Maria Santissima, essendo purissima Vergine e Madre di Dio, non era soggetta alla legge della purificazione né a quella della presentazione e del riscatto del suo Figlio divino. La donna, infatti che partoriva un maschio era considerata immonda per 40 giorni per tutto quello che di macchiato e di sensuale accompagna la generazione, e il figlio primogenito era considerato, per legge, appartenente a Dio e non poteva essere della madre senza che ella lo avesse riscattato. Ora, Maria aveva generato per opera dello Spirito Santo, senza che il parto stesso avesse minimamente violato la sua verginità immacolata; Gesù, poi, come vero Figlio di Dio, non aveva bisogno né di essergli consacrato né tanto meno di essere riscattato. Egli, però, e la sua Santissima Madre si sottoposero alle usanze legali per umiliarsi e per darci l’esempio di ogni virtù, e quindi vollero comparire dinanzi al mondo come creature qualunque.
D’altra parte, era logico che fosse così, dato che non era ancora giunto il momento di far conoscere il grande mistero che si era compiuto; ora, se Maria non fosse andata al Tempio e non avesse offerto Gesù, sarebbe apparsa agli ignoranti come una violatrice della Legge, il che Dio non volle permettere. Ella, in realtà, più che purificarsi andava a purificare, profumando di purezza immacolata la terra e il Tempio delle figure e delle promesse; più che offrire a Dio il Figlio divino che già gli apparteneva, lo offriva alla terra come Redentore e Re d’amore; si umiliava legalmente, ma era Regina nel compiere la Legge e i Profeti.
Perciò la Chiesa, nella festa della Purificazione, canta mirabilmente: «Adorna il tuo talamo o Sion, e ricevi il Cristo Re; accogli Maria che è la porta del cielo, poiché Ella porta il Re della gloria, nuovo lume. Si arrestò la Vergine presentando con le sue mani il Figlio generato dinanzi l’aurora, e Simeone, ricevendolo nelle sue braccia, annunciò ai popoli che Egli era il Signore della vita e della morte ed era il Salvatore del mondo». Questo è il vero significato e la vera luce del mistero della purificazione di Maria e della presentazione di Gesù.
La sacra Famiglia, dunque, giunse al Tempio, attraversò l’atrio dei pagani e l’atrio delle donne, e salì i quindici scalini che portavano all’ingresso posto tra l’atrio delle donne e quello degli Israeliti. Il sacerdote di turno al Tempio asperse Maria con il sangue di una vittima, e fece su di Lei alcune preghiere. Maria era curvata, tutta soffusa di ineffabile purezza, tutta santa, fiore purissimo, aspersa di sangue come di rugiada di umiltà. Subito dopo fece l’offerta prescritta che consisteva, per i meno poveri, in un agnello di un anno, dato in olocausto, e di un colombo o di una tortora, e per i poveri in due colombi o due tortorelle.
Maria scelse l’offerta dei poveri, perché era povera; ma in realtà Ella non poteva offrire l’agnello, avendo nelle braccia il vero Agnello di Dio, non poteva dare un simbolo quando ne presentava il compimento. Era andata al Tempio sotto le apparenze dell’umiliazione legale, ma in realtà Ella compiva, in quel momento, le figure e le profezie del passato, e donava al trono di Dio la vera Vittima per i peccati degli uomini.
Per il riscatto del primogenito si versava un obolo di cinque sicli, pari a circa 18 lire30; cinque monete ridonavano il figlio alla madre e al padre, i quali venivano così a riconoscere il diritto di Dio sulle sue creature. Maria presentò il Figlio divino al Padre, e offrì i cinque sicli per riaverlo; era l’ultima figura che splendeva nel Tempio, poiché quei cinque sicli adombravano le cinque piaghe con le quali il Redentore avrebbe riscattato l’uomo per darlo a Dio. Gesù Cristo, coperto della veste dei nostri peccati, rappresentava, in quel momento l’uomo e, riscattato con i cinque sicli, esprimeva in sé il riscatto che avrebbe avuto l’uomo. Egli era il Redentore che doveva riscattarlo ma, offrendosi a Dio con la veste dei nostri peccati, rappresentava, dinanzi a Lui, l’uomo peccatore, e lo segnava simbolicamente nel prezzo del riscatto che Egli stesso gli avrebbe dato con le sue piaghe e la sua morte.
Il santo vecchio Simeone
Il grande mistero che si compiva sarebbe sfuggito a tutti, se un santo vecchio, chiamato Simeone, non l’avesse svelato per ispirazione divina. Egli era decrepito, giusto e timorato di Dio, cioè, secondo il testo greco, santo e coscienzioso osservatore di tutto ciò che riguardava la religione. Aveva passato la vita aspettando la consolazione d'Israele, ossia il Redentore, e aveva pregato intensamente perché il tempo della sua venuta fosse abbreviato. Ora, nelle sue preghiere aveva avuto dallo Spirito Santo, per ispirazione interna, la rassicurazione che non sarebbe morto senza vedere il Messia. Essendo egli molto vecchio, la rassicurazione equivaleva ad un annuncio dell’imminente compimento delle promesse divine.
Nel giorno nel quale Gesù fu presentato al Tempio Simeone sentì una di quelle ispirazioni interne alle quali è difficile resistere: avvertì una profonda gioia nell’anima, un senso di raccoglimento e, nel medesimo tempo, un’espansione di cuore che gli faceva volgere il pensiero a Dio, pregando con facilità, con impeto d’amore e con la sicurezza di essere esaudito. Sono infatti questi i sentimenti che comprendono un’anima circonfusa da una luce speciale dello Spirito Santo. Era attirato verso il Tempio e si sentiva un vigore particolare in tutta la persona che lo spingeva, come se fosse stato sorretto. Uscì in fretta, andò alla Casa di Dio e vi trovò Maria, Giuseppe e il Bambino divino.
Fu una visione per lui: l’umiltà e il candore della Madre Immacolata erano come un’aureola di luce intorno al Bambino che aveva tra le braccia; il raccoglimento e la semplicità di san Giuseppe erano come un profumo di fiori che lo adornavano. Egli capì subito il mistero dell’Infante divino e domandò, in grazia, di prenderlo fra le braccia. Lo prese e si sentì tutto vivificare dalla grazia; il cuore gli ardeva nel petto e lo Spirito Santo gli effondeva nella mente una grande luce di verità. Volse gli occhi al cielo e, sostenendo il Bambino, esclamò: Ora lascia che se ne vada in pace il tuo servo, o Signore, secondo la tua parola, perché gli occhi miei hanno visto la tua salvezza, da te preparata al cospetto di tutti i popoli, luce per illuminare le nazioni, e gloria del popolo tuo Israele. Parlò tutto d’un fiato, senza interrompersi e senza cessare, come san Zaccaria nel suo cantico; le idee erano in lui non una riflessione ma una gran luce e fluivano da lui come un fascio di splendori che niente poteva arrestare.
Ormai la terra non aveva per l’anima sua nessuna attrattiva, ed egli considerava la morte come una liberazione dall’esilio; gli occhi suoi avevano visto la salvezza del Signore, cioè il Salvatore, e l’aveva anche visto l’anima sua perché egli aveva creduto. Egli, infatti, lo confessò per quello che veramente era: compimento delle divine promesse, luce di verità per le nazioni e gloria ineffabile del suo popolo Israele.
L’accento ispirato con il quale Simeone parlava era così solenne che Maria e Giuseppe rimasero meravigliati delle cose che si dicevano di Gesù. Non si meravigliarono che Simeone le avesse dette - come spiegano alcuni interpreti -, ma si stupirono di ciò che egli diceva del Bambino, come dice esplicitamente il Sacro Testo. Essi avevano una fede immensamente più grande di quella di Simeone e conoscevano più profondamente quello che egli diceva; ma è proprio della fede il godere della luce che conferma la verità e l’ammirarne di più l’armonia nei riflessi che essa spande d’intorno. Maria e Giuseppe vivevano più ardentemente di quello che credevano, poiché la conferma che ne dava Simeone era per la loro mente una luce viva e per il cuore una fiamma d’amore.
Si meravigliavano perché ammiravano, non perché dubitassero, e la fede loro si espandeva come luce anche nella ragione e come amore nel cuore. Si meravigliavano perché si umiliavano internamente, pensando di non apprezzare convenientemente il dono ricevuto da Dio. Si meravigliavano nell’impeto della loro gioia interiore, perché la gioia profonda è sempre unita allo stupore per ciò che la diffonde nell’anima. Maria e Giuseppe non avevano parlato a nessuno del grande mistero dell’Incarnazione, eppure Simeone ne era a conoscenza per lume dello Spirito Santo; era, dunque, meravigliosa questa espansione della verità che preludeva alla sua diffusione per tutta la terra, per lo Spirito Santo.
Simeone era vecchio e come tale sentiva un senso di paternità per quelli che erano giovani e un’espansione di bontà verso di loro. Vedendo Maria e Giuseppe in un grande raccoglimento d’amore, ne fu maggiormente intenerito e li benedisse con l’effusione affettuosa di un vecchio pieno di bontà. Preso poi da una nuova ispirazione, si rivolse a Maria e le disse in tono solenne, parlando di Gesù: Ecco che questi è posto come rovina e come risurrezione di molti in Israele e per segno di contraddizione, e la tua stessa anima sarà trapassata da una spada, e così verranno svelati i pensieri di molti cuori.
In poche parole aveva tracciato il cammino doloroso del Redentore e quello di sua Madre: in Israele molti gli avrebbero creduto e si sarebbero salvati, ma molti l’avrebbero rinnegato e si sarebbero perduti; Egli sarebbe stato segno di contraddizione delle autorità costituite e per le anime prive di rettitudine; l’anima di Maria, poi, sarebbe stata trapassata da una spada di amarissimo dolore nelle contraddizioni del Figlio e nella sua dolorosa morte.
Le contraddizioni opposte al Redentore sarebbero derivate da malanimo e perciò avrebbero svelato la malignità di quelli che le avrebbero opposte.
Così avvenne a Gesù e così avviene in ogni tempo alla sua Chiesa, Corpo Mistico nel quale continua la sua opera salvifica e la sua Passione: quelli che non seguono la Verità si perdono, e traggono motivo di dannazione da quello stesso che dovrebbe salvarli.
La Chiesa è segno di perenne contraddizione da parte degli empi di tutti i secoli, e l’anima sua è trapassata dalla spada del dolore morale in mezzo alle persecuzioni violente e sanguinose. È così che si manifestano i pensieri di molti, e si rivelano le loro intenzioni.
Ci sono, infatti, nella storia - e noi, oggi, ne abbiamo nel mondo una falange - molti che si presentano come salvatori e sembrano persino benefici ai popoli, senza svelare, in principio specialmente, la loro malizia. Ora il loro atteggiamento verso la Chiesa Cattolica li smaschera per quello che sono: se la perseguitano o se anche semplicemente le procurano ostacoli, mostrano di essere empi, nemici della verità e nemici del vero bene dei popoli. Chi è onesto e buono sta in armonia con la Chiesa, perché sa di non poterne raccogliere rimproveri e riprovazioni, anzi, di averne aiuti spirituali; chi è disonesto e cattivo l’avversa perché sa di trovare in lei un ostacolo incrollabile alla propria malvagità.
Con questa misura si può valutare precisamente il vero stato di certi governi e di certe nazioni; le ipocrisie non ingannano e gli inganni non abbindolano, quando si ha presente l’atteggiamento di un regime verso la Chiesa. Chi vede un governo persecutore deve diffidarne; anzi, deve considerarlo come una calamità rovinosa per la nazione, perché, con tutte le spacconate e i paroloni altisonanti, presto o tardi la conduce a sicura rovina.
Esulta Anna, una santa donna del Tempio
Mentre Simeone si estasiava di gioia, tenendo nelle braccia Gesù Bambino, sopraggiunse una santa donna chiamata Anna, vecchia di ottantaquattro anni, che stava nel Tempio giorno e notte che abitava, cioè, in qualche stanza annessa al Tempio, prestava i suoi servigi e si tratteneva in continue preghiere e digiuni, implorando il compimento delle divine promesse. Questa donna, rimasta vedova dopo sette anni di matrimonio, era rimasta vedova fino a ottantaquattro anni e, come si può rilevare dal contesto, si era data ad un santo apostolato fra le anime che frequentavano il Tempio, mantenendo acceso in loro il desiderio della venuta del Messia. Nel Sacro Testo è detto, infatti, che ella, dopo averlo visto Bambino, parlava di Lui a tutti quelli che aspettavano la redenzione d'Israele-, dunque, aveva relazioni di apostolato con le anime più rette e parlava loro dei disegni di Dio. Era chiamata “la profetessa” proprio per questo, e raccoglieva le confidenze di quelli che più erano oppressi dalle pene della vita, incoraggiandoli con la speranza dell’imminente Redenzione.
Come Simeone, anche Anna si sentì attirata al Tempio da un’ispirazione interiore e, poiché aveva familiarità con le misteriose operazioni di Dio, sentì subito nel cuore un impeto di gioia che la fece erompere in benedizioni e lodi al Signore che aveva mandato il Redentore.
Era misterioso e commovente che due vecchi avanzatissimi negli anni rendessero testimonianza al nato Messia; essi rappresentavano l’antico patto che confermava la verità di ciò che si era compiuto. In quel momento, la corte del Re divino era formata dall’Antico Testamento e dall’Antica Legge, figurati nei due vecchi; Egli era glorificato da Simeone, che s’interpreta chi esaudisce e chi obbedisce, e da Anna, che significa grazia, misericordia che dona, figlia di Fanuele, visione di Dio, della tribù di Aser, la beatitudine e la felicità. Nei nomi stessi dei due vecchi splendeva un riflesso del mistero che si era compiuto; Dio aveva esaudito i sospiri dell’umanità, si era fatto obbediente e aveva effuso la misericordia e la grazia.
Il piccolo Infante era una visione divina, poiché era Dio, e l’opera che veniva a compiere era diretta all’eterna beatitudine e felicità di quelli che vi avrebbero creduto e si sarebbero salvati. Con quel modo delicato con il quale Dio dispone tutto con sapienza, si può dire che nella soave scena della presentazione al Tempio fosse quasi scolpita l’epigrafe vivente di quello che avveniva: Il Verbo di Dio è disceso dal cielo fatto obbediente alle sue creature. Dio ha esaudito il sospiro dei popoli e ha effuso la misericordia e la grazia. Vedete nel piccolo Infante il Signore medesimo che viene a ridonare agli uomini la pace e la beatitudine eterna. Ecco il Salvatore, Gesù,ecco la Signora del mondo, Maria, che avvicina le anime alla vita, ecco il popolo nuovo che si accresce, Giuseppe, e come vigoroso rampollo germina e si dilata. Si compiono le antiche promesse, i Profeti e la Legge, lodate il Signore!
Questa non è una fantasia più o meno ingegnosa, poiché Dio, attraverso gli eventi della nostra piccola terra, scrive sempre le pagine scultoree delle sue meraviglie e della sua gloria, e le piccole creature che passano, attraverso i secoli fugaci che s’incalzano, sono come granelli di sabbia nei quali rifulgono, in un modo o in un altro, come riflessi di sole, i disegni di Dio.
Nel Cielo saremo stupiti di vedere un’armonia stupenda in tutto il groviglio delle vicende umane e una mirabile affermazione della gloria di Dio anche in quello che ci sembra rovinoso. Curviamo la fronte, adoriamo, preghiamo e, invece di turbarci negli eventi del mondo, attendiamo fiduciosi la rivelazione della gloria di Dio.
La Chiesa recita i tre cantici della discesa del Verbo sulla terra, Benedictus, Magnificat e Nunc dimittis, all’alba, al vespro e sul cadere della notte: benedice Dio che ci visita, lo esalta nella sua gloria e riposa nelle sue braccia. È la sintesi della sua vita e della nostra giornata terrena. La Chiesa, compimento delle antiche promesse, benedice Dio e ne annuncia il Regno tra i popoli. Essa, ricca del suo Redentore, esalta in Lui e per Lui il Signore: Magnificat anima mea Dominum-, essa, pellegrina, attende la Patria e vi sospira: Nunc dimittis [...] secundum verbum tuum in pace. Anche noi ci alziamo benedicendo il Signore, operiamo glorificandolo nel compimento della sua Volontà e, al cadere del giorno, riposiamo nella speranza dei Beni eterni.
È questa la sintesi d’una giornata veramente cristiana. Rechiamoci anche noi, ogni giorno, al Tempio di Dio, offriamo Gesù al Padre per le mani della Chiesa, presentiamolo come nostro dono, facciamoci circoncidere nel cuore dal suo amore, facciamoci purificare dalla sua misericordia e viviamo nell’attesa del Regno di Dio. Non concepiamo la vita come una corsa di folli o come una bolgia di crudele disperazione; la vita è preparazione alla Vita eterna, è compimento della divina, amorosissima Volontà di Dio in noi ed è riposo nel suo amore nell’attesa della Risurrezione. E un Benedictus, un Magnificat e un Nunc dimittis. Quando, invece, si deforma nel peccato e nella trasgressione della divina Legge è una maledizione, una disperazione ed una morte eterna. Dio ci liberi dallo spirito del mondo e ci faccia raccogliere, amando, i tesori che la sua misericordia ci ha donato nella Redenzione!
30 Per il valore della moneta bisogna riportarsi al tempo di Don Dolindo [nde].
Tratto da “I quattro Vangeli” commentati dal Sac.Dolindo Ruotolo – Vangelo di Luca - Cap.2 pag.1038-1047
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