Difficoltà
di comprensione
I
miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le
mie vie... Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie
sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri
pensieri (Is 55, 8-9). Così Dio stesso ci dice come stanno le cose.
Noi però facciamo di tutto per costruire un mondo secondo i nostri
pensieri, costruiamo allora un mondo che non funziona. Ma corriamo
anche un altro rischio: quello che troppo presto ci fa credere di
comprendere le cose di Dio o il mistero della vita in cui siamo
immersi. San Paolo ci avverte: Chi crede di sapere qualche cosa non
ha ancora imparato come bisogna sapere (1Cor 8, 2). La parabola su
cui vogliamo riflettere sembra fatta apposta per scombussolare le
nostre idee e per suscitare interrogativi sul comportamento di Dio
nei confronti dell'uomo. È una parabola di cui non è affatto facile
scoprire l'aspetto consolante; si potrebbe dire che vale anche qui il
Mistero Pasquale per cui la tribolazione precede la consolazione. In
questo caso è tribolata l'intelligenza che non riesce a capire.
Gesù
dunque racconta di un padrone che esce personalmente, più volte
durante il giorno, a cercare operai per la sua vigna, e al termine
della giornata paga con un denaro sia quelli che hanno lavorato
un'ora soltanto, sia quelli che hanno lavorato tutto il giorno.
Giustamente questi protestano. Ma il padrone risponde che dei suoi
beni è libero di fare ciò che vuole e non fa loro torto perché
ricevono quanto avevano convenuto. La conclusione del racconto è
piuttosto enigmatica: Così gli ultimi saranno primi e i primi
ultimi. L'intenzione della parabola è di farci conoscere qualche
aspetto del Regno di Dio, di mostrare come funzionano le cose quando
è Dio che governa.
La
difficoltà di comprensione è data dal fatto che il padrone si
comporta in modo sconcertante sia verso i primi chiamati che verso
gli ultimi, ma se verso questi mostra una magnanimità e una
benevolenza al di là di ogni attesa, il suo comportamento verso i
primi lascia inevitabilmente impressa una sensazione di ingiustizia.
Ora, il senso o sentimento di giustizia è qualcosa che Dio stesso ha
posto nel cuore dell'uomo. A causa di questa sensibilità, tutti
desideriamo che venga premiato chi si comporta bene e punito chi si
comporta male. Chi studia è giusto che prenda un bel voto e chi non
studia un brutto voto, sentiamo inoltre ripugnanza verso il
comportamento di chi, in modo disonesto, riesce a prendere un bel
voto pur non avendo studiato. Allo stesso modo sentiamo ripugnanza
quando vediamo i disonesti riuscire nella vita mentre gli onesti
ottengono meno di quanto sarebbe loro dovuto.
È
vero che un padrone può fare dei suoi beni quello che vuole, ma un
padrone che non fa le cose giuste non è un buon padrone e non lascia
di sé una buona impressione. È anche vero che i primi ricevono
quanto avevano concordato, ma per il sentimento di giustizia è
implicito che chi lavora di più guadagni di più e chi lavora di
meno guadagni di meno. Se un denaro è la giusta paga per una
giornata di lavoro, mezzo denaro è la giusta paga per chi lavora
mezza giornata. La protesta dei primi sembra quindi del tutto
corretta e non meritevole di rimprovero. Si potrebbe dire che ai
primi è toccata una doppia sfortuna: quella di aver faticato tutta
la giornata e quella di venir trattati come coloro che hanno lavorato
un'ora soltanto. Agli ultimi invece è toccata una doppia fortuna:
quella di aver lavorato poco e quella di aver guadagnato molto, anzi,
molto di più delle loro attese. Se così stanno le cose, meglio
essere ultimi che primi.
Interrogativi
Considerando
il racconto da vari punti di vista vediamo che il comportamento del
padrone fa contenti gli ultimi, scontenti i primi e lascia perplessi
gli osservatori esterni. La perplessità è causata dal fatto che è
impossibile conciliare il duplice volto del padrone: quello che
rivela la sua magnanimità e quello che lascia un'impressione di
immotivata ingiustizia. A questo punto è doveroso chiedersi: qual è
il vero volto del padrone? Se mai dovessi trattare con un padrone
simile, quale dei due volti incontrerò? Queste sono domande che in
modo più o meno consapevole ogni uomo si pone o dovrebbe porsi nei
confronti di Dio. Qual è il suo vero volto? Quale volto incontrerò
quando sarà passata la scena di questo mondo? Incontrerò un Dio
buono e misericordioso o un giudice severo?
Nei
confronti di questi interrogativi sono possibili vari atteggiamenti,
il peggiore è quello che cerca scuse illudendosi che i veri
problemi sono altri, oppure quello che vuole schivare ad ogni costo il
tormento e la fatica della ricerca. Chi li adotta segue la via della
perdizione e un giorno dovrà fare i conti con Colui che ci chiede di
lavorare almeno un'ora nella sua vigna e noi nemmeno quel piccolo
sforzo vogliamo fare. Allora la sentenza sarà: Il servo inutile
gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti
(Mt 25, 30). Così Gesù condanna il servo che, per malvagità e
pigrizia, non si era impegnato a trafficare il talento ricevuto in
dono.
Un
altro atteggiamento da evitare è quello di dire troppo presto: Ho
capito. Quando si indaga sulle "parole di Dio", e tutto ciò
che esiste è in fondo una parola di Dio, c'è da aspettarsi che le
cose siano molto più meravigliose e profonde di quello che riusciamo
a cogliere a prima vista. Alcuni esempi semplicissimi: al mattino
vediamo il sole sorgere a est e alla sera lo vediamo tramontare a
ovest, chi di noi, senza appoggiarsi sull'autorità degli scienziati,
è in grado di spiegare perché, contrariamente alle apparenze, non è
il sole a muoversi ma la terra? O perché d'estate fa caldo e
d'inverno fa freddo? O come funziona il nostro occhio o il nostro
orecchio?
Alla
ricerca del senso
Proviamo
allora a cercare il vero volto del padrone o il senso profondo della
parabola. Si potrebbe incominciare riflettendo sull'affermazione
finale di Gesù: Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi.
Ora, nella parabola, non c'è nessuno più ultimo di chi ha lavorato
un'ora soltanto, e non c'è nessuno più primo di chi ha lavorato fin
dal mattino. Allora, Gesù vuol forse insegnare uno stratagemma per
riuscire a cavarsela facendo il meno possibile? Che cosa c'è negli
ultimi di così prezioso da farli diventare primi agli occhi di Dio e
che cosa c'è nei primi di così pericoloso da rendere necessario per
loro un cammino verso l'ultimo posto? C'è in effetti negli ultimi
una cosa preziosissima ed è una duplice consapevolezza: quella per
cui sanno di non meritare quanto il padrone dona loro e quella per
cui sanno che tutti coloro che li hanno preceduti nel lavoro meritano
senz'altro più di loro. Ecco l'atteggiamento di umiltà che è
richiesto per entrare nel regno di Dio.
I
primi invece non hanno questa duplice consapevolezza perché avendo
incominciato a lavorare fin dal mattino, pensano di meritare quanto
viene loro dato e di meritare di più rispetto ad altri. Questa
presunzione di meritare qualcosa nei confronti di Dio e di meritare
di più rispetto ad altri, è contraria allo spirito di umiltà
richiesto per funzionare come si deve nel Regno di Dio; di qui la
necessità per i primi di diventare a loro volta ultimi, se accettano
di compiere questo cammino riceveranno anche loro molto di più di
quanto riusciranno a sperare.
La
parabola allora, non mostra tanto come funziona la giustizia nel
Regno di Dio, ma come dobbiamo funzionare noi per poterci entrare,
qual è l'atteggiamento che ci rende graditi agli occhi di Dio e
scatena la sua generosità. Questo atteggiamento è l'umiltà che ci
fa contenti di essere ultimi e contenti di considerare tutti gli
altri più meritevoli di noi. Possiamo ancora osservare che negli
ultimi, proprio perché ricevono molto di più di quanto potevano
sperare, sorgono sentimenti di gratitudine e di amore verso il
padrone molto maggiori di quelli che sorgono in chi ritiene di
meritare il suo salario. Sorgono infine sentimenti di umiltà anche
nei confronti dei compagni di lavoro perché, avendo lavorato poco,
non potrà mai passare loro per la testa di considerarsi più
meritevoli degli altri, quindi è per loro normale sentirsi poco
considerati e ignorati da tutti.
Vediamo
allora che la parabola, in modo sorprendente, ci fa riflettere sulle
condizioni per essere graditi a Dio, per funzionare bene nel suo
Regno. Queste condizioni sono: dare almeno un'ora di lavoro, non
ritenersi meritevoli di quanto il Signore vorrà darci, ritenere
tutti gli altri superiori e più meritevoli, avere sentimenti di
gratitudine e amore verso Dio. Il rischio che corrono i primi invece,
è quello di ritenersi superiori agli altri, di non essere troppo
benevoli e disprezzare chi, per vari motivi, non può dare molto,
anzi, può dare poco, solo un'ora di lavoro. Rischiano inoltre di
essere ingrati credendo di meritare quanto ricevono. La parabola ci
mostra invece il volto buono di un padre che vuole dare molto anche a
chi riesce a dare solo poco.
Verifica
dell'umiltà
Ma
il sentimento di ingiustizia che questo comportamento suscita?
Proviamo a lasciare in sospeso per il momento la domanda e
chiediamoci: noi, rispetto alla perfezione dell'umiltà che la
parabola suggerisce, come siamo messi? Come reagiamo se veniamo
trascurati, disprezzati, offesi, umiliati? Come reagiamo se vediamo
altri apprezzati, onorati, elogiati, stimati? Qual è il nostro
atteggiamento verso le persone umili e gli atti di umiltà e quale il
nostro atteggiamento verso le persone importanti? Qual è il nostro
giudizio sugli atti di chi cerca il proprio prestigio e la propria
gloria? Come reagiamo nei confronti delle persone che sbagliano?...
Ma soprattutto, il nostro desiderio a che cosa aspira? Tende verso i
primi posti o è contento di cercare l'ultimo posto?
Oltre
alla verifica proposta da queste domande, conviene considerare che
molto probabilmente, nel migliore dei casi, non siamo messi molto
diversamente dagli apostoli. Ora, gli apostoli di esempi e di
insegnamenti sull'umiltà da parte di Gesù ne avevano visti e
sentiti parecchi. Dall'umiltà della sua nascita a Betlemme, ai
lunghi anni di vita ordinaria e laboriosa in un piccolo villaggio
della Galilea - sempre nella casa di Maria e Giuseppe - al suo
mettersi in fila con i peccatori per ricevere il battesimo di
Giovanni. E poi gli insegnamenti: beati i poveri, gli afflitti, i
perseguitati (Mt 5, 3ss). Quando sei invitato a nozze non metterti al
primo posto (Lc 14, 8). Quando avrete fatto tutto quello che vi è
stato ordinato dite: siamo servi inutili abbiamo fatto quanto
dovevamo fare (Lc 17, 10). Imparate da me che sono mite e umile di
cuore (Mt 11, 29). La parabola del fariseo e del pubblicano che
pregano nel tempio (Lc 18, 10). E poi la lode al Padre che rivela i
suoi segreti ai piccoli (Mt 11, 25).
Ma
nonostante la chiarezza, l'abbondanza e l'autorevolezza di questi
insegnamenti, pochi versetti dopo la parabola che stiamo meditando
viene narrato l'episodio della madre dei figli di Zebedeo che chiede
a Gesù un posto di prestigio per i figli Giacomo e Giovanni (Mt 20,
20-21). Dal Vangelo di Luca sappiamo che l'aspirazione a essere primi
era comune a molti, leggiamo infatti: E nacque tra loro anche una
discussione: chi di loro fosse da considerare più grande (Lc 22,
24). Allora Gesù ribadisce: Colui che vorrà diventare grande tra
voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra
voi, si farà vostro schiavo (Mt 20, 26-27). E Sano Paolo ai
Filippesi dirà: Non fate nulla per spirito di rivalità o per
vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà consideri gli altri
superiori a se stesso (Fil 2, 3).
Questo
episodio mostra come la nostra inclinazione non sia affatto di
seguire gli insegnamenti e gli esempi di Gesù sull'umiltà, ma di
andare nella direzione opposta. Se siamo onesti dobbiamo ammettere
che molte volte anche noi, come i farisei, facciamo sì opere buone,
ma in esse c'è anche un segreto desiderio di essere ammirati dagli
uomini (Mt 23, 5). Quante volte amplifichiamo più del dovuto ciò
che ci riguarda. Oppure ci arrampichiamo sui vetri per non ammettere
che certe cose non le conosciamo o le conosciamo in modo
superficiale. A volte mentiamo anche, lasciando credere di sapere ciò
che non sappiamo, oppure, per essere lodati e ammirati, lasciamo
credere che sia farina del nostro sacco ciò che appartiene ad altri.
Simili tendenze sono gravi, dimostrano infatti che più della verità
cerchiamo stoltamente la nostra gloria. Oppure, più miseramente,
cerchiamo di nascondere le nostre nudità. Allora, nei confronti
della vigna destinata a produrre grappoli di umiltà, abbiamo già
risposto all'invito del Signore per mettere in pratica i suoi esempi
e i suoi insegnamenti? Forse si, forse no.
...
come il lavoro di un'ora
Supponiamo
che qualcuno fin dal primo mattino si sia impegnato a lavorare
diligentemente questo vitigno, giunto alla sera che cosa dovrà
constatare? Dovrà constatare che pur avendo lavorato tanto, avrà
ottenuto molto poco. Poco come chi avesse lavorato un'ora soltanto. E
la stessa cosa si può dire per il lavoro svolto nella cura di altri
vitigni come la pazienza, la benevolenza, la delicatezza,
l'obbedienza, la fortezza, il coraggio... ma soprattutto tutto ciò
che riguarda la fede, la speranza e la carità. L'affermazione di
Gesù che i primi devono diventare ultimi la possiamo considerare
allora come un invito a prendere coscienza della nostra reale
posizione davanti a Dio. La nostra risposta all'amore di Dio, per
quanto facciamo, sarà sempre inadeguata e insufficiente, così come
la nostra fede e la nostra speranza. La nostra risposta è come
quella di chi, in una giornata, riesce a lavorare un'ora soltanto,
siamo tutti operai dell'ultima ora. C'è un'orazione della messa che
molto opportunamente ci invita a prendere coscienza della nostra
povertà, essa dice: all'estrema povertà dei nostri meriti,
supplisca l'aiuto della tua misericordia. Ecco perché non c'è
ingiustizia verso nessuno, nessuno infatti riceve quello che merita,
ma tutti, per la bontà del padrone, riceviamo molto di più di
quanto meritiamo.
Tutti
siamo operai dell'ultima ora, ma rispetto a questo dato di fatto ci
possono essere diversi gradi di consapevolezza; tali gradi li
possiamo vedere rappresentati nei vari gruppi che durante la giornata
lavorano più o meno a lungo. Nei gruppi delle ultime ore è più
forte la consapevolezza di non meritare gran ché e di essere i più
poveri e indegni di tutti; questa consapevolezza è massima negli
ultimi e molto debole o quasi inesistente nei primi, ecco perché
questi devono diventare ultimi.
Quando
il Signore, sconcertando tutti, afferma che i pubblicani e le
prostitute vi passeranno avanti nel Regno di Dio (Mt 21, 31), o nella
parabola invita al banchetto poveri, storpi, ciechi e zoppi... (Lc
14, 21) o accoglie in Paradiso il buon ladrone (Lc 23, 39-43),
manifesta e applica la logica piuttosto strana che governa le cose
nel Regno di Dio. Come abbiamo visto, secondo questa logica più uno
è povero, misero e debole, più è consapevole di non meritare nulla
e di essere l'ultimo di tutti, più è gradito agli occhi di Dio, il
quale non aspetta altro per manifestare la sua misericordia e la sua
generosità.
Nessuna
prostituta può ritenersi degna del Regno di Dio, nessun poveraccio
può aspirare a partecipare a un banchetto regale, e il buon ladrone
si riteneva degno soltanto del castigo che subiva; eppure proprio
queste povertà e queste miserie, se vengono raggiunte dalla grazia,
possono generare un'umiltà priva di arroganza capace di affascinare
il cuore di Dio e indurlo a colmare al di là di ogni attesa queste
povertà.
Santi
e peccatori
Per
tentare di comprendere il paradosso di questa logica proviamo ad
immaginare, verso la fine della loro vita, un ergastolano e una
prostituta da una parte e un monaco e una monaca di clausura
dall'altra. Ora, potrebbe anche accadere che l'ergastolano e la
prostituta entrino prima e ottengano un posto migliore nel Regno di
Dio del monaco e della monaca. Se l'ergastolano e la prostituta, la
cui vita non è altro che un cumulo di disastri e di macerie, vengono
raggiunti dalla grazia, ossia se nel più intimo del loro cuore e
della loro miseria fanno l'esperienza dell'amore di Dio, amore che
non li respinge ma li accoglie e li perdona, questo può scatenare in
loro una gratitudine, un amore e un'umiltà così profondi da
ottenere una ricompensa uguale a quella meritata dal monaco e dalla
monaca. Così pur avendo lavorato un'ora soltanto vengono
ricompensati come se avessero lavorato tutto il giorno. E il monaco e
la monaca, più sono avanti nella via della perfezione, più si
rallegrano di fronte allo stupefacente spettacolo di un Dio che è
capace di elevare ai massimi gradi di santità chi ha trascorso la
vita negli abissi della miseria.
La
specialità di Dio è quella di sollevare l'indigente dalla polvere,
e dall'immondizia rialzare il povero, per farlo sedere tra i
principi, tra i principi del suo popolo. Così canta il salmo 112,
7-8. Inoltre, colui al quale si perdona poco, ama poco (Lc 7, 47). Da
cui segue che colui a cui si perdona molto ama molto. È questo in
fondo ciò che Dio vuole ottenere da tutti, un grande amore verso Lui
e verso i fratelli. Per raggiungere questo obbiettivo la sua
misericordia può adottare due vie o due stratagemmi: quello di
perdonare molto a chi sbaglia molto, e sono gli operai dell'ultima
ora; e quello di perdonare in anticipo chi, senza abbondanti grazie
preventive, sbaglierebbe ugualmente molto, e sono gli operai della
prima ora. La parabola ci dice però che gli operai della prima ora
hanno una certa difficoltà a rendersi conto che in fondo sono anche
loro persone a cui è stato perdonato molto. Ecco ancora la necessità
di diventare ultimi, ossia di scoprirsi perdonati tanto quanto i
peccatori più peccatori della terra. È quanto sentiamo spesso
ripetere dai santi: non c'è sulla terra uno più peccatore e più
miserabile di me.
Quando
il santo e il peccatore raggiungono la consapevolezza di essere dei
perdonati, raggiungono entrambi l'ultimo posto e ottengono la massima
ricompensa, ossia la scoperta di una misericordia che va al di là di
ogni immaginazione, scoprono il vero volto di Dio. Possiamo allora
dire che è impossibile scoprire il vero volto di Dio se non
accettiamo di lasciarci condurre verso l'ultimo posto, vale a dire a
scoprire l'estrema povertà dei nostri meriti, a scoprire che siamo
tutti dei perdonati e degli operai dell'ultima ora. Più
acconsentiremo a diventare consapevoli di questo, non resistendo
troppo alla Luce divina che proprio le nostre povertà e il nostro
nulla vuole in un primo tempo mostrarci, più gioiremo; infatti,
nella parabola come nella realtà, nessuno ha una gioia più grande
degli operai dell'ultima ora, perché nessuno più di loro è
consapevole di non meritare quanto il padrone dona loro. Mentre la
gioia diminuisce via via che qualcuno si ritiene degno di meritare un
po’ il suo salario.
L'insegnamento
dei maestri
Per
concludere, integrare e confermare le cose dette ascoltiamo
l'insegnamento di due autorevoli maestri. Sul fatto che siamo tutti
dei perdonati santa Teresina di Lisieux così si esprime: Io non ho
dunque alcun merito per non essermi abbandonata all'amore delle
creature, poiché da esso fui preservata per grande misericordia del
Signore! Riconosco che senza lui avrei potuto cadere in basso quanto
santa Maddalena... Lo so, colui al quale si rimette meno, ama meno,
ma so anche che Gesù mi ha rimesso più che a santa Maddalena perché
mi ha rimesso in anticipo impedendomi di cadere... Se il mio cuore
non fosse stato innalzato verso Dio fin dal primo risveglio, se il
mondo mi avesse sorriso fin dal mio entrare nella vita, che sarei
diventata? (Man A 119-120, 124).
Circa
il fatto di lavorare molto ma di riuscire a ottenere molto poco
ascoltiamo ancora Teresina: Ahimè! Quando mi riporto al tempo del
mio noviziato vedo quanto ero imperfetta...Più tardi, senza dubbio,
il tempo attuale mi parrà ancora pieno d'imperfezioni, ma ora non mi
stupisco più di nulla, non mi affliggo vedendo che sono la debolezza
stessa, al contrario, in essa mi glorio (2 Cor 12, 5) e mi aspetto
giorno per giorno di scoprire in me nuove imperfezioni (Man C 294). E
don Divo Barsotti: Nonostante la mia povertà, nonostante che abbia
sciupato tutta la vita, vivendo solo di desiderio una vita fiacca e
vuota di amore, dammi di credere alla tua Misericordia. Sono ormai
alle soglie della morte, vedo come avrei dovuto impegnarmi e come di
fatto non ho saputo far nulla per te (Diario Figli nel Figlio p. 96).
E ancora. Quando penso che è vicina la morte mi vorrebbe prendere lo
sgomento. Ho rovinato tutto, mi sento povero e nudo. Eppure sento che
lo sgomento è ancora frutto di amor proprio. Dio può in poco tempo
riparare non solo col perdono, ma col realizzare in me quello che io
non ho fatto (Diario citato p. 123). E il padrone che considera il
lavoro di un'ora come se fosse il lavoro di un'intera giornata,
autorizza questa speranza.
Sull'atteggiamento
da avere nei confronti dei fratelli sentiamo ancora don Barsotti: Non
solo accettare, ma anche godere che gli altri siano migliori di te e
abbiano maggiore successo (Diario p. 101). Ancora sulla nostra
povertà e sull'ultimo posto. L'Onnipotente ha fatto grandi cose
nell'anima di colei che è figlia della sua divina Madre, e la più
grande è di averle mostrato la sua piccolezza, la sua impotenza
(Teresina Man C 274). È la mia miseria che attira il suo amore. La
conoscenza viva e dolorosa della mia povertà non fa che accrescere
la mia fiducia. Non è presunzione: il vuoto della creatura attira
irresistibilmente la grazia (Barsotti Diario p. 132). L'unica cosa
che non sia esposta all'invidia, è l'ultimo posto; non c'è che
quest'ultimo posto che non sia per nulla vanità e afflizione di
spirito. Ciò nonostante, "la via dell'uomo non è in suo
potere" (Ger 10, 23), e talvolta ci sorprendiamo a desiderare
ciò che attira per il suo splendore... ... Appena egli ci vede
convinte del nostro nulla, ci tende la mano. Se vogliamo ancora
tentare di far qualcosa di grande, sia pure sotto pretesto di zelo,
il buon Gesù ci lascia sole. "Ma, da quando ho detto: il mio
piede vacilla, la vostra misericordia, Signore, mi ha sorretto"
(Sal 93, 18). Si, basta umiliarsi, sopportare con dolcezza le proprie
imperfezioni: ecco la vera santità. Prendiamoci per mano, sorellina
amata, e corriamo ad occupare l'ultimo posto: nessuno verrà a
contendercelo (Teresina Lettera 215). Gli apostoli senza Nostro
Signore lavorarono tutta la notte e non presero neppure un pesce, ma
la loro fatica era accetta a Gesù. Voleva mostrare loro che lui
soltanto ci può dare qualche cosa. Voleva che gli apostoli si
umiliassero..."Figlioli, dice loro, avete nulla da mangiare? (Gv
21, 5) Signore - rispose san Pietro - abbiamo pescato tutta la notte
senza prendere nulla (Lc 5, 5)"... Non avevano nulla, e così
Gesù riempì subito la loro rete in modo da farla rompere. Ecco qual
è il carattere di Gesù: dona da Dio, ma vuole l'umiltà del cuore
(Teresina Lettera 140).
Chi
consola questa parabola
Giunti
a questo punto potremmo dire che la parabola tanto più consola e
dona speranza quanto più si è consapevoli di essere poveri, miseri,
impotenti, indegni, peccatori, in una parola quanto più si è
ultimi. All'ultimo posto si può giungere percorrendo due vie: una in
cui si è perdonati e risollevati dai disastri e dalle macerie
dall'amore misericordioso di Dio; l'altra in cui, lo stesso amore
misericordioso, perdona in anticipo e preserva dagli stessi disastri
e dalle stesse macerie. In realtà, nella vita di ogni uomo, il
perdono che risolleva dalla caduta e il perdono che la previene è
distribuito in varia proporzione dalla Sapienza di Dio. A chi accetta
di diventare ultimo, l'ora di lavoro che a tutti è richiesta, verrà
calcolata, per la bontà di Dio, come se avesse prodotto il lavoro di
un'intera giornata, ossia verrà dato a tutti al di là di ogni
immaginazione.
Per
gli uni l'ora di lavoro vuole dire aprire il cuore alla verità, al
pentimento e all'amore di Dio. Per gli altri è accettare di
riconoscere l'estrema povertà dei nostri meriti, ossia che la nostra
risposta all'amore di Dio è paragonabile all'opera di chi, in una
giornata, lavora un'ora soltanto. Ma, il colpo di scena finale rivela
che il nostro poco amore verrà calcolato come se fosse un amore
capace di dare la vita, la nostra poca fede come se fosse una fede
capace di spostare le montagne, la nostra poca speranza come se
avessimo passato la vita a desiderare Dio solo... Che il Signore ci
doni di comprendere il suo cuore e di gioire per la sua bontà. A Lui
onore e gloria nei secoli, Amen.
Eugenio
Pramotton dal sito http://www.medvan.it/
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