Nell’orazione
della Messa di san Lorenzo si chiede a Dio di spegnere la fiamma dei
nostri Vizi. Questa fiamma non è una metafora: per causa sua ogni
Vita cristiana che va fino in fondo, cioè fino alla santità, è
un martirio. Non bisogna pronunciare questa parola alla leggera. Si
dice qualche volta: "Sopporto un vero martirio!". Ma il
vero martirio va fino alla morte. Finché le nostre sofferenze non
superano un certo limite, non siamo ancora nel mistero della
sofferenza che da soli non possiamo raggiungere. Anche se si tratta
della morte dell’uomo vecchio, è già un martirio subire questa
morte. Se non si accetta questo, a che cosa serve rinnovare le
promesse del nostro battesimo? Solo quelli che accettano questa
guarigione con tutte le sue implicazioni, possono dire di aver donato
a Dio tutto il loro cuore e di amare con tutte le loro forze. Questo
martirio è una misericordia, ma se non lo si accetta, non si potrà
approfittare in pienezza del Sangue di Gesù Cristo. Per dire che si
tratta di un martirio, mi avvalgo pure del sermone di sant’Agostino
in occasione della festa di san Lorenzo: "Anche se non siamo
bruciati sulla graticola del carnefice, questo Viene vantaggiosamente
sostituito dalla fiamma della fede". Ciò presuppone che si
tratti di una fiamma e che abbia gli stessi effetti: se no, non è
una cosa seria! Dice ancora: "Noi non bruciamo corporalmente, ma
bruciamo d’amore". Il nostro peccato è di leggere ciò come
fosse letteratura. Il Creatore del sole può essere meno scottante
del sole? Quando ci si lascia consumare da Lui si subisce realmente
il martirio del fuoco, ma questo martirio ha una dolcezza che si
conosce solo lasciandosi fare senza opporre resistenza... Sulla
terra, finché resistiamo, Dio non ci fa sentire tutta la forza di
questa fiamma - perfino nel purgatorio o nell’inferno, Egli attenua
molte cose.
Ma non può (o non vuole per rispettarci) sopprimerla
completamente: l’estinzione della fiamma dei nostri Vizi costa
necessariamente qualcosa. Le sofferenze alle quali si riesce a far
fronte con le proprie forze, non sono il mistero della sofferenza che
inizia quando non possiamo più far fronte. Ciò può sembrare
terrificante... Ma il vantaggio di vedere le cose in maniera così
cruda è di eliminare un certo numero di falsi problemi, per esempio
tutte le discussioni attorno alla Vita attiva e alla Vita
contemplativa. Quando rifiutiamo di sentire parlare di certe realtà
spirituali dicendo: "Non siamo dei contemplativi! Non abbiamo il
diritto di rifugiarci nella contemplazione! Non dobbiamo fuggire il
mondo ma incarnarci totalmente nella dimensione umana! ", non
ci rendiamo conto che con questo rifiuto si rifiuta tutto. Amare
Gesù Cristo e di conseguenza essere purificati dal fuoco non è
riservato ai soli contemplativi. Quando si guarda in faccia un tale
mistero, queste discussioni sembrano meschine e sterili. Darsi a Dio
è così enorme, che poco importa, dopo, sapere se ci chiede la
Vita attiva o quella contemplativa. In ogni modo siamo buoni per la
graticola, poco inporta il resto! I più grandi contemplativi che
conosco vivono nel mondo, talvolta sono madri di famiglia.I
contemplativi forse non sempre considerano la contemplazione come un
martirio, e hanno torto. Ma gli attivi non considerano mai questo
martirio, e si giustificano in nome delle esigenze dell’azione. È
questa buona coscienza ad essere pericolosa. Capisco bene che si
abbia paura di un tale programma, ma non bisogna rifiutarlo
giustificandosi. Dico spesso ai peccatori (e di conseguenza a me
stesso): "Vi supplico, non giustificatevi!". Se ci sentiamo
incapaci di andare fino in fondo, chiamiamo la Misericordia in nostro
soccorso... ma non giustifichiamoci, in nome dell’azione, per
schivare le purificazioni! Non c’è altra santità possibile che
quella delle purificazioni; abbiamo un uomo vecchio: bisogna che
muoia. Dobbiamo almeno offrire a Dio una certa onestà: è molto
più semplice presentarsi come peccatori incapaci di soffrire, che
cercare delle, giustificazioni - colpa questa più grave di quelle
di cui ci si giustifica.
II
fuoco
San
Lorenzo e i primi cristiani sapevano che, ricevendo il battesimo, si
esponevano al martirio. Vivendo con questa prospettiva, vivevano nel
suo vero significato l’espressione: "usare di questo mondo
come se non se ne usasse" (l Cor 7, 31). Non vivere nella
prospettiva del martirio è accettare le massime del mondo; a questo
punto è impossibile che la Luce dimori in noi. Capisco molto bene
che non ci si senta all’altezza del martirio: non mi ci sento! Ma
domando almeno a coloro che sono spaventati da questa prospettiva -
ed e la prima cosa che, ne sono sicuro, Dio domanda loro - di non
scandalizzare (nel senso evangelico di non far cadere) i loro
fratelli propagando una dottrina, così detta evangelica, che non
vive più nella prospettiva del martirio. "Gli uomini del
mondo, diceva Teresa del Bambin Gesù, sono abili nell’arte di
conciliare le soddisfazioni terrene con le esigenze di Dio".
Sono talvolta i teologi, al giorno d’oggi, ad avere questa
abilità, e in modo più sottile di quello della gente del mondo.
Quello che propongono è un cristianesimo senza martirio, cioè
senza Croce. Eliminare la Croce è umano. I discepoli stessi hanno
eliminato la Croce di Cristo e rifiutato la prospettiva del suo
martirio: furono gli iniziatori di quel pseudo-cristianesimo che non
si estinguerà prima della fine dei tempi. Ma Gesù Cristo l’ha
detto molto bene a Pietro: "Via da me, Satana, tu sei per me
oggetto di scandalo, perché i tuoi pensieri non sono quelli di Dio,
ma quelli degli uomini" (Mt 16,23). Le uniche teologie fedeli
sono quelle che procedono dalla prospettiva del martirio. ' Questo
martirio è qualcosa di molto dolce. San Lorenzo non sentiva la
fiamma del carnefice: "Poiché bruciava dal desiderio di
Cristo, dice ancora sant’Agostino, non sentiva i tormenti del
persecutore". Lo stesso ardore che lo bruciava all’interno
raffreddava le fiamme del fuoco esterno. Evidentemente ciò suppone
che quella fiamma interiore non fosse banale... Il fuoco interno è
dunque più forte, quando si scatena, di ogni fiamma esterna. Non è
quindi il caso di stupirsi che sia tanto doloroso. Esiste però una
grande differenza con le fiamme esterne: per natura, il fuoco divino
è un olio, è l’unzione dello Spirito Santo. Teresa d’Avila
l’aveva provato: "C’è come un fuoco nella mia anima, ma
questo fuoco non arriva fino al centro: al centro c’è come un
olio". Questa unzione fa sì che il fuoco del martirio
interiore, malgrado le sofferenze, sia dolce. Per rassicurarci,
dovrebbe bastare la parola di Cristo: "Il mio giogo è dolce e
il mio fardello leggero" (Mt ll, 30), ma non ci crediamo, siamo
uomini di poca fede. Allora Gesù fa parlare i suoi piccoli per
aiutarci a capire. Ciò che spiega la dolcezza di questo giogo è
il fatto che il fuoco divino non distrugge la natura ma solo l’uomo
vecchio, i complessi, i nodi, le contrazioni, e lo distrugge
riempiendo la nostra natura innocente creata da Dio di una unzione
che permette di sopportare le sofferenze della morte dell’uomo
vecchio. I Santi testimoniano che questa unzione addolcisce ogni
cosa: "I non credenti vedono la Croce, diceva san Bernardo, ma
non vedono l’unzione! ". Per vivere nella prospettiva del
martirio, di questo inevitabile martirio, è necessario dunque
vivere nella prospettiva dell’unzione. Ma cosa fare se non sentiamo
l’unzione, o la sentiamo così poco? Come rendere dolce la
prospettiva del martirio, e come sopportarla, se non è dolce?
Dall’esterno la (Croce è spaventosa, dall’intemo è
sopportabile. Ma come affrontare la Croce prima di essere entrati
nella sua dolcezza?
Una
volta buttati nell’acqua, proviamo un non so che che rende
tutto dolce. Ma per buttarsi bisognerebbe essere di fronte a questo
non so che prima ancora di averlo provato... Dio ci offre un
rimedio: la Madonna. Se volete presentire il gusto che si trova in
questo tipo di esercizio, e gustarlo abbastanza per desiderarlo,
guardate la Madonna, sia perché» Lei è piena d’unzione, sia
perché Dio Le ha donato un cuore di madre desideroso di immergerci
in questa dolcezza. Lei ci donerà ciò che Grignion de Montfort
chiama la confettura delle Croci, che è appunto l’unzione dello
Spirito Santo, ma incarnato — oso dire — nel volto della Madonna.
Però, attenzione! Non abbiamo il diritto di chiedere la dolcezza
della Madonna se non per sopportare ciò che Lei può farci
sopportare: sarebbe approfittare della dolcezza della Croce senza
conoscere la Croce medesima. D’altronde quando si guarda veramente
la Madonna, non si rischia di fuggire la Croce, perché Lei è in
verità la dolcezza della Croce. È perciò che molti cristiani
hanno l’istinto preoccupante di non rivolgersi alla Madonna perché
sentono bene che, facendolo, ci si lascia prendere inevitabilmente:
non c’è più niente che giustifichi un rifiuto, non esistono
più pretesti possibili. Coloro che vogliono conservare un alibi,
non hanno voglia di guardare da quella parte, e qualche volta è un
vero dramma. La prima cosa che bisogna chiedere alla Madonna è il
desiderio di arrivare al termine, dove si compie l’incontro con
Dio. Ho insistito abbastanza sul fatto che il più gran peccato è
rinunciare a raggiungere questo fine. Non si può amare sinceramente
la Madonna senza un tale desiderio. A questo desiderio Lei risponde
sempre: "Me ne occupo io, me ne incarico io. Vieni nel mio
cuore, al resto penso io". Ella stessa ci darà il desiderio
personale del Volto di Cristo, quel Volto che san Bernardo canta
mirabilmente nell’Ufficio del Santo Nome di Gesù: "Quam
pius es petentibus; quam bonus te quaerentibus; sed
quid invenientibus!" Dopo aver detto quanto Gesù è
accogliente verso i sollecitatori e aggiunto che per quelli che lo
cercano non solo è accogliente ma anche buono (il che è
tutt’altra cosa!, san Bernardo rinuncia ad esprimere ciò che
Cristo rappresenta per quelli che lo trovano...
Tratto
dal libro di p.Marie-Dominique Molinié o.p. “ Il coraggio di avere
paura”.
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