Con
lo sguardo dell'artista, Michelangelo
vedeva già nella pietra che gli stava davanti l'immagine-guida che
nascostamente attendeva di venir liberata e messa in luce. Il compito
dell'artista – secondo lui – era solo quello di toglier via ciò
che ancora ricopriva l'immagine. Michelangelo concepiva l'autentica
azione artistica come un riportare alla luce, un rimettere in
libertà, non come un fare. La stessa idea applicata però all'ambito
antropologico, si trovava già in san Bonaventura, il quale spiega il
cammino attraverso cui l'uomo diviene autenticamente se stesso,
prendendo lo spunto dal paragone con l'intagliatore di immagini, cioè
con lo scultore. Lo scultore non fa qualcosa, dice il grande teologo
francescano. La sua opera è invece una ablatio:
essa consiste nell'eliminare, nel togliere via ciò che è
inautentico. In questa maniera, attraverso la ablatio, emerge la
nobilis forma,
cioè la figura preziosa. Così anche l'uomo, affinché risplenda in
lui l'immagine di Dio, deve soprattutto e prima di tutto accogliere
quella purificazione, attraverso la quale lo scultore, cioè Dio, lo
libera da tutte quelle scorie che oscurano l'aspetto autentico del
suo essere, facendolo apparire solo come un blocco di pietra
grossolano, mentre invece inabita in lui la forma divina.
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