venerdì 29 agosto 2014

L’OLIO SUL FUOCO - Tratto dal libro di p.Marie-Dominique Molinié o.p. “ Il coraggio di avere paura”.





Nell’orazione della Messa di san Lorenzo si chiede a Dio di spegnere la fiamma dei nostri Vizi. Questa fiamma non è una metafora: per causa sua ogni Vita cristiana che va fino in fondo, cioè fino alla santità, è un martirio. Non bisogna pronunciare questa parola alla leggera. Si dice qualche volta: "Sopporto un vero martirio!". Ma il vero martirio va fino alla morte. Finché le nostre sofferenze non superano un certo limite, non siamo ancora nel mistero della sofferenza che da soli non possiamo raggiungere. Anche se si tratta della morte dell’uomo vecchio, è già un martirio subire questa morte. Se non si accetta questo, a che cosa serve rinnovare le promesse del nostro battesimo? Solo quelli che accettano questa guarigione con tutte le sue implicazioni, possono dire di aver donato a Dio tutto il loro cuore e di amare con tutte le loro forze. Questo martirio è una misericordia, ma se non lo si accetta, non si potrà approfittare in pienezza del Sangue di Gesù Cristo. Per dire che si tratta di un martirio, mi avvalgo pure del sermone di sant’Agostino in occasione della festa di san Lorenzo: "Anche se non siamo bruciati sulla graticola del carnefice, questo Viene vantaggiosamente sostituito dalla fiamma della fede". Ciò presuppone che si tratti di una fiamma e che abbia gli stessi effetti: se no, non è una cosa seria! Dice ancora: "Noi non bruciamo corporalmente, ma bruciamo d’amore". Il nostro peccato è di leggere ciò come fosse letteratura. Il Creatore del sole può essere meno scottante del sole? Quando ci si lascia consumare da Lui si subisce realmente il martirio del fuoco, ma questo martirio ha una dolcezza che si conosce solo lasciandosi fare senza opporre resistenza... Sulla terra, finché resistiamo, Dio non ci fa sentire tutta la forza di questa fiamma - perfino nel purgatorio o nell’inferno, Egli attenua molte cose.
Ma non può (o non vuole per rispettarci) sopprimerla completamente: l’estinzione della fiamma dei nostri Vizi costa necessariamente qualcosa. Le sofferenze alle quali si riesce a far fronte con le proprie forze, non sono il mistero della sofferenza che inizia quando non possiamo più far fronte. Ciò può sembrare terrificante... Ma il vantaggio di vedere le cose in maniera così cruda è di eliminare un certo numero di falsi problemi, per esempio tutte le discussioni attorno alla Vita attiva e alla Vita contemplativa. Quando rifiutiamo di sentire parlare di certe realtà spirituali dicendo: "Non siamo dei contemplativi! Non abbiamo il diritto di rifugiarci nella contemplazione! Non dobbiamo fuggire il mondo ma incarnarci totalmente nella dimensione umana! ", non ci rendiamo conto che con questo rifiuto si rifiuta tutto. Amare Gesù Cristo e di conseguenza essere purificati dal fuoco non è riservato ai soli contemplativi. Quando si guarda in faccia un tale mistero, queste discussioni sembrano meschine e sterili. Darsi a Dio è così enorme, che poco importa, dopo, sapere se ci chiede la Vita attiva o quella contemplativa. In ogni modo siamo buoni per la graticola, poco inporta il resto! I più grandi contemplativi che conosco vivono nel mondo, talvolta sono madri di famiglia.I contemplativi forse non sempre considerano la contemplazione come un martirio, e hanno torto. Ma gli attivi non considerano mai questo martirio, e si giustificano in nome delle esigenze dell’azione. È questa buona coscienza ad essere pericolosa. Capisco bene che si abbia paura di un tale programma, ma non bisogna rifiutarlo giustificandosi. Dico spesso ai peccatori (e di conseguenza a me stesso): "Vi supplico, non giustificatevi!". Se ci sentiamo incapaci di andare fino in fondo, chiamiamo la Misericordia in nostro soccorso... ma non giustifichiamoci, in nome dell’azione, per schivare le purificazioni! Non c’è altra santità possibile che quella delle purificazioni; abbiamo un uomo vecchio: bisogna che muoia. Dobbiamo almeno offrire a Dio una certa onestà: è molto più semplice presentarsi come peccatori incapaci di soffrire, che cercare delle, giustificazioni - colpa questa più grave di quelle di cui ci si giustifica.
II fuoco
San Lorenzo e i primi cristiani sapevano che, ricevendo il battesimo, si esponevano al martirio. Vivendo con questa prospettiva, vivevano nel suo vero significato l’espressione: "usare di questo mondo come se non se ne usasse" (l Cor 7, 31). Non vivere nella prospettiva del martirio è accettare le massime del mondo; a questo punto è impossibile che la Luce dimori in noi. Capisco molto bene che non ci si senta all’altezza del martirio: non mi ci sento! Ma domando almeno a coloro che sono spaventati da questa prospettiva - ed e la prima cosa che, ne sono sicuro, Dio domanda loro - di non scandalizzare (nel senso evangelico di non far cadere) i loro fratelli propagando una dottrina, così detta evangelica, che non vive più nella prospettiva del martirio. "Gli uomini del mondo, diceva Teresa del Bambin Gesù, sono abili nell’arte di conciliare le soddisfazioni terrene con le esigenze di Dio". Sono talvolta i teologi, al giorno d’oggi, ad avere questa abilità, e in modo più sottile di quello della gente del mondo. Quello che propongono è un cristianesimo senza martirio, cioè senza Croce. Eliminare la Croce è umano. I discepoli stessi hanno eliminato la Croce di Cristo e rifiutato la prospettiva del suo martirio: furono gli iniziatori di quel pseudo-cristianesimo che non si estinguerà prima della fine dei tempi. Ma Gesù Cristo l’ha detto molto bene a Pietro: "Via da me, Satana, tu sei per me oggetto di scandalo, perché i tuoi pensieri non sono quelli di Dio, ma quelli degli uomini" (Mt 16,23). Le uniche teologie fedeli sono quelle che procedono dalla prospettiva del martirio. ' Questo martirio è qualcosa di molto dolce. San Lorenzo non sentiva la fiamma del carnefice: "Poiché bruciava dal desiderio di Cristo, dice ancora sant’Agostino, non sentiva i tormenti del persecutore". Lo stesso ardore che lo bruciava all’interno raffreddava le fiamme del fuoco esterno. Evidentemente ciò suppone che quella fiamma interiore non fosse banale... Il fuoco interno è dunque più forte, quando si scatena, di ogni fiamma esterna. Non è quindi il caso di stupirsi che sia tanto doloroso. Esiste però una grande differenza con le fiamme esterne: per natura, il fuoco divino è un olio, è l’unzione dello Spirito Santo. Teresa d’Avila l’aveva provato: "C’è come un fuoco nella mia anima, ma questo fuoco non arriva fino al centro: al centro c’è come un olio". Questa unzione fa sì che il fuoco del martirio interiore, malgrado le sofferenze, sia dolce. Per rassicurarci, dovrebbe bastare la parola di Cristo: "Il mio giogo è dolce e il mio fardello leggero" (Mt ll, 30), ma non ci crediamo, siamo uomini di poca fede. Allora Gesù fa parlare i suoi piccoli per aiutarci a capire. Ciò che spiega la dolcezza di questo giogo è il fatto che il fuoco divino non distrugge la natura ma solo l’uomo vecchio, i complessi, i nodi, le contrazioni, e lo distrugge riempiendo la nostra natura innocente creata da Dio di una unzione che permette di sopportare le sofferenze della morte dell’uomo vecchio. I Santi testimoniano che questa unzione addolcisce ogni cosa: "I non credenti vedono la Croce, diceva san Bernardo, ma non vedono l’unzione! ". Per vivere nella prospettiva del martirio, di questo inevitabile martirio, è necessario dunque vivere nella prospettiva dell’unzione. Ma cosa fare se non sentiamo l’unzione, o la sentiamo così poco? Come rendere dolce la prospettiva del martirio, e come sopportarla, se non è dolce? Dall’esterno la (Croce è spaventosa, dall’intemo è sopportabile. Ma come affrontare la Croce prima di essere entrati nella sua dolcezza?
Una volta buttati nell’acqua, proviamo un non so che che rende tutto dolce. Ma per buttarsi bisognerebbe essere di fronte a questo non so che prima ancora di averlo provato... Dio ci offre un rimedio: la Madonna. Se volete presentire il gusto che si trova in questo tipo di esercizio, e gustarlo abbastanza per desiderarlo, guardate la Madonna, sia perché» Lei è piena d’unzione, sia perché Dio Le ha donato un cuore di madre desideroso di immergerci in questa dolcezza. Lei ci donerà ciò che Grignion de Montfort chiama la confettura delle Croci, che è appunto l’unzione dello Spirito Santo, ma incarnato — oso dire — nel volto della Madonna. Però, attenzione! Non abbiamo il diritto di chiedere la dolcezza della Madonna se non per sopportare ciò che Lei può farci sopportare: sarebbe approfittare della dolcezza della Croce senza conoscere la Croce medesima. D’altronde quando si guarda veramente la Madonna, non si rischia di fuggire la Croce, perché Lei è in verità la dolcezza della Croce. È perciò che molti cristiani hanno l’istinto preoccupante di non rivolgersi alla Madonna perché sentono bene che, facendolo, ci si lascia prendere inevitabilmente: non c’è più niente che giustifichi un rifiuto, non esistono più pretesti possibili. Coloro che vogliono conservare un alibi, non hanno voglia di guardare da quella parte, e qualche volta è un vero dramma. La prima cosa che bisogna chiedere alla Madonna è il desiderio di arrivare al termine, dove si compie l’incontro con Dio. Ho insistito abbastanza sul fatto che il più gran peccato è rinunciare a raggiungere questo fine. Non si può amare sinceramente la Madonna senza un tale desiderio. A questo desiderio Lei risponde sempre: "Me ne occupo io, me ne incarico io. Vieni nel mio cuore, al resto penso io". Ella stessa ci darà il desiderio personale del Volto di Cristo, quel Volto che san Bernardo canta mirabilmente nell’Ufficio del Santo Nome di Gesù: "Quam pius es petentibus; quam bonus te quaerentibus; sed quid invenientibus!" Dopo aver detto quanto Gesù è accogliente verso i sollecitatori e aggiunto che per quelli che lo cercano non solo è accogliente ma anche buono (il che è tutt’altra cosa!, san Bernardo rinuncia ad esprimere ciò che Cristo rappresenta per quelli che lo trovano...

Tratto dal libro di p.Marie-Dominique Molinié o.p. “ Il coraggio di avere paura”.


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