martedì 18 febbraio 2014

L'ABUSO DELLE GRAZIE.


Miei cari Amici,
ecco per cominciare un racconto sul Curato d’Ars (Les intui-tions du Curé d’Ars, di Mons. Trochu, Vitte éd., 1931).

Apostasia – Nel 1855 (o 1856) due ragazze di Bény, di professione sarte, intrapresero una domenica, all’una di notte, un pellegrinaggio ad Ars. Partirono a piedi con il proposito di ascoltare la Messa durante il cammino, come infatti fecero con devozione. Tutte e due erano molto pie e speravano ardentemente di potersi confessare dal santo di Ars e di ricevere la comunione dalle sue mani.

Una si chiamava Célestine Robin; dell’altra non diremo che il nome: Clémence. Clémence era la giovane più a modo della parrocchia, o almeno così si pensava; assidua alla Messa ogni mattina, ammessa alla comunione frequente, buona lavoratrice: le madri di famiglia la proponevano come modello ai propri figli.

Malgrado l’ardore dei loro vent’anni, le due giovani pellegrine arrivarono ad Ars sul far della notte. L’indomani, di buon’ora, presero posto fra le penitenti del santo curato. La loro attesa fu relativamente breve, perché il martedì, dopo la Messa, il santo sacerdote ascoltava le loro confessioni. Ebbero tuttavia una grande delusione: a entrambe egli consigliò di fare ritorno il giorno stesso nella loro parrocchia per ricevere la comunione il mercoledì mattina.

Il ritorno fu meno lieto dell’andata. Clémence in particolare sembrava triste, e la sua malinconia andò via via crescendo fino all’arrivo a Bény. Ormai vicina a casa disse a Célestine Robin:Non sono contenta del mio pellegrinaggio. Se l’avessi saputo prima, non sarei andata da don Vianney.

- Perché?

- Mi ha detto che apostaterò.

- Tu?

- Sì. Ecco le sue parole: “Figlia mia, il Buon Dio ti fa molte grazie di cui non fai un buon uso. Tu apostaterai.” Non ho capito bene. Cosa vuol dire apostatare?

- Vuol dire... non so bene neanch’io. Mi sembra che voglia dire cambiare religione... Ma, mia povera Clémence, quale religione sceglierai?

Célestine Robin la prendeva sul ridere. Poi le due amiche si separarono.




Clémence sarebbe rimasta a Bény due o tre anni ancora. Apparentemente, non pensava più alla predizione del Curato d’Ars. Lasciò la sua parrocchia per andare ad aiutare una vecchia zia che era domestica presso don Chanal, parroco di Vandeins, non lontano da Ars.

Alla morte di don Chanal, fu motivo di stupore lo scontento mostrato da Clémence per non essere stata ricordata nel testamento del sacerdote. Ma, per il resto, niente di riprovevole nella sua condotta. Poco dopo si sposò con un non credente, impiegato delle ferrovie a Mézériat, stazione vicina a Vandeins. Ebbe tre figli.

Si può ritenere che gli abusi di grazie si siano moltiplicati durante l’esistenza di questa povera donna. Infatti, abbandonò a poco a poco la pratica religiosa: di cedimento in cedimento cadde nell’empietà, fino a chiedere, in punto di morte, i funerali civili.

Si era resa davvero colpevole di apostasia.


Il Curato d’Ars, in un’intuizione profetica, aveva visto il risultato finale dei mille rinnegamenti parziali, delle mille piccole viltà di un’anima abbandonata alla tiepidezza. Senza dubbio non aveva visto le circostanze occasionali di una caduta così penosa, perché in questo caso le avrebbe fatto notare più nettamente l’abisso.

C’è qui il mistero dei giudizi di Dio. C’è anche un avvertimento, salutare per delle anime attente. San Paolo ha formulato questo avvertimento nella sua prima Lettera ai Corinzi: “Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.” E nel libro dell’Apocalisse è scritto: “Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.”


* * *


A prima vista, l’apostasia di quell’anima appare come il frutto di “mille piccole indolenze” il cui accumulo ha avuto risultati terribili. Si pensi, ad ogni modo, alla parabola del fico sterile che, non producendo i frutti che ci si aspettava da lui, alla fine è stato maledetto. In questa prospettiva si può temere sempre di lasciar cadere delle grazie, troppe grazie  o anche una sola  e cadere così in una inquietudine nociva alla fiducia, di cui il demonio approfitterà.

Ma uno sguardo un po’ profondo leggerà in questa maledizione e in questa sterilità, qualcosa di molto più semplice di un accumulo d’infedeltà, per quanto numerose possano essere. Vedrà in tutto ciò il frutto di un atteggiamento adottato una volta per sempre, un atteggiamento molto semplice che si oppone a quello che Madre Agnese, per definire la spiritualità di Teresa di Gesù Bambino, chiamava lo spirito principale.

Lo spirito principale, che caratterizza la via d’infanzia, è del tutto compatibile con l’accumulo di mille infedeltà, e anche con l’abuso delle grazie... purché ogni volta ci si rialzi con umiltà, nella contrizione di un cuore che ha veramente deciso di non fare mai dispiacere al buon Dio.

Questo è il nocciolo di ciò che il Curato d’Ars chiamava “lo stato spaventoso di un’anima tiepida”: un’anima che, molto semplicemente, non ha la preoccupazione divorante di piacere a Dio, a Gesù, alla Madonna e di non dar loro alcun dispiacere. Forse non pecca spesso, non rifiuta necessariamente molte grazie, ma una sola grazia rifiutata la lascia indifferente, non esce da un torpore di base riguardo all’amore, e l’idea di aver ferito il cuore di Dio non la ferisce a sua volta.

Allora, che sia una volta o mille, poco importa: una sola volta basta per stabilire un’anima nella tiepidezza se quest’anima non tenta mai di uscirne, a causa dell’indifferenza che si radica nell’orgoglio.

Quale orgoglio? In fondo, quello che rifiuta l’umiliazione di essere disturbato dall’amore. Perché l’amore è assolutamente umiliante, e più umiliante di tutte le umiliazioni. Ci si può difendere dalle umiliazioni, ma non ci si può difendere dall’amore se non rifiutando l’amore stesso. L’amore, se non è rifiutato, penetrerà come una spada (la Parola di Dio!) fino alla divisione delle giun-ture e del midollo, l’intimo dell’anima che il nostro orgoglio vuo-le proteggere, e ridurrà in briciole tutte le nostre difese proprio perché gliene apriamo le porte.

C’è dunque un’incompatibilità assoluta tra l’orgoglio e l’amore: la minima difesa, con cui proteggiamo la più piccola zona della nostra anima, rifiuta l’amore, gli impedisce di penetrare fino al punto di divisione delle giunture e del midollo. Poco importa che questo avvenga una o mille volte, perché una sola è mortale se non ci si converte versando lacrime che costano più care di tutte le umiliazioni.

Al contrario, l’anima che si consegna senza difese all’umiliazione dell’amore può resistere a tutte le grazie e abusarne in modo scandaloso: non resisterà al crollo provocato dall’amore stesso davanti allo spettacolo di ciò che ha fatto. Si scioglierà in lacrime “settanta volte sette,” se ha resistito tanto... e ognuna di queste volte riceverà il centuplo della grazia rifiutata, perché avrà aperto il suo cuore alla lacerazione dell’amore.

Maledetti siano gli orgogliosi, benedetti siano gli umili: il Curato d’Ars, Teresa di Gesù Bambino e il Vangelo non fanno che ripeterlo in continuazione. L’umiltà non consiste nell’abbassarsi, o nel restare al proprio posto, fosse anche l’ultimo: l’umiltà consiste nel crollare e nel lasciarsi lacerare ogni volta che la spada dell’amore bussa dolcemente alla porta del cuore con la timidez-za dello Spirito Santo.

E questo può darci fiducia oppure inquietudine più di ogni altra cosa, poiché, in definitiva, la sola cosa importante è sapere di che spirito siamo...

Festa della Presentazione 1999                               Fr. M.D., Molinié, o.p.


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