Non
bisogna supporre che per far vivere in noi Gesù Cristo basti uno
sterile atto di fede o una più sterile invocazione fatta a fior di
labbra. Per molte anime, infatti, la vera e profonda pietà potrebbe
prendere l'aspetto di una poesia più o meno fantastica o rivestire
il carattere di un idealismo più o meno vaporoso, La pietà vera è
via, verità e vita; è via che ci conduce a Dio e all’eternità, è
fondata saldamente sulla Verità divina ed è vita di Gesù Cristo.
La
nostra vita dev'essere nascosta con Gesù Cristo in Dio, e dobbiamo
vivere noi, ma non noi, bensì Gesù Cristo in noi, come dice in una
sintesi mirabile san Paolo. Per far vivere in noi Gesù Cristo è
necessario amarlo praticamente, osservando i suoi Comandamenti, e
per far questo è necessaria la grazia. La grazia viene a noi dallo
Spirito Santo, e perciò Gesù Cristo, dopo aver parlato del Padre e
di Lui stesso, Figlio del Padre, accenna allo Spirito Santo, che
realizza la nostra unione con Lui e ci rende glorificazione di Dio.
Essendo poi Egli il nostro Mediatore presso Dio come Verbo Incarnato
e potendoci Egli solo ottenere la grazia per amarlo e per osservare i
suoi Comandamenti, soggiunge: Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà
un altro Paraclito, affinché rimanga sempre in voi lo Spirito di
verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede né lo
conosce, voi, però, lo conoscerete perché abiterà con voi e sarà
in voi.
Paraclito
significa difensore, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore,
incitatore, colui che dà l’impulso; ora, Gesù Cristo era per gli
Apostoli e per le anime tutte il difensore perché le liberava dalle
insidie di satana; l'avvocato, come dice san Paolo, perché loro
Mediatore presso Dio; il consolatore, perché effondeva in loro il
balsamo della sua carità; l'intercessore, perché sempre vivente in
preghiera per loro; l' esortatore, come Maestro divino; l'incitatore
e colui che dà l'impulso, come nostro aiuto, nostro esempio e nostra
vita. Egli, quindi, primo Paraclito, dovendo andare via dal mondo e
dovendo lasciare gli Apostoli, promette loro un altro Paraclito,
un'altra Persona dalla Santissima Trinità, cioè lo Spirito Santo,
che doveva essere per loro, intimamente e nella Chiesa che Egli
fondava, difesa, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore,
incitamento al bene e impulso di vita nuova nelle debolezze della
natura.
Gesù
Cristo promette questo altro Paraclito perché rimanga nelle anime
che lo riceveranno e nella Chiesa che Egli vivificherà, e perché
sia conservato integro il patrimonio della Fede e la Chiesa viva nel
perenne splendore dell'infallibile Verità.
Lo
Spirito di verità che il mondo rifiuta
È
questo quello che distinguerà la Chiesa dal mondo e i cristiani dai
mondani: lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere. Il
mondo è spirito di menzogna e di malvagità; odia la verità e non
la vuole conoscere; appare per quel che è, ripieno dello spirito
satanico aggressivo, violento, crudele, calunniatore,
scandalizzatore, ossia diametralmente opposto allo Spirito Santo, e
quindi è chiaro che non potrà né vederlo né conoscerlo.
I
cosiddetti “grandi” della terra hanno tutti, più o meno, i
caratteri opposti allo Spirito Santo, e in realtà sono obbrobrio e
miseria, nonostante le loro apparenze gloriose; i fedeli, invece, i
veri fedeli, dovranno essere contrassegnati dallo Spirito di Dio ed
esserne ripieni.
Perché
Gesù promise un altro Consolatore?
Di
primo acchito sembra quasi che Gesù Cristo prometta agli Apostoli un
altro Paraclito per sostituire la sua presenza in mezzo a loro
durante la sua assenza; Egli, infatti, soggiunge: Non vi lascerò
orfani, tornerò a voi. Ancora un po' di tempo e il mondo non mi
vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete.
Intanto, è certo che Gesù, anche senza la sua presenza visibile,
rimase e rimane nella Chiesa; anzi, Egli è in essa vivo e vero
nell'Eucaristia, ed Egli stesso dice: “Io vivo e voi vivrete, vivo
nell'Eucaristia, e voi vivrete di me in questo Sacramento d'amore”.
Ora, se Gesù rimase e rimane nella Chiesa, perché promise un altro
Paraclito? E perché disse che non avrebbe lasciato orfani i suoi
Apostoli, ma sarebbe ritornato a loro?
Letteralmente
Gesù alluse al suo ritorno visibile dopo la sua Risurrezione e alla
fine del mondo; consolò gli Apostoli della sua morte dicendo che
sarebbe ritornato, e consolò la Chiesa militante, che nelle sue
lotte l'avrebbe visto quasi assente, dicendo che sarebbe ritornato
vivente nella sua gloria, per darle il possesso solenne della Vita
eterna: Mi vedrete perché io vivo e voi vivrete. Nella gloria della
sua Risurrezione, gli Apostoli l'avrebbero riconosciuto meglio come
Dio e avrebbero capito che Egli è nel Padre, come avrebbero
capito che Egli è il Redentore, e che gli uomini in Lui trovano la
vita, ed Egli dimora in loro per donarla. Nell’ultimo giorno
sarebbe apparso evidente il fulgore della sua Divinità a tutte le
genti, e la Chiesa, suo Corpo mistico, completa nella sua santità e
nei suoi eletti, sarebbe apparsa congiunta a Lui come membro al
corpo, ed Egli congiunto ad essa come Capo al Corpo. Gesù Cristo
doveva eclissarsi dagli Apostoli con la sua morte e sepoltura, e
doveva eclissarsi anche dopo la Risurrezione con la sua Ascensione al
Cielo. Gli Apostoli non l'avrebbero più avuto come Maestro visibile
e non avrebbero più goduto della sua presenza sensibile, e perciò
Egli promette loro lo Spirito Santo come Maestro interiore di verità
e come Consolatore intimo nel cammino terreno. Egli parla loro e
parla a tutta la Chiesa, promette loro il suo ritorno dopo la
Risurrezione e promette alla Chiesa il suo ritorno, non solo nel
Giudizio finale ma in una nuova effusione di misericordie e di
grazie, in un trionfo grandioso che ne farà sentire la presenza, ne
farà apprezzare la grandezza e farà vivere talmente di Lui
Sacramentato da sentire che Egli è in noi e noi in Lui. In questa
grande effusione di grazie e in questo trionfo Egli, sfigurato dagli
errori del mondo persino nell'animo di tanti fedeli, sarà
riconosciuto veramente come Dio: In quel giorno conoscerete che io
sono nel Padre mio; e sarà riconosciuto per la maggiore diffusione
della vita eucaristica: Conoscerete che voi siete in me e io in voi.
Il trionfo sarà preparato dallo spirito di verità, in opposizione
allo spirito del mondo, perché ci sarà grande luce di verità nella
Chiesa, una maggiore comprensione della fede grazie ai dottori che
la illumineranno di nuovi fulgori, per la grazia dello Spirito Santo.
Una
bella predizione?
Quello
che diciamo risponde alle attese della Chiesa fin dai suoi primordi.
La
Chiesa, tra le sue pene e le sue prove, ha aspettato sempre attende
tuttora un trionfo smagliante del suo Redentore anche nel
mondo;
essa attende quasi una nuova Pentecoste, una
nuova effusione
di grazia e di amore, una clamorosa vittoria sul mondo,
una grandiosa dilatazione del regno di Dio che sia glorificazione
pratica
dei tesori della redenzione nelle anime e soprattutto
dell’Eucaristia.
Questa vittoria non sarà un'affermazione di politico, non deriverà
da onori e da beni temporali,
ma
sarà un’affermazione di vita
interiore in unione con Gesù : una potente affermazione della forza
che può dare lo Spirito Santo
nelle
glorie della santità e del martirio, un fervore nuovo
nell’osservanza dei
precetti e dei consigli evangelici, uno splendore - smagliante
purezza, di umiltà, di carità, di vita interiore e soprannaturale,
un rifiorire mirabile della vita religiosa, un ripopolarsi
dei chiostri
deserti, diventati ora covi di profanatori ladri,
di soldati,
di uffici pubblici, di ritrovi e persino di case di peccato.
Sarà
anche una rifioritura ammirabile della vita mistica in elevazioni
superiori a quelle avute in ogni tempo, e Gesù Cristo si manifesterà
alle anime così elevate in uno splendore di luce tanto grande da
renderle monumento vivo d'amore e tempio della Santissima Trinità.
E’
questo il trionfo che la Chiesa attende e che avrà dalla bontà di
Dio in mezzo a lotte anche più aspre di quelle sostenute nel
passato. Gesù lo espresse in poche parole, dicendo: Chi ha i miei
comandamenti e li osserva, mi ama. L'amore, dunque, dovrà essere
pratico e operativo per essere palpito vivo di santità. “E chi mi
ama sarà amato dal Padre mio, cioè sarà oggetto di particolari
grazie dello Spirito Santo, che è Amore infinito. Ed io lo amerò –
soggiunse Gesù - e gli manifesterò me stesso; lo amerò
comunicandomi a lui nella mia vita di amore eucaristico e gli
manifesterò me stesso nelle elevazioni dell'amore mistico”.
Sugli
errori circa la salvezza e la santificazione
Gli
Apostoli credevano che Gesù dovesse invece manifestarsi
gloriosamente e politicamente al mondo in un'affermazione di dominio
temporale, ed erano certi che tutta l'opposizione che gli faceva il
sinedrio si sarebbe conclusa in uno smacco vergognoso. Ora, sentendo
parlare di una sua manifestazione all'anima nel misterioso silenzio
dell'amore, se ne stupirono, e perciò chiamato Taddeo o Sebbeo, gli
domandò a nome di tutti: Signore, come avviene che manifesterai te
stesso a noi e non al mondo? Questo Apostolo capì che Gesù parlava
di una manifestazione interiore alle anime e, non supponendo che
potesse parlare di altri fuorché di loro, chiese che cosa fosse
avvenuto di nuovo per cui Egli riduceva il suo trionfo ad una
semplice illuminazione fatta nell'intimità del loro piccolo gruppo.
Per
questo, Gesù ritornò sul grande concetto di un trionfo interiore di
Dio nelle anime, e Soggiunse: Se uno mi ama osserverà la mia parola,
e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e faremo dimora presso di
lui. Ecco, in sintesi luminosa, l'essenza del trionfo di Dio: abitare
da Re trionfante, con la magnificenza della sua gloria, Uno e Trino
nell'anima che amandolo compie la sua Volontà e gli si dona.
Dicendo questo, Gesù guardò quegli eretici illusi che avrebbero
preteso di stabilire con Lui e con Dio un'intimità di grazia senza
compiere il bene e che avrebbero preteso di glorificarlo con una
sterile fede e con una tracotante fiducia; perciò, per eliminare
ogni equivoco, soggiunse: Chi non mi ama così, non osserva la mia
parola, e quindi chi non osserva la mia parola non mi ama. Ora, la
parola mia, che vi impone di amare osservando i miei Comandamenti,
non è mia, ma del Padre che mi ha mandato; non è un modo di vedere
qualunque o un'opinione, cioè, ma risponde al medesimo disegno di
Dio nella salvezza delle anime. È un comando di Dio, una Legge che
non può né avere eccezione né essere deformata da pensiero umano.
Rispondendo
all'apostolo Giuda Taddeo, Gesù proclamò un grande principio che da
solo basta a dissipare le oscure nebbie degli errori protestanti
sulla salvezza e sulla santificazione e da solo c'impegna ad essere
veramente anime amanti di Dio.
Il
trionfo di Dio in noi non consiste in uno sterile trionfo di
misericordia che ci trascina, inerti e lerci come siamo, nel suo
Regno, ma è un trionfo d'amore che risponde al nostro amore e ci
rende capaci di operare soprannaturalmente o - come dicono i teologi
– ci abilita a fare atti deiformi. Si noti l'abisso che corre tra
la verità e l'errore: questo afferma l'inutilità di operare il
bene, anzi, l'utilità di operare il male, presumendo così di
glorificare la grazia che salva; la verità, invece, proclama che
Dio, andando incontro all'anima che lo ama e osserva fedelmente i
Suoi Comandamenti, abita in lei nella gloria della sua Trinità e
produce in lei un organismo soprannaturale che, soprannaturalizzando
l'anima, l'abilita a fare atti deiformi.
La
vita cristiana, infatti, è una partecipazione alla vita stessa di
Dio, ed è evidente che Egli solo la può conferire; ora, Egli ce la
conferisce venendo ad abitare nelle anime nostre e dandosi
interamente a noi affinché possiamo rendergli i nostri ossequi e
lasciarci docilmente guidare da Lui a praticare le disposizioni e le
virtù di Gesù Cristo. Questa mirabile inabitazione della Santissima
Trinità in noi si attua quando noi amiamo Gesù, e noi lo amiamo
principalmente quando gli chiediamo perdono dei nostri peccati
attraverso il sacramento della Penitenza e quando ci comunichiamo
eucaristicamente con Lui Sacramentato. Andiamo da Lui per amore, e
perché lo amiamo il Padre ci ama; siamo da Lui attivati
soprannaturalmente e diventiamo tempio vivo della Santissima Trinità
che, vivendo in noi, rende deiformi le nostre azioni con la grazia.
Dio ci adotta come figli non per una semplice finzione giuridica,
com'è l'adozione legale, ma elargendo a coloro che credono nel suo
Verbo la divina filiazione: Dedit
eis potestatem filios Dei fieri, his qui credunt in nomine eius,
diede il potere di diventare figli di Dio a quelli che credono nel
suo nome (Gv 1,12). Questa filiazione non è nominale, ma effettiva:
Ut filii Dei
nominemur et simus,
affinché siamo chiamati figli di Dio (1 Gv 3,1), noi entriamo in
possesso della divina natura: divinae
consortes naturae.
Questa vita divina è certamente in noi soltanto una partecipazione e
una somiglianza, che fa di noi non degli dèi ma degli esseri
deiformi, ma è anche una realtà, una vita nuova, non uguale ma
simile a quella di Dio.
Dio
ha per noi la premura e la tenerezza di un padre, e si dà a noi
abitando nei nostri cuori. Dio ci si dà come amico, ci comunica i
suoi segreti, e ci parla non solo per la Chiesa ma anche
interiormente, per mezzo del suo Spirito; tutto sta, da parte nostra,
nell'acconsentire ad aprire la porte all'Ospite divino.
È
ciò che ci attesta l'Imitazione di Cristo quando parla delle
frequenti visite dello Spirito Santo alle anime interiori, delle sue
dolci conversazioni con loro, delle consolazioni e delle carezze di
cui le colma, della pace che fa regnare in loro e della stupenda
familiarità con cui le tratta. Dio rimane in noi come il più
potente collaboratore: opera in noi e supplisce alla nostra impotenza
per mezzo della grazia attuale; c'illumina sul nostro ultimo fine e
sui mezzi per conseguirlo; ci suggerisce buoni pensieri, di opere
buone; ci dona la forza e ci rende capaci di volere e a eseguire le
nostre risoluzioni; ci fortifica per renderci vittoriosi nelle
tentazioni; ci sorregge nelle stanchezze della natura e ci aiuta a
perseverare nel bene. Noi non siamo mai soli, anche quando privi di
consolazioni, ci crederemmo abbandonati; la grazia di Dio sarà
sempre con noi, a patto che noi consentiamo a lavorare con lei.
Appoggiati a Dio, onnipotente collaboratore in noi, saremo
invincibili, perché tutto possiamo in Colui che ci dà forza.
L'anima
deve pregare con le voci liturgiche della Chiesa
Dio,
venendo in noi e santificandoci, ci trasforma in un tempio santo,
adornato di tutte le virtù. Egli, Uno e Trino, Sorgente infinita di
Vita divina, vuol farci partecipare alla sua Santità; l'anima
diventa un sacro recinto riservato a Dio e si santifica, se solo con
umiltà e filiale abbandono si lascia portare dalla sua grazia,
donandosi a Lui veramente. Essa deve donarsi a Dio in una piena soave
schiavitù d'amore che, in realtà, è somma libertà, perché
infrange d'un colpo tutti i ceppi della natura. Deve vivere in Dio
adorandolo, umiliandosi e operando per suo amore nel pieno compimento
della sua Volontà; deve pregare per conversare con Lui e pregare con
le voci liturgiche della Chiesa, che sono come la lingua viva e
particolarmente efficace di questa santa Città dove abita Dio. Deve
proclamare il proprio nulla non per avvilirsi nelle opprimenti pene
dell'agitato scoraggiamento, ma per abbandonarsi all'infinita
misericordia di Dio, confidando. L'amore dell' anima verso Dio, che
abita in lei, dev'essere penitente nel rammarico di averlo offeso;
riconoscente nella gratitudine dei benefici avuti; intimo
nell'amicizia, che fa considerare più che propri gli interessi della
sua gloria, e generoso fino al sacrificio, fino all'oblio di sé e
alla rinuncia della propria volontà, per sottomettersi ai suoi
precetti, ai suoi consigli e alle sue speciali disposizioni nella
nostra vita. Chi pensa veramente a questo solo, ossia che è tempio
vivo della Santissima Trinità e che ha Dio nel cuore, come può
violare questo tempio e peccare? Come può profanare il proprio corpo
e abbrutirsi?
Siamo
tempio vivo della Santissima Trinità
Non
sapete – dice san Paolo (1Cor 3,16-17) – che siete tempio di Dio
e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno violerà il tempio di
Dio, Dio lo sperderà, poiché santo è il tempio di Dio che siete
voi. Bastano queste parole a raccogliere in Dio la nostra vita, a
farci desiderare la perfezione, che è il decoro del nostro tempio
vivo, e a tenerci stretti nella carità, poiché tutti siamo come
cappelle del tempio di Dio, uniti, per così dire, dalle linee d'una
stessa architettura, dalle linee luminose dei disegni del suo amore.
Che cosa orribile è un'anima in disgrazia di Dio, che cosa
ripugnante è un tempio vivo insozzato dall'impurità!
Nessuno
concepisce un tempio senza pulizia, senza elementi decorativi, senza
altare, deserto, desolato, privo di campane, di organo, di voci
osannanti nella preghiera, di lampade, di ceri, di fiori. Tanto meno
si può concepire un tempio diroccato, sporco, profanato, dove
risuonano frastuoni assordanti, bestemmie, ire, risse e dove si fa
scempio della Legge di Dio. Non sarebbe un tempio ma un covo.
Ora
guardiamo l'anima nostra, tempio vivo della Santissima Trinità, e
vediamo se possiamo macchiarla di peccato, tenerla muta nella
preghiera, desolata nell'offerta quotidiana di quanto ha, senza fiori
di virtù, senza cantici d'amore a Dio, senza luce di fede e senza
splendori di speranze eterne, che sono come le grandi finestre aperte
in alto sul limpido azzurro del cielo. Basta questa sola
considerazione per renderci vigilanti e accorti e per impedire
qualunque profanazione volontaria dell'anima nostra. Se viene satana
a tentarci d'orgoglio, l'anima nostra pensi con amore alla preghiera
del pubblicano e dica dal fondo del suo tempio vivo: Sii propizio a
me povero peccatore. Se satana ci tenta di avarizia, pensiamo che
dobbiamo essere generosi con Dio nel tempio consacrato alla sua
gloria. Se ci tenta d'impurità, consideriamo che siamo consacrati
dal Battesimo e dai Sacramenti e che ogni colpa è come un cumulo di
lordure gettate nel luogo santo. Se ci scuote il sistema nervoso e ci
spinge ad irrompere contro il prossimo, pensiamo al silenzio di pace
e di carità che è richiesto dal luogo santo che è in noi. Se ci
tenta di gola, consideriamo quale orrore sarebbe gozzovigliare nella
casa di Dio, accanto all'altare. Se ci spinge all'invidia o cerca
d'immobilizzarci nell'accidia, pensiamo che il tempio è luogo di
carità e di preghiera, è luogo che unisce tutti dinanzi a Dio col
vincolo dell'amore e che ci unisce al Signore col vincolo della
religione.
Il
pensiero che siamo tempio di Dio può farci santi veramente,
eliminando da noi il peccato, facendoci elevare in alto sino a Dio e
spingendoci nelle grandi vie della perfezione e dell'amore. Questo
pensiero è il più atto ad offrirci a Dio in una perfetta schiavitù
d'amore, poiché niente è più direttamente e completamente dedicato
a Lui quanto un tempio.
Che
cosa ammirabile potersi mettere la mano sul cuore e dire: “Sono
tempio della Santissima Trinità, tutto dedicato alla sua gloria!.
Sono di Dio, debbo esserlo sempre, non posso dissacrare neppure una
volta sola il mio cuore dedicato a Lui! Egli è il mio dolce padrone,
io sono il suo servo, io sono il suo schiavo d'amore, ma la mia
servitù mi nobilita e la mia schiavitù mi rende figlio della piena
libertà, e dà all'anima mia un volo grande d'amore”.
Tratto
da “I quattro Vangeli” del Sac. Dolindo Ruotolo
Commento al Vangelo di San Giovanni - Capitolo 14
Commento al Vangelo di San Giovanni - Capitolo 14
(Casa Mariana Editrice - Apostolato Stampa)
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