mercoledì 20 agosto 2014

Beato Abouna Yaacoub – Tema: (padre Giacomo): Libano - Centri di accoglienza - Catechismo ------ Bienheureux Abouna Yaacoub (Père Jacques) - Thèmes principaux: Liban - Centres d'accueil - Catéchisme


 

«I poveri sono degli assegni nelle nostre mani all’ordine della Provvidenza divina. Se voi comprendeste bene chi è Colui che i poveri rappresentano sulla terra, li servireste in ginocchio. State certi che la banca della Provvidenza non andrà mai in fallimento», diceva padre Yaaqub alle Religiose Francescane della Croce del Libano che egli aveva fondate per il servizio dei malati e dei poveri. Questo prete cappuccino ha spiegato un’energia straordinaria per riuscire a cancellare i segni della povertà, della malattia e dell’ignoranza che erano state imposte al Libano da determinate circostanze.

Khalil Haddad, che diventerà padre Giacomo (Abuna Yaaqub), è nato il 1° febbraio 1875, a Ghazir nel Libano, in una famiglia che conterà quattordici figli, di cui sei moriranno in tenera età. I suoi genitori sono sarti. Sua madre gli insegna: «Farai tutto e sopporterai tutto per amore di Dio... Nei momenti difficili, prega il rosario.» Suo padre è un uomo pio ma severo nell’educazione dei figli. Khalil riceverà da lui un gran buon senso, unito al senso dell’umorismo e della determinazione. L’infanzia di Khalil trascorre tranquillamente. Tuttavia, gli succede un incidente la vigilia di un 15 agosto: con degli amici, sale sulla terrazza della chiesa dove, secondo un costume locale, si sparge della cenere imbevuta di petrolio per accendere un fuoco nella notte. Improvvisamente, i suoi abiti prendono fuoco. Parte correndo, ma la sua fuga attizza l’incendio e mette in pericolo la sua vita. Fortunatamente, si riesce a spegnere le fiamme, da cui il giovane non ha ricevuto nessuna bruciatura. Egli considera questo fatto di essere stato preservato come un favore del cielo.

«No, no, non io!»


Khalil compie i suoi studi a Ghazir. Intelligente, lavoratore, coscienzioso, non incontra nessuna difficoltà nell’apprendimento. Un giorno, a tavola, la signora El-Haddad apre il suo cuore ai figli: «Ah! Che gioia per me, se uno di voi diventasse prete!», e il suo sguardo si posa su Khalil. «Perché guardare me? esclama quest’ultimo; guardate gli altri! No, no, non io!» Nel luglio del 1891, alla conclusione del suo corso di letteratura, Khalil riceve il “Premio di saggezza”, conferito dal suffragio degli allievi con l’approvazione dei maestri. Nel 1892, Khalil è invitato da un lontano zio che tiene un albergo ad Alessandria, in Egitto. Fin dal suo arrivo, viene assunto dai Fratelli delle Scuole Cristiane del collegio San Marco come professore di arabo, lingua che padroneggia perfettamente. Dopo aver pagato le sue spese ordinarie, fa pervenire il resto del salario a suo padre che ne è molto soddisfatto. Per conservare la fede e la purezza, Khalil si dedica alla preghiera e alla visita delle chiese. Un giorno, dietro l’insistenza di un amico, accetta di andare a uno spettacolo accompagnato da proiezioni fotografiche. Ben presto, disgustato da immagini provocanti, si copre gli occhi con la mano; non si lascerà più prendere così.

Il pudore, di cui Khalil dà l’esempio, è il rifiuto di svelare ciò che deve rimanere nascosto. Esso preserva l’intimità della persona. È ordinato alla castità di cui esprime la delicatezza. Regola gli sguardi e i gesti in conformità alla dignità delle persone. Il pudore è modestia; ispira la scelta dell’abbigliamento, e conserva il silenzio là dove traspare il rischio di una curiosità morbosa (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2521-2523). Se, attualmente, il pudore viene talvolta deriso, esso rimane indispensabile e deve essere insegnato a tutti, perché risveglia il rispetto della persona umana e garantisce la libertà come l’intimità di ciascuno. Vi è un rapporto reale tra la perdita del pudore e il disordine sociale: omicidi, pedofilia, aborto...

Il 28 febbraio 1893, in occasione delle esequie di un prete francescano di 42 anni, Khalil percepisce il nulla della vita, insieme alla bellezza del distacco totale di cui questo religioso aveva dato l’esempio: «Sì, mi farò prete, dice a se stesso, apparterrò a Dio e nulla mi fermerà.» Tuttavia, i suoi compagni lo deridono per le sue frequenti visite in chiesa e gli raccontano delle volgarità sugli ecclesiastici, in particolare su uno sventurato prete che non vive in conformità con il suo sacerdozio. Profondamente commosso dallo stato di questo prete, Khalil trascorre delle notti a pregare per lui. Dichiara ai suoi compagni: «Ebbene, mi farò prete, e vi farò vedere come sono i buoni preti! – Vedremo, sant’uomo!» gli ribattono gli altri.

Celebrare almeno una volta...

Quando il signor El-Haddad apprende la risoluzione del figlio, vi si oppone vigorosamente. Ma Khalil rimane fermo nel suo proposito e suo padre finisce con il cedere: il 25 agosto 1893, lo accompagna al vicino convento dei Padri Cappuccini. Khalil è al colmo della gioia. Al momento della vestizione, riceve il nome di fratel Giacomo. Il convento conta numerosi giovani religiosi cacciati dalla Francia in seguito alla persecuzione. Dopo la sua prima professione, il 14 aprile 1895, padre Yaaqub inizia il suoi studi di filosofia e di teologia. Gli studenti devono assicurare una buona parte dei lavori di manutenzione: cucito, pulizia, giardinaggio, bucato. Durante le vacanze, si dedicano a grossi lavori di muratura. Padre Yaaqub è inoltre impiegato in diverse missioni in cui viene messa a profitto la sua conoscenza dell’arabo e dei costumi del paese. A partire dal 1896, rende servizi apostolici, in particolare con gli esercizi del mese di Maria. Fa la sua professione perpetua il 24 aprile 1898 e aspira all’ordinazione sacerdotale: «Mio Dio, egli prega, concedimi di celebrare, anche una sola volta, il Santo Sacrificio della Messa, poi potrai prendermi presso di te. Sarà la mia più grande gioia e la mia più grande consolazione.» Il 1° novembre 1901, viene ordinato prete. Il suo superiore lo invia a celebrare una prima Messa a Ghazir. Durante il viaggio, la carrozza a cavalli che lo conduce si rovescia in un profondo burrone. Padre Yaaqub rimane bloccato, e insanguinato, nel veicolo. Vede arrivata la sua ultima ora e supplica la Santa Vergine di aiutarlo. Finalmente, si riesce a liberarlo. L’indomani, può celebrare la Messa nel suo villaggio.

Abuna Yaaqub viene ben presto nominato economo dei conventi dei Cappuccini del Libano. Questo incarico gli impone lunghe camminate sui sentieri di montagna. Dichiarerà un giorno: «Se si dovesse assegnare un premio in base al numero di chilometri percorsi a piedi, io sarei il campione!» D’estate, gronda di sudore; d’inverno, è intirizzito dalla pioggia o dalla neve. Le sue commissioni incessanti lo espongono a diversi pericoli che non gli impediscono di accettare di svolgere incarichi per i Fratelli o le Sorelle incontrati. I suoi superiori lo prendono volentieri come compagno di viaggio nei loro spostamenti, per servire da interprete o da guida. Nel luglio del 1910, padre Yaaqub s’imbarca per la Francia. Per ringraziarlo delle sue fatiche, i suoi superiori gli donano un pellegrinaggio a Lourdes, Roma e Assisi. Dopo tre giorni trascorsi a Lourdes, si strappa dalla grotta benedetta e lascia la Francia, che non rivedrà mai più. Si reca ad Assisi, poi a Roma, dove il papa san Pio X lo riceve in udienza.

A partire dal 1905, Abuna Yaaqub è responsabile della direzione delle scuole fondate dai Cappuccini in montagna. Rifiuta l’idea di grandi istituzioni educative e incoraggia quella di piccole scuole gratuite in tutto il Libano, che offrano l’istruzione a tutti, in particolare ai figli dei poveri. In cinque anni, porterà il numero delle scuole da quindici a duecentotrenta. Questo apostolato esige da lui una pazienza instancabile per trovare i locali, gli insegnanti, i mobili, il materiale scolastico, i mezzi finanziari, per ascoltare le lamentele delle famiglie e appianare le controversie. Il suo desiderio profondo è quello di rafforzare la fede dei bambini. «Finora, egli scrive, la fede semplice e salda era rimasta la prerogativa delle nostre popolazioni libanesi e vi brillava in tutto il suo splendore. Da qualche anno, sembra oscurarsi. La sete dell’oro è stata il primo male. L’America è apparsa come una miniera, e gli emigranti ci sono andati e ci vanno ancora a migliaia per tentare la fortuna... Quando ritornano, hanno perso qualche cosa, a volte la totalità delle loro convinzioni e soprattutto delle loro pratiche religiose... Il rimedio a questo è il risveglio della fede nelle anime e la salvaguardia dell’infanzia; è ancora l’insegnamento del catechismo, soprattutto in arabo, la predicazione dei ritiri, la preparazione alla prima Comunione.»

Un’esigenza irrinunciabile

Ancora oggi, lo studio del catechismo resta una prio- rità per tutti i cristiani. Nel corso di un’udienza generale, il 30 dicembre 2009, papa Benedetto XVI faceva osservare: «La presentazione organica della fede è un’esigenza irrinunciabile... Il Catechismo della Chiesa Cattolica, come pure il Compendio del medesimo Catechismo, ci offrono proprio questo quadro completo della Rivelazione cristiana, da accogliere con fede e con gratitudine. Vorrei incoraggiare perciò anche i singoli fedeli e le comunità cristiane ad approfittare di questi strumenti per conoscere e approfondire i contenuti della nostra fede.» Egli chiedeva anche ai giovani che dovevano partecipare alle Giornate Mondiali della Gioventù di Madrid: «Studiate il catechismo... Sacrificate il vostro tempo per esso!... Dovete conoscere quello che credete; dovete conoscere la vostra fede con la stessa precisione con cui uno specialista di informatica conosce il sistema operativo di un computer... Sì, dovete essere ben più profondamente radicati nella fede della generazione dei vostri genitori, per poter resistere con forza e decisione alle sfide e alle tentazioni di questo tempo» (L’Osservatore Romano, 2 febbraio 2011).

In occasione della visita alle scuole, padre Yaaqub è spesso invitato a tenere un sermone o un ritiro spirituale. Si esprime allora senza enfasi ma con convinzione. Ci rimangono, da lui manoscritti, ventiquattro volumi di sermoni e molti fogli sciolti. In presenza del suo uditorio, parla dalla pienezza del cuore, ravvivando la sua predicazione con aneddoti vivaci ed esempi tratti dalle vite dei santi. «Il predicatore, dice, è la tromba di Dio... Io sono una voce che grida nel deserto, nel cuore del peccatore perché assomiglia al deserto. Che rovina là dove non c’è Dio!». Egli si dedica anche al ministero del sacramento della Penitenza.

Abuna Yaaqub diffonde con zelo il Terz’Ordine francescano. Spiega che san Francesco esortava i suoi ascoltatori a odiare il peccato e a condurre una vita di penitenza; molti di loro vollero aderire a questo programma, ed egli tracciò per loro una via nuova, adatta alla vita laica: è questa la ragion d’essere del Terz’Ordine. «Lo spirito del mondo attuale sta cercando di far vacillare gli eletti, afferma padre Yaaqub. Solo lo spirito cristiano può trionfare su di esso... Questo spirito è contenuto nelle condizioni di ammissione del candidato (al Terz’Ordine) di cui le principali sono: una buona condotta, l’amore per la pace, l’attaccamento alla fede cattolica, la sottomissione alla Chiesa.» Egli fonda la sua prima fraternità del Terz’Ordine a Beirut nel 1906. Circa vent’anni dopo, i terziari saranno oltre diecimila. Il Padre segue da vicino il cammino delle sue fraternità che affida a preti che sono essi stessi Terziari, riservando a se stesso l’organizzazione degli incontri regionali o nazionali. Il 1° gennaio 1913, lancia una rivista, L’amico della Famiglia, in cui appaiono articoli di spiritualità, di pedagogia, di poesia... Pubblica anche diverse opere, tra cui una piccola vita di san Francesco, alcune opere teatrali religiose, testi per la Via Crucis.

Sapersi aggrappare

Durante la prima guerra mondiale, poiché i Cappuccini francesi devono lasciare il Libano, Abuna Yaaqub riceve la carica di Superiore dei Cappuccini Libanesi. Sotto l’occupazione turca, corre rischi enormi per la sua vita, tanto più che la carestia e il tifo colpiscono il paese. Si aggrappa alla Croce con fede incrollabile: «Noi consideriamo questo periodo terribile in cui si sono abbattute su di noi tutte le disgrazie: il presente ci fa paura, il futuro ci fa tremare. Cadremo forse nello scoraggiamento e nella disperazione? Ah! No!... Il cristiano saggio si aggrappa alla calma e alla pazienza perché sa che Dio tiene nelle sue mani il libro degli eventi... Le sventure aprono gli occhi che il benessere ha chiuso.»

Da molto tempo, Abuna Yaaqub prepara la costruzione di un centro di riunione generale per le sue fraternità. Dopo la guerra, un altro obiettivo viene ad aggiungersi a questo progetto: erigere un monumento al quale si venga a pregare per le migliaia di libanesi morti senza aver trovato qualcuno che innalzasse una croce sulla loro tomba. Inoltre, di là, si invocherà la benedizione della Vergine su tutti i libanesi emigrati. Nel 1919, egli acquista un terreno a Jall-Eddib, su una collina dove costruisce un piccolo convento dedicato a Nostra Signora del Mare. Nel 1923, inaugura un nuovo edificio e una statua della Vergine che porta in braccio Gesù, con una nave ai suoi piedi. Due anni dopo, una grande croce, alta dieci metri, viene posta sulla sommità dell’edificio. Padre Yaaqub esulta di gioia. Nel 1929, inizia, a Deir el-Qamar, piccola città che fu per lungo tempo la capitale del Libano, la costruzione di una Croce monumentale alta venti metri che verrà inaugurata nel 1932. Ogni anno, la festa della Croce è come una giornata nazionale in cui terziari e semplici fedeli affluiscono a migliaia. Ben presto vengono installate una Via Crucis e poi un’illuminazione notturna.

Nel luglio del 1925, Abuna Yaaqub amplia l’edificio del santuario di Nostra Signora del Mare. Un giorno del 1926, viene chiamato ad ascoltare la confessione di un prete malato. Si tratta di un vecchio monaco uscito dal suo monastero e ora pentito, ma abbandonato a se stesso, nel rimorso e nello scoraggiamento. Il Padre accoglie questo povero prete a Nostra Signora del Mare, e inizia così un’opera di assistenza ai sacerdoti anziani e a chi soffre di malattie croniche, fisiche o mentali. «Guardatevi dal rifiutare un sacerdote che bussi alla porta del nostro convento, raccomanderà alle sue religiose. Se non c’è una camera disponibile, dategli la mia... Il sacerdote è Cristo sulla terra. Bisogna rispettarlo e onorarlo.» In seguito, altri preti, nonché delle persone malate e disabili di ogni estrazione sociale e religiosa saranno accolti in questo luogo. Nel 1948, il santuario della Croce (Nostra Signora del Mare) ospiterà quattrocento malati.

Tante quante le “Ave Maria”

Di fronte al crescente lavoro che procura l’accoglien- za dei preti e degli ammalati, Abuna Yaaqub progetta la fondazione di una nuova congregazione religiosa, affiliata al Terz’Ordine francescano. Nell’estate del 1929, aiutate da suore francescane, un piccolo gruppo di ragazze terziarie che aspirano alla vita religiosa vengono a prendersi cura dei sacerdoti, a seguire dei corsi e a iniziarsi a ogni sorta di lavori. La loro vita è dura: devono impastare il pane, andare ad attingere l’acqua alla fonte, cercare legna da ardere nei boschi, portare a lavare la biancheria fino al villaggio di Jall-Eddib... Ma tutto avviene nell’allegria e nell’entusiasmo, a tal punto un fuoco interiore divora queste anime ardenti. Padre Yaaqub offre loro una formazione spirituale e insiste sulla buona armonia, la carità, la dedizione, la vita umile nel silenzio. La comunità cresce rapidamente. Una sera del 1936, durante un giro di predicazioni in Palestina, il Padre si trova nella chiesa di Nazareth: «O Maria, prega, fa’ che nell’ora della mia morte il numero delle mie religiose sia uguale al numero di Ave Maria che riuscirò a dire prima della chiusura della chiesa.» Si mette a sgranare il suo rosario. Termina proprio il centocinquantesimo grano quando il sacrestano viene a chiudere le porte della chiesa. Diciotto anni dopo, alla morte di Abuna Yaaqub, la Congregazione conterà centocinquanta religiose.

Nel 1937, il governo libanese concede a padre Yaaqub una sovvenzione per ogni persona accolta dalle suore. Da allora, si vedono arrivare, inviati dal governo o dai comuni, malati, persone anziane, ciechi, disabili mentali... Abuna Yaaqub deve aprire altri centri di accoglienza e di cure, ampliare i locali e trovare un finanziamento sempre più abbondante. A un amico che lo interroga sulla sua contabilità, egli risponde: «Non parlarmi di contabilità. Questo non è di mia competenza. Per quanto mi riguarda, il mio contabile è Dio. Non tengo niente con me. Quello che mi arriva, lo spendo immediatamente per i poveri.» Ma la sua fiducia in Dio non gli fa perdere di vista la virtù della prudenza ed è attento a non avere debiti nella costruzione dei quattordici centri (scuole, asili, ospedali...) da lui fondati. Le sue numerose opere lo mettono in contatto con moltissime persone, in particolare i governanti del paese; ma, nella complessità delle relazioni che deve intrattenere con le autorità civili e religiose, resta sempre molto giusto nei confronti di ciascuno, e non subirà mai alcun processo.

La sola via di salvezza

Il coronamento delle sue opere è il santuario che una chiamata interiore lo spinge a innalzare a Cristo Re, a cui vuole consacrare il Libano cristiano. Papa Pio XII aveva affermato nell’enciclica Summi Pontificatus: «All’inizio del cammino che conduce all’indigenza spirituale e morale dei tempi presenti, stanno i nefasti sforzi di non pochi per detronizzare Cristo, il distacco dalla legge della verità, che egli annunziò, dalla legge dell’amore, che è il soffio vitale del suo regno. Il riconoscimento dei diritti regali di Cristo e il ritorno dei singoli e della società alla legge della sua verità e del suo amore sono la sola via di salvezza» (20 ottobre 1939). Abuna Yaaqub sceglie come luogo la collina chiamata “Le Rovine dei Re”, dove gli antichi conquistatori avevano inciso nella roccia il ricordo dei loro eserciti vittoriosi. Iniziato nel 1950, il santuario comprende una basilica e degli edifici destinati all’accoglienza di sacerdoti e religiose, anziani o malati. Una statua del Sacro Cuore, alta dodici metri, corona l’edificio. La solenne inaugurazione di questo centro ha luogo nell’ultima domenica dell’ottobre del 1952, per la festa di Cristo Re. Durante i lavori, gli operai hanno scoperto una grotta sotterranea. Pieno di gioia, il Padre esclama: «Questa è per la Regina!», e fa costruire un oratorio in onore dell’Imma-colata Concezione di Maria.

Le opere realizzate da Abuna Yaaqub non gli fanno dimenticare la sua vocazione di religioso cappuccino. Tutta la sua vita è segnata dalla preghiera. Ha una speciale devozione per l’Eucaristia e per la Croce di Cristo. Nei suoi ultimi giorni, non cessa di ripetere: «La Coce è la mia vita! Oh mia Croce, io ti saluto! Tu sei sempre stata sul mio petto, sul mio tavolo, nella mia camera, sulle strade che ho percorso durante le mie camminate.» Tra le sue ultime parole c’è questo appello spesso ripetuto: «O Croce del Signore, o amato del mio cuore!»

Abuna Yaaqub ha sempre goduto di una salute robusta; tuttavia, nel maggio del 1954, detta queste righe: «Ho ancora la testa libera, ma per il resto sono pieno di acciacchi: insonnia, cataratta, prostata, eczema; tutte queste miserie fanno di me un ospedale ambulante, perché cammino ancora e faccio il mio lavoro del mio meglio.» Per caso, un medico scopre che padre Yaaqub è affetto da leucemia: «Oh! come ciò mi rallegra e mi conforta, esclama il Padre... Per me, la morte è una gioia e una consolazione perché vado incontro al mio Padre celeste.» Egli dice alla superiora delle suore che si preoccupa della sua partenza: «Non abbia paura. Se un uomo passa da una stanza all’altra, ha per questo abbandonato i suoi e smesso di aiutarli?... Io passerò al Cielo, e non cesserò di assistervi.» Dichiara alle suore: «Finché sarete in buona armonia e la carità regnerà tra di voi, nessuno potrà far nulla contro di voi. Voglio che ognuna sacrifichi la propria vita per sua sorella.» Attualmente, le Francescane della Croce del Libano continuano la loro missione; sono duecentotrenta suore distribuite in sei paesi.

Il 26 giugno, Abuna Yaaqub riceve l’Estrema Unzione e l’Eucaristia come viatico, poi rende l’anima a Dio alle tre del pomeriggio, dopo aver mormorato: « Gesù, Maria, Giuseppe ». È stato beatificato il 22 giugno 2008.

Con papa Benedetto XVI, chiediamo che «l’intercessione del beato Abuna Yaaqub, unita a quella dei Santi libanesi, ottenga a quell’amato e martoriato Paese, che troppo ha sofferto, di progredire finalmente verso una stabile pace!»

Dom Antoine Marie osb

"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)".

Bienheureux Abouna Yaacoub (Père Jacques) - Thèmes principaux: Liban - Centres d'accueil - Catéchisme

«Les pauvres sont des chèques entre nos mains à l'ordre de la Providence divine. Si vous compreniez bien Celui que les pauvres représentent sur terre, vous les serviriez à genoux. Soyez sûres que la banque de la Providence ne fera jamais faillite», disait le Père Jacques aux Religieuses Franciscaines de la Croix du Liban qu'il avait fondées pour le service des malades et des pauvres. Ce Prêtre Capucin a développé une énergie extraordinaire en vue de parvenir à effacer les signes de la pauvreté, de la maladie et de l'ignorance, que des circonstances avaient imposées au Liban.

Khalil Haddad, qui deviendra le Père Jacques (Abouna Yaacoub), est né le 1er février 1875, à Ghazir au Liban, dans une famille qui comptera quatorze enfants, dont six mourront en bas âge. Ses parents sont couturiers. Sa mère lui enseigne: «Tu feras tout et supporteras tout par amour pour Dieu... Dans les moments difficiles, prie le chapelet.» Son père est un homme pieux mais sévère dans l'éducation de ses enfants. Khalil recevra de lui un grand bon sens, joint au sens de l'humour et de la détermination. L'enfance de Khalil se déroule tranquillement. Toutefois, un accident lui arrive la veille d'un 15 août: avec des amis, il monte sur la terrasse de l'église où, selon une coutume locale, l'on répand de la cendre imbibée de pétrole pour allumer un feu dans la nuit. Soudain, ses vêtements prennent feu. Il part en courant, mais sa fuite attise l'incendie et met sa vie en danger. Heureusement, on parvient à éteindre les flammes dont le jeune homme n'a reçu aucune brûlure. Il considère sa préservation comme une faveur du ciel.

«Non, non, pas moi!»

Khalil fait sa scolarité à Ghazir. Intelligent, travailleur, consciencieux, il ne rencontre aucune difficulté dans ses études. Un jour, à table, Mme El-Haddad ouvre son coeur à ses enfants: «Ah! Quel bonheur pour moi, si l'un de vous devenait Prêtre!», et son regard s'arrête sur Khalil. «Pourquoi me regarder, moi? s'exclame celui-ci; voyez les autres! Non, non, pas moi!» En juillet 1891, à l'issue de sa classe de littérature, Khalil reçoit le «Prix de sagesse», décerné par le suffrage des élèves avec l'approbation des maîtres. En 1892, Khalil est invité par un oncle lointain qui tient une hôtellerie à Alexandrie, en Égypte. Dès son arrivée, il est embauché par les Frères des Écoles Chrétiennes du collège Saint-Marc comme professeur d'arabe, langue qu'il maîtrise parfaitement. Après avoir réglé ses dépenses ordinaires, il fait parvenir le reliquat de son salaire à son père qui en est très satisfait. Pour garder sa foi et sa pureté, Khalil s'adonne à la prière et à la visite des églises. Un jour, sur les instances d'un ami, il accepte d'aller à un spectacle agrémenté de projections photographiques. Bientôt écoeuré par des images provocantes, il se voile les yeux de la main; il ne se laissera plus prendre ainsi.

La pudeur, dont Khalil donne l'exemple, est le refus de dévoiler ce qui doit rester caché. Elle préserve l'intimité de la personne. Elle est ordonnée à la chasteté dont elle atteste la délicatesse. Elle guide les regards et les gestes dans la conformité à la dignité des personnes. La pudeur est modestie; elle inspire le choix du vêtement, et maintient le silence là où transparaît le risque d'une curiosité malsaine (cf. Catéchisme de l'Église Catholique, 2521-2523). Si, à l'heure actuelle, la pudeur est parfois tournée en ridicule, elle demeure indispensable et doit être enseignée à tous, parce qu'elle éveille au respect de la personne humaine et qu'elle garantit la liberté comme l'intimité de chacun. Il y a un rapport réel entre la perte de la pudeur et le bouleversement social: assassinats, pédophilie, avortement...

Le 28 février 1893, lors des obsèques d'un Prêtre franciscain de 42 ans, Khalil saisit le néant de la vie, ainsi que la beauté du détachement total dont ce Religieux avait donné l'exemple: «Oui, je me ferai Prêtre, se dit-il, je serai à Dieu et rien ne m'arrêtera.» Cependant, ses camarades le raillent pour ses fréquentes visites à l'église et lui racontent des grossièretés sur les ecclésiastiques, en particulier sur un malheureux Prêtre qui ne vit pas conformément à son sacerdoce. Profondément ému par l'état de ce Prêtre, Khalil passe des nuits à prier pour lui. Il déclare à ses compagnons: «Eh bien, je me ferai Prêtre, et je vous ferai voir comment sont les bons Prêtres! – On verra bien, saint homme!» lui rétorque-t-on.

Célébrer au moins une fois...

Lorsque M. El-Haddad apprend la résolution de son fils, il s'y oppose vigoureusement. Mais Khalil demeure ferme dans son dessein et son père finit par céder: le 25 août 1893, il l'accompagne au proche couvent des Pères Capucins. Khalil est au comble de la joie. Lors de sa prise d'habit, il reçoit le nom de Frère Jacques. Le couvent compte de nombreux jeunes religieux chassés de France par la persécution. Après sa première profession, le 14 avril 1895, le Frère Jacques commence ses études de philosophie et de théologie. Les étudiants doivent assurer une bonne partie des travaux d'entretien: couture, balayage, jardinage, lessive. Durant les vacances, ils s'adonnent à de gros travaux de maçonnerie. Le Frère Jacques est en outre employé à diverses missions où sa connaissance de l'arabe et des moeurs du pays est mise à profit. Dès 1896, il rend des services apostoliques, en particulier par les exercices du mois de Marie. Il fait sa profession perpétuelle le 24 avril 1898 et aspire à l'ordination sacerdotale: «Mon Dieu, prie-t-il, donnez-moi de célébrer, ne fût-ce qu'une seule fois, le Saint-Sacrifice de la Messe, ensuite vous pourrez me prendre chez vous. Ce sera ma plus grande joie et ma plus grande consolation.» Le 1er novembre 1901, il est ordonné Prêtre. Son supérieur l'envoie célébrer une première Messe à Ghazir. Au cours du voyage, la voiture à chevaux qui l'emmène bascule dans un profond ravin. Le Père Jacques est bloqué, en sang, dans le véhicule. Il voit sa dernière heure arrivée et supplie la Sainte Vierge de l'assister. Enfin, on parvient à le dégager. Le lendemain, il peut célébrer la Messe dans son village.

Abouna Yaacoub est bientôt nommé économe des couvents des Capucins du Liban. Cette charge lui impose de longues marches sur les sentiers de la montagne. Il déclarera un jour: «Si on devait décerner un prix basé sur le nombre de kilomètres de marche, je serais le champion!» L'été, il ruisselle de sueur; l'hiver, il est transi par la pluie ou la neige. Ses courses incessantes l'exposent à de multiples dangers qui ne l'empêchent pas d'accepter des commissions pour les Frères ou les Soeurs rencontrés. Ses Supérieurs le prennent volontiers comme compagnon de route dans leurs déplacements, pour servir d'interprète ou de guide. En juillet 1910, le Père Jacques s'embarque pour la France. Pour le remercier de son labeur, ses Supérieurs lui offrent un pèlerinage à Lourdes, Rome et Assise. Après trois jours passés à Lourdes, il s'arrache à la grotte bénie et quitte la France qu'il ne reverra jamais. Il se rend à Assise, puis à Rome, où le Pape saint Pie X le reçoit en audience.

À partir de 1905, Abouna Yaacoub est responsable de la direction des écoles créées par les Capucins dans la montagne. Il refuse l'idée de grandes institutions pédagogiques et favorise celle de petites écoles gratuites dans tout le Liban, offrant l'éducation à tous, notamment aux enfants des pauvres. En cinq ans, il portera le nombre des écoles de 15 à 230. Cet apostolat exige de lui une inlassable patience pour trouver les locaux, les professeurs, le mobilier, les fournitures scolaires, les finances, pour écouter les doléances des familles et apaiser les querelles. Son désir profond est de consolider la foi des jeunes enfants. «Jusqu'ici, écrit-il, la foi simple et robuste était restée l'apanage de nos populations libanaises et elle y brillait de tout son éclat. Depuis quelques années, elle paraît s'obscurcir. La soif de l'or a été le premier mal. L'Amérique est apparue comme une mine, et les émigrants y sont allés et y vont encore par milliers pour tenter la fortune... Quand ils reviennent, ils ont perdu quelque chose, parfois la totalité de leurs convictions et surtout de leurs pratiques religieuses... Le remède à cela est le réveil de la foi dans les âmes et la préservation de l'enfance; c'est encore l'enseignement du catéchisme, en arabe surtout, la prédication des retraites, la préparation à la première Communion.»

Une exigence incontournable

Aujourd'hui encore, l'étude du catéchisme reste une priorité pour tous les chrétiens. Lors d'une audience générale, le 30 décembre 2009, le Pape Benoît XVI faisait remarquer: «La présentation organique de la foi est une exigence incontournable... Le Catéchisme de l'Église Catholique, ainsi que le Compendium du même Caté–chisme, nous offrent précisément ce cadre complet de la Révélation chrétienne, à accueillir avec foi et gratitude. Je voudrais donc encourager chaque fidèle et les communautés chrétiennes à profiter de ces instruments pour connaître et approfondir les contenus de notre foi.» Il demandait aussi aux jeunes devant participer aux Journées Mondiales de la Jeunesse de Madrid: «Étudiez le catéchisme... Sacrifiez votre temps pour cela!... Vous devez connaître ce que vous croyez; vous devez connaître votre foi avec la même précision que celle dont use un spécialiste en informatique pour connaître le système d'exploitation d'un ordinateur... Oui, vous devez être bien plus profondément enracinés dans la foi que la génération de vos parents, pour pouvoir résister avec force et détermination aux défis et aux tentations de ce temps» (Osservatore Romano en langue française, 2 février 2011).

À l'occasion de la visite des écoles, le Père est souvent invité à donner un sermon ou une retraite spirituelle. Il s'exprime alors sans emphase mais avec conviction. Il nous reste, de sa main, vingt-quatre volumes de sermons et quantité de feuilles volantes. En présence de son auditoire, il parle de l'abondance du coeur, agrémentant sa prédication d'anecdotes piquantes et d'exemples tirés de la vie des saints. «Le prédicateur, dit-il, est le clairon de Dieu... Je suis une voix qui crie dans le désert, dans le coeur du pécheur car il ressemble au désert. Quelle ruine là où Dieu n'est pas!» Le Père Jacques s'adonne également au ministère du sacrement de Pénitence.

Abouna Yaacoub propage avec zèle le Tiers-Ordre franciscain. Il explique que saint François exhortait ses auditeurs à haïr le péché et à mener une vie de pénitence; plusieurs d'entre eux voulurent se ranger sous sa bannière et il leur traça une voie nouvelle, adaptée à la vie laïque: telle est la raison d'être du Tiers-Ordre. «L'esprit du monde actuel est en train d'ébranler les élus, affirme le Père. Seul l'esprit chrétien peut triompher de lui... Cet esprit est contenu dans les conditions d'admission du candidat (au Tiers-Ordre) dont les principales sont: une bonne conduite, l'amour de la paix, l'attachement à la foi catholique, la soumission à l'Église.» Il fonde sa première fraternité du Tiers-Ordre à Beyrouth, en 1906. Environ vingt ans après, les tertiaires seront plus de 10000. Le Père suit de près la bonne marche de ses fraternités qu'il confie à des Prêtres eux-mêmes Tertiaires, se réservant l'organisation des rassemblements régionaux ou nationaux. Le 1er janvier 1913, il lance une revue, L'Ami de la Famille, où paraissent des articles de spiritualité, de pédagogie, de poésie... Il publie aussi divers ouvrages, dont une petite vie de saint François, des pièces de théâtre religieux, des textes de chemin de croix.

Savoir s'accrocher

Pendant la première guerre mondiale, les Capucins français devant quitter le Liban, Abouna Yaacoub reçoit la charge de Supérieur des Capucins Libanais. Sous l'occupation turque, il court des risques énormes pour sa vie, d'autant que la famine et le typhus s'abattent sur le pays. Il se cramponne à la Croix avec une foi inébranlable: «Nous considérons ce temps terrifiant où tous les malheurs se sont abattus sur nous: le présent nous fait peur, l'avenir nous fait trembler. Tomberons-nous dans le découragement et le désespoir? Ah! Non!... Le chrétien averti s'accroche au calme et à la patience car il sait que Dieu tient en mains le registre des événements... Les malheurs ouvrent les yeux que le bien-être a fermés.»

Depuis longtemps, Abouna Yaacoub prépare la construction d'un centre de réunion générale pour ses fraternités. Après la guerre, un autre objectif vient s'ajouter à ce dessein: ériger un monument où l'on viendrait prier pour les milliers de Libanais morts sans trouver quelqu'un pour dresser une croix sur leur tombe. Enfin, de là, on appellera la bénédiction de la Vierge sur tous les Libanais émigrés. En 1919, il achète un terrain à Jall-Eddib, sur une colline où il érige un petit couvent dédié à Notre-Dame de la Mer. En 1923, il inaugure un nouveau bâtiment ainsi qu'une statue de la Vierge portant Jésus, avec un navire à ses pieds. Deux ans après, une grande croix, de dix mètres de haut, est placée au sommet de l'édifice. Le Père Jaques exulte de bonheur. En 1929, il entreprend, à Deir el-Qamar, petite ville qui fut longtemps la capitale du Liban, l'érection d'une Croix monumentale de vingt mètres qui sera inaugurée en 1932. Chaque année, la fête de la Croix est comme une journée nationale où tertiaires et simples fidèles affluent par milliers. Bientôt un chemin de croix puis une illumination nocturne sont installés.

Dès juillet 1925, Abouna Yaacoub agrandit le bâtiment du sanctuaire de Notre-Dame de la Mer. Un jour de 1926, on l'appelle pour entendre la confession d'un Prêtre malade. Il s'agit d'un ancien moine sorti de son couvent et maintenant repenti, mais laissé à lui-même, dans le remords et le découragement. Le Père accueille ce pauvre Prêtre à Notre-Dame de la Mer, et commence ainsi une oeuvre d'assistance aux Prêtres âgés et à ceux qui sont atteints d'infirmités durables, physiques ou mentales. «Gardez-vous de refuser un Prêtre qui frappe à la porte de notre couvent, recommandera-t-il à ses Reli--gieuses. S'il n'y a pas une chambre disponible, donnez-lui la mienne... Le Prêtre c'est le Christ sur la terre. Il faut le respecter et l'honorer.» Par la suite, d'autres Prêtres ainsi que des malades et des handicapés de toute origine sociale et religieuse rejoindront les lieux. En 1948, le sanctuaire de la Croix (Notre-Dame de la Mer) hébergera 400 malades.

Autant que d'«Ave Maria»

Devant l'accroissement de travail que procure l'ac- cueil des Prêtres et des malades, Abouna Yaacoub envisage la fondation d'une nouvelle Congrégation religieuse, affiliée au Tiers-Ordre franciscain. Durant l'été de 1929, aidées par des Soeurs Franciscaines, un petit groupe de jeunes filles Tertiaires qui aspirent à la vie religieuse viennent s'occuper des Prêtres, prendre des cours et s'initier à toutes sortes de travaux. Leur vie est rude: il leur faut pétrir le pain, aller puiser l'eau à la source, chercher des fagots dans les bois, porter le linge à laver jusqu'au village de Jall-Eddib... Mais tout se passe dans la gaieté et l'enthousiasme, tant un feu intérieur dévore ces âmes ardentes. Le Père Jacques leur donne une formation spirituelle et insiste sur la bonne entente, la charité, le dévouement, la vie humble dans le silence. La communauté s'accroît rapidement. Un soir de 1936, lors d'une tournée de prédications en Palestine, le Père est dans l'église de Nazareth: « Ô Marie, prie-t-il, faites qu'à l'heure de ma mort, le nombre de mes Religieuses soit égal au nombre d'Ave Maria que j'arriverai à dire avant la fermeture de l'église.» Il se met à égrener son rosaire. Il termine juste le cent cinquantième grain quand le sacristain vient fermer les portes de l'église. Dix-huit ans plus tard, à la mort d'Abouna Yaacoub, la Congrégation comptera cent cinquante Religieuses.

Dès 1937, le gouvernement libanais accorde au Père Jacques une subvention pour chaque personne accueillie par les Soeurs. Dès lors, on voit arriver, envoyés par le gouvernement ou les municipalités, des infirmes, des personnes âgées, des aveugles, des handicapés mentaux... Abouna Yaacoub doit ouvrir d'autres centres d'accueil et de soins, agrandir les locaux et trouver un financement toujours plus abondant. À un ami qui l'interroge sur sa comptabilité, il répond: «Ne me parlez pas de comptabilité. Cela n'est pas de ma compétence. Moi, mon comptable c'est Dieu. Je ne garde rien avec moi. Ce qui m'arrive, je le dépense aussitôt pour les pauvres.» Mais sa confiance en Dieu ne lui fait pas perdre de vue la vertu de prudence et il veille à ne pas avoir de dettes dans la construction des quatorze centres (écoles, asiles, hôpitaux...) qu'il fonde. Ses multiples travaux le mettent en contact avec de très nombreuses personnes, notamment les gouvernants du pays; mais dans la complexité des relations qu'il lui faut entretenir avec les autorités civiles et religieuses, il reste toujours très juste vis-à-vis de chacun, et il n'aura jamais aucun procès.

La seule voie de salut

Le couronnement de ses travaux est le sanctuaire qu'un appel intérieur le pousse à ériger au Christ-Roi, auquel il veut consacrer le Liban chrétien. Le Pape Pie XII avait affirmé dans l'encyclique Summi Pontificatus: «À l'entrée du chemin qui conduit à l'indigence spirituelle et morale des temps présents se trouvent les efforts néfastes d'un grand nombre d'hommes pour détrôner le Christ, l'abandon de la loi de vérité qu'Il annonça, de la loi de l'amour qui est le souffle vital de son règne. La reconnaissance des droits royaux du Christ et le retour des individus et de la société à la loi de sa vérité et de son amour sont la seule voie de salut» (20 octobre 1939). Abouna Yaacoub choisit pour emplacement la colline dite «Les Ruines des Rois», où les antiques conquérants avaient gravé sur le roc le souvenir de leurs armées victorieuses. Commencé en 1950, le sanctuaire comprend une basilique et des bâtiments destinés à l'accueil de Prêtres et de Religieuses, âgés ou malades. Une statue du Sacré-Coeur, de douze mètres de haut, couronne l'édifice. L'inauguration solennelle de ce centre a lieu le dernier dimanche d'octobre 1952, pour la fête du Christ-Roi. Lors des travaux, les ouvriers ont découvert une grotte souterraine. Plein de joie, le Père s'écrie: « Ça, c'est pour la Reine!», et il fait aménager un oratoire en l'honneur de l'Immaculée Conception de Marie.

Les oeuvres réalisées par Abouna Yaacoub ne lui font pas oublier sa vocation de Religieux Capucin. Toute sa vie est jalonnée par la prière. Il a une dévotion toute particulière envers l'Eucharistie et pour la Croix du Christ. Dans ses derniers jours, il ne cesse de répéter: «La Croix, c'est ma vie! Ô ma Croix, je te salue! Tu as toujours été sur ma poitrine, sur ma table, dans ma chambre, sur mes chemins lors de mes randonnées.» Une de ses dernières paroles est cet appel souvent répété: « Ô Croix du Seigneur, ô bien-aimée du coeur!»

Abouna Yaacoub a toujours bénéficié d'une santé robuste; toutefois, en mai 1954, il dicte ces lignes: «J'ai encore la tête libre, mais par ailleurs je suis plein d'infirmités: insomnie, cataracte, prostate, eczéma; toutes ces misères font de moi un hôpital ambulant, car je marche encore et fais mon travail de mon mieux.» Incidem-ment, un médecin découvre qu'il est atteint de leucémie: «Oh! que cela me réjouit et me réconforte, s'écrie le Père... Pour moi, la mort est une joie et une consolation parce que je vais à la rencontre de mon Père céleste.» Il dit à la Supérieure des Soeurs qui s'inquiète de son départ: «N'ayez pas peur. Si un homme passe d'une pièce à une autre, a-t-il pour autant abandonné les siens et cessé de les aider?... Je passerai au Ciel, et je ne cesserai de vous seconder.» Il affirme aux Soeurs: «Tant que vous serez en bon accord et que la charité régnera parmi vous, personne ne pourra rien contre vous. Je veux que chacune sacrifie sa vie pour sa Soeur.» De nos jours, les Franciscaines de la Croix du Liban continuent leur mission; elles sont 230 Religieuses réparties dans 6 pays (Maison généralice: Notre-Dame du Puits, Bkennaya. Jall-Eddib. BP 60-206 – Metn – Liban. En France: Beth Mariam, Étoile d'Orient, 62 route de Pau – 65100 Lourdes).

Le 26 juin, Abouna Yaacoub reçoit l'Extrême-Onction et l'Eucharistie en viatique, puis il rend son âme à Dieu à trois heures de l'après-midi, après avoir murmuré: « Jésus, Marie, Joseph ». Il a été béatifié le 22 juin 2008.

Avec le Pape Benoît XVI, demandons que «l'intercession du bienheureux Abouna Yaacoub, unie à celle des saints du Liban, obtienne que ce pays, aimé et martyrisé, qui a trop souffert, progresse finalement vers une paix stable!»

Dom Antoine Marie osb, abbé

"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)".


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