martedì 9 febbraio 2021

Le pene della fuga in Egitto - di don Dolindo Ruotolo

 


Il mistero della fuga in Egitto

In questi nostri tempi di barbarie palliata da civiltà, abbiamo assistito parecchie volte alla deportazione di intere popolazioni in terra straniera, ed abbiamo dovuto anche noi sfollare in altri Paesi nel tristissimo periodo bellico. La Russia e la Germania hanno dato la più triste documentazione in questa barbarie di deportazioni, e nell’imporre l’esilio a tante pacifiche persone che hanno assistito allo sfacelo della loro patria e l’hanno dovuta abbandonare. È sempre penoso lasciare la propria casa, specialmente in circostanze tragiche o in pericoli che potrebbero essere mortali. Maria Santissima, che provò tutte le pene per cooperare alla nostra salvezza, provò anche quella dell’esilio in terra straniera, ma la provò non semplicemente sotto l’aspetto del disagio materiale, ma sotto l’aspetto di un profondo dolore spirituale. Questo dolore fu come un taglio di spada anch’esso, secondo la profezia di Simeone. Un dolore tagliente è un passaggio brusco dal caldo al freddo, tanto per darvene un esempio fisico, o anche, nel campo morale, un passaggio brusco dall’applauso all’umiliazione; per esempio uno studente che fa gli esami universitari con somma lode e, mentre incede tra le congratulazioni dei professori e dei compagni, è catturato dalla pubblica sicurezza con sommo obbrobrio. Nel campo professionale un ingegnere che, mentre inaugura un edificio che gli è costato immenso lavoro, e lo inaugura tra il plauso della folla, lo vede d’improvviso crollare. Tutti i dolori di Maria hanno questo contrasto che nello spasimo dell’anima sua par che la trapassino con una spada. Poco prima di ricevere il triste invito di dover fuggire in Egitto, perché Erode cercava a morte Gesù, erano venuti ad adorarlo i Magi, sapienti e potenti re o scienziati dell’Oriente, ed erano venuti rendendo una straordinaria testimonianza al Bimbo divino in atto poverello nella grotta: «Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo» {Mt 2,22).

La sua stella, dunque un segno straordinarissimo, già predetto da Balaam profeta, segno della sua divina Regalità. In Oriente, dunque, quella divina Regalità era stata annunziata in confini ben più vasti del regno di Erode, e rappresentava una potenza immensa, benché nascosta da apparenze umilissime. E siamo venuti ad adorarlo, non nel senso di un semplice ossequio tributato ad un pargoletto regale, ma nel senso di riconoscere in Lui Dio. Essi infatti poco dopo gli offrirono l’incenso, proprio come si fa alla Divinità. L’Arcangelo aveva detto a Maria che il Figlio, che sarebbe nato da Lei per opera dello Spirito Santo, avrebbe occupato il Regno di Davide, che non avrebbe avuto mai fine; i Magi col loro intervento mostravano la natura di questo Regno, poiché adorarono un bimbo estremamente povero che non aveva né poteva avere la possibilità fisica di regnare, e non aveva nulla di suggestivamente lussuoso, ma era ornato solo di estrema povertà. Nella venuta dei Magi Maria vedeva veramente gli inizi di quel Regno che le era stato promesso nella persona del Figlio. La sua gioia fu immensa non per velleità di regale grandezza, quanto per veder compiersi ciò che era stato annunziato dai profeti.

Maria come san Giuseppe si addormentarono quella notte col cuore ripieno di gaudio. Figuratevi la scena che è bellissima. I letti di allora non erano come i nostri, ma erano giacigli posti su di una rozza stuoia o su coperte distese per terra. In un cantuccio c’era Maria Santissima col Bimbo, in un altro c’era san Giuseppe, tutto immerso nel sonno. Maria sembrava uno di quei fiori che nella notte chiudono la loro corolla e mandano profumi delicati. Era tutta chiusa in sé, col volto che spirava purezza, soffusa tutta di grazia e di bellezza soprannaturale, col Bimbo divino adagiato sul suo materno Cuore, immerso Egli pure nel sonno.

Avete mai osservato una stanza dove di notte dormono i vostri cari? Voi ci entrate in punta di piedi, girate intorno come il silenzio vagante che... ha le scarpe di feltro e il mantel bruno36, tanta è la cura di non fare il più piccolo strepito; notate con tenerezza gli atteggiamenti dei piccoli, con carità soave e compassione quelli dei grandi, e la stanza afosa, dall’atmosfera graveolente, vi sembra un’altra cosa, un insieme di poetico e di penoso, di dolce e di patetico, che vi rende più buoni. Che cosa era la stanzuccia della Sacra Famiglia nel sonno, quella stanza dove un Cuore divino era insonne nell’amore, e un Cuore Immacolato che, anche se addormentato, era un vasello d’incenso e di mirra, un giglio ancor chiuso e un bocciuolo di rosa!... Col Bimbo divino, il Cuore suo e il Cuore di Lui erano come due astri in congiunzione che sommano il loro splendore nel firmamento; Maria era ineffabile nella sua sovrumana bellezza, e Gesù nella sua dolcissima espressione di amore e di velata tristezza... Un bimbo che dorme è un incanto d’innocenza e di purezza, di soave piccolezza e di pace... Le braccia volte in su e le manine semichiuse... la boccuccia che si schiude al sorriso o che leggermente si muove come se volesse succhiare... sogna la mamma e il seno materno, ed è tutto un abbandono soave di candore e d’innocenza... Figuratevi che cosa doveva essere Gesù, Verbo Umanato, che faceva trasparire dalla sua piccolezza i raggi più soavi della sua grandezza, i raggi del suo amore che vigilava e si donava all’umanità per salvarla! Nella sua piccolezza era l’Arca di Dio e Maria con san Giuseppe poco lontano erano come due cherubini di oro che distendevano su di Lui le ali come velo di adorazione amorosa, come manto di carità e di amore, di purezza e di umiltà, velo di giacinto e di rosa che velandola profumava quell’Arca divina.


Isogni dell’uomo

Anche san Giuseppe dormiva, e dormendo sognava, ma il suo sogno non era fantastico, era un’interiore illuminazione di Dio.

    I sogni in generale sono fantasie a volte molto strane, reminiscenze del giorno o accoppiamento curioso di idee e di impressioni, smarrite quasi nel vuoto della notte. Ma ci sono anche i sogni che sono comunicazioni divine e i sogni profetici che non si possono confondere con quelli fantastici. I sogni soprannaturali sono o chiare rivelazioni come se fossero fatte nella veglia, o simboli che hanno bisogno di essere interpretati. Il Signore si rivela così quando non vuole spaventare o estremamente commuovere l’anima alla quale si dirige; si rivela così ad un’anima semplice perché non sia confusa nella veglia da ciò che la circonda o dalle proprie intime attività. Nei sogni dorme la ragione e dorme l’orgoglio, due venti, per così dire, che soffiano nella nostra natura, e scacciano la... polverina d’oro delle divine comunicazioni.

    Il Signore nel sogno è più libero di esprimersi con la sua creatura e può manodurla più facilmente nel compimento di ciò che vuole da lei, perché l’anima non vede nulla al di fuori di ciò che vuole Dio.


Il sogno di san Giuseppe

San Giuseppe era pieno di umiltà e, se avesse avuta una visione nella veglia, si sarebbe spaventato; il Signore perciò gli mandò un angelo nel sogno, perché gli avesse detto di prendere subito Maria e Gesù, di fuggire in Egitto e rimanervi fino a che non gliene avrebbe dato avviso. Che cosa vide nel sogno san Giuseppe? Il Vangelo non ci parla di altro che di ciò che fece, ed accenna solo alla manifestazione di un angelo. Questa manifestazione fu una scena che indicava il comando che Dio gli dava o fu semplicemente un comando, o furono le due cose insieme? Non si può dire. Quello che è chiarissimo è l’espressione della divina Volontà. Giuseppe si levò immediatamente per compierla, con delicato garbo svegliò Maria e le significò ciò che bisognava fare: non semplicemente viaggiare in Egitto, ma fuggire in Egitto. La fuga non poteva dare tempo a preparativi, incalzava, e sotto la tristezza di un pericolo mortale. Queste circostanze mutarono quella notte in una desolazione da non potere immaginare. Si sarebbe potuto dire: “Perché fuggire in Egitto e non piuttosto andare dai Magi, che avrebbero accolto con grande amore i fuggitivi?”. Andarono in Egitto perché, come avverte san Matteo, si fosse adempito quanto era stato detto dal Signore per il Profeta che dice: «Dall’Egitto ho richiamato il mio Figliuolo» (Os 11,1). Il popolo ebreo fu liberato dalla schiavitù egiziana, e come popolo di Dio era chiamato suo figliuolo. L’esodo dall’Egitto era simbolo e figura della liberazione dalla schiavitù del peccato per la Redenzione. Gesù andando in Egitto, rese realtà quello che era stato nel suo popolo solo una figura di Lui, fatto uomo per nostro amore, esiliatosi dal Cielo e venuto nella terra della schiavitù, nel mondo. Era Lui che era significato dal suo popolo liberato, perché Egli, caricato dai peccati di tutti, era come nella schiavitù in nome dell’uomo, e con la sua morte lo traeva dalla schiavitù. Dio poteva dire e disse che dall’Egitto aveva chiamato il suo Figliuolo, unificando con mirabile sovrapposizione di concetti la Redenzione che era espiazione nel Redentore, la liberazione dell’uomo nel Redentore, il quale, rappresentando tutta l’umanità liberata, poteva sentirsi dire dal Padre: «Dall’Egitto ho richiamato il mio Figliuolo». E un concetto un poco complicato e difficile, ma spiega quell’espressione del Vangelo che sembrerebbe inesplicabile.


Maria e Giuseppe lasciati nell’oscurità in un momento doloroso

Il Signore lasciò Maria e Giuseppe nell’oscurità, in un momento così doloroso della loro vita: essi non compresero il misterioso e recondito significato di quella fuga e, a suo tempo, del ritorno da quell’esilio; perciò la loro fuga ebbe un carattere spiccato di profondissimo dolore. Un puntino in un disegno d’ingegneria può rappresentare un globo di grandi dimensioni, a seconda della scala del disegno. Chi vede il punto senza la scala, non può capirne le vere dimensioni. Il Signore non rivelò, nel momento in cui dette a san Giuseppe l’ordine di fuggire, l’entità, l’estensione ed il significato di quell’ordine; era un punto o un segmento senza la scala. Il sacrificio perciò e l’obbedienza in Maria e Giuseppe furono più pieni. Erode era un involontario strumento di questo disegno amoroso di Dio: operava per crudeltà deprecabile per suo conto, e il Signore utilizzava quel disegno truce per compire un disegno di amore. E uno dei tanti casi della suprema padronanza di Dio, anche quando l’uomo perverso crede di farla da padrone e pretende frustrare i disegni di Dio.


Profondità del dolore della Madonna

Consideriamo il grande dolore di Maria nell’abbandonare precipitosamente, di notte, la sua casetta, con un tenero Bimbo. La piccola casa sua, che la Provvidenza ha fatto trasportare a Loreto nella nostra Italia, era per Lei un santuario di preghiere e di offerta. Lasciarla fu per Lei uno schianto, tanto più che vi doveva lasciare tutte le sue cosette e partirne nella più completa povertà. L’esilio è una pena che bisogna provare per valutare. Com’è triste il luogo dove si giunge, com’è piena la nostra solitudine, com’è angustiante la nostra preoccupazione in mezzo alle difficoltà di una vita completamente diversa!

Maria si trovò in tutti questi dolori, tanto più gravi quanto più era sensibile il suo Cuore e più precipitosa era stata la fuga, ma il dolore suo più grave fu il vedere il popolo suo, privilegiato da Dio, non solo ingrato al suo Dio che aveva compito le promesse di quattromila anni, ma orientato verso il tradimento della missione, che il Signore gli aveva data, di far conoscere al mondo il Redentore.

Quando Erode si agitò contro il nato Re, tutta Gerusalemme si agitò insieme con lui, ebbe uno di quei movimenti di servilismo e di vigliaccheria che sono tanto facili in un popolo dominato da tiranni, e dovette mettersi alla ricerca del nato Re con lo stesso spirito di Erode. Maria, che ardeva dal desiderio di farlo conoscere al popolo suo, era costretta invece a fuggire per salvarlo dalle insidie e dalla morte. Nella sua anima limpidamente profetica, perché Essa è Regina dei profeti, si delineò, in una sintesi viva come una luce nella notte, la Passione e la crocifissione di Gesù, e lo raccolse sul suo petto come lo avrebbe raccolto un giorno morto sulle sue ginocchia. Nello stringerlo al Cuore sentì tutta la vita che Egli le dava, che poteva dare al suo popolo ingrato, che voleva dare al mondo, e più le si accrebbe lo spasimo di doverlo trafugare così come se fosse un pericolo. Il Salvatore un pericolo!... Che pena!... Tale era stimato da Erode per il suo regno, tale dal popolo per la sua pace resupina!... Che angustia. Né l’opposizione che il re e il popolo facevano al Figlio divino, segno già di contraddizione, era solo una minaccia, perché come nube rossiccia di tempesta pendeva già su di Betlem e sui dintorni l’editto erodiano della strage degli Innocenti. L’Angelo non avrebbe svegliato di notte san Giuseppe se il pericolo fosse stato lontano o avesse potuto dare poche ore di tempo. Era in atto, e l’alba di quel tristissimo giorno sarebbe stata arrossata di sangue innocente e desolata dalle grida e dal pianto delle madri, che avrebbero commosso persino le ossa di Rachele, addormentata in Rama da millenni (cf Mt 2,17-18).

Fu questo per Maria un dolore vivissimo, che non possiamo valutare noi con una rievocazione storica o sentimentale. Essa portava in braccio Colui che tutto conosceva ed a cui tutto è presente, e il suo sconsolato pianto per tutto il tempo della strage degli Innocenti l’avvertì che il delitto spaventoso al quale Essa sottraeva il piccolo Bambolo divino era una realtà. Come un elettroforo dilata le sue foglioline d’oro appena una lieve carica elettrica lo attraversa, e ne dà segno con quel movimento, così Gesù mostrava nel suo pianto e nel suo dolore la realtà del luttuoso evento che Maria antivedeva e percepiva, di modo che il suo Cuore fu desolato per la desolazione di tutte le mamme di Betlem e fu angosciato del suo stesso sottrarsi al pericolo, perché un Cuore grande e tenero come quello di Maria avrebbe desiderato trovarsi presente nel luogo del lutto. Abbiamo un’idea scialba di questo dolore, in quella pena profonda che pigliava quelli che, sfollati lontano dal teatro di guerra, sentivano l’eco degli scoppi delle bombe che seminavano rovine: erano fuggiti ma avrebbero voluto trovarsi presenti là dove la morte falciava le vite, e le bombe dirompenti e incendiarie sfasciavano le povere case.

Maria fuggiva pur avendo un Cuore generoso, quel Cuore che fu capace di una Maternità universale, larga come il mondo ed estesa per tutta la durata dei secoli; fuggiva per un impervio deserto, entrava sconosciuta in terra straniera e turpemente idolatra, sentiva la soffocazione di quell’atmosfera di fitte tenebre e di obbrobriosa impurità, come può sentirsi soffocato chi passa da un ameno giardino in una foiba dove fermenta la putrefazione cadaverica. Noi non intendiamo questo dolore, perché la nostra insensibilità non ci fa distinguere il lezzo terribile che dà il peccato e l’idolatria del mondo, né intendiamo che cosa era una nazione come Israele, dove si conosceva e si adorava Dio, di fronte ad una nazione come l’Egitto, dove si adorava un bue e dove gli uomini ragionevoli veneravano l’ibis, lo scarabeo, il porro e quanto di più degradante aveva il feticismo egiziano.

Caddero gli idoli sul percorso che fece Maria col suo Gesù? Una pia leggenda ce lo farebbe supporre; a me non sembra questo conforme ai modi di operare di Dio, che procede lentamente nella rinnovazione del mondo, né alla sua volontà precisa di occultare Gesù con Maria e san Giuseppe in quel momento. A me sembra invece che Maria ebbe il dolore riparatore di vedere eretti gli idoli bugiardi avendo in grembo il Dio vivente, e per quel dolore invocò dal Figlio suo che fosse affrettata la rinnovazione della terra nello Spirito Santo. Gli idoli non caddero materialmente, perché sarebbe stato inutile tale prodigio agl’ignari Egiziani, i quali l’avrebbero interpretato come un segno di ira di quelle turpitudini, e una conferma per essi della loro misticamente falsa realtà; ma Maria, Maria li vide cadere come innanzi ad un sole fulgente cadono le ombre e si dirada la fosca nebbia soffocante. La luce del Verbo Umanato, che Essa stringeva al suo Cuore, le faceva vedere anche di più, in un mirabile contrasto di splendore e di tenebre, l’orrore idolatrico del mondo, e il suo Cuore agonizzava per l’offesa che ridondava alla divina Maestà dall’adorazione di satana e della più turpe espressione della materia. Quale cumulo di pene oppresse in tanti modi la soavissima Pellegrina che si rifugiava là dove vedeva fiamme d’infedeltà più ardenti di quelle dalle quali fuggiva!


Anche oggi Gesù è cacciato a morte. Gli “Innocenti” di oggi.

Anche oggi Gesù è cercato a morte nelle Nazioni che furono cristiane e sono o ribelli alla Chiesa o apostate. La Fede si dilata nei paesi barbari perché Gesù vi giunge dai paesi dov’è perseguitato. Con Gesù viene Maria, anzi è Maria Santissima, Regina delle missioni, che lo accompagna e lo porta; è con Lei san Giuseppe, patrono della Chiesa, che provvede con l’effusione di grazie particolari alla dilatazione del Regno di Dio sulla terra.

Anche oggi assistiamo, pressoché impotenti come al tempo di Erode, alla strage degli Innocenti, strage ben più vasta e crudele di quella ordinata da Erode. Sono migliaia di fanciulli deportati in paesi comunisti e sono, anche in Italia, migliaia di nostri fanciulli meridionali portati sotto il pretesto del soccorso nelle regioni comuniste dell’Emilia, perché siano uccisi nell’anima, formando di loro dei piccoli ma pericolosi rivoluzionari. E un delitto che grida vendetta innanzi a Dio, è un delitto che pesa sull’anima vostra, o genitori. Non dimenticate che a coloro che scandalizzano i piccoli Gesù ha suggerito di mettersi al collo una macina di mulino e gettarsi nel profondo del mare.

Preghiamo Gesù che ci affidi e ci raccomandi Egli stesso alla Madonna, come faceva santa Metilde, e supplichiamo Maria in nome di Gesù perché ci accolga per figli e ci dia Gesù, custodendolo Essa nel suo Cuore per noi, affinché non ci abbandoni mai. Cantiamo con Maria il Magnificat, affinché la nostra vita sia tutta una glorificazione di Dio in noi, ed Egli volga sopra di noi lo sguardo della sua pietà e misericordia.

36 Espressione tratta dall’Orlando Furioso dell’Ariosto, XIV, 94.

Don Dolindo Ruotolo - Tratto da “Sermoni del 1948” – Casa Mariana Editrice – Apostolato Stampa


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