sumida. Mentre si trovava incerta davanti all’ ‘ufficio’
del capo, Fra Zeno le andò incontro. “Venga, signorina, le
faccio vedere qualche cosa!”, le disse e la guidò per circa
500 metri facendole notare i buchi creati in terra sulla riva e
rivestiti con cartone. La puzza fece retrocedere Satoko. Era
possibile che questa striscia di terra, distante meno di un
chilometro da casa sua, fosse davvero Tokyo? Sconcertata tornò
indietro con Fra Zeno. A casa le spiegarono e mostrarono con tanti
articoli di giornali come migliaia di vittime della guerra
dimorassero nelle stesse condizioni in altre grandi città del
Giappone. “Quella sera stavo a letto senza poter dormire. Fra
Zeno, un uomo senza cultura, mi aveva fatto scoprire un aspetto del
Giappone, la cui esistenza mi era sconosciuta, invece in migliaia
vivevano in quella estrema miseria... Io ero coccolata e circondata
di tappeti, stufe a gas, avevo pure un giardino, mentre quello
straniero, senza pensare a se stesso, lavorava in un mondo perduto,
in una realtà dolorosa. Il mio impegno cristiano mi sembrò
all’improvviso come ‘l’hobby indolore di una principessa’.
Dal giorno del battesimo avevo pregato intensamente per avere
chiarezza, su come e dove avrei potuto servire Dio e gli uomini con
tutto il cuore.
Ora
ero eccitata e gioivo per la certezza che Fra Zeno, come un angelo di
Dio, mi aveva indicato la mia vocazione”.
Diventare
poveri per rendere gli altri ricchi
Pochi
giorni prima della vigilia di Natale, Fra Zeno pregò la sua nuova
“amica spirituale” di organizzare la festa di Natale per i
bambini della “città delle formiche”. Lei fu d’accordo e con
questo suo “sì”, per la prima volta, entrò consapevolmente nel
mondo degli straccivendoli, prima a lei sconosciuto. Presto la “città
delle formiche” divenne il posto che le stava più a cuore e la
visita giornaliera in quel luogo scandì il ritmo della sua giornata.
Fu certamente opera dello Spirito Santo il fatto che questa giovane
dell’alta società considerò sua particolare vocazione occuparsi
dei più poveri, come aveva fatto la sua protettrice della cresima,
la principessa santa Elisabetta di Turingia (1207 – 1231). Alcuni
di questi poveri vivevano da cinque anni “alla giornata”. I
vicini di casa, senza comprensione, si lamentarono fortemente dei
“ladri, degli agenti patogeni e del chiasso”, quando la
signorina Satoko portò nella villa paterna la brigata rumorosa dei
ragazzi della “città delle formiche”; da loro Satoko veniva
amorevolmente chiamata “sensei”, maestra. I genitori perplessi
indicarono alla figlia i pericoli di questa vita insolita, ma la
lasciarono libera di agire. Ogni sera mamma Kitahara disinfestava
personalmente la figlia nel bagno, disinfettava anche i vestiti e la
stanza del pianoforte, usata per i canti e la musica. Satoko scrisse
alla sua compagna di studi, Mayumi, dei “suoi bambini”. Anche lei
proveniva da una famiglia ricca e si era convertita al cattolicesimo.
Mayumi le rispose francamente: “Anche io cerco di fare del bene:
regolarmente con la macchina accompagno le suore negli ambienti più
poveri e lì assisto dei malati. Poi però torno a casa, faccio il
bagno e, con il vestito da sera, vado a teatro. Che doloroso
contrasto nella mia vita! Che barriera fra noi e i poveri! Come
superi questo abisso nella ‘città delle formiche’? Se esiste una
‘medicina’ per superare questa situazione insopportabile,
mandamene l’indicazione!”. Naturalmente anche Satoko conosceva
questa contraddizione: la mattina scendere nella povertà e poi la
sera tornare a casa, in un mondo sano, con bagno, pasti caldi e
riposo davanti al camino. Rispose a Mayumi: “Anch’io mi sento
in questo nuovo, strano mondo come una bambina piccola e perplessa,
ma mi lascio guidare spiritualmente”.
Attingeva
dalla S. Comunione la fiducia in Dio, di questa forza aveva tanto
bisogno! I due non-credenti, “responsabili” della “città delle
formiche” non erano aperti al suo operato. Il “boss” Ozawa
osservava con scetticismo e scontato era il rifiuto di Matsui verso
la ricca “straniera”. Un giorno le disse in faccia chiaro e
tondo: “Non sopporto i cattolici e i missionari in particolare,
questi ipocriti ‘sepolcri imbiancati’. Giovani donne, come te,
vengono negli slums e portano con ‘carità cristiana’ e come
‘apostoli di Gesù’ le cose che a loro non servono più o che
hanno in abbondanza. Ma voi non avete la minima idea della miseria di
quelli che passano qui 365 giorni l’anno. Noi, qui, siamo
interessati solo a coloro che restano e spartiscono con noi le
sofferenze. Legga 2 Cor 8,9!”. Quella sera Satoko tornò a casa
barcollando per la febbre. Malata di tubercolosi doveva restare a
letto e così ebbe tempo di leggere e rileggere il versetto della
Lettera di San Paolo: “Voi conoscete infatti la grazia del
Signore nostro Gesù Cristo il quale, da ricco che era, si è fatto
povero per voi, affinché voi diventaste ricchi per mezzo della sua
povertà”. Un non credente l’aveva provocata con la Sacra
Scrittura!
Liberamente
una di loro
Dopo
quattro settimane, il medico le permise di alzarsi e con la Sacra
Scrittura scese al fiume Sumida dove Dio le fece comprendere qualcosa
di importante: “Finora mi sono sentita una cristiana speciale,
solo perché, nel mio tempo libero, mi sono degnata di aiutare alcuni
bambini della ‘città delle formiche’. ... Dio però, per
salvarci, ha mandato il Suo unico Figlio, che è diventato come noi,
veramente uno di noi. Questo mi ha colpito profondamente. Allora c’è
una sola via per aiutare questi bambini: diventare una
straccivendola”. In quel momento incontrò un ragazzo che, con
i suoi genitori, stava lasciando per sempre la “città delle
formiche”. Satoko gli diede in dono la sua Bibbia e gli chiese in
cambio il suo carro, che poi, quel giorno di settembre del 1951,
portò per la prima volta nel centro. “Hai letto la lettera ai
Corinzi?”, gli chiese Matsui, un po’ più delicatamente e il
“boss” aggiunse con un sorriso: “Che gioia, la nostra
signorina è tornata!”. Lei però rispose: “Per favore,
non chiamatemi più così. Ora sono una straccivendola come voi!”.
Il giorno dopo nel giardino di casa stava mettendo olio al suo carro,
quando il professor Kitahara chiese meravigliato alla figlia
ventiduenne cosa stesse facendo. Totalmente calma, ella rispose:
“Papà, questo è il mio carro ed io ora sono una
straccivendola. Il mio nome di battesimo è Elisabetta. Questa Santa
ha fatto molto per i poveri fino a quando si è resa conto che lei
stessa doveva diventare povera. Questo l’ho compreso anch’io”.
Nonostante la salute cagionevole, Satoko iniziò con slancio un
operoso apostolato come “formica tra le formiche”. Dopo nove
mesi, il “boss” non aveva più pregiudizi su di lei e, seguendo
il consiglio di Ozawa, tutti i genitori affidarono a Satoko
l’educazione dei loro figli. Si stabilì un programma per la
giornata e presto, oltre ai bambini, sempre più genitori, compreso
il “boss”, iniziarono a partecipare alla preghiera mattutina
nella semplice chiesetta di legno, al centro della “città delle
formiche”. L’aveva eretta Matsui, non credente, insieme a molti
aiutanti, dopo che si era sparsa nuovamente la voce che il comune
avrebbe voluto demolire il centro. Nei mesi successivi Satoko
organizzò una casa dove fare il bagno, aiutò i ragazzi per i
compiti, per poi, fino a sera tardi, raccogliere cenci, che in
seguito venivano differenziati e pesati. Dopo un povero pasto, che a
volte mancava del tutto, completamente esausta, solo verso la
mezzanotte, Maria Elisabetta tornava dalla sua famiglia a dormire.
Satoko,
che a casa aveva personale di servizio, un giorno vide passare i
bambini della “città delle formiche” con i cesti vuoti sulle
spalle mentre spingevano i loro carri. Disse loro: “Vengo anch’io,
voi andate avanti!”. Raccontò poi: “Sinceramente mi mancò il
coraggio di spingere un carro con loro. Avevo un debole per i kimono
e quel giorno ne indossavo uno particolarmente bello; non me la
sentivo di accompagnare i bambini sporchi, vestita così. Perciò
imbarazzata e furtiva iniziai da sola a raccogliere rifiuti sulle
strade di Tokio. Ad un certo punto mi alzo e, con mia grande
sorpresa, incontro lo sguardo del nostro vicino di casa. Che
imbarazzo! Oh, come mi sentii misera, rosso vivo in faccia! Ma un
attimo dopo mi immersi nella preghiera e nel mio intimo invocai:
‘Maria!’. Subito dopo la giaculatoria mi sentii libera da
qualsiasi falso riguardo umano. In poco tempo tornai, presi un carro
vuoto e via sulla strada. Mentre camminavo mi venne
in mente la risposta di Maria all’Angelo e mi diede una profonda
pace: ‘Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che
hai detto’.” A Satoko veniva spesso in mente qualche cosa di
interessante per le sue piccole ‘formiche’. Pregava molto per
loro e nel gruppo chiassoso entrarono presto anche il sorriso e la
gioia. Insegnava ai bambini a vedere, oltre lo sporco e la miseria,
la bellezza nascosta del creato e a ringraziare Gesù per questo.
Seguendo il motto: ‘Felice è colui che sa dare’, convinse i
bambini a far visita agli anziani e ai malati nella ‘città delle
formiche’. In estate, tutte le ‘formiche’ collaborarono con
entusiasmo ad una raccolta di cenci per fare dei regali ai
senzatetto, ai malati di lebbra e ai bambini ancora più poveri di
loro.“Maria della città delle formiche”
Satoko,
22 anni, malata di tubercolosi, fu di nuovo costretta a rimanere a
letto; soffriva del fatto che, oltre a tenere il rosario in mano, non
potesse in nessun altro modo aiutare fisicamente. Le arrivarono però
molte lettere con preghiere da tutto il Giappone, perché “Maria
della città delle formiche” era ormai molto conosciuta. Matsui
le fece visita e le consegnò una lettera di Hiroichi Horiike, un
prigioniero giapponese che, nelle Filippine, era stato ingiustamente
condannato a morte. In prigione aveva trovato la fede, ma era
preoccupato per il caos nel Giappone dopo la guerra. Egli aveva
scritto a Satoko: “Quando ho letto del tuo lavoro nella ‘città
delle formiche’, ho trovato pace nel mio cuore. Tutti i giorni sei
nelle mie preghiere e, guardando te, mi convinco che vale la pena
perdere la vita per il Giappone”. Satoko pregò Matsui di
aiutarla a chiedere al presidente delle Filippine la grazia per
quell’uomo e scrisse: “Volentieri sarei pronta ad andare dai
vostri orfani e vedove di guerra per lavorare per loro e servirli”.
Satoko fece anche pregare i “suoi” bambini per questo scopo e …
Hiroichi venne liberato. Matsui, più tardi, scrisse: “Questo
avvenimento segnò una svolta nella mia vita. Avevo pensato che il
cristianesimo fosse solo scialbo, pieno di cerimonie, musica d’organo
e inni sentimentali. Invece vedevo che la fede di Satoko era così
forte da renderla pronta ad andare dai poveri in un paese straniero”.
“Quanto ingiusto è stato il mio giudizio su lei e sulla sua
fede!”. Nello stesso tempo il “boss” gli disse: “Tramite
Satoko ho conosciuto Cristo e la sua potente religione, perciò
chiederò il battesimo al sacerdote”. Così Matsui, il “boss”
e le famiglie della “città delle formiche” iniziarono a
frequentare la S. Messa tutte le domeniche e anche il catechismo.
Anche se nessuno della sua famiglia era con lei, Satoko fu colma di
immensa gioia, quando, il 20 ottobre 1952, proprio lo stesso giorno
del suo battesimo, i suoi figli spirituali divennero cristiani. Come
nomi di battesimo, Matsui scelse “Giuseppe” e il “boss”
quello di “Zeno”. Espressero grati il desiderio di avere per
sempre Satoko con loro nella “città delle formiche”. La ragazza
gravemente malata, senza dire una parola, baciò la croce del suo
rosario e si allontanò.
Visse
ancora per sei anni e aiutò nella “città” occupandosi dei
“suoi” bambini. Nel gennaio del 1957 si decise di bruciare
definitivamente il centro e Satoko supplicò con fervore: “Madre
di Dio, senza lamentarmi sarò pronta... Ho dato al Signore tutto ciò
che avevo. Che grazia preziosa sarebbe ora per me quella di offrirmi
completamente”. Come per miracolo, il 22 gennaio 1958, fu
concesso un terreno per la “città delle formiche”. Solo un
giorno dopo Satoko moriva a 28 anni con le parole: “Dio ci ha
donato tutto quello che abbiamo chiesto”. Gesù accettò il
sacrificio della sua vita per la salvezza della “città delle
formiche”. I funerali di Satoko furono presieduti dall’arcivescovo
di Tokyo, con grande partecipazione della popolazione; subito
sacerdoti di diversi ordini, fedeli e non credenti iniziarono a
chiedere la sua intercessione. Il processo di beatificazione della
Serva di Dio è avviato.
Tratto
da “Trionfo del Cuore” LA FEDE IN CRISTO TRASFORMA LA VITA PDF -
Famiglia di Maria Maggio - Giugno 2014 N° 25
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