«I poveri sono degli assegni nelle nostre mani all’ordine della Provvidenza divina. Se voi comprendeste bene chi è Colui che i poveri rappresentano sulla terra, li servireste in ginocchio. State certi che la banca della Provvidenza non andrà mai in fallimento», diceva padre Yaaqub alle Religiose Francescane della Croce del Libano che egli aveva fondate per il servizio dei malati e dei poveri. Questo prete cappuccino ha spiegato un’energia straordinaria per riuscire a cancellare i segni della povertà, della malattia e dell’ignoranza che erano state imposte al Libano da determinate circostanze.
Khalil
Haddad, che diventerà padre Giacomo (Abuna Yaaqub), è nato il 1°
febbraio 1875, a Ghazir nel Libano, in una famiglia che conterà
quattordici figli, di cui sei moriranno in tenera età. I suoi
genitori sono sarti. Sua madre gli insegna: «Farai tutto e
sopporterai tutto per amore di Dio... Nei momenti difficili, prega il
rosario.» Suo padre è un uomo pio ma severo nell’educazione dei
figli. Khalil riceverà da lui un gran buon senso, unito al senso
dell’umorismo e della determinazione. L’infanzia di Khalil
trascorre tranquillamente. Tuttavia, gli succede un incidente la
vigilia di un 15 agosto: con degli amici, sale sulla terrazza della
chiesa dove, secondo un costume locale, si sparge della cenere
imbevuta di petrolio per accendere un fuoco nella notte.
Improvvisamente, i suoi abiti prendono fuoco. Parte correndo, ma la
sua fuga attizza l’incendio e mette in pericolo la sua vita.
Fortunatamente, si riesce a spegnere le fiamme, da cui il giovane non
ha ricevuto nessuna bruciatura. Egli considera questo fatto di essere
stato preservato come un favore del cielo.
«No,
no, non io!»
Khalil
compie i suoi studi a Ghazir. Intelligente, lavoratore,
coscienzioso, non incontra nessuna difficoltà nell’apprendimento.
Un giorno, a tavola, la signora El-Haddad apre il suo cuore ai figli:
«Ah! Che gioia per me, se uno di voi diventasse prete!», e il suo
sguardo si posa su Khalil. «Perché guardare me? esclama
quest’ultimo; guardate gli altri! No, no, non io!» Nel luglio del
1891, alla conclusione del suo corso di letteratura, Khalil riceve il
“Premio di saggezza”, conferito dal suffragio degli allievi con
l’approvazione dei maestri. Nel 1892, Khalil è invitato da un
lontano zio che tiene un albergo ad Alessandria, in Egitto. Fin dal
suo arrivo, viene assunto dai Fratelli delle Scuole Cristiane del
collegio San Marco come professore di arabo, lingua che padroneggia
perfettamente. Dopo aver pagato le sue spese ordinarie, fa pervenire
il resto del salario a suo padre che ne è molto soddisfatto. Per
conservare la fede e la purezza, Khalil si dedica alla preghiera e
alla visita delle chiese. Un giorno, dietro l’insistenza di un
amico, accetta di andare a uno spettacolo accompagnato da proiezioni
fotografiche. Ben presto, disgustato da immagini provocanti, si copre
gli occhi con la mano; non si lascerà più prendere così.
Il
pudore, di cui Khalil dà l’esempio, è il rifiuto di svelare ciò
che deve rimanere nascosto. Esso preserva l’intimità della
persona. È ordinato alla castità di cui esprime la delicatezza.
Regola gli sguardi e i gesti in conformità alla dignità delle
persone. Il pudore è modestia; ispira la scelta dell’abbigliamento,
e conserva il silenzio là dove traspare il rischio di una curiosità
morbosa (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2521-2523). Se,
attualmente, il pudore viene talvolta deriso, esso rimane
indispensabile e deve essere insegnato a tutti, perché risveglia il
rispetto della persona umana e garantisce la libertà come l’intimità
di ciascuno. Vi è un rapporto reale tra la perdita del pudore e il
disordine sociale: omicidi, pedofilia, aborto...
Il
28 febbraio 1893, in occasione delle esequie di un prete francescano
di 42 anni, Khalil percepisce il nulla della vita, insieme alla
bellezza del distacco totale di cui questo religioso aveva dato
l’esempio: «Sì, mi farò prete, dice a se stesso, apparterrò a
Dio e nulla mi fermerà.» Tuttavia, i suoi compagni lo deridono per
le sue frequenti visite in chiesa e gli raccontano delle volgarità
sugli ecclesiastici, in particolare su uno sventurato prete che non
vive in conformità con il suo sacerdozio. Profondamente commosso
dallo stato di questo prete, Khalil trascorre delle notti a pregare
per lui. Dichiara ai suoi compagni: «Ebbene, mi farò prete, e vi
farò vedere come sono i buoni preti! – Vedremo, sant’uomo!» gli
ribattono gli altri.
Celebrare
almeno una volta...
Quando
il signor El-Haddad apprende la risoluzione del figlio, vi si oppone
vigorosamente. Ma Khalil rimane fermo nel suo proposito e suo padre
finisce con il cedere: il 25 agosto 1893, lo accompagna al vicino
convento dei Padri Cappuccini. Khalil è al colmo della gioia. Al
momento della vestizione, riceve il nome di fratel Giacomo. Il
convento conta numerosi giovani religiosi cacciati dalla Francia in
seguito alla persecuzione. Dopo la sua prima professione, il 14
aprile 1895, padre Yaaqub inizia il suoi studi di filosofia e di
teologia. Gli studenti devono assicurare una buona parte dei lavori
di manutenzione: cucito, pulizia, giardinaggio, bucato. Durante le
vacanze, si dedicano a grossi lavori di muratura. Padre Yaaqub è
inoltre impiegato in diverse missioni in cui viene messa a profitto
la sua conoscenza dell’arabo e dei costumi del paese. A partire dal
1896, rende servizi apostolici, in particolare con gli esercizi del
mese di Maria. Fa la sua professione perpetua il 24 aprile 1898 e
aspira all’ordinazione sacerdotale: «Mio Dio, egli prega,
concedimi di celebrare, anche una sola volta, il Santo Sacrificio
della Messa, poi potrai prendermi presso di te. Sarà la mia più
grande gioia e la mia più grande consolazione.» Il 1° novembre
1901, viene ordinato prete. Il suo superiore lo invia a celebrare una
prima Messa a Ghazir. Durante il viaggio, la carrozza a cavalli che
lo conduce si rovescia in un profondo burrone. Padre Yaaqub rimane
bloccato, e insanguinato, nel veicolo. Vede arrivata la sua ultima
ora e supplica la Santa Vergine di aiutarlo. Finalmente, si riesce a
liberarlo. L’indomani, può celebrare la Messa nel suo villaggio.
Abuna
Yaaqub viene ben presto nominato economo dei conventi dei Cappuccini
del Libano. Questo incarico gli impone lunghe camminate sui sentieri
di montagna. Dichiarerà un giorno: «Se si dovesse assegnare un
premio in base al numero di chilometri percorsi a piedi, io sarei il
campione!» D’estate, gronda di sudore; d’inverno, è intirizzito
dalla pioggia o dalla neve. Le sue commissioni incessanti lo
espongono a diversi pericoli che non gli impediscono di accettare di
svolgere incarichi per i Fratelli o le Sorelle incontrati. I suoi
superiori lo prendono volentieri come compagno di viaggio nei loro
spostamenti, per servire da interprete o da guida. Nel luglio del
1910, padre Yaaqub s’imbarca per la Francia. Per ringraziarlo delle
sue fatiche, i suoi superiori gli donano un pellegrinaggio a Lourdes,
Roma e Assisi. Dopo tre giorni trascorsi a Lourdes, si strappa dalla
grotta benedetta e lascia la Francia, che non rivedrà mai più. Si
reca ad Assisi, poi a Roma, dove il papa san Pio X lo riceve in
udienza.
A
partire dal 1905, Abuna Yaaqub è responsabile della direzione delle
scuole fondate dai Cappuccini in montagna. Rifiuta l’idea di grandi
istituzioni educative e incoraggia quella di piccole scuole gratuite
in tutto il Libano, che offrano l’istruzione a tutti, in
particolare ai figli dei poveri. In cinque anni, porterà il numero
delle scuole da quindici a duecentotrenta. Questo apostolato esige da
lui una pazienza instancabile per trovare i locali, gli insegnanti, i
mobili, il materiale scolastico, i mezzi finanziari, per ascoltare le
lamentele delle famiglie e appianare le controversie. Il suo
desiderio profondo è quello di rafforzare la fede dei bambini.
«Finora, egli scrive, la fede semplice e salda era rimasta la
prerogativa delle nostre popolazioni libanesi e vi brillava in tutto
il suo splendore. Da qualche anno, sembra oscurarsi. La sete dell’oro
è stata il primo male. L’America è apparsa come una miniera, e
gli emigranti ci sono andati e ci vanno ancora a migliaia per tentare
la fortuna... Quando ritornano, hanno perso qualche cosa, a volte la
totalità delle loro convinzioni e soprattutto delle loro pratiche
religiose... Il rimedio a questo è il risveglio della fede nelle
anime e la salvaguardia dell’infanzia; è ancora l’insegnamento
del catechismo, soprattutto in arabo, la predicazione dei ritiri, la
preparazione alla prima Comunione.»
Un’esigenza
irrinunciabile
Ancora
oggi, lo studio del catechismo resta una prio- rità per tutti i
cristiani. Nel corso di un’udienza generale, il 30 dicembre 2009,
papa Benedetto XVI faceva osservare: «La presentazione organica
della fede è un’esigenza irrinunciabile... Il Catechismo della
Chiesa Cattolica, come pure il Compendio del medesimo Catechismo, ci
offrono proprio questo quadro completo della Rivelazione cristiana,
da accogliere con fede e con gratitudine. Vorrei incoraggiare perciò
anche i singoli fedeli e le comunità cristiane ad approfittare di
questi strumenti per conoscere e approfondire i contenuti della
nostra fede.» Egli chiedeva anche ai giovani che dovevano
partecipare alle Giornate Mondiali della Gioventù di Madrid:
«Studiate il catechismo... Sacrificate il vostro tempo per esso!...
Dovete conoscere quello che credete; dovete conoscere la vostra fede
con la stessa precisione con cui uno specialista di informatica
conosce il sistema operativo di un computer... Sì, dovete essere ben
più profondamente radicati nella fede della generazione dei vostri
genitori, per poter resistere con forza e decisione alle sfide e alle
tentazioni di questo tempo» (L’Osservatore Romano, 2 febbraio
2011).
In
occasione della visita alle scuole, padre Yaaqub è spesso invitato a
tenere un sermone o un ritiro spirituale. Si esprime allora senza
enfasi ma con convinzione. Ci rimangono, da lui manoscritti,
ventiquattro volumi di sermoni e molti fogli sciolti. In presenza del
suo uditorio, parla dalla pienezza del cuore, ravvivando la sua
predicazione con aneddoti vivaci ed esempi tratti dalle vite dei
santi. «Il predicatore, dice, è la tromba di Dio... Io sono una
voce che grida nel deserto, nel cuore del peccatore perché
assomiglia al deserto. Che rovina là dove non c’è Dio!». Egli si
dedica anche al ministero del sacramento della Penitenza.
Abuna
Yaaqub diffonde con zelo il Terz’Ordine francescano. Spiega che san
Francesco esortava i suoi ascoltatori a odiare il peccato e a
condurre una vita di penitenza; molti di loro vollero aderire a
questo programma, ed egli tracciò per loro una via nuova, adatta
alla vita laica: è questa la ragion d’essere del Terz’Ordine.
«Lo spirito del mondo attuale sta cercando di far vacillare gli
eletti, afferma padre Yaaqub. Solo lo spirito cristiano può
trionfare su di esso... Questo spirito è contenuto nelle condizioni
di ammissione del candidato (al Terz’Ordine) di cui le principali
sono: una buona condotta, l’amore per la pace, l’attaccamento
alla fede cattolica, la sottomissione alla Chiesa.» Egli fonda la
sua prima fraternità del Terz’Ordine a Beirut nel 1906. Circa
vent’anni dopo, i terziari saranno oltre diecimila. Il Padre segue
da vicino il cammino delle sue fraternità che affida a preti che
sono essi stessi Terziari, riservando a se stesso l’organizzazione
degli incontri regionali o nazionali. Il 1° gennaio 1913, lancia una
rivista, L’amico della Famiglia, in cui appaiono articoli di
spiritualità, di pedagogia, di poesia... Pubblica anche diverse
opere, tra cui una piccola vita di san Francesco, alcune opere
teatrali religiose, testi per la Via Crucis.
Sapersi
aggrappare
Durante
la prima guerra mondiale, poiché i Cappuccini francesi devono
lasciare il Libano, Abuna Yaaqub riceve la carica di Superiore dei
Cappuccini Libanesi. Sotto l’occupazione turca, corre rischi enormi
per la sua vita, tanto più che la carestia e il tifo colpiscono il
paese. Si aggrappa alla Croce con fede incrollabile: «Noi
consideriamo questo periodo terribile in cui si sono abbattute su di
noi tutte le disgrazie: il presente ci fa paura, il futuro ci fa
tremare. Cadremo forse nello scoraggiamento e nella disperazione? Ah!
No!... Il cristiano saggio si aggrappa alla calma e alla pazienza
perché sa che Dio tiene nelle sue mani il libro degli eventi... Le
sventure aprono gli occhi che il benessere ha chiuso.»
Da
molto tempo, Abuna Yaaqub prepara la costruzione di un centro di
riunione generale per le sue fraternità. Dopo la guerra, un altro
obiettivo viene ad aggiungersi a questo progetto: erigere un
monumento al quale si venga a pregare per le migliaia di libanesi
morti senza aver trovato qualcuno che innalzasse una croce sulla loro
tomba. Inoltre, di là, si invocherà la benedizione della Vergine su
tutti i libanesi emigrati. Nel 1919, egli acquista un terreno a
Jall-Eddib, su una collina dove costruisce un piccolo convento
dedicato a Nostra Signora del Mare. Nel 1923, inaugura un nuovo
edificio e una statua della Vergine che porta in braccio Gesù, con
una nave ai suoi piedi. Due anni dopo, una grande croce, alta dieci
metri, viene posta sulla sommità dell’edificio. Padre Yaaqub
esulta di gioia. Nel 1929, inizia, a Deir el-Qamar, piccola città
che fu per lungo tempo la capitale del Libano, la costruzione di una
Croce monumentale alta venti metri che verrà inaugurata nel 1932.
Ogni anno, la festa della Croce è come una giornata nazionale in cui
terziari e semplici fedeli affluiscono a migliaia. Ben presto vengono
installate una Via Crucis e poi un’illuminazione notturna.
Nel
luglio del 1925, Abuna Yaaqub amplia l’edificio del santuario di
Nostra Signora del Mare. Un giorno del 1926, viene chiamato ad
ascoltare la confessione di un prete malato. Si tratta di un vecchio
monaco uscito dal suo monastero e ora pentito, ma abbandonato a se
stesso, nel rimorso e nello scoraggiamento. Il Padre accoglie questo
povero prete a Nostra Signora del Mare, e inizia così un’opera di
assistenza ai sacerdoti anziani e a chi soffre di malattie croniche,
fisiche o mentali. «Guardatevi dal rifiutare un sacerdote che bussi
alla porta del nostro convento, raccomanderà alle sue religiose. Se
non c’è una camera disponibile, dategli la mia... Il sacerdote è
Cristo sulla terra. Bisogna rispettarlo e onorarlo.» In seguito,
altri preti, nonché delle persone malate e disabili di ogni
estrazione sociale e religiosa saranno accolti in questo luogo. Nel
1948, il santuario della Croce (Nostra Signora del Mare) ospiterà
quattrocento malati.
Tante
quante le “Ave Maria”
Di
fronte al crescente lavoro che procura l’accoglien- za dei preti e
degli ammalati, Abuna Yaaqub progetta la fondazione di una nuova
congregazione religiosa, affiliata al Terz’Ordine francescano.
Nell’estate del 1929, aiutate da suore francescane, un piccolo
gruppo di ragazze terziarie che aspirano alla vita religiosa vengono
a prendersi cura dei sacerdoti, a seguire dei corsi e a iniziarsi a
ogni sorta di lavori. La loro vita è dura: devono impastare il pane,
andare ad attingere l’acqua alla fonte, cercare legna da ardere nei
boschi, portare a lavare la biancheria fino al villaggio di
Jall-Eddib... Ma tutto avviene nell’allegria e nell’entusiasmo, a
tal punto un fuoco interiore divora queste anime ardenti. Padre
Yaaqub offre loro una formazione spirituale e insiste sulla buona
armonia, la carità, la dedizione, la vita umile nel silenzio. La
comunità cresce rapidamente. Una sera del 1936, durante un giro di
predicazioni in Palestina, il Padre si trova nella chiesa di
Nazareth: «O Maria, prega, fa’ che nell’ora della mia morte il
numero delle mie religiose sia uguale al numero di Ave Maria che
riuscirò a dire prima della chiusura della chiesa.» Si mette a
sgranare il suo rosario. Termina proprio il centocinquantesimo grano
quando il sacrestano viene a chiudere le porte della chiesa. Diciotto
anni dopo, alla morte di Abuna Yaaqub, la Congregazione conterà
centocinquanta religiose.
Nel
1937, il governo libanese concede a padre Yaaqub una sovvenzione per
ogni persona accolta dalle suore. Da allora, si vedono arrivare,
inviati dal governo o dai comuni, malati, persone anziane, ciechi,
disabili mentali... Abuna Yaaqub deve aprire altri centri di
accoglienza e di cure, ampliare i locali e trovare un finanziamento
sempre più abbondante. A un amico che lo interroga sulla sua
contabilità, egli risponde: «Non parlarmi di contabilità. Questo
non è di mia competenza. Per quanto mi riguarda, il mio contabile è
Dio. Non tengo niente con me. Quello che mi arriva, lo spendo
immediatamente per i poveri.» Ma la sua fiducia in Dio non gli fa
perdere di vista la virtù della prudenza ed è attento a non avere
debiti nella costruzione dei quattordici centri (scuole, asili,
ospedali...) da lui fondati. Le sue numerose opere lo mettono in
contatto con moltissime persone, in particolare i governanti del
paese; ma, nella complessità delle relazioni che deve intrattenere
con le autorità civili e religiose, resta sempre molto giusto nei
confronti di ciascuno, e non subirà mai alcun processo.
La
sola via di salvezza
Il
coronamento delle sue opere è il santuario che una chiamata
interiore lo spinge a innalzare a Cristo Re, a cui vuole consacrare
il Libano cristiano. Papa Pio XII aveva affermato nell’enciclica
Summi Pontificatus: «All’inizio del cammino che conduce
all’indigenza spirituale e morale dei tempi presenti, stanno i
nefasti sforzi di non pochi per detronizzare Cristo, il distacco
dalla legge della verità, che egli annunziò, dalla legge
dell’amore, che è il soffio vitale del suo regno. Il
riconoscimento dei diritti regali di Cristo e il ritorno dei singoli
e della società alla legge della sua verità e del suo amore sono la
sola via di salvezza» (20 ottobre 1939). Abuna Yaaqub sceglie come
luogo la collina chiamata “Le Rovine dei Re”, dove gli antichi
conquistatori avevano inciso nella roccia il ricordo dei loro
eserciti vittoriosi. Iniziato nel 1950, il santuario comprende una
basilica e degli edifici destinati all’accoglienza di sacerdoti e
religiose, anziani o malati. Una statua del Sacro Cuore, alta dodici
metri, corona l’edificio. La solenne inaugurazione di questo centro
ha luogo nell’ultima domenica dell’ottobre del 1952, per la festa
di Cristo Re. Durante i lavori, gli operai hanno scoperto una grotta
sotterranea. Pieno di gioia, il Padre esclama: «Questa è per la
Regina!», e fa costruire un oratorio in onore dell’Imma-colata
Concezione di Maria.
Le
opere realizzate da Abuna Yaaqub non gli fanno dimenticare la sua
vocazione di religioso cappuccino. Tutta la sua vita è segnata dalla
preghiera. Ha una speciale devozione per l’Eucaristia e per la
Croce di Cristo. Nei suoi ultimi giorni, non cessa di ripetere: «La
Coce è la mia vita! Oh mia Croce, io ti saluto! Tu sei sempre stata
sul mio petto, sul mio tavolo, nella mia camera, sulle strade che ho
percorso durante le mie camminate.» Tra le sue ultime parole c’è
questo appello spesso ripetuto: «O Croce del Signore, o amato del
mio cuore!»
Abuna
Yaaqub ha sempre goduto di una salute robusta; tuttavia, nel maggio
del 1954, detta queste righe: «Ho ancora la testa libera, ma per il
resto sono pieno di acciacchi: insonnia, cataratta, prostata, eczema;
tutte queste miserie fanno di me un ospedale ambulante, perché
cammino ancora e faccio il mio lavoro del mio meglio.» Per caso, un
medico scopre che padre Yaaqub è affetto da leucemia: «Oh! come ciò
mi rallegra e mi conforta, esclama il Padre... Per me, la morte è
una gioia e una consolazione perché vado incontro al mio Padre
celeste.» Egli dice alla superiora delle suore che si preoccupa
della sua partenza: «Non abbia paura. Se un uomo passa da una stanza
all’altra, ha per questo abbandonato i suoi e smesso di
aiutarli?... Io passerò al Cielo, e non cesserò di assistervi.»
Dichiara alle suore: «Finché sarete in buona armonia e la carità
regnerà tra di voi, nessuno potrà far nulla contro di voi. Voglio
che ognuna sacrifichi la propria vita per sua sorella.» Attualmente,
le Francescane della Croce del Libano continuano la loro missione;
sono duecentotrenta suore distribuite in sei paesi.
Il
26 giugno, Abuna Yaaqub riceve l’Estrema Unzione e l’Eucaristia
come viatico, poi rende l’anima a Dio alle tre del pomeriggio, dopo
aver mormorato: « Gesù, Maria, Giuseppe ». È stato beatificato il
22 giugno 2008.
Con
papa Benedetto XVI, chiediamo che «l’intercessione del beato Abuna
Yaaqub, unita a quella dei Santi libanesi, ottenga a quell’amato e
martoriato Paese, che troppo ha sofferto, di progredire finalmente
verso una stabile pace!»
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)".
Bienheureux
Abouna Yaacoub (Père Jacques) - Thèmes principaux: Liban - Centres
d'accueil - Catéchisme
«Les
pauvres sont des chèques entre nos mains à l'ordre de la Providence
divine. Si vous compreniez bien Celui que les pauvres représentent
sur terre, vous les serviriez à genoux. Soyez sûres que la banque
de la Providence ne fera jamais faillite», disait le Père Jacques
aux Religieuses Franciscaines de la Croix du Liban qu'il avait
fondées pour le service des malades et des pauvres. Ce Prêtre
Capucin a développé une énergie extraordinaire en vue de parvenir
à effacer les signes de la pauvreté, de la maladie et de
l'ignorance, que des circonstances avaient imposées au Liban.
Khalil
Haddad, qui deviendra le Père Jacques (Abouna Yaacoub), est né le
1er février 1875, à Ghazir au Liban, dans une famille qui comptera
quatorze enfants, dont six mourront en bas âge. Ses parents sont
couturiers. Sa mère lui enseigne: «Tu feras tout et supporteras
tout par amour pour Dieu... Dans les moments difficiles, prie le
chapelet.» Son père est un homme pieux mais sévère dans
l'éducation de ses enfants. Khalil recevra de lui un grand bon sens,
joint au sens de l'humour et de la détermination. L'enfance de
Khalil se déroule tranquillement. Toutefois, un accident lui arrive
la veille d'un 15 août: avec des amis, il monte sur la terrasse de
l'église où, selon une coutume locale, l'on répand de la cendre
imbibée de pétrole pour allumer un feu dans la nuit. Soudain, ses
vêtements prennent feu. Il part en courant, mais sa fuite attise
l'incendie et met sa vie en danger. Heureusement, on parvient à
éteindre les flammes dont le jeune homme n'a reçu aucune brûlure.
Il considère sa préservation comme une faveur du ciel.
«Non,
non, pas moi!»
Khalil
fait sa scolarité à Ghazir. Intelligent, travailleur,
consciencieux, il ne rencontre aucune difficulté dans ses études.
Un jour, à table, Mme El-Haddad ouvre son coeur à ses enfants: «Ah!
Quel bonheur pour moi, si l'un de vous devenait Prêtre!», et son
regard s'arrête sur Khalil. «Pourquoi me regarder, moi? s'exclame
celui-ci; voyez les autres! Non, non, pas moi!» En juillet 1891, à
l'issue de sa classe de littérature, Khalil reçoit le «Prix de
sagesse», décerné par le suffrage des élèves avec l'approbation
des maîtres. En 1892, Khalil est invité par un oncle lointain qui
tient une hôtellerie à Alexandrie, en Égypte. Dès son arrivée,
il est embauché par les Frères des Écoles Chrétiennes du collège
Saint-Marc comme professeur d'arabe, langue qu'il maîtrise
parfaitement. Après avoir réglé ses dépenses ordinaires, il fait
parvenir le reliquat de son salaire à son père qui en est très
satisfait. Pour garder sa foi et sa pureté, Khalil s'adonne à la
prière et à la visite des églises. Un jour, sur les instances d'un
ami, il accepte d'aller à un spectacle agrémenté de projections
photographiques. Bientôt écoeuré par des images provocantes, il se
voile les yeux de la main; il ne se laissera plus prendre ainsi.
La
pudeur, dont Khalil donne l'exemple, est le refus de dévoiler ce qui
doit rester caché. Elle préserve l'intimité de la personne. Elle
est ordonnée à la chasteté dont elle atteste la délicatesse. Elle
guide les regards et les gestes dans la conformité à la dignité
des personnes. La pudeur est modestie; elle inspire le choix du
vêtement, et maintient le silence là où transparaît le risque
d'une curiosité malsaine (cf. Catéchisme de l'Église Catholique,
2521-2523). Si, à l'heure actuelle, la pudeur est parfois tournée
en ridicule, elle demeure indispensable et doit être enseignée à
tous, parce qu'elle éveille au respect de la personne humaine et
qu'elle garantit la liberté comme l'intimité de chacun. Il y a un
rapport réel entre la perte de la pudeur et le bouleversement
social: assassinats, pédophilie, avortement...
Le
28 février 1893, lors des obsèques d'un Prêtre franciscain de 42
ans, Khalil saisit le néant de la vie, ainsi que la beauté du
détachement total dont ce Religieux avait donné l'exemple: «Oui,
je me ferai Prêtre, se dit-il, je serai à Dieu et rien ne
m'arrêtera.» Cependant, ses camarades le raillent pour ses
fréquentes visites à l'église et lui racontent des grossièretés
sur les ecclésiastiques, en particulier sur un malheureux Prêtre
qui ne vit pas conformément à son sacerdoce. Profondément ému par
l'état de ce Prêtre, Khalil passe des nuits à prier pour lui. Il
déclare à ses compagnons: «Eh bien, je me ferai Prêtre, et je
vous ferai voir comment sont les bons Prêtres! – On verra bien,
saint homme!» lui rétorque-t-on.
Célébrer
au moins une fois...
Lorsque
M. El-Haddad apprend la résolution de son fils, il s'y oppose
vigoureusement. Mais Khalil demeure ferme dans son dessein et son
père finit par céder: le 25 août 1893, il l'accompagne au proche
couvent des Pères Capucins. Khalil est au comble de la joie. Lors de
sa prise d'habit, il reçoit le nom de Frère Jacques. Le couvent
compte de nombreux jeunes religieux chassés de France par la
persécution. Après sa première profession, le 14 avril 1895, le
Frère Jacques commence ses études de philosophie et de théologie.
Les étudiants doivent assurer une bonne partie des travaux
d'entretien: couture, balayage, jardinage, lessive. Durant les
vacances, ils s'adonnent à de gros travaux de maçonnerie. Le Frère
Jacques est en outre employé à diverses missions où sa
connaissance de l'arabe et des moeurs du pays est mise à profit. Dès
1896, il rend des services apostoliques, en particulier par les
exercices du mois de Marie. Il fait sa profession perpétuelle le 24
avril 1898 et aspire à l'ordination sacerdotale: «Mon Dieu,
prie-t-il, donnez-moi de célébrer, ne fût-ce qu'une seule fois, le
Saint-Sacrifice de la Messe, ensuite vous pourrez me prendre chez
vous. Ce sera ma plus grande joie et ma plus grande consolation.» Le
1er novembre 1901, il est ordonné Prêtre. Son supérieur l'envoie
célébrer une première Messe à Ghazir. Au cours du voyage, la
voiture à chevaux qui l'emmène bascule dans un profond ravin. Le
Père Jacques est bloqué, en sang, dans le véhicule. Il voit sa
dernière heure arrivée et supplie la Sainte Vierge de l'assister.
Enfin, on parvient à le dégager. Le lendemain, il peut célébrer
la Messe dans son village.
Abouna
Yaacoub est bientôt nommé économe des couvents des Capucins du
Liban. Cette charge lui impose de longues marches sur les sentiers de
la montagne. Il déclarera un jour: «Si on devait décerner un prix
basé sur le nombre de kilomètres de marche, je serais le champion!»
L'été, il ruisselle de sueur; l'hiver, il est transi par la pluie
ou la neige. Ses courses incessantes l'exposent à de multiples
dangers qui ne l'empêchent pas d'accepter des commissions pour les
Frères ou les Soeurs rencontrés. Ses Supérieurs le prennent
volontiers comme compagnon de route dans leurs déplacements, pour
servir d'interprète ou de guide. En juillet 1910, le Père Jacques
s'embarque pour la France. Pour le remercier de son labeur, ses
Supérieurs lui offrent un pèlerinage à Lourdes, Rome et Assise.
Après trois jours passés à Lourdes, il s'arrache à la grotte
bénie et quitte la France qu'il ne reverra jamais. Il se rend à
Assise, puis à Rome, où le Pape saint Pie X le reçoit en audience.
À
partir de 1905, Abouna Yaacoub est responsable de la direction des
écoles créées par les Capucins dans la montagne. Il refuse l'idée
de grandes institutions pédagogiques et favorise celle de petites
écoles gratuites dans tout le Liban, offrant l'éducation à tous,
notamment aux enfants des pauvres. En cinq ans, il portera le nombre
des écoles de 15 à 230. Cet apostolat exige de lui une inlassable
patience pour trouver les locaux, les professeurs, le mobilier, les
fournitures scolaires, les finances, pour écouter les doléances des
familles et apaiser les querelles. Son désir profond est de
consolider la foi des jeunes enfants. «Jusqu'ici, écrit-il, la foi
simple et robuste était restée l'apanage de nos populations
libanaises et elle y brillait de tout son éclat. Depuis quelques
années, elle paraît s'obscurcir. La soif de l'or a été le premier
mal. L'Amérique est apparue comme une mine, et les émigrants y sont
allés et y vont encore par milliers pour tenter la fortune... Quand
ils reviennent, ils ont perdu quelque chose, parfois la totalité de
leurs convictions et surtout de leurs pratiques religieuses... Le
remède à cela est le réveil de la foi dans les âmes et la
préservation de l'enfance; c'est encore l'enseignement du
catéchisme, en arabe surtout, la prédication des retraites, la
préparation à la première Communion.»
Une
exigence incontournable
Aujourd'hui
encore, l'étude du catéchisme reste une priorité pour tous les
chrétiens. Lors d'une audience générale, le 30 décembre 2009, le
Pape Benoît XVI faisait remarquer: «La présentation organique de
la foi est une exigence incontournable... Le Catéchisme de l'Église
Catholique, ainsi que le Compendium du même Caté–chisme, nous
offrent précisément ce cadre complet de la Révélation chrétienne,
à accueillir avec foi et gratitude. Je voudrais donc encourager
chaque fidèle et les communautés chrétiennes à profiter de ces
instruments pour connaître et approfondir les contenus de notre
foi.» Il demandait aussi aux jeunes devant participer aux Journées
Mondiales de la Jeunesse de Madrid: «Étudiez le catéchisme...
Sacrifiez votre temps pour cela!... Vous devez connaître ce que vous
croyez; vous devez connaître votre foi avec la même précision que
celle dont use un spécialiste en informatique pour connaître le
système d'exploitation d'un ordinateur... Oui, vous devez être bien
plus profondément enracinés dans la foi que la génération de vos
parents, pour pouvoir résister avec force et détermination aux
défis et aux tentations de ce temps» (Osservatore Romano en langue
française, 2 février 2011).
À
l'occasion de la visite des écoles, le Père est souvent invité à
donner un sermon ou une retraite spirituelle. Il s'exprime alors sans
emphase mais avec conviction. Il nous reste, de sa main, vingt-quatre
volumes de sermons et quantité de feuilles volantes. En présence de
son auditoire, il parle de l'abondance du coeur, agrémentant sa
prédication d'anecdotes piquantes et d'exemples tirés de la vie des
saints. «Le prédicateur, dit-il, est le clairon de Dieu... Je suis
une voix qui crie dans le désert, dans le coeur du pécheur car il
ressemble au désert. Quelle ruine là où Dieu n'est pas!» Le Père
Jacques s'adonne également au ministère du sacrement de Pénitence.
Abouna
Yaacoub propage avec zèle le Tiers-Ordre franciscain. Il explique
que saint François exhortait ses auditeurs à haïr le péché et à
mener une vie de pénitence; plusieurs d'entre eux voulurent se
ranger sous sa bannière et il leur traça une voie nouvelle, adaptée
à la vie laïque: telle est la raison d'être du Tiers-Ordre.
«L'esprit du monde actuel est en train d'ébranler les élus,
affirme le Père. Seul l'esprit chrétien peut triompher de lui...
Cet esprit est contenu dans les conditions d'admission du candidat
(au Tiers-Ordre) dont les principales sont: une bonne conduite,
l'amour de la paix, l'attachement à la foi catholique, la soumission
à l'Église.» Il fonde sa première fraternité du Tiers-Ordre à
Beyrouth, en 1906. Environ vingt ans après, les tertiaires seront
plus de 10000. Le Père suit de près la bonne marche de ses
fraternités qu'il confie à des Prêtres eux-mêmes Tertiaires, se
réservant l'organisation des rassemblements régionaux ou nationaux.
Le 1er janvier 1913, il lance une revue, L'Ami de la Famille, où
paraissent des articles de spiritualité, de pédagogie, de poésie...
Il publie aussi divers ouvrages, dont une petite vie de saint
François, des pièces de théâtre religieux, des textes de chemin
de croix.
Savoir
s'accrocher
Pendant
la première guerre mondiale, les Capucins français devant quitter
le Liban, Abouna Yaacoub reçoit la charge de Supérieur des Capucins
Libanais. Sous l'occupation turque, il court des risques énormes
pour sa vie, d'autant que la famine et le typhus s'abattent sur le
pays. Il se cramponne à la Croix avec une foi inébranlable: «Nous
considérons ce temps terrifiant où tous les malheurs se sont
abattus sur nous: le présent nous fait peur, l'avenir nous fait
trembler. Tomberons-nous dans le découragement et le désespoir? Ah!
Non!... Le chrétien averti s'accroche au calme et à la patience car
il sait que Dieu tient en mains le registre des événements... Les
malheurs ouvrent les yeux que le bien-être a fermés.»
Depuis
longtemps, Abouna Yaacoub prépare la construction d'un centre de
réunion générale pour ses fraternités. Après la guerre, un autre
objectif vient s'ajouter à ce dessein: ériger un monument où l'on
viendrait prier pour les milliers de Libanais morts sans trouver
quelqu'un pour dresser une croix sur leur tombe. Enfin, de là, on
appellera la bénédiction de la Vierge sur tous les Libanais
émigrés. En 1919, il achète un terrain à Jall-Eddib, sur une
colline où il érige un petit couvent dédié à Notre-Dame de la
Mer. En 1923, il inaugure un nouveau bâtiment ainsi qu'une statue de
la Vierge portant Jésus, avec un navire à ses pieds. Deux ans
après, une grande croix, de dix mètres de haut, est placée au
sommet de l'édifice. Le Père Jaques exulte de bonheur. En 1929, il
entreprend, à Deir el-Qamar, petite ville qui fut longtemps la
capitale du Liban, l'érection d'une Croix monumentale de vingt
mètres qui sera inaugurée en 1932. Chaque année, la fête de la
Croix est comme une journée nationale où tertiaires et simples
fidèles affluent par milliers. Bientôt un chemin de croix puis une
illumination nocturne sont installés.
Dès
juillet 1925, Abouna Yaacoub agrandit le bâtiment du sanctuaire de
Notre-Dame de la Mer. Un jour de 1926, on l'appelle pour entendre la
confession d'un Prêtre malade. Il s'agit d'un ancien moine sorti de
son couvent et maintenant repenti, mais laissé à lui-même, dans le
remords et le découragement. Le Père accueille ce pauvre Prêtre à
Notre-Dame de la Mer, et commence ainsi une oeuvre d'assistance aux
Prêtres âgés et à ceux qui sont atteints d'infirmités durables,
physiques ou mentales. «Gardez-vous de refuser un Prêtre qui frappe
à la porte de notre couvent, recommandera-t-il à ses Reli--gieuses.
S'il n'y a pas une chambre disponible, donnez-lui la mienne... Le
Prêtre c'est le Christ sur la terre. Il faut le respecter et
l'honorer.» Par la suite, d'autres Prêtres ainsi que des malades et
des handicapés de toute origine sociale et religieuse rejoindront
les lieux. En 1948, le sanctuaire de la Croix (Notre-Dame de la Mer)
hébergera 400 malades.
Autant
que d'«Ave Maria»
Devant
l'accroissement de travail que procure l'ac- cueil des Prêtres et
des malades, Abouna Yaacoub envisage la fondation d'une nouvelle
Congrégation religieuse, affiliée au Tiers-Ordre franciscain.
Durant l'été de 1929, aidées par des Soeurs Franciscaines, un
petit groupe de jeunes filles Tertiaires qui aspirent à la vie
religieuse viennent s'occuper des Prêtres, prendre des cours et
s'initier à toutes sortes de travaux. Leur vie est rude: il leur
faut pétrir le pain, aller puiser l'eau à la source, chercher des
fagots dans les bois, porter le linge à laver jusqu'au village de
Jall-Eddib... Mais tout se passe dans la gaieté et l'enthousiasme,
tant un feu intérieur dévore ces âmes ardentes. Le Père Jacques
leur donne une formation spirituelle et insiste sur la bonne entente,
la charité, le dévouement, la vie humble dans le silence. La
communauté s'accroît rapidement. Un soir de 1936, lors d'une
tournée de prédications en Palestine, le Père est dans l'église
de Nazareth: « Ô Marie, prie-t-il, faites qu'à l'heure de ma mort,
le nombre de mes Religieuses soit égal au nombre d'Ave Maria que
j'arriverai à dire avant la fermeture de l'église.» Il se met à
égrener son rosaire. Il termine juste le cent cinquantième grain
quand le sacristain vient fermer les portes de l'église. Dix-huit
ans plus tard, à la mort d'Abouna Yaacoub, la Congrégation comptera
cent cinquante Religieuses.
Dès
1937, le gouvernement libanais accorde au Père Jacques une
subvention pour chaque personne accueillie par les Soeurs. Dès lors,
on voit arriver, envoyés par le gouvernement ou les municipalités,
des infirmes, des personnes âgées, des aveugles, des handicapés
mentaux... Abouna Yaacoub doit ouvrir d'autres centres d'accueil et
de soins, agrandir les locaux et trouver un financement toujours plus
abondant. À un ami qui l'interroge sur sa comptabilité, il répond:
«Ne me parlez pas de comptabilité. Cela n'est pas de ma compétence.
Moi, mon comptable c'est Dieu. Je ne garde rien avec moi. Ce qui
m'arrive, je le dépense aussitôt pour les pauvres.» Mais sa
confiance en Dieu ne lui fait pas perdre de vue la vertu de prudence
et il veille à ne pas avoir de dettes dans la construction des
quatorze centres (écoles, asiles, hôpitaux...) qu'il fonde. Ses
multiples travaux le mettent en contact avec de très nombreuses
personnes, notamment les gouvernants du pays; mais dans la complexité
des relations qu'il lui faut entretenir avec les autorités civiles
et religieuses, il reste toujours très juste vis-à-vis de chacun,
et il n'aura jamais aucun procès.
La
seule voie de salut
Le
couronnement de ses travaux est le sanctuaire qu'un appel intérieur
le pousse à ériger au Christ-Roi, auquel il veut consacrer le Liban
chrétien. Le Pape Pie XII avait affirmé dans l'encyclique Summi
Pontificatus: «À l'entrée du chemin qui conduit à l'indigence
spirituelle et morale des temps présents se trouvent les efforts
néfastes d'un grand nombre d'hommes pour détrôner le Christ,
l'abandon de la loi de vérité qu'Il annonça, de la loi de l'amour
qui est le souffle vital de son règne. La reconnaissance des droits
royaux du Christ et le retour des individus et de la société à la
loi de sa vérité et de son amour sont la seule voie de salut» (20
octobre 1939). Abouna Yaacoub choisit pour emplacement la colline
dite «Les Ruines des Rois», où les antiques conquérants avaient
gravé sur le roc le souvenir de leurs armées victorieuses. Commencé
en 1950, le sanctuaire comprend une basilique et des bâtiments
destinés à l'accueil de Prêtres et de Religieuses, âgés ou
malades. Une statue du Sacré-Coeur, de douze mètres de haut,
couronne l'édifice. L'inauguration solennelle de ce centre a lieu le
dernier dimanche d'octobre 1952, pour la fête du Christ-Roi. Lors
des travaux, les ouvriers ont découvert une grotte souterraine.
Plein de joie, le Père s'écrie: « Ça, c'est pour la Reine!», et
il fait aménager un oratoire en l'honneur de l'Immaculée Conception
de Marie.
Les
oeuvres réalisées par Abouna Yaacoub ne lui font pas oublier sa
vocation de Religieux Capucin. Toute sa vie est jalonnée par la
prière. Il a une dévotion toute particulière envers l'Eucharistie
et pour la Croix du Christ. Dans ses derniers jours, il ne cesse de
répéter: «La Croix, c'est ma vie! Ô ma Croix, je te salue! Tu as
toujours été sur ma poitrine, sur ma table, dans ma chambre, sur
mes chemins lors de mes randonnées.» Une de ses dernières paroles
est cet appel souvent répété: « Ô Croix du Seigneur, ô
bien-aimée du coeur!»
Abouna
Yaacoub a toujours bénéficié d'une santé robuste; toutefois, en
mai 1954, il dicte ces lignes: «J'ai encore la tête libre, mais par
ailleurs je suis plein d'infirmités: insomnie, cataracte, prostate,
eczéma; toutes ces misères font de moi un hôpital ambulant, car je
marche encore et fais mon travail de mon mieux.» Incidem-ment, un
médecin découvre qu'il est atteint de leucémie: «Oh! que cela me
réjouit et me réconforte, s'écrie le Père... Pour moi, la mort
est une joie et une consolation parce que je vais à la rencontre de
mon Père céleste.» Il dit à la Supérieure des Soeurs qui
s'inquiète de son départ: «N'ayez pas peur. Si un homme passe
d'une pièce à une autre, a-t-il pour autant abandonné les siens et
cessé de les aider?... Je passerai au Ciel, et je ne cesserai de
vous seconder.» Il affirme aux Soeurs: «Tant que vous serez en bon
accord et que la charité régnera parmi vous, personne ne pourra
rien contre vous. Je veux que chacune sacrifie sa vie pour sa Soeur.»
De nos jours, les Franciscaines de la Croix du Liban continuent leur
mission; elles sont 230 Religieuses réparties dans 6 pays (Maison
généralice: Notre-Dame du Puits, Bkennaya. Jall-Eddib. BP 60-206 –
Metn – Liban. En France: Beth Mariam, Étoile d'Orient, 62 route de
Pau – 65100 Lourdes).
Le
26 juin, Abouna Yaacoub reçoit l'Extrême-Onction et l'Eucharistie
en viatique, puis il rend son âme à Dieu à trois heures de
l'après-midi, après avoir murmuré: « Jésus, Marie, Joseph ». Il
a été béatifié le 22 juin 2008.
Avec
le Pape Benoît XVI, demandons que «l'intercession du bienheureux
Abouna Yaacoub, unie à celle des saints du Liban, obtienne que ce
pays, aimé et martyrisé, qui a trop souffert, progresse finalement
vers une paix stable!»
Dom
Antoine Marie osb, abbé
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)".
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