venerdì 11 novembre 2016

AMORE E SOLITUDINE di Fr. M.D. Molinié, o.p.





Miei cari Amici,
un’anima d’orazione, vivamente cosciente della trascendenza divina, e della solitudine in cui essa ci immerge, mi ha detto: “Nell’ora della morte sarò sola di fronte a Dio: cerco di abituarmi a questo fin da quaggiù.”
Anch’io ho pensato a lungo che nell’ora della morte saremo inesorabilmente soli... per scoprire oggi che avevo torto: scrivo questa lettera per spiegarmi!
Non appena l’anima si separa dal corpo, evidentemente, non è più sola: è in presenza della Corte celeste, in particolar modo della Santa Vergine, dell’Angelo custode, del nostro santo patrono, ecc. Sono presenti anche le anime del Purgatorio e, per i reprobi... i demoni!
Ma ciò che chiamiamo morte corrisponde piuttosto agli ultimi istanti della nostra vita, generalmente definiti agonia, con tutte le sue sofferenze fisiche e morali. È soprattutto in quel momento che pensavo sarei stato solo. Ma, rileggendo il Vangelo e la Bibbia, ho scoperto il mio errore...
Ai piedi della Croce stavano Maria e il discepolo che Gesù amava.” La Chiesa è rimasta affascinata da queste parole e da secoli canta lo Stabat Mater per contemplare la Compassione di Maria, in occasione della Settimana Santa e della festa della Madonna dei Sette Dolori. La Chiesa è talmente consapevole dell’importanza di questa presenza da richiederla con insistenza nella salutazione angelica: “Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte.”
Maria conta così tanto per Gesù che, in quell’ora suprema, le rivolge ancora la parola, così come a Giovanni: “Donna, ecco tuo Figlio... ecco tua madre.” Parla anche al Buon Ladrone (che dunque non è morto “solo”): “Questa sera sarai con me in Paradiso.” Se Gesù si lamenta della solitudine, lo fa piuttosto con il Pa- dre: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”
Tutto questo sconvolge le nostre corte vedute sulla solitudine e sulla morte. La Chiesa ci offre San Giuseppe come patrono della buona morte. Giuseppe non è morto solo davanti all’infinito metafisico, ma “circondato” da Maria e da Gesù, il Verbo Incarnato in Persona. Maria era una creatura, e anche Gesù nella sua umanità: questo è il modello della “buona morte,” quella che noi dobbiamo domandare.

È un po’ come se Dio, in quell’istante critico, volesse quasi scusarsi d’essere infinito, e volesse offrirci i limiti della creatura per proteggerci da quella voragine intollerabile. Dipende solo da noi approfittarne, volgendoci verso Maria e l’umanità di Gesù. Se ce lo propone la Chiesa, ce lo propone anche Dio. E Dio non propone niente per ridere: la Chiesa circonda i morenti cantando “Parti, anima cristiana...” con la gioia silenziosa e raggiante della casa dei moribondi di Madre Teresa!
Già nell’Antico Testamento, certe morti sono solidali molto più che solitarie. Nel Libro dei Martiri d’Israele, ad esempio, una madre esclama: “Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho allattato per tre anni... Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della Misericordia.” Immagine di tanti altri nella Chiesa, a cominciare dalle Carmelitane di Compiègne che si presentarono in gruppo al patibolo cantando il Veni Creator.
Teresa del Bambino Gesù proclama, molto meglio di quanto sappia fare io:
Come si può dire che sia più perfetto allontanarsi dai propri cari? Si è mai rimproverato a dei fratelli di combattere sullo stesso campo di battaglia, si è mai fatto loro rimprovero di volare insieme per cogliere la palma del martirio? Senza dubbio si è giudicato con ragione che essi si facevano coraggio a vicenda, ma altresì che il martirio di ciascuno diventava il martirio di tutti. Così accade nella vita religiosa che i teologi chiamano un martirio. Dandosi a Dio, il cuore non perde la sua tenerezza naturale, anzi, que- sta tenerezza cresce divenendo più pura e più divina. (Storia di un’anima, 283)
Così, noi non siamo mai soli di fronte a Dio... se non appunto a causa del peccato: è il peccato che ci isola, non la trascendenza divina. Certo, le creature possono allontanarci da Dio, e Gesù ci avverte: “Se qualcuno non odia... Non sono venuto a portare la pace ma la spada: il padre contro il figlio, ecc...” Ma ciò che bisogna odiare, e talora fino al sangue, è il peccato degli altri, non la loro anima.
Dio è l’unica Fonte a cui dobbiamo bere per saziare la sete del nostro cuore, Fonte del fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra e dell’amore che deve regnare tra noi. Questo amore è la nostra sola beatitudine, non bisogna cercarne un’altra, e si deve sacrificare tutto per raggiungerlo (“Se il tuo occhio ti scandalizza, ecc.”).
Teresa conferma:
Ecco il maestro che ti do, ti insegnerà tutto quello che devi fare. Voglio farti leggere nel libro di vita ov’è contenuta la scienza di Amore [Parole di Gesù a Santa Margherita Maria]. La scienza d’Amore, oh sì! La parola risuona dolce all’anima mia, desidero soltanto questa scienza. Per essa, avendo dato tutte le mie ricchezze, penso, come la sposa dei cantici, di non aver dato nulla. (241)
E insiste:
Il mio cuore sensible e affettuoso si sarebbe dato facilmente se avesse trovato un cuore atto a capirlo... Come ringrazio Gesù di avermi fatto trovare “soltanto amarezze nelle amicizie della terra!” Con un cuore come il mio, mi sarei lasciata prendere e tagliare le ali, allora in qual modo avrei potuto “volare e riposarmi?” Un cuore abbandonato agli affetti delle creature, come può unirsi intimamente con Dio?... Sento che questo non è possibile. Senza aver bevuto alla coppa avvelenata dell’amore troppo ardente delle creature, sento che non posso ingannarmi; ho visto tante anime sedotte da questa falsa luce, volare come povere farfalle e bruciarsi le ali, poi ritornare verso la vera, dolce luce dell’amore che dava ad esse nuove ali più brillanti e più leggere affinché potessero volare verso Gesù, il Fuoco Divino “che brucia senza consumare” [San Giovanni della Croce]. Ah, lo sento, Gesù mi sapeva troppo debole per espormi alla tentazione! Forse mi sarei lasciata bruciare tutta dalla luce ingannatrice se l’avessi vista brillare ai miei occhi... Non è stato così: ho incontrato solamente amarezza là dove anime più forti incontrano la gioia e se ne distaccano per fedeltà. Io non ho dunque alcun merito per non essermi abbandonata all’amore delle creature, poiché da esso fui preservata solo per la grande misericordia del Signore! Riconosco che, senza di Lui, avrei potuto cadere in bas- so quanto Santa Maddalena. (118-119)
Tutto questo è chiaro... o almeno ci sembra tale, ma è una chiarezza pericolosa che corriamo sempre il rischio di irrigidire e perciò di tradire. Perché, lungi dal separarci, questo amore esclusivo ci unisce, secondo il dogma della comunione dei santi: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati: è da questo segno che si riconosceranno i miei discepoli.”
Così l’amore di una creatura, se viene da Dio, può essere sacro quanto Dio stesso: come si può disprezzare la dolcezza della comunione dei santi? E tuttavia questo amore così umano è talmente divino che è inaccessibile ai nostri cuori duri, impermeabili alla dolcezza ineffabile di Gesù. Rifiutando di amare quelli che Dio ama come Lui li ha amati, noi crocifiggiamo questo Cuore “che ha tanto amato gli uomini e non ha ricevuto in ricompensa che la loro ingratitudine e il loro disprezzo.”
Teresa riconosce di aver capito queste parole solo l’ultimo anno della sua vita: ha dovuto attendere ventitré anni! La sola possibilità di arrivarci a nostra volta, è che il nostro cuore di pietra sia sostituito da un cuore di carne, grazie a delle operazioni divine che San Giovanni della Croce presenta come orribili, ma che possono diventare dolci se sappiamo consacrarci alla Santa Vergine... come assicura Grignion de Montfort.
Per tutta la sua vita Teresa ha cantato questa dolcezza. Se accettiamo di lasciarci affascinare da essa, otterremo forse di entrare nella via di cui Gesù ha detto: “Il Regno dei Cieli appartiene ai bambini e a chi è come loro... Ti benedico, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli... Imparate da Me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero.” Dice Teresa:
Quest’anno, cara Madre, il Signore mi ha concesso la grazia di capire che cosa è la carità; prima lo capivo, è vero, ma in modo imperfetto, non avevo approfondito queste parole di Gesù: “Il secondo comandamento è simile al primo...” Nell’ultima cena, quando egli sa che il cuore dei suoi discepoli brucia ancor più di amore per lui che si è dato ad essi nell’ineffabile mistero della Eucarestia, questo dolce Salvatore vuole dare un comandamento nuovo. Dice loro con tenerezza inesprimibile: “Vi do un coman- damento nuovo, di amarvi reciprocamente; come io ho amato voi, amatevi l’un l’altro.” (288)
A questo punto, Teresa sottolinea che Gesù non ha amato i suoi discepoli a causa delle loro qualità naturali (“C’era tra loro e Lui una distanza infinita”), e aggiunge:
Ho visto che non amavo le mie sorelle come le ama Dio... ma soprattutto ho capito che la carità non deve restare affatto chiusa nel fondo del cuore... non basta amare, bisogna dimostrarlo... Dico che è diffi-cile, piuttosto dovrei dire che sembra difficile, perché il giogo del Signore è soave e leggero; quando lo si accetta, sentiamo subito la sua dolcezza... Non basta dare a chiunque mi chieda qualche cosa, bisogna che io vada incontro ai desideri, che mi mostri molto grata ed onorata di rendermi utile, e se pren- dono una cosa a mio uso, non debbo mostrare di rimpiangerla, ma al contrario sembrar felice di esserne sbarazzata. (289-298)
E ancora:
C’è un modo così garbato di rifiutare quello che non si può fare, che il rifiuto fa piacere quanto il dono... su questa via non c’è che il primo passi che costi... Oh, gli insegnamenti di Gesù come sono contrari ai sentimenti della natura! Senza il soccorso della sua grazia sarebbe impossibile non solamente metterli in pratica, bensì anche capirli. (301)
Teresa parla dall’alto di una vetta dove l’amore di Dio e del prossimo sono tutt’uno, e il secondo comandamento diventa simile al primo. Ma non appena si scende dalle altezze in cui Teresa si librava al termine della sua vita, la concupiscenza carnale dei cuori umani entra in conflitto con l’amore di Dio e diventa un’impurità. Ma, a questo proposito, devo denunciare un tranello terribile che minaccia i nostri cuori di pietra... tranello in cui cadono tanti cristiani, persino tra i religiosi e le religiose. È un tranello talmente infernale, talmente lontano da Teresa ch’ella non lo sospettava nemmeno lontanamente, non immaginando (come Gesù stesso, oso dire) che le sue parole potessero fornire un pretesto a tenebre così spaventose...Gesù infatti dice: “Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso!” E Teresa conferma: Si è naturalmente felici di fare un dono a un amico, soprattutto ci piace fare delle sorprese; ma ciò non è affatto carità, perché lo fanno anche i peccatori” (296).
Viene pertanto preclusa la gioia di fare dei piaceri e di ricevere dei doni? Come direbbe San Paolo: “Absit! Lungi da me tutto ciò!” Nella sua infanzia, Teresa non pensava a elevarsi a tali altezze, e lasciava parlare il suo cuore così com’era: cuore di carne amorevole, affettuoso, sensibile... anche troppo, come lei stessa ammette, prima della grazia di Natale!
Dunque sì, sarebbe potuta cadere, come Maddalena, nelle trappole dell’amore umano, se non ne fosse stata preservata. Avrebbe potuto conoscere la strada delle prostitute che varcheranno davanti a noi la porta del Regno dei Cieli, perché almeno loro avranno lasciato parlare il loro cuore, mentre noi chiudiamo il nostro. Per evitare i pericoli dell’amore noi ce ne proteggiamo e questo ci preserva dalle impurità... ma ci preserva dall’amore stesso! Il nostro cuore allora diventa gradualmente un cuore di pietra: questo è il risultato, ahimè quanto frequente, della nostra volontà di “perfezione,” questo è il tranello che voglio denunciare in questa Lettera.
È evidente che Teresa non ha mai agito così, e che Gesù non incoraggia in questo senso: Egli non ci rimprovera di amare quelli che ci amano, né di riporre la nostra gioia nelle delizie e nei tormenti dell’amore umano. Ripeto dunque con lei: “Dandosi a Dio, il cuore non perde la sua tenerezza naturale, anzi, questa tenerezza cresce divenendo più pura e più divina.”
Ma come crescerà se ne diffidiamo, se la blocchiamo con il pretesto che è impura, che ci espone a gravi pericoli... e se, in questo modo, la facciamo morire? Mi baso qui sull’esempio di tutti i santi, a cominciare proprio da Teresa bambina che si rifiuta di salire le scale se sua madre non le offre una vera e propria liturgia dell’amore – egoista, infantile, impura!... Ma gradino indispensabile per arrivare un giorno alla grazia di Natale. Scrive pressappoco Teresa (cap. 5): Ero veramente insopportabile chiedevo in continuazione a Maria di consolarmi, di rassicurarmi, infliggendole il peso delle mie lacrime; e dopo piangevo per aver pianto.” Quadro pietoso, ma cammino obbligato per non diventare un cuore di pietra, e per orientarsi verso il cuore di fuoco che Gesù ci vuol dare. Questo cuore di fuoco, Teresa lo ha presentito con Celina molto prima che l’una e l’altra fossero purificate: “... mi sembra che l’effusione delle nostre anime somigliasse a quella di Santa Monica con suo figlio, quando al porto di Ostia restavano perduti nell’estasi alla vista delle meraviglie del Creatore!... Mi sembra che ricevessimo grazie di un ordine tanto elevato come quelle concesse ai grandi santi.”
Questo cuore che vibra in ogni occasione senza preoccuparsi di essere puro e neanche prudente, questo cuore che funziona a proposito e a sproposito è il solo vero cammino della perfezione: “Amami come sei – diceva Gesù a non so più chi – se aspetti di essere puro, non mi amerai mai!”
Ed è quello infatti che capita a tante anime che chiudono il loro cuore in un cassetto perché ne intuiscono la bruttura ma non la vogliono vedere e tanto meno mostrare: e così, invece, lungi dall’essere purificato, il loro cuore di carne si incista e muore, diventando segretamente un cuore di pietra.
Ci si deve allora abbandonare senza freni ai disordini della passione? Si ha il diritto di divenire deliberatamente peccatori, con il pretesto che le prostitute ci passeranno avanti? Non esageriamo: lasciar parlare il proprio cuore, anche imprudentemente (ed è inevitabile non appena ci si rifiuta di indurirsi), non espone necessariamente al peggio. Teresa riconosce semplicemente che avrebbe potuto “bruciarsi le ali, per poi ritornare verso la vera, dolce luce dell’amore” per trovarvi “nuove ali più brillanti e più leggere per volare verso Gesù.”
E se i rischi diventano più gravi? Ebbene, mi richiamo a Giovanni Paolo I Rischio di dire uno sproposito, ma lo dico ugualmente: il Signore tanto ama l’umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? Ma perché coloro che li hanno commessi se ne pentano e diventino più umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando si sa di aver peccato gravemente.”9
Sì, l’orgoglio delle “angeliche” di Port-Royal è più grave di quello dei peccatori come Gilles de Rais. “Preferisco i santi che peccano (Péguy, se mi ricordo bene, prestava queste parole a Dio) ai peccatori che non peccano...” (e che, sottinteso, non amano).
Dunque sì, preferisco peccare nella povertà tremante di chi è umile di cuore e accetta il rischio dei peggiori disordini, ma che rifiuta di indurirsi – per capitare forse, giunto agli estremi, nel “rifugio” ambito da Teresa, se le avessero chiuso le porte del Carmelo: un rifugio in cui le anime pure si sarebbero confuse con quelle pentite, in uno stesso amore e in una stessa gioia soprannaturale.
Era questa l’intuizione di Padre Lataste quando ha fondato le Domenicane di Betania: confondere le “riabilitanti” e le “riabilitate” nella coscienza di essere tutte peccatrici perdonate... Tra queste le più pure sono le più perdonate, come Teresa proclamava: “In verità – diceva sul letto di morte – sono una grande pec catrice! Mi sembra di versare lacrime di contrizione perfetta” (Novissima Verba, 12 Agosto).
Non c’è salvezza al di fuori di questa contrizione: la Storia di un’anima è la storia di una grande peccatrice, così salvata fin dall’infanzia da ricevere alla fine il privilegio di mangiare alla tavola dei peccatori... e di ricevervi la corona suprema del martirio.
Se accettiamo questa prospettiva, riconoscendo che ci supera, chiederemo aiuto e cadremo nella voragine della supplica fiduciosa. Ma se pretendiamo di fare meglio a colpi di virtù, questa virtù sarà peggio di un amore troppo umano, perché ci allontanerà dalla via dei piccoli, degli umili e dei peccatori, la sola per la quale Gesù è venuto in questo mondo: “Non son venuto a chiamare i giusti ma i peccatori.”
Terminerò con qualche riga tratta da La Lumiére crucifiée:
Dio non ha mai detto prima di Gesù Cristo: “Sto alla porta e busso. Busso alla porta del tuo cuore, e se mi apri cenerò con te, avrò con te un nuovo tipo d’intimità. Chi cenerà con me sarà ancora nell’oscurità della fede, ma potrà vivere “come se vedesse l’invisibile.”
... A partire dalla Pentecoste, infatti, l’oscurità della fede è sempre altrettanto assoluta, ma è abitata o “minacciata” da una prossimità, da una pressione del Cielo che fa dell’intimità con Dio un dono nuovo, un’intimità nuova, che i mistici cristiani descrivono con termini che sono inapplicabili al di fuori di Cristo.
... Amare i nostri fratelli come Gesù li ha amati, è volere per loro come per noi il beneficio dell’acqua viva, è dare la propria vita perché essi ricevano a loro volta questa acqua e questo fuoco che sono la nostra beatitudine fin da quaggiù. La carità fraterna è una specialità cristiana, perché essa ama Gesù attraverso i nostri fratelli: quelli che non Lo conoscono non possono amare in un modo come questo, che trasfigura l’amore fraterno. Possono amare gli altri, ma non in quel modo.
... Non si può dire che si ama qualcuno se non si desidera per lui la stessa felicità che si vuole per sé. Ora il dono portato da Gesù è la vita eterna, il Cielo, che è Gesù stesso. Non si ama il prossimo come Gesù se non si desidera per lui questa beatitudine, e non si può desiderarla per lui se non la desideriamo in primo luogo per noi (carità ben ordinata...). Si vede bene il legame che c’è tra l’acqua viva e l’amore fraterno, l’amore dei poveri: Madre Teresa non mi smentirà su questo punto.
Per questo motivo Gesù nell’ultima Cena, ha compiuto il gesto folle di lavare i piedi dei discepoli: “Vi ho dato infatti l’esempio.” Gesto gratuito, gesto inutile (“Voi siete mondi”), che canta l’amore trinitario nella follia della sua gratuità. Gesto che lascia trasparire il fuoco che animava il cuore di Gesù, il suo desiderio di infiammare i discepoli al calore di quel fuoco, di abbeverarli alle fonti d’acqua viva di cui la vita trinitaria è il germe ma di cui questo fuoco è la consumazione, l’esplosione finale che infiammerà la terra e provocherà la Parusia.
Festa dell’Epifania 2000 - Fr. M.D. Molinié, o.p.

9    Udienza del 6 settembre 1978.
10 Non parlo dei suoi crimini orribili, ma del suo orgoglio che seppe capitolare davanti alla minaccia dell’inferno.












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