Meditazioni
Introduzione
ALLA SCUOLA DEL BUON LADRONE
Una delle esperienze umane più laceranti e insieme più
rigeneranti è quella della presa di coscienza del proprio peccato,
non solo di agire da peccatore ma di essere peccatore: e questo
coram Domino, davanti a Dio, come confessa il re Davide nel
suo Miserere: « Contro di te, contro te solo ho peccato» (Salmo
51,6).
È un'esperienza che investe di luce il proprio «io
» profondo: è la luce implacabile della verità su se stessi. E chi
ha il coraggio di lasciarsi penetrare da questa verità (cfr. 1
Giovanni 1,8: « Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi ») si trova di
fronte a due possibili sbocchi:
quello di chiudersi in se stesso crollando nella
disperazione, oppure quello di aprirsi a Dio nel segno della
speranza.
Sì, al peccato dell'uomo Dio, amore compassionevole
e misericordioso, risponde con l'appello alla conversione e,
quando questo viene accolto, con il dono della riconciliazione,
che purifica, libera e rinnova.
Così scrive l'apostolo Paolo alla comunità cristiana
di Corinto: « E’ stato Dio a riconciliare a sé il mondo in
Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la
parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per
Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in
nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio... E poichè
siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la
grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho
esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il
momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza» (2 Corinzi
5,19-20; 6,1-2).
Con queste stesse parole la Chiesa fa risuonare nel
cuore dei suoi fedeli l'appello alla conversione e alla
riconciliazione, con una forza e un'urgenza tutta singolare
specialmente all'inizio della Quaresima, il Mercoledì delle
Ceneri. Il suo è dunque un appello « quaresimale ». In realtà,
questo appello è « feriale», quotidiano, perché ogni giorno la
Chiesa è chiamata a vivere nella storia di un'umanità
peccatrice la sua preziosissima missione: essere segno e luogo
della misericordia di Dio per l'uomo peccatore. Instancabilmente
e con amore materno la Chiesa si rivolge alla coscienza degli uomini
e « supplica a nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con
Dio».
E così tutti ci sentiamo interpellati, sfidati nella
nostra libertà personale. Come non possiamo sfuggire
all'esperienza del peccato, così non possiamo sfuggire alla nostra
responsabilità: o accogliere o rifiutare l'appello alla
conversione e alla riconciliazione, aprire o chiudere il nostro
cuore alla « supplica» della Chiesa eco fedele della supplica
stessa di Dio « ricco di misericordia» (Efesini 2,4) in
Cristo per « lasciarsi riconciliare con Dio », per lasciarsi
riabbracciare come figli prodighi dall'amore e dal perdono del Padre
(cfr. Luca 15,2Oss).
Ora ci sono delle « figure evangeliche » che, nella
loro semplicità e insieme nel loro fascino, ci possono aiutare con
particolare efficacia ed incisività nel nostro cammino di distacco
dal peccato, di impegno nella conversione della mente, del cuore e
della vita e di affidamento all'amore misericordioso di Dio e
alla sua riconciliazione rigeneratrice.
Scegliamo, tra le tante, la figura del « buon ladrone
», così come ci viene tratteggiata dai Vangeli. Il fatto poi che
tale figura, forse, non è oggetto comune e abituale di meditazione
può essere un motivo in più per ricercare e approfondire spunti
significativi per il nostro cammino di conversione.
Fissiamo, dunque, lo sguardo del nostro cuore credente
sul « buon ladrone » crocifisso con Cristo.
Il racconto di Luca
Dei due malfattori appesi sulle croci poste ai lati di
quella di Gesù ci parlano tutti e quattro gli evangelisti,
offrendoci elementi in parte comuni e in parte specifici e
originali.
Matteo, dopo aver detto che « insieme con lui
furono crocifissi due ladroni, uno a destra e una a sinistra »,
ricorda gli insulti rivolti a Gesù da parte di «quelli che
passavano di là » e dei « sommi sacerdoti con gli scribi e gli
anziani », e infine conclude: « Anche i ladroni crocifissi con lui
lo oltraggiavano allo stesso modo » (27,38-44). Marco presenta,
sostanzialmente, lo stesso racconto (15,27-32). Giovanni non
ci racconta nulla né della loro crocifissione né dei loro insulti,
ma ci offre una novità tutta sua rispetto ai tre Sinottici, con
l'accenno alle gambe spezzate: « Vennero dunque i soldati e
spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso
insieme con lui » (19,32).
Il racconto evangelico più ampio e articolato
(anche se nel volgere di pochi versetti) lo dobbiamo a Luca, che
ci dà notizie più numerose e puntali sui due ladroni,
descrivendoci in particolare e in modo semplice, incisivo e
penetrante la straordinaria avventura spirituale del cosiddetto
« buon ladrone »: un'avventura che lo porta a « rubare »
dall'amore misericordioso di Dio il paradiso, lui che è stato
definito « il contrabbandiere del paradiso » (R. L. Bruckberger,
La storia di Gesù Cristo, Milano 1967, 411).
Passiamo allora alla lettura diretta del brano di Luca,
situato nel capitolo 23 del suo Vangelo (23,33-43).
33 Quando giunsero al luogo detto Cranio, là
crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a
sinistra.
34 Gesù diceva: « Padre, perdonali, perché non sanno
quello che fanno ». Dopo essersi poi divise le sue vesti, le
tirarono a sorte.
Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano
dicendo: « Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di
Dio, il suo eletto ».
36 Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano
per porgergli dell'aceto, e dicevano:
« Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso ».
38 C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è
il re dei Giudei.
39 Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:
« Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi! ».
40 Ma l'altro lo rimproverava: « Neanche tu hai timore
di Dio e sei dannato alla stessa pena?
41 Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per
le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male ».
42 E aggiunse: « Gesù, ricordati di me quando
entrerai nel tuo regno ».
Gli rispose: « In verità ti dico, oggi sarai con me
nel paradiso ».
È necessario ora passare dalla lettura del racconto di
Luca alla meditazione del suo ricchissimo contenuto. Ma questa
esige che si conosca il contesto nel quale si situa il
brano evangelico. Per la verità, sono due i contesti da prendere in
considerazione: quello più immediato del capitolo 23 e quello
più ampio dell'intero Vangelo di Luca.
Il capitolo 23 si divide in modo molto naturale
in due grandi parti: la prima (vv. 1-25) presenta il processo a Gesù
davanti a Pilato, con l'intermezzo della sua comparizione presso
Erode (vv. 8-12); la seconda (vv. 26-56) comprende la « via
dolorosa », la crocifissione, gli schemi e la morte. Diciamo subito
che « la celebrazione della prima "via crucis "deve fare
da paradigma alle infinite altre che seguiranno, perciò reclama due
presenze: Cristo e l'uomo. Cristo perché entri pienamente nel nostro
umano dolore; l'uomo perché partecipi intimamente alla sua
Passione. La sua via dolorosa incrocia la nostra e così l'uomo
non sarà più solo nella sofferenza » (U. Terrinoni, Il vangelo
dell'incontro. Riflessioni su Luca, Bologna 1997, 212).
È all'interno di questa seconda parte del capitolo
23 che si situa il nostro brano, che a sua volta comprende una
duplice serie di versetti:
da un lato, quelli relativi agli schemi rivolti a Gesù
dai capi, dai soldati e dal cattivo ladrone (vv. 35-39); e,
dall'altro lato, quelli del racconto dedicato al buon ladrone (vv.
40-43).
Non possiamo però fermarci alla « struttura letteraria
» del capitolo 23; dobbiamo allargare lo sguardo ad un contesto più
ampio, perché il racconto del buon ladrone acquista tutto il suo
significato solo se lo riferiamo al « messaggio »che comanda e
anima l'intero Vangelo di Luca, del « cantore della
misericordia divina » come amava chiamarlo Dante. E il
messaggio può essere così compendiato: Gesù, la misericordia
del Padre fatta carne, « e venuto a cercare e a salvare
ciò che era perduto» (19,10).
Sulla croce, nell'ultima ora della sua vita, Gesù
continua l'opera che il Padre gli ha affidato: quella di
rivelare e di comunicare a tutti, indistintamente, l'amore
misericordioso e salvifico di Dio. Anzi, qui, con il buon
ladrone Gesù porta a compimento quest'opera; in un certo senso, la
conduce al suo vertice.
Per questo l'episodio che ci apprestiamo a meditare,
anche se tratteggiato nel giro di pochissimi versetti, non è
affatto marginale o secondario nell'insieme del Vangelo di Luca.
Al contrario occupa un posto centrale nel racconto della
Passione: « In un certo senso, questo episodio diventa il punto
culminante e centrale del quadro lucano della crocifissione di
Gesù...; esso manifesta per l'ultima volta la misericordia
salvifica di Gesù verso la feccia dell'umanità » (J. A.
Fitzmyer, Luca teologo, Brescia 1991, 166). Un altro studioso
della Bibbia precisa: « Il racconto è interamente ordinato in
funzione del colloquio di Gesù con i malfattori e soprattutto in
funzione dell'affermazione fondamentale riportata al v. 43: "In
verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso" » (W.
Trilling).
In realtà, l'atteggiamento di Gesù verso il buon
ladrone può dirsi la sintesi e la consumazione della sua
missione di amore di predilezione verso i peccatori, verso «
chi si è perduto ». Il nostro brano diventa così un « piccolo
vange
lo » all'interno del « grande Vangelo» di Luca
su Gesù salvatore misericordioso.
In religioso ascolto della parola di Dio
« In religioso ascolto della 'Parola di Dio...». Con
questo incipit, con queste parole iniziali, la Costituzione
del Concilio Vaticano Il sulla divina Rivelazione ci invita a non
dimenticare mai, bensì a tenere sempre vivo e fresco il significato
originale e sorprendente della lettura della Sacra Scrittura. Il
testo sacro non è, infatti, un semplice « testo », uno
scritto dunque, anche se, appunto, « sacro ». E qualcosa di più
bello e grande, qualcosa di veramente vivo e profondamente personale.
Ecco come lo stesso Concilio ci presenta il significato
« specifico e qualificante » del testo scritturistico: « Nei libri
sacri il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro
ai suoi figli ed entra in conversazione con loro; nella parola di Dio
poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore
della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo
dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale » (Dei
verbum, 21).
Questa è dunque la verità profonda del nostro
incontro meditativo con il testo sacro: da un lato, Dio stesso ci
rivolge la sua parola, parola che ultimamente è « la parola
fatta carne », cioè Cristo Gesù; dall'altro lato, noi ci mettiamo
e rimaniamo in ascolto di questa parola, animati e sostenuti dallo
Spirito. Da questo incontro dialogico la parola di Dio diviene
per noi rivelazione del volto di Cristo e dell'uomo, fonte di
grazia e di santità, « parola viva che interpella, orienta e
plasma l'esistenza » (Novo millennio ineunte, 39).
Un teologo medioevale, Ugo da san Vittore, ha scritto
che « tutta la Scrittura è un libro solo e quest'unico libro è
Cristo » (L'arca di Noè, Il, 8). Così anche il breve brano
che Luca dedica al buon ladrone e che ora vogliamo meditare
accuratamente, non solo ci parla di Cristo, ma ci fa incontrare
realmente e personalmente Cristo: un incontro di conoscenza, di
contemplazione e di amore per un impegno di vita rinnovata.
Con umile fiducia preghiamo che a noi, poveri
peccatori, Dio doni la grazia di conoscere, contemplare e amare Gesù
Cristo nel mistero della. sua morte misericordiosa, fonte di
riconciliazione e di vita nuova nella gioia e nella pace!
Parte prima
L'AVVENTURA SPIRITUALE DI UN LADRONE
Crocifissero Lui e i due malfattori
« Quando giunsero al luogo detto Cranio, là
crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a
sinistra » (Luca 23,33).
Il luogo del supplizio porta il nome di «
Cranio » (in aramaico Golgota), non perché vi fosse
uno scarico di teschi, che peraltro era vietato dalle regole
della pietà, ma forse perché presentava la forma di una collina. Si
tratta di un luogo fuori la città di Gerusalemme, pare vicino al
lato settentrionale, dopo la seconda cerchia delle mura. Gesù, che
vi era entrato come re di pace, ora viene espulso dalla città, che
non ha più pace sino a che non riconosce la visita del suo Signore.
E così il benefattore finisce tra i malfattori, fuori le mura,
divenuto maledizione e peccato. Vi allude Gesù stesso nella parabola
dei vignaioli omicidi: « E lo cacciarono fuori della vigna e
l'uccisero » (Luca 20,15).
Gesù è condannato a morte e giustiziato:
nella modalità specifica della crocifissione, ossia
con « la più crudele e spaventosa pena di morte » (Cicerone), con
« la più miserabile di tutte le morti » (Giuseppe Flavio), con «
la punizione degli schiavi » (Tacito).
Anche noi ora vogliamo salire spiritualmente sul
Calvario e tenere fisso lo sguardo su Gesù, il Crocifisso. Gesù
è al centro: non tanto perché sta tra i due malfattori, quanto
perché è il vero e in un certo senso l'unico protagonista:
è il cuore vivo dell'avventura di salvezza che sulla croce si
compie. In realtà l'attenzione di tutti è per il Crocifisso: a lui
si guarda e di lui si parla, e in questione è sempre la sua identità
e la sua missione. E, dunque, il vero volto di Cristo che
l'evangelista Luca ci aiuta, in questo suo brano, ad ammirare,
contemplare e confessare nella fede.
Gesù è crocifisso tra due ladroni, come
testimonia anche l'evangelista Matteo: « furono crocifissi
allora insieme a lui anche due ladroni, uno alla sua destra e l'altro
alla sua sinistra »(Matteo 27,38). Un fatto, questo, che
rende ancora più pesante l'infamia della crocifissione.
Infatti, se già l'essere « appeso al legno » qualifica
davanti a tutti Gesù come un uomo che merita l'esecrazione (cfr.
Deuteronomio 31,23; Galati 3,13), come un
delinquente di diritto comune fuori legge, il fatto di trovarsi
insieme a due ladroni anzi di essere posto in mezzo lo fa apparire a
quanti lo vedono come il primo dei malfattori, come lo
scellerato numero uno.
Ma proprio in questo modo Gesù porta a compimento
l'annuncio dell'antico profeta Isaia: «E’ stato annoverato fra gli
empi » (Isaia 53,12). In realtà, durante tutta la sua vita
Gesù non aveva mai cessato di mettersi nel numero dei peccatori:
ha accettato di mescolarsi alla folla dei peccatori sulle rive
del Giordano per ricevere da Giovanni Battista il rito battesimale di
penitenza (cfr. Luca 3,21); ha accettato di sedere alla mensa
dei peccatori, senz'alcuna paura di suscitare scandalo (cfr. Luca
15,2). Alla vigilia poi della sua Passione, al momento di essere
arrestato nell'Orto degli Ulivi, Gesù dirà ai suoi nemici: « Siete
usciti con spade e bastoni come contro un brigante » (Luca
22,52).
Ora siamo al culmine: dei malfattori gli sono assegnati
come commensali di agonia! Veramente, dirà l'apostolo Paolo,
Gesù si è fatto « peccato, affinchè noi diventassimo giustizia di
Dio» (2 Corinzi 5,21).
Gesù sta al centro, i malfattori l'uno a destra e
l'altro a sinistra. E così « c’è solidarietà totale tra il
Giusto e i malfattori. Questi due rappresentano tutti noi
uomini, chiamati a leggere il mistero di Dio ormai presente al centro
delle nostre croci. Noi, di professione principale, siamo tutti
malfattori, facciamo il male. Ognuno poi lo fa secondo la sua
professione specifica »
(S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca,
Bologna, 768).
Ma loro, i due malfattori del Calvario, chi sono? Non
sono dei semplici ladri, finiti in tribunale per qualche furto
occasionale. Sono invece quei malviventi che tendono imboscate
lungo le strade, spogliano il viaggiatore solitario, lo caricano
di colpi e l'abbandonano senza conoscenza (cfr. Luca 10,30).
Ladri armati, dunque; « malfattori di professione », secondo il
termine usato da Luca (kakourgoi).
Forse saranno stati pagani (cioè stranieri) o giudei o
forse anche accesi attivisti del movimento zelota, uomini cioè
pronti ad osare tutto pur di ribellarsi e di rifiutare la
deprecatissima dominazione di Roma.
Ma « chi sono » quanto alla loro identità personale?
Per la verità non lo sappiamo, perché su questo il Vangelo mantiene
assoluto silenzio. E’ vero che una tradizione cristiana,
basandosi su alcuni testi apocrifi (come gli « Atti di Pilato »
e il cosiddetto « Vangelo di Nicodemo »), chiama il « buon
ladrone » col nome di Dismas o Dimas; e che una leggenda, riferita
ad esempio dall'apocrifo « Vangelo dell'Infanzia », sostiene
che faceva parte di una banda che catturò la Sacra Famiglia al tempo
della fuga in Egitto, ma che poi, incantata dal Bambino, la
rilasciò libera. E l'altro ladrone? E chiamato Gestas dal citato «
Vangelo di Nicodemo ». Ma siamo di fronte a... leggende!
Forse non è senza un qualche significato che il Vangelo
abbia scelto l'anonimato. Non permette a ciascuno di noi di
potersi, a suo modo, ritrovare Dio voglia! nel « buon ladrone »,
per ripercorrere come e con lui il cammino della conversione e della
riconciliazione? Commenta il gesuita Michel Ledrus: «
Quest'uomo resta senza nome proprio, perché la sua conversione
personale è tipica di tutte le conversioni autentiche. Sino
alla fine dei tempi i predestinati alla salvezza riconosceranno
in questi pochi versetti di Luca il compendio della loro storia,
della felice avventura della loro esperienza cristiana » (Alla
scuola del « ladrone » penitente, Roma 1992, 37).
Padre, perdonali
« Gesù diceva: "Padre, perdonali, perché non
sanno quello che fanno" » (Luca, 23,34).
Sulla croce Gesù porta a compimento l'annuncio del
profeta: ... .ha consegnato se stesso alla morte ed è stato
annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e
intercedeva per i peccatori » (Isaia 53,12).
Luca ama tenere fisso lo sguardo su Gesù ormai
innalzato tra cielo e terra, tra Dio e gli uomini peccatori. E questa
l'immagine più eloquente dell'unico Mediatore tra Dio e gli
uomini (cfr. 1 Timoteo 2,5), del grande sommo sacerdote
(Ebrei 4,14). Per questo egli è l'orante per eccellenza,
colui che prega. È dirà Tertulliano il catholicus Patris
sacerdos, il sacerdote universale del Padre!
Sì, proprio, la preghiera è la prima parola di Gesù
in croce. Ed è questa la prima parola che i due malfattori
sentono dalle labbra di Gesù, subito dopo la crocifissione.
« Gesù diceva...». Come indica il verbo
all'imperfetto, quella di Gesù è una preghiera ripetuta e
insistente, che sale in continuità dal cuore alle sue labbra. E una
preghiera filiale, rivolta al « Padre » (Abba, papà) nel
segno di un'intimità unica di amore, e dunque colma di confidenza e
di fiducia. E’ una preghiera che implora il « perdono » dei
peccati, con l'aggiunta della motivazione che i suoi uccisori «
non sanno quello che fanno ». Certo, egli non nega né attenua la
loro colpa: se non ci fosse colpa, l'intercessione di Gesù non
avrebbe alcun significato. Ma egli li scusa.
A chi si rivolge Gesù sulla croce? Certo, ai
suoi immediati uccisori. Ma anche agli Ebrei di allora
e ai loro capi, come ci testimoniano gli apostoli Pietro e Paolo. Il
primo, parlando agli « uomini d'Israele » dice: « Voi avete
rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato
un assassino e avete ucciso l'autore della vita... Ora, fratelli, io
so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi...»
(Atti 3,14-15.17). E Paolo, parlando ai Corinzi della «
sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio
ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria », scrive: «
Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se
l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della
gloria »(1 Corinzi 2,7-8).
In realtà, Gesù in croce chiede perdono per tutti i
peccatori, sparsi in ogni luogo e appartenenti ad ogni
tempo: prega anche per i due malfattori che gli stanno ai lati, prega
anche per noi, per ciascuno di noi, perché tutti in qualche modo
siamo responsabili della sua morte in croce.
« Padre, perdonali... ». Non si tratta di un perdono
donato direttamente da Gesù ai suoi uccisori e a tutti i peccatori,
ma di una preghiera rivolta al Padre, e dunque del perdono del
Padre agli uomini implorato da Gesù. In questo modo viene rivelata e
comunicata al mondo intero l'infinita misericordia del Padre: una
misericordia che si rivolge verso tutto « ciò che è perduto ». In
tal senso « la preghiera di Gesù non tanto rivela la grandezza e
l'eroicità del perdono di Gesù ai suoi crocifissori, quanto
manifesta l'amore di Dio per i peccatori » (B. Prete).
Con questa preghiera Gesù, per primo e in modo
superlativo, adempie al mandato che ha voluto lasciare ai suoi con
l'insegnamento del Pater: « rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori » (Matteo 6,12).
Anche se, ovviamente, Gesù non ha nessun « debito » che il Padre
gli deve rimettere. Gesù vive per primo soprattutto quanto ha
insegnato circa il « cuore » stesso delle esigenze evangeliche,
ossia l'amore al nemico. E così si rivela « Figlio
dell'Altissimo »: « Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i
vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro
che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano..
.Amate i vostri nemici... e sarete figli dell'Altissimo» (Luca
6,27-28.35).
C'è un ulteriore aspetto della preghiera di Gesù che
merita di essere rilevato. Con il suo comportamento Gesù « ha
inventato un nuovo modo di essere martire « (M. Galizzi), un
modo che verrà seguito poi dai suoi discepoli, primo fra tutti
dal diacono Stefano. Questi, infatti, muore pregando per i suoi
lapidatori e gridando forte: « Signore, non imputar loro
questo peccato » (Atti 7,60). Siamo di fronte ad una
novità cristiana. In realtà, prima di Gesù i martiri
giudaici, come ad esempio i fratelli maccabei e la loro eroica
madre, pregano si per il popolo, ma maledicono e augurano ogni sorte
di male ai persecutori: li insultano, li schemiscono, li
disprezzano, ne provocano l'ira, preannunciano loro castighi
spaventosi. Non pensano minimamente di invitarli alla conversione,
non si sognano lontanamente di pregare per loro. Questo, invece, fa
il Signore Gesù in croce. E il Giusto che, per i nemici ingiusti,
condannato assolve, giudicato giustifica, disprezzato prega!
Può sembrare, e in realtà lo è, una preghiera
sconcertante quella di Gesù, così sconcertante che alcuni antichi
codici, anche autorevolissimi, l'hanno ritenuta scandalosa e
conseguentemente l'hanno omessa. Ma si tratta di uno sconcerto
che apre allo stupore di fronte all'anima immensa di Cristo che
nella sua preghiera ci viene svelata: i suoi crocifissori
rientrano anch'essi nel disegno sapiente e amoroso del Padre; ed
allora come potrebbe Cristo non amarli? Il suo perdono è si
generosità verso i nemici, ma è ancor più l'accoglienza pronta e
cordiale della volontà del Padre.
Non è difficile ora rispondere all'interrogativo:
la preghiera di Gesù è stata ascoltata dal Padre, e dunque gli
uomini peccatori tutti hanno « diritto » di nutrire piena fiducia
di ricevere il perdono da parte di Dio « ricco di misericordia
»? La risposta, indubbiamente affermativa, non è da noi ma
dallo stesso Vangelo. Infatti, è questa la terza volta che Gesù
prega durante la sua passione. Egli ha pregato per Pietro ed è stato
ascoltato: il discepolo non èvenuto meno nella fede, ha solo avuto
paura di dichiararsi pubblicamente dalla parte di Gesù (Luca
22,31-32.56-62). Ha pregato poi nell'Orto degli Ulivi per sé
e il Padre gli ha mandato un angelo dal cielo per dargli forza
(Luca 22,42-43).
Ora Gesù chiede perdono per i suoi persecutori. Ma
verrà ascoltato dal Padre? La sua preghiera verrà esaudita? Si, il
« buon ladrone »è il primo testimone: la luce che tra poco
colpirà il suo cuore è il segno che il perdono del Padre è
accordato a colui che volge il suo sguardo al Crocifisso: «
Chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà (il serpente di
bronzo) resterà in vita» (Numeri 21,8). Ma non c'è solo il
« segno », c'è l'attestazione di Gesù stesso con la parola
rivolta al ladrone pentito: « Oggi sarai con me nel paradiso »
(Luca 23,43).
Così Gesù ci si rivela come redentore dell'uomo e
salvatore del mondo: lo è non solo con la sofferenza e la morte di
croce, ma anche con la sua preghiera che implora perdono per i
peccatori. Ce lo ricorda l'autore della lettera agli Ebrei: « Nei
giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con
forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu
esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia
l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di
salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono,
essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di
Melchisedek » (Ebrei 5,7-10).
Lo schernivano
Sul Calvario, ai piedi di Gesù crocifisso,
l'evangelista Luca ci presenta diverse categorie di persone. Le
vogliamo passare in rassegna.
Ci è dato di incontrare, anzi tutto, chi si fa
solidale con la sofferenza di Gesù: mentre ne prova una pena in
un certo senso infinita, vorrebbe togliere o almeno attenuare
questa sofferenza così ingiusta. Ecco allora Maria, la madre,
e con lei le pie donne, il discepolo prediletto e qualche passante
che si muove a compassione.
Incontriamo poi il popolo « che stava a vedere
» (Luca 23,35). Il popolo sta immobile a guardare, come può
avvenire in un teatro o in un'arena; non dice nulla. Non è però
indifferente: non può non pensare a quello che ha fatto, perché
prima pendeva dalle labbra di Gesù (cfr. Luca 19,48;
21,38), poi con rabbia ne ha chiesto la crocifissione (cfr. Luca
23,18.21) ed ora è testimone muto di un Gesù innalzato sulla
croce. È testimone muto e in qualche modo impotente: per questo
« condannato », il popolo non può fare altro che assistere
alla sua tragica esecuzione capitale.
Ma come reagirà, in seguito? Luca dirà che « tutte le
folle che erano accorse a questo spettacolo, avendo visto da
spettatrici l'accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto »
(Luca 23,48). Sì, lo spettacolo del Crocifisso non lascia
spazio all'indifferenza o alla neutralità: ciascuno di noi, in
un modo o in un altro, è necessariamente coinvolto e non può
non prendere posizione nei riguardi di Gesù in croce: o a
favore o contro! Tertium non datur: non c'è altra possibile
scelta!
Sul Calvario incontriamo ancora altre persone: sono
quelle che, per aggravare maggiormente la sofferenza mortale di
Cristo, ricorrono allo scherno offensivo, al sarcasmo
provocatore. Sono, in particolare, i capi del popolo, i soldati
romani, uno dei due malfattori crocifissi insieme a Gesù.
Dei capi e dei soldati Luca dice che
schernivano Gesù. Il verbo all'imperfetto significa che essi lo
schernivano ripetutamente, e nella lingua greca indica la loro
crudele soddisfazione nel vederlo finalmente immobile in croce,
immerso nel silenzio e definitivamente sconfitto : « Non c'è
pietà per chi non ha più alcun potere, per un re che ha per corona
un fascio di spine » (S. Garofalo). Il loro grido è una sfida, ma
anche una beffa e un'irrisione: e il canto della loro vittoria!
Ma questi tre gruppi di persone meritano una riflessione
distinta e specifica.
Incominciano i capi dei giudei: « I capi ... lo
schernivano dicendo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se
è il Cristo di Dio, il suo eletto" »(Luca 23,35).
Se « pende dal legno », è evidente che Gesù è un «
maledetto da Dio ». Non è lui, allora, il Salvatore promesso, il
Cristo, l'Eletto di Dio! Per essere il Salvatore non basta che egli
salvi gli altri: deve dimostrare di avere la forza di salvare se
stesso. Non deve, dunque, rimanere inchiodato in croce. Ma questa
forza il « salvatore » non l'ha!
Ora è la volta dei soldati pagani, ai quali come ha
detto Gesù è stato consegnato il Figlio dell'uomo (cfr. Luca
18,32) e che, senza saperlo, realizzano la profezia del salmista:
« Hanno messo nel mio cibo veleno, e quando avevo sete mi hanno dato
aceto » (Salmo 69,22); « Spalancano contro di me la loro
bocca come leone che sbrana e ruggisce » (Salmo 22,14).
Scrive Luca: « Anche i soldati lo scherniva-no, e gli
si accostavano per porgergli aceto, e dicevano: "Se tu sei il re
dei Giudei, salva te stesso" » (Luca 23,36-37). I
soldati si accanisco-no contro il giustiziato e lo sfidano a
dimostrare la potenza della sua pretesa regalità, salvando
se stesso. Collocando poi, in questo punto preciso, il cartello posto
« sopra il suo capo »con l'iscrizione della condanna (« questi è
il re dei Giudei »: v. 38), l'evangelista sembra rendere ancora
più sarcastico e velenoso lo scherno dei soldati. Anche per loro è
del tutto evidente che Gesù non è affatto un salvatore!
Infine un malfattore: « Uno dei malfattori
appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te
stesso e anche noi!" » (Luca 23,39). Per questo
malfattore, il « cattivo ladrone », l'evangelista riserva un
verbo greco che esprime non solo lo scherno ma anche un vero e
proprio disprezzo: « lo bestemmiava ». Forse nella disperazione
della sofferenza, questo ladrone si aggrappa con tutte le sue
forze alla vita che inesorabile gli sfugge. Non vuole morire!
Per questo chiede a Gesù un atto di potenza messianica, con la
quale salvi insieme se stesso e loro. Sì, rivendica la salvezza
dalla « fonte » giusta, ossia dal Cristo Messia, ma la esige in un
modo riduttivo e distorto, perché pretende di imporne i tempi e le
modalità: il Cristo deve intervenire ora, qui, per tutti e tre; deve
liberarsi, scendere dalla croce e portare con sé anche loro
due. Comprendiamo allora perché la sua richiesta suona come una
bestemmia: in realtà, il disegno di salvezza di Dio si sta
realizzando già da tempo, secondo la logica della sapienza e
dell'amore di Dio la « logica della croce » , non invece secondo
la logica del cattivo ladrone.
Ci è possibile ora riassumere il senso generale
degli schemi rivolti a Gesù in croce. Nel vociare scomposto e
irriverente dei capi, dei soldati e del malfattore sembra di
riascoltare le parole che durante il processo di Gesù avevano
definito la sua identità: se sei il Cristo, se sei il re dei Giudei.
Gli insulti sarcastici dei tre gruppi che stanno
sotto la croce sono, nella loro formulazione e nel loro contenuto,
equivalenti. Presentano tutti, infatti, due parti: l'una formulata in
chia ve ipotetica (se sei il Cristo di Dio, se sei il
re dei Giudei) e l'altra espressa cOn Un imperativo (salva te
stesso'.). AI di là delle varianti, emerge un unico grande tema,
sottolineato peraltro anche dal martellante grido degli
schernitori « salva te stesso. »: quello della identità di
Gesù, il Messia, il re dei Giudei, ed inscindibilmente quello della
sua missione di Salvatore. Dal Messia, infatti, ci si
attendono atti di salvezza, perché la prerogativa del Messia è
appunto di essere il Salvatore.
Paradossalmente sono proprio questi insulti a condurci
al cuore del dramma che si sta consumando sul Calvario e nel
quale viene coinvolto il buon ladrone.
Salva te stesso e anche noi
« Salva te stesso e anche noi.» Ma è proprio vero che
il Cristo, il Messia, e il Salvatore del mondo?
Certamente. Cristo è il Salvatore'. E questa la verità
centrale, che in continuità viene proclamata dai Vangeli e in
particolare da quello di Luca. Quando annunciano la nascita di Gesù,
gli angeli dicono ai pastori: «Oggi vi è nato nella città di
Davide un salvatore, che è il Cristo Signore » (Luca 2,11).
Così, dunque, all'inizio della vita di Gesù. Ma aùche ora, con la
croce,
quando cioè siamo al termine della sua vita, di nuovo
ritorna, anzi si compie in modo supremo e definitivo l'annuncio
che Cristo è il Salvatore.
Sì, ritorna e si compie questo annuncio. Ma attraverso
una tremenda sfida: quella del grido provocatorio che esce dalle
labbra blasfeme dei capi del popolo, dei soldati e del malfattore
crocifisso con Gesù: ma è proprio vero che Cristo, il
Messia, è il Salvatore del mondo?
Qui sul Calvario nel grido di queste persone risuona la
voce che aveva scossO il silenzio del deserto: la voce del grande
tentatore. È nel deserto che il diavolo mette a prova il Signore
Gesù: se sei il Figlio di Dio, trasforma i sassi in pane, buttati
giù dal pinnacolo del tempio, prostrati davanti a me in
adorazione! Dunque, manifèstati agli uomini come il grande
Messia, potente e trionfatore (cfr. Matteo 4,1-11; Luca
4.1-13).
Ma mentre nel deserto, agli inizi d&1 suo ministero,
Gesù risponde in modo puntuale e tagliente al tentatore ricorrendo
all'autorità indiscussa della parola di Dio, qui, sulla
croce, Gesù tace. Proprio questo silenzio rende più drammatico
interrogativo,lo lascia totalmente aperto, senz'alcuna risposta:
ma è proprio vero che Cristo, il Messia, è il Salvatore del mondo,
se non ha la forza di salvare se stesso e gli altri?
L'interrogativo non è solo di allora, non èsolo dei
capi, dei soldati e del malfattore; èanche di ogni tempo nella
storia, è anche di oggi, dunque, e provoca in un certo senso tutti
gli uomini, compresi gli stessi credenti, ogni qualvolta il mondo
presenta i segni del male, della falsità, dell'ingiustizia, della
corruzione morale, della violenza e del sangue, del misconoscimento
dei diritti umani dei più deboli.
Ma, se Dio è veramente bontà onnipotente, perché
tollera tutto questo male? Ma, se Cristo è veramente il Salvatore
del mondo, perché permette tutte queste iniquità e non investe la
storia con un'improvvisa ed enorme ventata di libertà così da far
esplodere i legami di queste intollerabili schiavitù? In termini
concisi e forti, san Tommaso d'Aquino esprimeva la singolare
difficoltà religiosa insita nell'interrogativo sul « perché »
della sofferenza umana con un dilemma d'estrema chiarezza e
drammaticità: « Se Dio esiste, non vi sarebbe nessun male nel
mondo. Ma nel mondo si trova il male. Quindi Dio non esiste » (Summa
Theologiae, 1,2,3).
Come rispondere? E chi deve rispondere? Non dovrebbe
essere proprio lui, il Signore Gesù, che è venuto a salvarci con la
sua morte in croce?
E invece la croce sembra irrimediabilmente avvolta da un
silenzio cupo e inquietante, che niente e nessuno riescono a
infrangere. Appeso al legno, Gesù non è forse il grande
sconfitto? Così, il lungo. interminabile silenzio del
Crocifisso non dà forse ragione a quanti lo insultano? Non
costituisce forse uno scandalo anche per noi credenti? Non è,
comunque, una sfida per la nostra fede in Gesù, che professiamo
quale vero e unico Salvatore del mondo?
Non ha fatto nulla di male
Ma ecco che Gesù stesso rompe questo suo opprimente
silenzio. E lo fa nel dare una inattesa e sorprendente risposta
al malfattore crocifisso con lui. Si, è malfattore, è
condannato a morte, ma ormai per lui si sta aprendo un nuovo
cammino di vita: è il cammino della conversione, che lo rende
candidato alla salvezza e alla vita.
L'evangelista Luca, con la sua testimonianza, ci
aiuta a penetrare a fondo nell'animo di questo uomo. Così ci è dato
di coglierne i sentimenti più nascosti e soprattutto di
riconoscerne la presenza della grazia del Crocifisso. Proprio
questa grazia, invisibile ma così reale, opera in lui « grandi cose
»: lo illumina e lo sospinge fortiter et suaviter,
fortemente e soavemente, a raggiungere la verità di quel
Gesù che sta morendo sulla croce.
Così il malfattore incomincia a dissociarsi dallo
scherno e dall'irrisione del suo compagno di sventura. Una
dissociazione netta e radicale, che lo porta a muovergli rimprovero:
« Lo rimproverava: "Tu non hai neanche timore di Dio,
benché condannato alla stessa pena?" » (Luca 23,40).
La Bibbia della CEI, traducendo «Neanche tu hai timore
dì Dio? », lascia intendere che, come i capi e i soldati, anche il
malfattore sta dimostrando di non temere Dio. In realtà, poiché la
negazione « neanche » è legata al verbo ”temere” e non al
pronome « tu », il senso del vero è il seguente: tu non hai avuto
timore degli uomini e così sei arrivato a questa non hai neppure
timore di Dio? Potresti avere almeno questo!
Emerge qui il primo passo nel cammino della
conversione: sotto l'influsso della grazia, il buon ladrone si apre a
quel timore del Signore che è principio di conoscenza
e di saggezza vita dell'uomo.
Segue un altro importante passo: il riconoscimento
della propria colpevolezza. E un altro passo ancora: il
riconoscimento dell'innocenza di Gesù. Il malfattore,
infatti, così continua: « Noi giustamente, perché riceviamo
il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di
male" » (Luca 23,41).
Dunque il malfattore riconosce apertamente la sua colpa
e fa presente al suo compagno che la loro sofferenza è giustamente
meritata, mentre non lo è affatto quella di Gesù: la sua è
del tutto ingiusta. Troviamo così un altro momento
significativo e importante del cammino di conversione: il « buon
ladrone » non pensa soltanto a se stesso, ma anche al suo
compagno; vuole coinvolgerlo nel suo stesso cammino, convincerlo
dunque del male che ha fatto e, nello stesso tempo, della piena
innocenza di Gesù. Convincerlo, e così portarlo alla «
conversione». In un certo senso si fa « apostolo »
(M. Ledrus).
Sì, Gesù «non ha fatto nulla di male »: egli
èinnocente, è « il giusto »! Non può infatti morire in questo
modo, ossia perdonando, uno che èmalfattore, uno che non sta dalla
parte di Dio! È interessantissima questa proclamazione
dell'innocenza di Gesù: lo è tanto più perché viene da chi è
qualificato come « malfattore ». È quella stessa innocenza
che, dopo la morte di Gesù, sarà riconosciuta anche dal centurione
romano: « Veramente quest'uomo era giusto » (Luca 23,47).
Nei discorsi poi degli apostoli dopo la risurrezione, ossia dopo la
vittoria sulla morte, l'innocenza di Gesù verrà riaffermata
continuamente, nella forma di un « ritornello », nel segno
di una fede colma di gioia e di fierezza: Gesù non ha fatto nulla di
male, è innocente: Egli è l'Innocente! (cfr. Atti 2,22;
3,13; 7,52; 22,14).
Il riconoscimento della propria colpevolezza,
confessandosi peccatore, ha un grande valore morale: è la
testimonianza che in questo malfattore vi è ancora un residuo di
verità e di giustizia; è il segno che, attingendo a questo residuo,
egli vuole essere finalmente sincero con se stesso, e dunque « dire
» apertamente la verità di se stesso e degli altri. È, questo, un
passo importante nel cammino della conversione, tanto più
significativo quanto più l'esperienza quotidiana ci insegna che
non è facile saper riconoscere le proprie scelte sbagliate e, ancor
più, le proprie azioni peccaminose.
Insieme al riconoscimento della propria colpevolezza
troviamo qui la proclamazione dell'innocenza di Gesù. E un
ulteriore passo che il buon ladrone compie sulla strada della
conversione, caratterizzata non solo da un'esigenza di verità e
di giustizia, ma anche da un sentimento di vera e propria bontà
d'animo nei confronti di Gesù. E così da morale il cammino di
conversione si fa sempre più religioso, sino a divenire una «
vera confessione» che apre alla salvezza. Lo testimoniano le
parole che il buon ladrone sta per rivolgere direttamente a Gesù: «
Ricordati di me ».
Gesù, ricordati di me
Ora il cammino di conversione del buon ladrone registra
una nuova tappa, di singolare e decisiva importanza. E la tappa della
preghiera. Così infatti si rivolge a Gesù: « Gesù,
ricordati di me quando entrerai nel tuo regno »(Luca 23,42).
Come non rimanere sorpresi di fronte a questa
preghiera, segnata da una fiducia e da una confidenza così
straordinarie? Tra tutte le preghiere che ci sono state
tramandate dai grandi oranti, nessuna è così breve eppure così
perfetta: ciascuna parola è importante, ricca di significato,
perché viene da un cuore ormai profondamente cambiato e reso
nuovo da una grande fede.
« E diceva: "Gesù..." ». Così
il testo originale apre il versetto 42. Il verbo, dunque, è
all'imperfetto, per sottolineare che il buon ladrone rivolge a
Gesù la sua accorata implorazione non una sola volta, ma ripetendola
continuamente. Potremmo dire: « Trovandosi tra i tormenti
strazianti della crocifissione, non pensa che a ripetere più volte
ciò che più gli urge nel cuore: "un ricordo'. Lo chiede in
nome di un cameratismo nella sofferenza e nella morte; lo
chiede in nome di una certezza: Gesù è innocente e la croce è
il suo vero trono...!» (U. Terrinoni, op. cit., 222).
Il malfattore pentito si rivolge a Gesù
chiamandolo con il suo proprio nome. Anche questo è
particolarmente significativo, perché èquesta l'unica volta, in
tutto il Nuovo Testamento, in cui troviamo « Gesù » al
vocativo, senza alcun aggettivo o titolo. Sì, è molto sorprendente
che proprio lui, il ladrone, primo e unico in tutti i testi
neotestamentari, non aggiunga alcun titolo al nome « Gesù »!
Altrove, nel Vangelo di Luca, anche altre persone si rivolgono in
preghiera al Maestro, ma aggiungono sempre qualche
specificazione: « Gesù maestro, abbi pietà di noi! », gridano a
distanza i dieci lebbrosi (Luca 17,13); «Gesù, Figlio di
Davide, abbi pietà di me! », implora ad alta voce il cieco di
Gerico (Luca 18,38). Nel Vangelo di Marco leggiamo
l'appellativo: « Gesù di Nazaret » (Marco 1,24) e
negli Atti degli Apostoli quello di «Signore Gesù» (Atti 7,59).
Perché proprio ora viene usato il semplice nome « Gesù
», senza alcuna aggiunta? Forse l'evangelista vuole far emergere, in
tutta la sua bellezza e forza, quella dimensione della « salvezza »
che questo semplice nome esprime nella lingua ebraica: Jeshù -
Jeshuà vuol dire, appunto, « Dio salva » o « Dio è salvatore
». Il buon ladrone lo chiama con il suo semplice nome, come si
chiamerebbe un amico, o piuttosto come se si gridasse: « Aiuto
»! Ma se Gesù significa « Dio salva », anche il compagno di
sventura, anche gli altri i capi del popolo e i soldati non hanno
in bocca che questa parola, « salvatore ». Solo però il buon
ladrone ha la fede in colui che può salvarlo: e questa fede è
interamente contenuta in questa parola, « Gesù ».
« Ricordati di me ». Il buon ladrone non
elemosina altro che un ricordo: conservami nella memoria del tuo
cuore, « non ti scordare di me »! E non è, questa, la supplica di
colui che ama e sta per essere separato dall'amato? Ma, che significa
nel nostro caso il « ricordo »? Può forse bastare un puro richiamo
alla memoria? O non esige piuttosto qualcosa che tende a tradursi
in un fatto, in un evento concreto? Si, èproprio quest'ultimo il
senso che la Bibbia attribuisce al ricordo, come appare ad
esempio dalla preghiera che l'antico orante d'Israele
rivolgeva al Signore in punto di morte o che l'intero popolo
scioglieva nel tempio dicendo: « Ricordati di noi, Signore, per
amore del tuo popolo, visitaci con la tua salvezza » (Salmo
105,4).
Ci dobbiamo allora chiedere: che cosa esprime
precisamente la preghiera del malfattore pentito? Quale il contenuto
concreto del « ricordo » implorato da Gesù? Quella del buon
ladrone è una preghiera che dice non solo una grande speranza, ma
anche una grande certezza! Il neoconvertito ha capito, da
quanto è avvenuto in sua presenza sul Calvario, che Gesù avrà
nell'altra vita un futuro di gloria, così come ha capito,
dall'iscrizione del cartello affisso in croce, che sarà investito di
una regalità. Ora egli riconosce che Gesù è re e insieme
intuisce la natura di questo regno: è un regno di misericordia,
tanto che lui può affidarsi a Gesù, a quell'uomo che sta morendo li
« con lui » sulla croce. E rimane in attesa della sua venuta alla
fine dei tempi, quando Gesù si manifesterà a tutti come il Re
Salvatore.
Rimane in attesa, senza alcuna ombra di dubbio:
«Ricordati di me quando sarai nel tuo Regno». E sicuro di
stare accanto al Re. Non siamo così di fronte ad una «
confessione di fede» in Cristo Re? Sì, se la regalità di
Cristo è oggetto di derisione da parte dei soldati, che l'avevano
incoronato di spine, essa è invece riconosciuta apertamente da parte
del buon ladrone. San Giovanni Crisostomo in qualche modo se ne
meraviglia e così si rivolge al ladrone: « Che cosa strana,
inaudita! La croce è sotto i tuoi occhi e tu parli di regalità!
Che cosa vedi che ti possa far ricordare la dignità regale? Un uomo
crocifisso, contuso dagli schiaffi, schiacciato dalle beffe e dallè
accuse, coperto dagli sputi, lacerato dai flagelli: è da questi
segni che tu riconosci un re? » (Sermo in Genesim).
Ma il ladrone non si ferma all'apparenza, vede con gli
occhi della fede. E la confessa:
una fede, così cantata da sant'Agostino: « Che fede!
Ad una tal fede io non so che cosa si potrebbe aggiungere. Coloro che
hanno visto Cristo risuscitare dai morti hanno vacillato; egli invece
ha creduto in colui che vedeva appeso al legno accanto a sé.
Nell'istante stesso in cui i primi hanno vacillato, egli ha creduto.
Che bel frutto ha colto questo bandito sul legno secco! »(Discorso
232).
Così, « in un momento di smarrimento generale non
c e che un "brigante" a tener alta la fede in Cristo. I
nemici trionfano, i discepoli e gli apostoli sono scomparsi; solo
questo anonimo condannato confessa la messianicità di Gesù,
nonostante che lo veda pendere dalla croce vinto e umiliato. Un così
alto esempio di fede non è dato vedere che raramente o mai nei
Vangeli. Tutti coloro che hanno dichiarato pubblicamente la
messianicità di Gesù l'hanno fatto sempre in occasione di qualche
miracolo, mai in circostanze così infauste. Riconoscere il Messia,
che sta per prendere possesso del regno attraverso la morte in
croce, è fede cieca di cui i Vangeli non ricordano altro esempio »
(O. Da Spinetoli, Luca, Assisi 1982, 714).
Oggi sarai con me
« Gli rispose: "In verità, in verità ti dico,
oggi sarai con me nel paradiso" » (Luca 23,43).
Alla preghiera del buon ladrone Gesù offre una
risposta: pronta, breve ma solenne e sorprendente.
La risposta si apre con una formula che impegna
solennemente la parola data, perché carica di tutto il peso
della propria autorità, dignità e credibilità: « In verità
ti dico...», Amen, secondo il termine aramaico pronunciato da
Gesù e che i primi traduttori della Bibbia hanno conservato
intatto e che Luca usa qui (mentre in tutto il suo Vangelo lo
usa raramente). Esso significa: « è vero, sono sicuro, lo
garantisco, lo giuro».
Siamo così di fronte ad un giuramento da parte
di Gesù. E a quale giuramento! In un certo senso è unico: « Nessun
uomo scrive W. Trilling aveva ricevuto da parte di Gesù questa
garanzia strettamente personale di vivere con lui in paradiso.
Ma ora avviene proprio questo, nell'ora in cui tutta l'opera di Gesù
sfocia nella sua consumazione ».
Il buon ladrone aveva chiesto un ricordo dicendo «
quando entrerai nel tuo regno ». Gesù gli risponde: « Oggi sarai
con me », come se dicesse: « Non avrò bisogno di ricordare; è
adesso. Non dovrò ricollocarti nel mio spirito, né sarà necessario
cercarti da qualche parte: io ti porto con me, partiamo insieme »
(R. Bernard). Commenta sant'Agostino: « Sperava di ottenere la
salvezza soltanto in futuro, si contentava di riceverla in un
lontano domani, ed ecco che ode la risposta: "Oggi stesso",
"Oggi tu entrerai con me in paradiso" » (Esposizione
sui Salmi, Salmo 39). Si, la salvezza sperata in un giorno
lontano viene garantita oggi con sovrana autorità.
È qui da notarsi come l'oggi sia un termine
presente in continuità nel Vangelo di Luca, dove riveste un
particolare rilievo e significato. E l'oggi della salvezza: «
Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore », dice
l'angelo del Signore ai pastori di Betlemme (Luca 2,11);
« Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con
i vostri orecchi », proclama Gesù nella sinagoga di Nazaret
(Luca 4,20); « Oggi la salvezza è entrata in questa casa »,
dice il Signore a Zaccheo (Luca 19,9).
Come si vede, questo oggi appartiene a Gesù in
quanto è il Salvatore, in un certo senso coincide con Gesù
stesso. Proprio per questo l'oggi penetra e pervade ogni
tempo, il passato il presente e il futuro, come confessa
l'autore della lettera agli Ebrei; « Gesù Cristo è lo stesso ieri,
oggi e sempre! » (Ebrei 13,8).
Ora Gesù, il Salvatore, garantisce al buon ladrone
la salvezza in prima persona e subfto. Così il giorno della sua
morte in croce diventa il giorno dell'irùzio della vita piena e
della gloria definitiva.
Ma in che consistono la salvezza, la vita piena, la
gloria definitiva? La risposta sta nelle parole di Gesù: «
Oggi sarai con me nel paradiso ». Se è sul termine « paradiso »
(è questa l'unica volta che compare in Luca) che di solito si
concentra l'attenzione per ritrovarvi il giardino dell'Eden
ossia il luogo della felicità, è piuttosto sul « con me » che
occorre fermarsi, come ci suggerisce san Giovanni Crisostomo: «
E un grande onore entrare in Paradiso, ma è un onore ancora più
grande entrarvi con il Signore ». Come ha notato il biblista Pierre
Grelot, la preposizione « con » in greco può esprimere non solo il
semplice complemento di compagnia (ad esempio, passeggiare con
syn qualcuno), ma anche il significato molto più forte
metà di « stretta associazione, condivisione di vita,
comunanza di destini »: ed è con questo significato forte che
qui Gesù risponde al buon ladrone « sarai con me », esattamente
come aveva fatto chiamando gli apostoli a « stare con lui » (Marco
3,13), a « mangiare » con lui la pasqua prima della sua
passione (cfr. Luca 22,15), ad « essere »con lui là dove
egli è (cfr. Giovanni 17,24).
Ne deriva che essere con Cristo significa profonda
comunione di vita, intimo rapporto d'amore e d'amicizia, piena
partecipazione della sua regalità. Esattamente quanto avviene
nel « paradiso », nell'Eden di Dio, nella dimora beata e
beatificante dei giusti. Nel suo commento al vangelo di Luca il
vescovo di Milano sant'Ambrogio fa notare come nella risposta di
Gesù alla preghiera del ladrone « il dono superi sempre in
abbondanza la domanda ». E spiega: « Il Signore infatti dà sempre
di più di quanto gli chiediamo. Colui pregava che il Signore si
ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore
gli rispose: In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel
Paradiso; la vita è stare con Cristo, perché dove c'è Cristo
là c'è il Regno» (In Lucam X, 121).
Chi perde la propria vita la salverà
Del buon ladrone, dopo la risposta di Gesù: « In
verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso », Luca non ci
dice più nulla. L'evangelista Giovanni invece ci parla e ci
riferisce delle « gambe spezzate », in seguito alla richiesta che i
Giudei rivolsero a Pilato perché i corpi dei due malfattori
crocifissi con Gesù non rimanessero in croce durante il sabato:
« Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi
all'altro che era stato crocifisso insieme con lui » (Giovanni
19,32).
Veniamo così a sapere della morte del buon ladrone: ha
avuto spezzate le gambe, come èavvenuto anche al suo compagno. La
conversione, dunque, non gli ha conferito nessun privilegio,
nessuna eccezione quaggiù. Pensiamo però che la parola certa di
Gesù « sarai con me » l'abbia aiutato ad « accettare » questa
crudele morte accelerata con un atteggiamento interiore nuovo:
proprio grazie a questa morte, egli sarebbe stato riunito a Gesù.
Sant'Agostino si chiede: « Ecco, a chi disse: "oggi sarai con
me in paradiso", non poteva custodire le sue ossa? Ma certo.
Difatti il solido fondamento della sua fede non potè essere rotto
con quei colpi con cui gli furono rotte le gambe » (Enarratio in
Psalmos 33,4)).
A Gesù invece, lui pure già morto, non furono
spezzate le gambe, « ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la
lancia e subito ne usci sangue e acqua» (Giovanni 19,34). C'è
chi pensa ma su questo punto il Vangelo assolutamente tace
che il buon ladrone abbia assistito all'apertura del costato di
Gesù: « Fu il primo, con S. Giovanni, a notare lo scolo del sangue,
seguito da quello dell'acqua simbolo della purificazione
battesimale: il sangue versato da Gesù gli aveva apportata la
purificazione battesimale, mediante la mescolanza del suo sangue con
quello di Gesù. Fu il primo a guardare il costato aperto di
Gesù, con il sentimento di essere lui stesso ad averlo trafitto
(Giovanni 19,37); il primo a spegnersi alla vita presente
con un ultimo sguardo al Crocifisso » (M. Ledrus, op.
cit.,144).
È certo però grazie alla testimonianza vera
dell'evangelista che il costato di Cristo è stato trafitto, così
come è certo che a noi e alla nostra fede è dato di portare a
compimento e di vivere l'annuncio profetico: « Volgeranno lo sguardo
a colui che hanno trafitto » (Zaccaria 12,10). E per
Giovanni « volgere lo sguardo » significa propriamente «
vedere », « comprendere ».
Sì, con la luce della fede vogliamo interrogarci
sul significato di Gesù e della salvezza ch'egli ci dona mediante la
sua morte in croce. Se ci sconvolge il suo impenetrabile
silenzio di fronte agli insulti e alle provocazioni dei capPi, dei
soldati e del malfattore impenitente, siamo invece incoraggiati
dalle parole che Gesù rivolge al malfattore pentito. Come abbiamo
rilevato, è una risposta inattesa, di gran lunga superiore alla
richiesta fatta: non domani, ma oggi; non un semplice ricordo, ma un
essere con Gesù, in comunione di vita e di gioia con lui. Aveva
chiesto una liberazione futura e Gesù gli offre una salvezza
oggi.
Ma quale salvezza? E una domanda fondamentale,
questa, alla quale dobbiamo dare risposta se vogliamo conoscere
qual è il senso vero di Gesù salvatore e, di conseguenza, il senso
vero del nostro essere salvati da lui.
Una cosa è chiara: Gesù è il salvatore che non
rifiuta la sofferenza e la morte, che non scende dalla croce ma
vi rimane. Vi rimane, non con la forza dei chiodi, ma con la forza
della sua libera e amorosa obbedienza al Padre. È proprio questo il
disegno di salvezza preordinato dalla volontà del Padre: la
salvezza del mondo deve passare attraverso la sofferenza e la morte
di croce. E il Figlio obbedisce prontamente e sempre al
progetto del Padre: lo « deve » compiere! È interessante
rilevare come nel Vangelo di Luca si trovi scandito per ben dieci
volte questo « deve », che ha come destinatario Cristo, come ad
esempio avviene dopo la professione di fede di Pietro: «Il
Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli
anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e
risorgere il terzo giorno »(Luca 9,22).
È sul Calvario che giunge a compimento, nella sua
stessa persona, quanto un giorno Gesù diceva ai suoi
ascoltatori: « Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà,
chi invece la perde la salverà » (Luca 17, 33). Proprio
sulla croce, nel momento umiliante e umanamente perdente della
passione e della morte, Gesù rivela al mondo nella sua forma più
luminosa che la salvezza si realizza attraverso la sofferenza e
la morte.
Certo, una salvezza che avviene in questo modo non può
non lasciare sconvolto e sconcertato l'uomò, non può non
essergli di scandalo, come affermava l'apostolo Paolo: « La
parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in
perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza. E
piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della
predicazione. E mentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci
cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per
i Giudei, stoltezza per i pagani: ma per coloro che sono
chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di
Dio e sapienza di Dio » (1 Corinzi 1,l2ss).
Ma è in questo modo « scandaloso » che Gesù
risponde alla sfida lanciatagli dai capi, dai soldati, da uno dei due
malfattori sotto la croce. Ed è in questo stesso modo che egli
continua a rispondere a tutti coloro che, nel dispiegarsi
ininterrotto della storia, si interrogano nei più diversi modi sul
senso di una salvezza che, lungi dall'eliminarle, scaturisce proprio
dalla sofferenza e dalla morte.
Abbiamo detto che Gesù obbedisce liberamente al
Padre che lo vuole salvatore attraverso la croce: in tal modo
Gesù dice e testimonia il suo amore a Dio. Aggiungiamo ora
che Gesù, con questa stessa obbedienza, esprime e compie anche
il suo amore per gli uomini, che appunto dalla croce ottengono
salvezza. E questo è assai importante per noi, perché
possiamo comprendere il senso vero, non solo di Gesù come
nostro salvatore, ma anche del nostro essere salvati da lui. Noi
riceviamo la salvezza come grazia, come dono totalmente
gratuito che ci viene da Gesù crocifisso. Ma la grazia diventa «
legge nuova » per la nostra vita di salvati: il dono di Gesù
viene consegnato alla nostra libertà come compito che ci
impegna responsabilmente a seguire il cammino della croce, a
rivivere nella nostra esistenza l'esperienza stessa di Gesù
crocifisso, ossia a « perdere la propria vita » e proprio in
questo modo attraverso la nostra personale sofferenza a diventare
cooperatori della salvezza nostra e del nostro prossimo.
Certo, siamo di fronte ad una strada faticosa. Ma è
indubbiamente esaltante, segno del grande amore che Gesù ha per noi:
egli infatti non si limita a salvarci, ma ci costituisce anche
in lui e per lui « salvatori ». Diventiamo insieme « termine »
e « comprincipio » di salvezza! Nello stesso tempo seguire
questa strada faticosa è esaltante perché èsegno del nostro amore
a Gesù in croce e in lui al Padre che alla croce l'ha consegnato
(cfr. Giovanni 3,16).
« Gesù stesso scrive uno studioso della sacra
scrittura invita il suo compagno di supplizio a concepire una fede
profonda, capace di riconoscere la presenza salvifica di Dio in
ciò che ne è la negazione più scandalosa, cioè nella sofferenza
innocente... La risposta di Gesù al buon ladrone dice
chiaramente che Dio èpresente, anche oggi, là dove si soffre e si
muore per la causa della giustizia, della pace, dell'unità
del genere mano. Nella croce Dio manifesta che l'amore è più
forte della morte, che il segreto della salvezza risiede nel
valore della croce: croce come rivelazione di Dio che salva. È
questo il ministero più prezioso e più urgente che oggi si attende
anche dai cristiani » (J. Dupont, Gesù Salvatore, in «
Parole di vita » 1991, 277).
Possiamo concludere ricordando che questo brano di
Vangelo « merita il titolo di "preconio pasquale" perché
è l'annuncio della vittoria sulla morte, per Gesù e per quanti
hanno fede in lui» (O. da Spinetoli, op. cit., 715).
Parte seconda
IL NOSTRO CAMMINO DI CONVERSIONE
La meditazione sin qui condotta non è fine a se stessa,
anche se i suoi primi frutti sono l'ammirazione e la
contemplazione della «bellezza» del disegno sapiente e amoroso di
Dio quale si manifesta e si realizza anche nell'episodio del buon
ladrone e, di conseguenza, la gioia spirituale che ne riceve il
cuore credente. La meditazione è destinata a raggiungere la
totalità dell'uomo: non solo la sua mente e il suo cuore, ma
anche la sua vita nei più diversi atteggiamenti e
comportamenti. È destinata, dunque, a fare luce e a dare impulso al
nostro cammino di conversione.
Certo, è questo un cammino di singolare ricchezza
spirituale: da parte dell'uomo, perché lo coinvolge nella
radicalità e totalità del suo essere ed esistere; e ancor più da
parte di Dio stesso, perché è lui che, per primo, ricerca l'uomo e
gli viene incontro con tutto il peso dolcissimo ed esigente del suo
amore infinito: « Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo»
(1 Giovanni 4,19). In particolare, Dio ricerca l'uomo e
gli viene incontro con l'irresistibile fascino di quell'amore
misericordioso che trova in Gesù crocifisso la sua rivelazione piena
e definitiva.
Continuiamo a rimanere spiritualmente ai piedi della
croce, a guardare il volto di Cristo e a penetrare nel suo cuore.
Continuiamo anche a fissare i nostri occhi sui ladroni
crocifissi con Gesù e a riascoltare il colloquio tra lui e il buon
ladrone.
In questo modo non ci sarà difficile raccogliere
dalla meditazione fatta alcuni elementi, tra i tanti, che possono
illuminare e sostenere i nostri passi di conversione verso la novità
della Pasqua.
In particolare lo sguardo puntato sulla figura
evangelica del buon ladrone ci aiuterà a delineare, in modo
semplice e profondo, il senso vero e le tappe essenziali del nostro
incontro con Gesù, nostra unica salvezza e santificazione, in
ordine ad una crescente comunione di vita e di amore con lui.
Nella croce la salvezza
Ave, crux, spes unica! È il canto esultante
della Chiesa, che sa di essere immensamente amata e salvata solo dal
suo unico Signore. Ed è il canto gioioso di ogni credente, che
riconosce che unicamente in Cristo crocifisso stanno la
salvezza, la misericordia del Padre e il suo perdono.
Mi ritornano nelle orecchie gli insulti urlati dei capi
del popolo, dei soldati romani, di uno dei malfattori crocifissi con
Gesù: « Se tu sei il Messia, il prediletto di Dio, il re dei
Giudei, salva te stesso e noi! ». Ma questi insulti, così pieni di
scherno e di disprezzo, non mi feriscono nel cuore, perché la
mia fede sa che Gesù, nel suo silenzio, ha voluto liberamente
raccoglierne la sfida e ad essa ha dato sorprendente risposta:
proprio con il suo soffrire e morire sulla croce ha proclamato al
mondo intero che lui, lui soltanto è il vero Messia, il Figlio
unigenito amato dal Padre, il Re dell'universo, e dunque l'unico
redentore dell'uomo : di tutti e di ciascuno. A cominciare dal buon
ladrone: « Gesù ha risposto alla sfida lanciata contro di lui: egli
ha salvato un uomo, non preservandolo dalla morte temporale, ma
facendo di questa morte il passaggio alla vera vita e alla vera
felicità» (J. Dupont).
Non c'e conversione autentica senza la croce di
Cristo, ossia senza quella effusione di salvezza, di
misericordia e di perdono che ci vengono dalla preghiera («
Padre, perdonali...») e dalla sofferenza e morte del Signore. E’
vero e lo vedremo tra poco che il cammino di conversione non può
mai prescindere dal « cuore» dell'uomo, ossia dalla sua libertà e
dal suo impegno responsabile. Ma è ancor più vero che il punto di
partenza e insieme tutti i punti successivi stanno nel « cuore»
stesso di Dio, in quel cuore che Gesù ha rivelato sulla croce come
cuore paziente, compassionevole e misericordioso.
Dunque, l'amore misericordioso del Signore mi precede:
mi precede e mi aspetta senza posa e con ansia, come splendidamente
insegna la parabola del « padre prodigo» nei riguardi dei suoi due
figli (cfr. Luca 15,11-32). Mi precede, ma anche mi accompagna
passo passo nel cammino; mi accompagna perché vuole essere lui
stesso la meta della mia conversione: proprio nella «
riconciliazione » l'amore misericordioso e perdonante del Padre
in Cristo crocifisso si svelerà in tutta la sua luminosità e
si comunicherà in tutta la sua sobrabbondanza. In questo senso il
Papa Giovanni Paolo Il scrive nella sua enciclica Dives in
misericordia: « La conversione a Dio consiste sempre nello
scoprire la sua misericordia, cioè quell'amore che èpaziente e
benigno a misura del Creatore e Padre... L'autentica conoscenza
del Dio della misericordia, dell'amore benigno è una costante
ed inesauribile fonte di conversione» (n. 13).
È la Croce, intesa come epifania splendidissima
della misericordia divina, il principio, il sostegno e la meta
del dinamismo del nostro cammino di penitenza e di conversione. Il
primato, indiscusso e indiscutibile, è sempre e solo di Dio,
della sua liberissima e assolutamente gratuita iniziativa d'amore. E
per noi, questo, è motivo bellissimo di abbandono traboccante di
fiducia e di gioia.
Un'incrollabile speranza nella misericordia di Dio
La fede nella Croce salvifica del Signore genera e
alimenta in noi una fiducia senza limiti: al di là di ogni nostra
miseria morale, fosse pure la più grande, immensa e incrollabile sta
la misericordia che Dio ci dona in Gesù Cristo. A rincuorarci, al di
là di ogni possibile dubbio, è l'evangelista Giovanni che scrive: «
Se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre:
Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri
peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il
mondo » (1 Giovanni 2,1-2). E ancora: « Davanti a lui
rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio
è più grande del nostro cuore» (1 Giovanni 3,19-20).
Sì, il mysterium pietatis dell'amore
misericordioso di Dio è più grande del mysterium
iniquitatis, ossia del peccato dell'uomo e del mondo. L'avventura
spirituale del buon ladrone ne è una chiara e inconfutabile
testimonianza: la sua brevissima preghiera « Gesù, ricorda-ti
di me quando sarai nel tuo regno » dice che il suo cuore è ormai
totalmente invaso da una fiducia senza limiti in Lui e nel suo
perdono. Il buon ladrone diventa così un appello rivolto a tutti,
indistintamente, perché scaccino ogni angoscia e vincano ogni
disperazione per i peccati commessi. Se Gesù in croce ha
perdonato il ladro, quale altro peccatore non perdonerà, lui che ha
implorato « Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno »?
È questo un pensiero che ricorre ripetutamente e
con forza nella tradizione cristiana, in particolare presso i Padri
della Chiesa. Così, ad esempio, sant'Ambrogio in riferimento al
peccato di Giuda si rivolge al demonio con queste parole: «
Esultavi, drago infernale, perché avevi sottratto a Cristo un suo
apostolo: ma hai perso più di quanto hai guadagnato, perché ti
tocca vedere un ladrone trasportato in paradiso. Allora vuol
dire che nessun può esserne escluso, dal momento che un ladrone, un
tuo seguace, ne èstato ammesso ed è tornato nel luogo donde tu sei
stato scacciato » (Salmo 39,17).
Riascoltiamo anche questo bellissimo brano di una
predica di san Gregorio Magno: « Quali e quante siano le nostre
colpe, non crolli in noi la forza della speranza. Ci dà una grande
fiducia nel perdono il ladro, che è degno di venerazione,
certo non perché ladro: ladro fu per crudeltà, degno di venerazione
perché riconobbe il Cristo. Meditate quindi; meditate come sono
imperscrutabili i sentimenti di misericordia di Dio onnipotente!
Questo ladro catturato con le mani insanguinate in luoghi di agguato
e posto sul patibolo della croce, riconobbe la verità, fu
perdonato e meritò di sentirsi dire: oggi sarai con me in Paradiso
(Luca 23,43). Che significa questo? Chi potrebbe apprezzare e
descrivere esaurientemente l'immensa bontà di Dio? Dalla pena
del delitto questo ladro giunse ai premi della virtù. Dio
onnipotente permise che i suoi eletti cadessero talora in colpa, per
dare agli altri, incalliti nel peccato, la speranza del perdono,
ritornando con tutto il cuore a lui che apre le vie della
misericordia ai gemiti della penitenza. Suscitiamo quindi in noi
sentimenti di contrizione e distruggiamo col pianto e con degni
frutti di penitenza le colpe commesse. Non sciupiamo il tempo a noi
concesso per la conversione: vedendo molti che risorgono dalle loro
iniquità, quale altra prova desideriamo ancora della divina
misericordia? » (Omelie sui Vangeli, XX, 15).
Chiamati a una scelta fondamentale davanti a Dio
Ave, crux, spes unica! La croce di Gesù è « la
sola e unica speranza » per l'uomo perché èla fonte inesauribile
della sua salvezza: all'uomo, infatti, assicura il dono della
misericordia di Dio che purifica e rinnova. A questo dono l'uomo
deve aprirsi nel segno della più grande fiducia, al di là o
non proprio per questo del numero e della gravità delle sue colpe.
In tal senso il dono di Dio non annulla né diminuisce la
libertà dell'uomo; al contrario presuppone tale libertà, la
esige con maggior forza e la fa crescere sempre più.
Il cammino di penitenza e di conversione, dicevamo,
coinvolge il « cuore » dell'uomo, il suo « io » profondo. Lo
coinvolge chiamandolo a compiere una scelta fondamentale:
distaccarsi dal male e aderire al bene; cancellare la sua «
lontananza » da Dio o il « rifiuto » di lui e cercare la «
vicinanza », anzi « l'intimità d'amore »o amicizia con Dio;
rinunciare al proprio progetto egoistico di vita e accogliere il
progetto di Dio, come progetto di amore e di dono di sé; respingere
l'idolatria, che consegna la vita agli « idoli » vuoti e vani, e
scegliere l'adorazione dell'unico Dio vivo e vero.
Non c'è conversione, dunque, senza una presa
di posizione personale radicale, senza un gesto di grande libertà.
Il buon ladrone, certamente aiutato dalla grazia divina,
si è pentito e convertito facendo leva su di una propria decisione
personale, appellando quindi alla sua libertà: niente e
nessuno l'hanno costretto a dissociarsi dal suo compagno di
ventura che ha continuato a rimanere nella sua colpa, ma liberamente
ha accolto quella « forza d'amore » che proveniva da Gesù
crocifisso, dalla sua preghiera di perdono, dalla sua innocenza, dal
suo comportamento paziente e mite.
Il fatto poi che il compagno del buon ladrone non
ha riconosciuto né la propria colpevolezza né l'innocenza di
Gesù dice in modo chiaro e inequivocabile che l'uomo è
veramente libero davanti a Dio: libero nel dargli risposta o con un
«si» o con un «no»! Per la verità, è Dio stesso che, proprio
perché ci ama, ci vuole liberi di fronte ai suoi doni: se non
fossimo liberi, il bene o il male da noi compiuti non potrebbero
esserci imputati a nostro merito o a nostro demerito.
Ma la libertà è vissuta in modo responsabile e in tal
senso è degna della persona e diviene forza di costruzione e di
perfezione della sua « umanità » solo se e nella misura in cui è
alleata con la verità e con il bene. Per questo l'uso che l'uomo
fa della sua libertà è sottoposto al giudizio. E in
questione il giudizio della coscienza morale, che a sua volta rimanda
al giudizio stesso di Dio, fonte e meta della nostra vera libertà.
Infatti, come scrive il Concilio, « la coscienza è il nucleo più
segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la
cui voce risuona nell'intimità propria » (Gaudium et spes,
n. 16).
Il brano evangelico di Luca, che ci presenta Gesù
crocifisso tra i due ladroni e il comportamento di questi
ultimi, ci mostra in modo limpido e preciso sia l'aspetto di «
giudizio » sia quello della « libertà » nella scelta fondamentale
tra il bene e il male, tra il rifiuto o l'adesione a Cristo
salvatore. In termini sintetici ed efficaci, sant'Agostino ha
scritto: « Uno insulta, l'altro crede, e colui che è in mezzo
giudica » (Discorso232,6). E
ancora: «In un unico luogo c'erano tre croci quando Cristo ha
patito ed è morto: lui in mezzo, due ladroni da una parte e
dall'altra. Se consideri la pena, niente è Più simile: tuttavia uno
dei ladroni sulla croce ha trovato il paradiso. Colui che è nel
mezzo condanna il superbo, viene in soccorso dell'umile. Quel
legno fu per Cristo il tribunale » (Morin, Sermo 11,13).
In questa stessa linea scrive B. Maggioni: «
Sbaglieremmo se nell'episodio dei due malfattori sottolineassimo
soltanto la misericordia. In realtà è fortemente presente anche il
giudizio, che è l'altra faccia della misericordia. Un peccatore
guarda Gesù in croce e chiede perdono ed è accolto nel suo Regno.
Un altro peccatore, peccatore come il primo, guarda lo stesso Gesù
in croce e lo bestemmia. Perché uno sì e l'altro no? E il mistero
dell'amore di Dio e della libertà dell'uomo, che occorre sempre
ricordare, ma che non si può scandagliare, se non ciascuno
all'interno di se stesso. Di fronte alla croce, come a ogni altro
gesto di Dio, gli esiti possibili sono due. E il lettore è invitato
a confrontarsi con ambedue: con il primo per ricordare che la
misericordia di Dio è sempre disponibile, e con il secondo per non
dimenticare mai quel santo timore che rende umili e vigilanti » (I
racconti evangelici della Passione, Assisi 1995, 300-301).
La coscienza di essere peccatori
La scelta fondamentale di pentirsi e convertirsi
scaturisce, certo, dalla propria libertà; ma non c'è libertà senza
conoscenza. Per questo essa presuppone uno sguardo attento e
penetrante nella realtà, in particolare nella realtà complessa
e oscura del proprio peccato. È questo sguardo ad aprire al
peccatore un cammino di verità, come afferma l'evangelista
Giovanni: « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi
stessi e la verità non è in noi » (1 Giovanni 1,8). E
tale sguardo apre, insieme, anche un cammino di onestà e di
coraggio: senza questa forza d'animo, infatti, non è possibile
il riconoscimento del proprio peccato.
È questo il primo passo per ritornare alla verità e al
bene, più radicalmente per ritornare a Dio, fonte stessa della
verità e del bene. Scrive il Papa: « Riconoscere il proprio
peccato, anzi - andando ancora più a fondo nella considerazione
della propria personalità - riconoscersi peccatore, capace di
peccato e portato al peccato, è il principio indispensabile del
ritorno a Dio » (Esortazione Reconciliatio et paenitentia,
13).
Il buon ladrone riconosce apertamente il proprio
peccato: lo riconosce attraverso l'accettazione di una pena che
ritiene giusta, in quanto dovuta al proprio comportamento cattivo.
E lo riconosce davanti agli altri, in particolare davanti
all'altro malfattore, affermando sia la propria ferma convinzione
(espressa con il « rimprovero » mosso al compagno) sia la triste «
solidarietà » nel male (ricorrendo al « noi »). Scrive
l'evangelista: « Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai
timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente,
perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha
fatto nulla di male" »(Luca 23,40-41).
Non solo davanti agli altri, ma anche e soprattutto
davanti a Gesù il buon ladrone riconosce il proprio peccato.
Infatti, da un lato contrappone al male da lui compiuto l'innocenza
piena del Crocifisso: « Egli invece non ha fatto nulla di male »
(v. 41) e, dall'altro lato, affida se stesso e il suo futuro al
Crocifisso: « Gesù, ricordati di me... » (v. 42). Proprio lo
splendore dell'innocenza di Gesù gli fa percepire tutta la
tenebrosità del male compiuto. E sempre così: solo la stima e il
fascino del bene possono sprigionare e alimentare il disprezzo e il
rifiuto del male.
In questione qui non è semplicemente un bene astratto e
generico, bensì un bene profondamente personale, concreto,
vivo. E Gesù stesso nella sua innocenza totale: « non ha fatto
nulla di male ». Un'innocenza, quella di Gesù, che raggiunge il
massimo del suo fulgore proprio sulla Croce, secondo l'antica
profezia: « Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua
bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di
fronte ai suoi tosatori, e non aprì bocca » (Isaia 53,7).
Possiamo ora comprendere un dato costante e
fortemente significativo della tradizione morale e spirituale della
Chiesa: questa invita alla contemplazione del Crocifisso e alla
meditazione della passione e morte del Signore come «
strada maestra » per radicare sempre più profondamente nel proprio
« io » la coscienza del peccato. Nulla come la conoscenza di Gesù
Cristo « crocifisso » può far percepire tutta la gravità del
mysterium iniquitatis. E questo un punto particolarmente caro
alla spiritualità di san Carlo Borromeo, che in un'omelia d 'inizio
Quaresima diceva: « Nulla più vale ad eccitare in noi il
dolore, a cavare lacrime, ad infondere l'odio al peccato, a
portare alla vera conoscenza di noi stessi, quanto il continuo
ricordo della Passione di Cristo Signore.. Dunque per sradicare
il peccato, per infrangerne il giogo, per abolirne lo stesso nome, il
Figlio di Dio liberamente si sottomise ad una morte sì crudele e ha
tanto patito. E noi, memori di tutto questo, non detesteremo il
peccato più della stessa morte, più dell'inferno, più di tutti i
mali e di tutto ciò che merita di essere aborrito?» (Omelia
del 24 febbraio 1584).
L'accusa dei peccati e la lode a Dio « ricco di
misericordia »
Un altro passo nel cammino della conversione è
l'accusa dei peccati, o, come tradizionalmente siamo
soliti dire, la confessione. Il riconoscimento del
proprio peccato parte sì dall'intimo della coscienza, ma investe la
totalità della persona e quindi tocca anche la sua «
relazionalità » con Dio e con gli altri. Per questo il
riconoscimento del proprio peccato tende, per sua intima natura,
ad essere « manifestato »: appunto, « confessato ».
Anche per il buon ladrone è possibile parlare di «
confessione » del male cornpiuto. Questa si ritrova non solo nelle «
parole » rivolte all'altro malfattore, ma ancor più nelle « parole
» rivolte a Gesù crocifisso. Proprio commentando l'invocazione
« Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno » (v. 42), il
vescovo di Costantinopoli san Giovanni Crisostomo dice in una
sua omelia: « Non ebbe il coraggio di dirlo prima di aver deposto
con la confessione il carico dei peccati. Vedi quanto è potente la
confessione? Confessò e gli si apri il Paradiso. Confessò, ed ebbe
tale fiducia che, pur essendo un malfattore, osò chiedere il
regno. Vedi quanti benefici ci procura la croce?... » (Omelia
1,3).
Come già abbiamo rilevato, la confessione del buon
ladrone si rivolge all'altro compagno di sventura, ma più
radicalmente si rivolge a Cristo, raggiungendo il suo vertice nella
preghiera. In tal modo si manifesta il duplice significato
del peccato, come realtà antisociale e antireligiosa: è, infatti,
rifiuto dell'amore sia del prossimo che di Dio. E’ evidente che è
il rifiuto di Dio e del suo amore la causa prima di quell'egoismo
personale che si fa principio dirompente e disgregativo del tessuto
sociale, dei rapporti tra le persone e tra le comunità. Per questo
la Chiesa segue con sapienza un ordine nel formulare la sua
confessione: « Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli...».
Possiamo ora comprendere meglio il senso più profondo e
affascinante della confessione: è sì confessione dei peccati, ma
soprattutto è con fessio laudis, ossia riconoscimento grato e
gioioso di Dio santo, giusto, « ricco di misericordia »
(Efesini 2,4). E questo il valore liturgico, di lode al
Signore, della confessione dei peccati, che la tradizione cristiana,
radicata nella Sacra Scrittura, ha costantemente sottolineato.
Così nello « strumento di lavoro » del Sinodo dei Vescovi sulla
penitenza (1983) leggiamo: « Il peccatore... farà la
confessione dei suoi peccati... con gioia e gratitudine riconoscerà,
almeno implicitamente, la santità di Dio, contro cui "ha
peccato" (cfr. Salmo 50,6); la giustizia di Dio,
che ha leso con ogni peccato grave... Riconoscerà pure la sua
misericordia, che ama "la sincerità del cuore" e
"nell'intimo" insegna "la sapienza" (cfr. Salmo
50,8) ». Ed ecco una testimonianza di uno scrittore della Chiesa
primitiva: « Quando i peccatori fanno penitenza rientrano in sé e
riflettono al male fatto, allora glorificano il Signore confessando
che Egli è giusto giudice e riconoscendo di aver meritato il castigo
» (Pastore d'Erma, Similitudine VI, 3).
Partecipi delle sofferenze di Cristo
C'è ancora un altro aspetto del cammino di penitenza e
di conversione compiuto dal buon ladrone c'he vogliamo mettere in
luce: è l'aspetto che corrisponde alla cosiddetta «
soddisfazione » o « penitenza. Un aspetto che si
esprime in vari modi: con la preghiera, con l'elemosina (i più
diversi gesti di carità verso il prossimo), con le opere
penitenziali (rinunce, sacrifici, mortificazioni, forme di
sofferenza) e più ampiamente (al di là del sacramento della
riconciliazione) con una vita rinnovata e veramente libera in
Cristo.
Delle opere della soddisfazione ci parla in un modo
opportuno e interessante il Papa nell'esortazione citata
Reconciliatio et paenitentia. Tra l'altro scrive: « Esse sono
il segno dell'impegno personale che il cristiano ha assunto con
Dio, nel Sacramento, di cominciare un'esistenza nuova (e perciò
non dovrebbero ridursi soltanto ad alcune formule da recitare,
ma consistere in opere di culto, di carità, di misericordia, di
riparazione); includono l'idea che il peccatore pentito è
capace di unfre la propria mortificazione fisica e spirituale,
ricercata o almeno accettata, alla Passione di Gesù che gli ha
ottenuto il perdono; ricordano che anche dopo l'assoluzione
rimane nel cristiano una zona d'ombra, dovuta alle ferite
del peccato, all'imperfezione dell'amore nel pentimento,
all'indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora
un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con
la mortificazione e la penitenza. Tale è il significato
del-l'umile, ma sincera soddisfazione » (n. 31).
Ora, senza forzare il brano evangelico di Luca, possiamo
ritrovare la « soddisfazione »anche nell'avventura spirituale del
buon ladrone. Egli riconosce e accetta la « giusta pena »del
male compiuto: e la pena consiste, anzitutto, nelle sofferenze
connesse con la sua crocifissione. Ed anche dopo la morte di
Gesù, il buon ladrone continua a rimanere sulla croce, e dunque a
soffrire, sino a quando gli verranno spezzate le gambe.
Possiamo anche parlare di una partecipazione alla
passione di Cristo, alle sofferenze del Signore Gesù? Si, e non solo
in un senso fisico, ma anche in un senso interiore e spirituale.
Infatti, mentre Luca si limita a dire che sul Calvario «
crocifissero lui e i due malfattori », gli altri evangelisti parlano
di una « concrocifissione »: i ladroni sono crocifissi «
insieme con lui ». Ora nel caso del buon ladrone è lecito pensare
ad una « comunione » con Gesù nella sofferenza della croce, una
comunione personale e interiore: « Anche lui può dire col
Salmista (Salmo 43-44,22) e con S. Paolo: "Per te
siamo messi a morte" (Romani 8,36). E la piena
accettazione dell'espiazione dei peccati lo unisce e lo identifica a
Cristo » (M. Ledrus, op. cit., 116).
Ma a quale grado e con quale significato è giunta la
partecipazione del buon ladrone alla sofferenza del Crocifisso? Non
manca chi parla di « martirio » : « Come martire, completa con le
sue le sofferenze di Cristo » (M. Ledrus). In realtà, anche alcuni
Padri della Chiesa condividono questo stesso pensiero. Così, ad
esempio, si esprime in modo esplicito san Girolamo: « Il buon
ladrone cambia la croce col paradiso e fa della pena di omicidio il
suo martirio » (Lettera a Paolino, De Institutione Monachi).
La riconciliazione come comunione con Cristo
Il cammino della conversione è ordinato a ricevere il
perdono dei peccati e la riconciliazione con Dio. L'evangelista
Luca nel suo Vangelo ne parla in continuità, lui lo scriba
misericordiae. Lo fa in una maniera splendida e suggestiva
nella magnifica parabola del figlioprodigo, che il padre vede quando
ancora èlontano, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo
bacia; e non gli permette di « confessare » il suo peccato, perché
subito ordina ai servi: « Presto, portate qui il vestito piu bello e
rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi.
Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa,
perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era
perduto ed è stato ritrovato » (Luca 15,22-24).
Anche il buon ladrone giunge alla meta del perdono e
della riconciliazione. Lo testimonia Gesù stesso, che alla
preghiera: « Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo
regno » risponde immediatamente garantendogli con assoluta
certezza la gioia del paradiso: « In verità ti dico, oggi sarai con
me nel paradiso » (Luca 23,42-43). In un certo senso possiamo
parlare di una « assoluzione » da parte del Signore stesso,
che sfocia nell'assicurazione di una comunione con lui: una
comunione che dice, non soltanto la beatitudine paradisiaca ma anche
e soprattutto un rapporto personalissimo con Gesù.
Proprio questo rapporto origina una straordinaria
ricchezza spirituale: l'essere con Gesù significa essere salvati,
perché lui è il Salvatore. Significa essere in intima comunione di
conoscenza, di amore e di vita con il Figlio di Dio e il suo
Eletto. E comporta la partecipazione alla regalità di Cristo: e così
la condivisione nella sofferenza della croce sfocia nella
condivisione alla stessa gloria di Cristo con l'entrata nel regno.
E questo è il regno, si di Cristo, ma in particolare del Padre: di
qui la piena e definitiva riconciliazione con Dio mediante la
comunione con Cristo.
Gesù sulla croce parla di un « oggi » di salvezza
riguardante il futuro imminente di gloria che attende il buon ladrone
a conclusione della sua esistenza, subito dopo la morte di Gesù. Ma
possiamo pensare che il buon ladrone, anche nel suo breve
intervallo terreno, abbia intensamente gioito nel proprio cuore
per la raggiunta « comunione con Cristo ».
E l'essere con Cristo, e dunque la partecipazione
alla sua stessa vita, coincide con la santità, s'identifica
con la perfezione dell'amore. Così San Cipriano di Cartagine
scrive in una sua lettera: « Quando nel Vangelo il Signore si
rivolge al ladrone, che crede e confessa nella Passione stessa, e gli
promette che sarà con lui in paradiso, dichiara che i battezzati nel
loro proprio sangue e i santificati mediante la Passione
sono consumati, sono perfetti e ottengono la grazia della
promessa divina » (Lettera a Fabiano, c. 22).
In questo senso non sono mancate nella tradizione
cristiana anche forme di vero e proprio culto, d'invocazione di aiuto
rivolte al buon ladrone (contro la tortura, l'impenitenza finale, i
furti). Esiste una messa in suo onore nella Diocesi di Lione. Il buon
ladrone è patrono di Gallipoli (Taranto). In particolare è
l'Oriente ortodosso a lasciargli largo spazio: così nelle chiese è
spesso rappresentato su una delle « porte regali » che danno
accesso allo spazio sacro. Ancora: « In alcune icone, mentre Gesù
risuscitato sta per liberare i Giusti dell'Antico Testamento, lo si
scorge, tutto solo, nel Paradiso ancora deserto. Gesu risolleva
Adamo dalla sua tomba, Eva è ancora inginocchiata, tutta protesa
verso il suo Salvatore, mentre la processione dei Profeti
avanza, ed ognuno porta uno stendardo sul quale è scritta una delle
profezie più famose. M primo posto Giovanni il Precursore.
Quanto al Buon Ladrone, egli ègià là, solo e avanti a tutti, tra
gli alberi che simbolizzano il Paradiso. Non ha nemmeno avuto il
tempo di indossare la tunica nuziale degli eletti: porta ancora il
perizonia di suppliziato, ma di quale abbagliante candore è
ora! » (J. Loew, Preghiera e vita. Grandi modelli, Brescia
1989, 15-16).
In modo suggestivo il frate domenicano e giornalista
padre Bruckberger ha scritto, ranimaricandosi che non sia stato
dedicato un giorno di festa nel calendario liturgico al buon
ladrone, che « la sua festa è quella, il Venerdì santo:
capisco che è impossibile celebrarla quel giorno; ma in paradiso lui
c'è e ci rimane, unico santo canonizzato da Gesù stesso anche
se non figura nel nostro calendario » (op. cit., 411).
Questa è l'autentica conversione: per sua natura riceve
da Dio la forza di distaccarsi dal peccato e il dono impegnativo di
una vita secondo la « novità » di Cristo e sotto l'influsso
santificante del suo Spirito. A questa « misura alta » della vita
cristiana siamo tutti chiamati. E nella risposta possiamo essere
aiutati anche dall'esempio e dalla grazia del buon ladrone.
PREGHIERA
Eccomi, Signore, davanti a te.
Ti contemplo appeso in croce tra due ladroni e ti prego:
Anche se i miei peccati fossero più numerosi e gravi
del male compiuto dal buon ladrone, che non disperi mai perché la
tua Croce è la mia speranza! Come il buon ladrone, accetto, o
Signore, la giusta pena per il male che ho commesso, sopportando per
tuo amore i disagi e le sofferenze della mia vita.
Con cuore contrito confesso a te, Dio santo, giusto e
misericordioso, ogni mia colpa. E confesso la tua innocenza di
Agnello immolato, fonte di purificazione e di grazia per me e per il
mondo.
Con grande fiducia e pieno abbandono al tuo amore,
t'imploro, Signore, come il buon ladrone:
« Gesù, ricordati di me ». Fa che partecipando ora
alla tua dolorosa passione possa un giorno godere con te nella gloria
immortale del tuo Regno.
Ripeti anche a me, ti prego con tutto il cuore, la
consolante parola:
« Oggi sarai con me nel paradiso », perché possa
cantare in eterno la tua misericordia. Così sia.
Appendice
IN ASCOLTO DELLA VOCE DELLA CHIESA
Testi dei Padri e scrittori ecclesiastici
SANT'AMBROGIO, VESCOVO (339-397)
Che misericordia rapida!
Abbiamo parlato del modo in cui il Signore nel momento
della vendetta allenti il suo sdegno. Parliamo ora di come egli,
nel ricompensare, prevenga la nostra richiesta e chiariamolo con
un esempio! Ascolta la parole rivolte al Signore da uno dei due
ladroni: Ricordati di me, Signore, quando sarai arrivato nel tuo
regno! Ecco la risposta del Signore: In verità ti dico: oggi
sarai con me in paradiso! Quello stava ancora pregando che si
ricordasse di lui, quando fosse arrivato nel regno, e il Signore già
gli concedeva il regno dei cieli. Che misericordia rapida! È
più lenta la richiesta di chi prega che la concessione della
ricompensa. (Commento a dodici Salmi, Salmo XXXVII, 18)
Il dono supera la domanda
In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel
Paradiso. E’ uno splendido esempio del dovere di aspirare
con tutte le forze alla conversione, il fatto che il perdono sia
concesso tanto in fretta a un malfattore, e il dono superi in
abbondanza la domanda; il Signore infatti dà sempre più di quanto
gli chiediamo. Colui pregava che il Signore si ricordasse di
lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: In
verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso; la
vita è stare con Cristo, perché dove c'è Cristo là c'è il Regno.
E il Signore lo perdona subito, perché colui subito si
converte. In tal modo sembra anche risolversi l'obiezione, secondo
cui gli altri evangelisti ricordano che i due malfattori
imprecavano ad alta voce contro di Lui, questi invece che uno
imprecava, l'altro pregava. Probabilmente anche lui prima aveva
imprecato, ma d'un tratto si convertì. E non dobbiamo stupirci
se Egli perdonava i peccati a uno che si era convertito, quando
donava il perdono a coloro che lo insultavano. (Esposizione del
Vangelo secondo Luca, X, 121-122)
Per primo giunge nel regno di Dio
Questo è il vero giorno di Dio, radioso di santa
luce, nel quale il sacro sangue di Cristo
ha deterso i vergognosi crimini del mondo.
È il giorno che ridonò la fede agli smarriti e
illuminò con la vista i ciechi.
Il perdono concesso al ladrone sciolse tutti dal peso
del timore.
Il ladrone, mutando la croce in premio, con un rapido
atto di fede guadagnò lo stesso Signore Gesù e, reso giusto, con
passo più veloce, per primo giunse nel regno di Dio.
Persino gli angeli stupiscono di questo fatto
straordinario,
vedendo il reo, punito nel corpo crocifisso, ottenere
la vita beata stringendosi a Cristo.
Mistero mirabile!
La carne di Cristo lava la corruzione del mondo e
cancella i peccati di tutti purificando i vizi della carne.
Non c'è nulla di più sublime di questo mistero:
la colpa cerca il perdono, l'amore scioglie dalla
paura, la morte di Cristo ridona una vita nuova.
La morte azzanni pure il proprio amo e si impigli nei
suoi stessi lacci:
se Cristo, Vita di tutti, muore, di tutti risorge la
vita.
Anche se la morte si diffonde tra tutti gli uomini,
tutti i morti risorgeranno:
la morte, trafitta dal suo stesso pungolo, riconosca,
gemendo, di essere lei sola perita.
(Hic est ve YU5 dies Dei, Inno della liturgia
ambrosiana per il giorno di Pasqua)
SANT'AGOSTINO, VESCOVO (354-430)
Fece violenza al Regno dei cieli
In uno stesso luogo erano tre crocifissi, al centro il
Signore che venne annoverato tra i malfattori. Posero i due
ladroni da ambo i lati: ma non ebbero in comune la causa. Venivano
accostati ai lati di Gesù che pendeva, ma si distanziavano assai.
Furono i loro personali delitti a crocifiggerli, i nostri a
crocifiggerlo. Nondimeno, anche in uno di essi fu ben chiaro quale
valore avesse non il tormento dell'uomo crocifisso, ma l'umile
riconoscimento del reo. Il ladrone guadagnò nel dolore quel che
Pietro aveva perduto nella paura: riconobbe il delitto, salì
sulla croce; cambiò la causa, acquistò il paradiso. Meritò
indubbiamente di cambiare la causa quello che non disprezzò in
Cristo la somiglianza della pena. I Giudei lo trattarono con
disprezzo quando compiva i miracoli, quello credette in lui quando
era crocifisso. In chi gli era compagno sulla croce riconobbe il
Signore e, credendo, fece violenza al Regno dei cieli. Il ladrone
credette in Cristo proprio quando la fede degli Apostoli vacillò.
Giustamente meritò di ascoltare: Oggi sarai con me in paradiso.
Certamente da parte sua non se l'aspettava, era certo di
affidarsi ad una grande misericordia, ma pensava anche alle sue
colpe: Signore disse ricordati di me quando sarai giunto
nel tuo regno.
Prevedeva che sarebbe rimasto a soffrire finché il
Signore non fosse giunto nel suo regno e si limitava a sollecitare
vivamente che gli venisse usata misericordia all'arrivo di lui.
Perciò il ladrone, tutto preso dal pensiero delle sue colpe,
era disposto ad attendere: ma il Signore offriva al ladrone quel che
non sperava; come se dicesse: Tu chiedi che io mi ricordi di te
quando sarò giunto nel mio regno, in verità, in verità ti dico,
oggi sarai con me in paradiso. Riconosci Colui al quale ti
affidi: Io, che tu credi debba venire, sono dovunque, prima che io
venga. Perciò, sebbene io sia per discendere agli inferi, oggi
ti avrò in paradiso; non affidato ad un altro, ma con me. Nella
natura della mia umiliazione discesi infatti tra gli uomini
mortali e persino tra i morti stessi, però la mia divinità non si
allontana mai dal paradiso.
Così, ecco tre croci, tre cause. Uno dei ladroni
insultava Cristo, l'altro, confessando le proprie malefatte, si
affidava alla misericordia di Cristo. La croce di Cristo, al centro,
non fu
uno strumento di supplizio, ma un tribunale: in realtà,
dalla croce condannò l'offensore, liberò il credente. Abbiate
timore, voi persecutori, godete, voi credenti: quanto egli operò
nell'abiezione, quello farà nella gloria.
(Discorso 285, Nel Natale dei martiri Casto ed
Emilio)
Vieni, ladrone, e dà una lezione ai discepoli di
Emmaus!
Venne quindi il momento in cui Gesù rese loro
comprensibili le Scritture, in base alle qua-li, sia pur nella
disperazione, avevano detto: Ma noi speravamo che egli avrebbe
redento Israele.
O discepoli, voi speravate: vuol dire che ora non
sperate più. Vieni, ladrone, e dà una lezione ai discepoli!
Perché perdere la speranza anche se lo avete visto crocifisso,
anche se al vostro sguardo s'è presentato sospeso al patibolo,
per cui vi siete fatti l'idea che fosse un impotente? Anche il
ladrone che pendeva con lui dalla croce lo vide così, ma, pur
essendo partecipe del medesimo supplizio, lo riconobbe e senza
esitazioni credette in lui. Voi invece avete dimenticato che egli è
l'autore della vita.
Grida dunque dalla croce, o ladrone, e tu, che sei un
assassino, convinci i santi! Cosa dicevano infatti costoro? Noi
speravamo che egli avrebbe redento Israele. E il ladrone cosa
diceva? Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo regno.
Voi, comunque, speravate che egli fosse il redentore di Israele.
O discepoli, se egli deve ancora redimere Israele voi siete venuti
meno [nella fede]. Meno male però che vi ha risollevati colui che
non abbandona. Colui che s'è fatto vostro compagno lungo la via si è
fatto per voi via.
(Discorso 236/A, tenuto il lunedì di Pasqua)
La fede « grande » del buon ladrone
Può darsi che alcuni di voi, non avendo letto il
racconto della passione quale ci è tramandato da tutti gli
Evangelisti, non comprendano le parole che ho dette riguardo a questo
ladrone. Difatti l'episodio di cui sto parlando ci è narrato
dal solo evangelista Luca. Che insieme con Cristo fossero stati
crocifissi due malfattori, questo lo ricorda anche Matteo, ma che di
questi due uno insultava Cristo mentre l'altro credeva in
Cristo, questo Matteo non lo ricorda; lo ricorda solo Luca.
Richiamiamo alla memoria la fede di questo malfattore,
notando che la stessa fede Cristo, dopo la sua resurrezione, non la
trovò nei suoi discepoli. Cristo era sospeso alla croce, e alla
croce era sospeso il malfattore: Cristo nel mez
zo, ai lati due briganti, dei quali uno bestemmia,
l'altro ha fede, e Cristo nel mezzo fa da giudice. Il brigante che
bestemmiava diceva: Se sei Figlio di Dio, libera te stesso. Il
collega gli replica: Tu non hai timore di Dio. Se noi soffriamo
questo supplizio perché ce lo siamo meritato, lui che male ha fatto?
E rivolto a lui: Signore, ricordati di me quando sarai entrato
nel tuo regno.
Fede grande! A tal fede non saprei cosa si possa
aggiungere. Vacillarono coloro che avevano veduto Cristo
risuscitare i morti; credette colui che lo vedeva pendere dalla croce
insieme con lui. Quando i discepoli vacillarono lui credette.
Che bel frutto trasse Cristo da quel legno secco!
Ma ascoltiamo le parole che il Signore gli rivolse: In
verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso. Tu ti poni a
distanza, ma io ti riconosco. Come avrebbe mai potuto
ripromettersi quel ladrone un passaggio dal delitto al giudizio,
dal giudizio alla croce, dalla croce al paradiso? In effetti,
egli, ripensando a quel che meritava, non disse: Ricordati di me
e liberami oggi stesso, ma: Quando sarai entrato nel tuo regno,
allora ricordati di me. Se, cioè, son meritevole di
supplizi, che questi cessino almeno quando tu sarai entrato nel tuo
regno. Ma il Signore: Non accadrà così; tu hai forzato la porta del
regno dei cieli, ~ai fatto violenza con la tua fede e te lo sei
accaparrato. Oggi sarai con me in paradiso. Non rinvio a più
tardi la ricompensa, concedo oggi stesso quanto debbo alla tua
fede straordinaria.
Diceva il ladrone: Ricordati di me quando sarai
entrato nel tuo regno. Credeva che egli non solo sarebbe risorto
ma avrebbe posseduto un regno. A un sospeso, a un crocifisso, a un
sanguinante, a uno inchiodato diceva: Quando sarai entrato nel tuo
regno. Quegli altri invece:
Noi speravamo. Dove il ladrone aveva scoperto la
speranza, là i discepoli l'avevano perduta.
(Discorso 232, nei giorni di Pasqua)
S. GIOVANNI CRISOSTOMO, VESCOVO (344/354-407)
Un brigante nella gioia del paradiso
Vuoi conoscere un'altra opera eccezionale che proviene
dalla croce? Il paradiso era chiuso da più di cinquemila anni e oggi
per noi la croce lo ha riaperto. Proprio in questo giorno, proprio in
quest'ora Dio ha introdotto in paradiso il ladrone, indicando
con ciò due opere straordinarie. La prima, la riapertura del
paradiso; la seconda, l'avervi introdotto il ladrone. Oggi,
prima ancora di restituire a noi la patria, ha ricondotto noi in
patria, ha ridonato alla comune natura umana una casa; infatti disse:
Oggi sarai con me in paradiso.
Che cosa dici, o Signore? Sei crocifisso e inchiodato, e
prometti il paradiso? Certo risponde, perché tu riconoscessi
nella croce la mia potenza. Dal momento infatti che la situazione
era triste, perché tu non badassi alla natura umana della
croce, ma perché tu potessi comprendere la forza di Colui che era
crocifisso, sulla croce compì questo miracolo dal quale
soprattutto è messa in evidenza la sua potenza.
Infatti non risuscitando i morti, non dominando sul
mare e sui venti, non mettendo in fuga i demoni, ma essendo
crocifisso e perforato dai chiodi, coperto di ingiurie, di sputi, di
insulti e di obbrobrio, poté mutare il cuore all'empio ladrone, in
modo che tu potessi vedere la sua potenza: scosse infatti l'intera
creazione, spaccò le pietre, ma attrasse a sé l'anima di quel
ladrone ben più dura della pietra e la ricoprì di onore; infatti
gli disse: Oggi sarai con me in paradiso.
Certamente i Cherubini custodivano il paradiso, ma
Cristo è il Signore dei Cherubini; c'è la spada di fuoco, ma Cristo
ha il potere sul fuoco della Geenna, sulla vita e sulla morte.
Certamente mai nessun re permetterebbe che venga introdotto in
città un brigante o qualcun altro schiavo e venga fatto sedere con
lui. E invece Cristo ha proprio fatto ciò: entrando nella sacra
patria, insieme a sé vi introduce un brigante; non si preoccupa
che quello calpesti il paradiso, non pensa che il paradiso venga
deturpato dai piedi del ladrone, anzi ritiene che piuttosto ne riceva
onore: infatti onore del paradiso è avere un simile padrone che può
rendere degno persino un brigante della gioia del paradiso.
Quando introduceva nel regno dei cieli i pubblicani e le
prostitute, riteneva che ciò fosse
motivo di onore e non di disonore, volendo dimostrare di
essere lui il Signore del regno dei cieli, ma un signore tale da
rendere onora-bili i pubblicani e le prostitute, così che
apparissero degni di un così grande onore e di un così grande
dono. Come infatti ammiriamo un medico soprattutto quando lo vediamo
risanare dalla malattia persone afflitte da mali incurabili
restituendoli in buona salute, così è giusto guardare con
ammirazione a Cristo quando cura le ferite insanabili, quando riporta
il pubblicano e la prostituta a una condizione tale di sanità da
renderli degni del cielo.
Ebbene, che cosa ha fatto di così eccezionale il
ladrone domanderai , da meritare il paradiso dopo la croce? Vuoi
che ti dimostri brevemente in che cosa consista la sua virtù?
Proprio mentre Pietro negava, egli sulla croce professava la sua
fede. Non dico questo per accusare Pietro lungi da me! Ma voglio
dimostrare la grandezza d'animo del ladrone. Il discepolo non
riuscì a sopportare le minacce di una serva spregevole; il ladrone
invece, pur vedendo un intero popolo adunato lì attorno gridare e
lanciare bestemmie e insulti, non badò a essi, non pensò alla
presente spregevolezza del Crocifisso, ma passando sopra a tutte
queste cose con gli occhi della fede, non considerò un
impedimento quelle circostanze spregevoli e riconobbe il Re dei
cieli; anzi, prostrandosi davanti a lui con il cuore gli diceva:
Ricordati di me, o Signore, quando sarai nel tuo regno.
Non ignoriamo vi prego questo ladrone e non
vergogniamoci di prendere come nostro maestro lui che il nostro
Signore non si vergognò di introdurre per primo in paradiso. Non
vergogniamoci di prendere come nostro maestro lui che davanti
all'intero universo apparve degno di quella condizione che è
propria del cielo.
Ma prendiamo in considerazione attentamente ogni
singolo particolare per capire bene quale sia la forza della croce.
Cristo non gli ha detto, come ha detto a Pietro: Seguimi, ti farò
pescatore di uomini (Matteo 4,19); non gli ha detto, come ha
detto ai dodici apostoli: Sederete su dodici troni a
giudicare le dodici tribù di Israele (Matteo 19,28); anzi, non
lo ritenne degno di rivolgergli neppure una parola. Non gli mostrò
alcun miracolo e il ladrone non vide alcun morto risuscitato, non
vide i demoni scacciati, non vide il mare che gli ubbidiva; Cristo
non si mise a parlargli del regno dei cieli e neppure della Geenna. E
tuttavia il ladrone davanti a tutti professava la sua fede in lui; e
per di più mentre l'altro ladrone lo insultava.
Infatti anche un altro malfattore era stato crocifisso
con lui, perché si adempisse quello che era stato scritto: Fu
annoverato fra gli iniqui (Isaia 53,12). I Giudei volevano
oscurare la sua gloria e da tutte le parti lo insultavano: ma da ogni
parte rifulgeva la verità, anzi rifulgeva sempre di più, pur in
mezzo a situazioni avverse. Dunque l'altro ladrone lo
'insultava. Vedi la differenza tra l'uno e l'altro? Tutti e due sono
in croce, tutti e due vengono da una vita fatta di ruberie, tutti e
due vengono da una vita fatta di iniquità; ma non entrambi hanno la
medesima sorte: l'uno infatti ricevette in eredità il regno
dei cieli, l'altro fu mandato nella Geenna. (...) Divenuto maestro
sulla croce, rimprovera-va il compagno dicendogli: Neppure tu hai
timore di Dio? E come se dicesse: Non preoccuparti del
tribunale terreno; vi è un altro giudice che non si vede e il suo
tribunale non è esposto a corruzione. Non ti preoccupi il fatto che
sei stato condannato quaggiù; infatti in cielo le cose non
vanno allo stesso modo. Nei tribunali terreni i giusti talvolta
vengono condannati e gli ingiusti riescono a evitare la pena; i
colpevoli vengono assolti e gli innocenti vengono puniti.
Infatti i giudici terreni, o consapevolmente o
inconsapevolmente, sbagliano in molte cose, o perché ignorano
il diritto e si ingannano, o perché, pur conoscendo il diritto,
corrotti dal denaro tradiscono la verità nelle loro sentenze. In
cielo invece le cose vanno in tutt'altro modo: Dio infatti è giudice
giusto e il suo giudizio si manifesterà come una luce, senza
che le tenebre o l'ignoranza possano oscurarlo. Infatti, per non
dirgli che era stato condannato in terra, lo portò davanti al
tribunale del cielo e lo ammonì proprio in riferimento a quel
tribunale tremendo; come se gli dicesse: Guarda a quel tribunale del
cielo e non subirai una sentenza di condanna, non ti ritroverai
quaggiù in mezzo a giudici iniqui, ma accetterai il giudizio
emesso in cielo. Hai visto la saggezza del buon ladrone? Hai
visto la sua prudenza e la sua dottrina? Immediatamente dalla
croce volò in cielo.
Inoltre, rimproverandolo ancor di più, diceva
all'altro: Non hai timore, dal momento che siamo condannati alla
stessa pena? Cioè: ci troviamo accomunati nello stesso
supplizio. Forse non sei anche tu in croce? Dunque, mentre lo
insulti, insulti prima te stesso. Come infatti colui che si
trova in una situazione di peccato, se dà del criminale a un
altro, incrimina prima se stesso, così anche colui che, trovandosi
in una disgrazia, riversa colpevolmente su un altro la propria
disgrazia, condanna prima se stesso. Infatti siamo condannati alla
stessa pena. Gli ricordò la legge apostolica, cioè queste
parole del vangelo: Non giudicate per non essere giudicati (Matteo
7,1).
Infatti siamo condannati alla stessa pena. Che
fai, o ladrone? Mentre difendi Cristo, lo rendi compagno di un
malfattore? Per nulla affatto risponde; voglio togliere questo
sospetto in base alle parole che vengono dopo. Infatti, affinché
non si pensi che il buon ladrone, per il fatto che erano tutti e
tre accomunati in unica condanna, considerasse Cristo accomunato
anche nell'unico peccato, prima di tutto rimproverò il proprio
compagno dicendo: Noi siamo condannati giustamente, infatti
subiamo una pena degna dei nostri misfatti. Vedi la
perfetta ammissione? Vedi come, in croce, si spogliò dei suoi
peccati? Infatti si legge: Sii tu il primo ad ammettere i tuoi
peccati, e sarai giustificato (cfr. Isaia 43,26). Nessuno
lo aveva Qostretto, nessuno gli aveva fatto forza, ma egli
spontaneamente si è fatto avanti dicendo: Noi siamo condannati
giustamente, infatti subiamo una pena degna dei nostri misfatti.
E subito dopo aggiunge: Signore, ricordati di me nel tuo
regno. Non osò proferire queste parole (Ricordati di me nel
tuo regno), prima di aver deposto con la confessione il peso dei
suoi peccati.
Vedi quale grande realtà è la confessione dei peccati?
Ammise i suoi peccati, e aprì il paradiso. Ammise i suoi
peccati, e ottenne una fiducia così grande che osò chiedere il
regno pur dalla condizione di malfattore. Vedi di quanto grandi beni
fu per noi causa la croce? Chiedi il regno? Che cosa vedi? Ti stanno
davanti dei chiodi e una croce. Ma quella croce ci dice il ladrone -
è simbolo del regno. Per questo chiamo Cristo con il nome di re,
perché lo vedo crocifisso. Infatti è proprio di un re morire per i
suoi sudditi. Cristo stesso disse: Il buon pastore offre la sua
vita per le pecore (Giovanni 10,11). Dunque il buon re offre la
sua vita per i suoi sudditi. E poiché ha offerto la sua vita, lo
chiamo con il nome di re. Ricordati di me, o Signore,
nel tuo regno.
(Omelia I Homilia in cruce et in latrone)
S. LEONE MAGNO, PAPA (+ 461)
Divenne confessore di Cristo
Dopo che Giuda ebbe operato l'empio e detestabile
scambio, con il quale il Redentore del mondo fu consegnato ai Giudei
persecutori, dopo che Egli venne condotto tra quelle sacri-leghe
ingiurie, mansueto, al luogo del supplizio, due ladroni vennero
crocifissi con lui, su due patiboli issati da una parte e dall'altra.
Uno di loro, fino a quel momento del tutto simile al suo
compagno nel tendere insidie lungo le vie di comunicazione e
nell'essere sempre in agguato contro la sicurezza degli uomini,
colpevole fino alla croce, divenne tutt'a un tratto confessore
di Cristo. In mezzo a quelle terribili sofferenze del corpo e
dell'anima, aggravate dalla prossimità e dalla durezza della
morte, fu trasformato da una mirabile conversione e disse:
Ricordati di me, Signore, quando sarai nel tuo regno.
Quale esortazione ha determinato tale fede? Quale
insegnamento l'ha formata? Quale predicatore l'ha infiammata?
Egli non vedeva i miracoli compiuti precedentemente: era cessata
la guarigione dei malati, la resa della vista ai ciechi, la
risurrezione dei morti; i prodigi che sarebbero stati compiuti
successivamente non erano ancora presenti, e tuttavia riconobbe come
Signore e Re colui che vide compagno del suo supplizio.
Il dono aveva origine lì dove la fede ebbe la risposta;
Gesù disse infatti: In verità ti dico che oggi sarai con me in
paradiso. Questa promessa va al di là della condizione
umana, ed èpronunziata non dal legno della croce, quanto piuttosto
da un trono di potenza. Da quell'altezza, dove è abolito il
documento dell'umana trasgressione, è dato il premio alla fede
poiché la forma di Dio non si separa dalla forma di servo, e anche
tra i supplizi la divinità inviolabile e la natura passibile
conservano sia il carattere proprio di ciascuna che l'unità.
(Sermone 40, Sulla Passione del Signore)
S. FULGENZIO DI RUSPE, VESCOVO (467-532)
Affidarsi alla grande misericordia del Signore
Il Signore soffriva in croce e tutti se ne erano
fuggiti! Tutti si sono fatti muti, tiepidi nel-l'amore, impietriti
nella paura. E vero: molti non l'hanno riconosciuto mentre compiva
miracoli. E invece il ladrone lo riconobbe mentre pendeva dalla
croce, anche lui crocifisso in tutte le membra. Crocifisso nelle
mani, nei piedi, in tutte le membra! Tutto il corpo era confitto in
croce, eppure con la lingua faceva la sua professione di fede a
Cristo.
Unico era il luogo in cui erano stati crocifissi in tre:
in mezzo il Signore, che fu annoverato fra gli iniqui (Isaia
53,12), e i due ladroni a fianco, uno da una parte e l'altro
dall'altra; ma non furono crocifissi per lo stesso motivo. Erano
stati sì crocifissi ai lati di Cristo pendente in croce, ma grande
era la differenza tra di loro:
quelli erano stati crocifissi per i loro delitti;
Cristo era stato crocifisso per i nostri peccati.
E tuttavia in uno di loro si manifestò il valore
non tanto delle sofferenze di chi è crocifisso, quanto della
religiosità di chi professa la fede. Il ladrone conseguì nel dolore
ciò che Pietro aveva perso nella paura. Ammise il proprio
delitto, salì sulla croce, trasformò la propria condanna, si
guadagnò il paradiso. Meritò di mutare la propria condanna, lui che
non disprezzò di avere una pena simile a quella di Cristo.
I Giudei avevano disprezzato Cristo mentre compiva i
miracoli; egli credette in Cristo mentre pendeva dalla croce.
Riconobbe il Signore mentre lo aveva compagno sulla croce, e così il
ladrone violento, con il suo atto di fede, riuscì a fare violenza
sul regno dei cieli. Il ladrone credette in Cristo, proprio
quando la fede degli apostoli vacillava. Giustamente meritò di
sentirsi dire: Oggi sarai con me in paradiso (Luca 23,43).
Egli infatti non pensava neppure a questo; semplicemente si
affidava alla grande misericordia del Signore, ma non pensava ai
propri meriti. Signore - disse -, ricordati di me,
quando sarai giunto nel tuo regno. Fino a quando il Signore non
fosse giunto nel suo regno, sapeva che sarebbe stato nei
tormenti, ma almeno sperava che alla venuta del Signore avrebbe
trovato misericordia.
Dunque il ladrone, considerando quel che meritava,
differiva la speranza; ma il Signore offriva subito al ladrone ciò
che egli neppure sperava, come se gli dicesse: «Tu mi chiedi di
ricordarmi di te quando arriverò nel mio regno; ma io ti dico:
Oggi sarai con me in paradiso. Riconosci colui a cui ti
affidi, colui che tu credi che tornerà nella gloria. Prima che io
ritorni, sono dappertutto. Perciò, benché stia per discendere
negli inferi, dal momento che ti sei affidato a me e non a un altro,
oggi stesso ti avrò con me in paradiso. Infatti la mia umiltà
èdiscesa tra gli uomini mortali e tra gli stessi morti; ma la mia
divinità non ha mai abbandonato il paradiso».
E così furono fatte tre croci, con tre cause:
uno dei ladroni insultava Cristo, l'altro, confessando
i suoi peccati, si affidava alla misericordia di Cristo. La
croce di Cristo poi, posta nel mezzo, non era strumento di supplizio,
ma sede di un giudizio. Fu condannato chi insultava, ma fu
liberato chi credeva. Temete voi che insultate, gioite voi che
credete. Emetta Cristo nella sua gloria quello stesso giudizio che
emise nella sua umiliazione. I doni divini provengono dal suo
insondabile giudizio. Possiamo solo stupirci davanti a esso, ma
non possiamo pretendere di comprenderlo né di spiegarlo.
(Sermone VII, De latrone crucifixo cum Christo)
S. GREGORIO MAGNO, PAPA (540-604)
La speranza incrollabile nella misericordia di Dio
Ripensiamo fratelli, carissimi, al male che abbiamo
compiuto e prostriamoci in gemiti continui. Riconquistiamo con
la penitenza l'eredità dei giusti che non abbiamo conservato a
motivo della nostra condotta. Dio onnipotente vuole subire tale
violenza da noi, come pure che sia riconquistato dalle nostre lacrime
il regno dei cieli, visto che esso non è dovuto ai nostri meriti. La
sicurezza di questa speranza non Si spezzi in noi, quali e
quante siano le nostre colpe.
Ci offre una grande fiducia di ottenere il perdono quel
ladro che è degno di venerazione, anche se questa ovviamente non gli
spetta perché ladro: infatti tale fu per disonestà, mentre
èvenerabile per aver riconosciuto il Signore. Riflettete,
dunque, e meditate come sono imperscrutabili nell'Onnipotente i
sentimenti di misericordia.
Questo ladro, strappato da luoghi di agguato con le
mani insanguinate, fu appeso al patibolo della croce, e proprio
lì riconobbe il Signore, fu perdonato e meritò di sentirsi
dire: Oggi sarai con me in paradiso. Che significa tutto ciò?
Chi potrebbe descrivere questa infinita bontà di Dio e chi sarebbe
in grado di apprezzarla? Dalla pena assegnata ai crimini, questo
ladro giunse ai premi della virtù. L'Onnipotente permise che i
suoi eletti cadessero in certe colpe per far nascere la speranza del
perdono in altri incalliti nel peccato, se tornano a Lui con tutto il
cuore, e per aprire loro la via del perdono dopo i gemiti della
penitenza.
Coltiviamo in noi sentimenti di contrizione, cancelliamo
con le lacrime e con frutti degni di penitenza i peccati commessi.
Non sciupiamo le occasioni a noi concesse per ottenere il perdono:
avendo visto già molti liberati dalle loro iniquità, non abbiamo in
ciò una garanzia della divina misericordia?
(Le 40 Omelie sui Vangeli, I, XX, 15)
BEDA IL VENERABILE, SACERDOTE (673-735)
Fede, speranza e carità del buon ladrone
L'altro, rispondendogli, lo rimproverava dicendo:
Neppure tu temi Dio, mentre sei condannato alla stessa pena? Noi
almeno lo siamo giustamente: infatti riceviamo la giusta pena
per le nostre male fa tte. Costui invece non ha fatto nulla di male.
E diceva a Gesù:Signore, ricordati di me quando sarai giunto nel tuo
regno.
Chi non prova stupore davanti all'atteggiamento di
questo ladrone? Anzi, chi a buon ragione si meraviglierebbe di
lui che, per la grazia del Signore, da una simile situazione ha
potuto trarre giovamento? Chi non sarebbe colto da un senso di
venerazione e da un giusto senso di ringraziamento? I chiodi gli
avevano fissato in croce mani e piedi; non gli era rima-sto nulla
libero dai tormenti se non il cuore e la lingua; per ispirazione di
Dio, a lui tutto si offerse, perché in Dio aveva ritrovato la
sua libertà, secondo quanto sta scritto: Con il cuore si
crede per la giustizia, con la bocca si fa la professione di fede per
la salvezza (Romani 10, 10).
Inoltre l'Apostolo attesta che nel cuore dei fedeli tre
virtù soprattutto permangono, quando dice: Ora dunque
permane la fede, la speranza e la carità (cfr. 1 Corinti
13,13). Ebbene, il ladrone, ripieno inaspettatamente della
grazia divina, accolse queste tre virtù e le conservò,
pur inchiodato sulla croce. Infatti ebbe la fede, lui che aveva
creduto che il Signore avrebbe regnato, nonostante lo vedesse morire
assieme a lui. Il ladrone ebbe la speranza, lui che chiese di entrare
nel regno di Cristo. E mantenne anche una viva carità, pur nel
momento della morte, lui che rimproverò per la sua iniquità
l'altro ladrone che stava con lui morendo per una identica colpa e
gli annunciò la vita eterna che gli era stata rivelata.
Egli che era giunto alla croce dalla colpa nella
condizione di dannato, ecco in quale condizione di salvato si è
dipartito dalla croce in virtù della grazia. Fece la sua professione
di fede nel Signore che vedeva morire con lui nella debolezza
umana, mentre gli apostoli lo rinnegavano pur avendolo visto
compiere miracoli in virtù della sua forza divina.
E Gesù gli disse: In verità ti dico, oggi sarai con
me in paradiso. Mirabile esempio di una conversione presa al
volo, tanto repentinamente viene concesso il perdono al ladrone!
E inoltre la grazia si dimostra più ricca di quanto potesse
chiedere la preghiera. Infatti il Signore concede sempre di più di
quanto gli viene chiesto. Il ladrone infatti pregava che il
Signore si ricordasse di lui quando fosse giunto nel suo regno. Il
Signore invece gli dice: In verità ti dico, oggi sarai con me in
paradiso. Vera vita infatti è essere con Cristo, perché dove
c'è Cristo. li c'è il Regno.
Alcuni poi accostano i due ladroni crocifissi con il
Signore a due generi di battezzati. Tutti noi, infatti, che siamo
stati battezzati, siamo stati battezzati nella sua morte (Romani
6,3). Entrambi infatti sono stati crocifissi allo stesso modo, ma
uno in croce è diventato peggiore a causa del suo atteggiamento
blasfemo, l'altro, grazie alla sua professione di fede, è divenuto
martire. Ebbene, è vero che con il battesimo, pur essendo peccatori,
siamo stati purificati; ma alcuni, dal momento che con la fede, la
speranza e la carità riconoscono che Dio ha patito nella carne e a
lui innalzano lodi, ricevono in premio la corona; altri invece,
poiché rinunciano alla fede e alle opere del battesimo, sono privati
del dono che hanno ricevuto.
(Commento al vangelo di Luca, VI, 23)
BRUUN CANDIDO DI FULDA, ABATE (+ 845)
Da ladrone divenne martire
Il buon ladrone ammise di aver ricevuto insieme al
suo compagno una giusta condanna, ma riconobbe che il Signore, che
pure non aveva fatto nulla di male, pativa per i suoi peccati e
per quelli di tutto il popolo fedele. Noi disse
giustamente siamo condannati, infatti riceviamo una pena degna dei
nostri misfatti; costui invece non ha fatto nulla di male.
O grande fede del ladrone; anzi, grande èl'opera di
salvezza compiuta dal Signore nei confronti del ladrone, opera
traboccante di pietà. Vedeva un uomo pendere dalla croce. Non
lo aveva visto mentre ridonava la vista ai ciechi, mentre
risanava i lebbrosi, mentre scacciava i demoni, mentre
restituiva l'udito ai sordi, mentre risuscitava i morti, mentre
sfamava cinquemila uomini con soli cinque pani, mentre camminava
sulle acque; lo vedeva invece mentre soffriva con lui negli
stessi tormenti, e pur tuttavia credette in lui come Signore della
gloria, lo riconobbe re! Signore disse, ricordati
di me, quando sarai nel tuo regno. Lo vedeva crocifisso e lo
chiama Signore; non dubitava che stesse anche lui morendo,
eppure credeva che dopo la sua morte sarebbe venuto il regno.
Questa, o fratelli, non è opera di quell'uomo, ma
è l'opera mirabile di Dio sul cuore di quell'uomo. Non gli era stato
insegnato nulla su Cristo prima di allora, ma era Dio che in quel
momento lo ammaestrava nell'intimo del suo cuore.
E a lui Gesù disse: In verità ti dico, oggi sarai
con me in paradiso. Nel momento stesso della passione del Signore
uno di quelli che erano stati crocifissi con lui rimase reprobo tra i
ladroni, l'altro si ritrovò eletto. E questo avvenne a nostro
ammonimento; due infatti sono i generi di uomini: quelli posti alla
sua sinistra, ai quali il Signore dirà: Allontanatevi da me, o
maledetti, nel fuoco eterno (Matteo 25,41); e quelli posti alla
sua destra, ai quali promette dicendo: Venite, benedetti del Padre
mio, ricevete il regno preparato per voi fin dalla fondazione del
mondo (Matteo 25,34). E infatti il buon ladrone, eletto dalla
grazia di Dio, ha fatto proprio questa richiesta nella sua preghiera:
Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno. Egli
chiese l'ingresso nel regno, quell'ingresso che il Signore aveva
promesso di dare ai suoi eletti alla fine dei tempi.
Vedete, o fratelli, questa prova così grande dell'amore
di Dio in una sola parola; e per di più, proprio mentre stava
morendo, gli cancellò tutti i peccati della vita passata. Il
ladrone fece la sua professione di fede nel Signore, e grazie a
quella professione meritò di entrare in paradiso. Infatti da ladrone
è divenuto martire. Quando era salito in croce, era un ladrone;
mentre pendeva dalla croce divenne confessore della fede e martire.
Non disperiamoci, o fratelli, per i nostri peccati
passati; il Signore, nella sua volontà di perdono, non tollera
indugi, a patto che il nostro animo sia pronto a confessare i peccati
commessi e ad abbandonarli; infatti il cuore di Dio è sempre
prontQ alla misericordia. E considerate che prima di quel
momento entrambi erano ladroni: evidentemente per indicare che
tutto il genere umano era schiavo dei peccati. Ma gli eletti,
avendo abbandonato la via del peccato ed essendosi convertiti
alla fede, sono stati resi degni di entrare in paradiso. I reprobi
invece, pertinaci nel male come il ladrone incredulo, sono
destinati a essere puniti nel fuoco eterno. Oggi disse ,
sarai con me in paradiso. Cristo Figlio di Dio, nella sua
divinità, èsempre in paradiso, anzi è lui stesso il paradiso dei
suoi fedeli, è lui la gioia e la felicità eterna. Dunque stava per
entrare nel paradiso con il Signore quel ladrone che doveva essere
condotto a riconoscere la divinità di Cristo, lui che aveva
riconosciuto la potenza della divinità nella sua umanità,
anche nel momento in cui pendeva dalla croce. (...) E a
proposito ha detto: oggi. Quell'anima felice infatti doveva
essere condotta alle gioie della vita eterna, dove non c e più né
giorno né notte, ma un unico ed eterno giorno.
(Opuscolo sulla Passione del Signore, 17)
SANT'ANSELMO D'AOSTA, VESCOVO (1033/34-1109)
Il profumo della croce
Possa io sentire, o Salvatore mio, la forza e il profumo
che proviene dalla tua croce, così come lo sentiva quel ladrone
che ti diceva: Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo
regno. Forse quel ladrone ti aveva visto precedentemente
ridare la vista ai ciechi o risuscitare i morti, e non ti aveva
adorato. Ma in quel momento, quando ti vede appeso sulla croce, ti
adora dicendo: Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo
regno.
La tua croce è riuscita a fare in lui ciò che non
erano riusciti a fare i tuoi miracoli. Costui ti conobbe più
veramente e più perfettamente mentre pendevi dalla croce di quando
insegnavi nel tempio o di quando compivi miracoli. Quanto grande
è la forza della tua croce; quanto grande è la gloria di te appeso
a un legno! Questo ladrone, non appena vide il tuo legno, subito
conobbe il tuo regno; e quando ti vide pendente dalla croce,
capì che lì tu regnavi.
Che sublime profumo usciva dalla croce, un profumo che
vinceva ogni cattivo odore dell'incredulità. Giustamente
chiamava te suo Signore, lui che era consapevole di essere tuo
servo, poiché con i suoi occhi vedeva il prezzo con cui l'intero
universo veniva pienamente redento.
Ma che cosa rispondesti, o Gesù buono e dolcissimo, che
cosa rispondesti al ladrone che in croce ti pregava? Oggi sarai
con me in paradiso. Che significano queste parole, o Re
desiderabile? Sei confitto con chiodi e prometti il paradiso. Pendi
sulla croce e dici al ladrone: Oggi sarai con me in paradiso. E
dal momento che dici queste parole al ladrone, o Desiderio delle
anime, dov'è il paradiso? Senza dubbio, sei tu il paradiso, tu che
con tanta confidenza prometti: Oggi sarai con me in paradiso.
Credo, o Signore, credo fermamente che dove tu vuoi e
dove tu sei, lì è il paradiso; e che l'essere in paradiso è
l'essere in comunione con te. Il ladrone, divenuto venerabile
confessore della fede e martire glorioso, restò con te per
tutto quel giorno, per tutto quell' oggi, e poi per tutta
l'eternità. Quanto è bello restare con te! E quanto beati sono
coloro che restano con te! Sono veramente in paradiso, sono
veramente nel regno, coloro che sono con te in virtù della fede
e dell'amore.
La tua croce, o Signore, promette il paradiso e
dona il paradiso. Per questo adoro umilmente la tua croce, adoro
te sulla croce e la croce in te. Adoro la croce a causa di Colui che
pende sulla croce. Adoro Colui che il ladrone adorava, e lo
prego così come lui lo pregava: Signore, ricordati di me quando
sarai nel tuo regno.
Riconosci in me, o Signore, questa preghiera, così
come la riconoscesti nel ladrone. Accogli questa preghiera dal
tuo servo, così come l'accogliesti da quel tuo servo. Ricordati di
me dal tuo regno, così come ti ricordasti di lui dalla croce.
Ti prego, o Signore, di' al tuo servo, di' all'anima
mia: Oggi sarai con me in paradiso, così che io, confortato
dalla tua desiderata promessa, possa perseverare fedelmente
nella fede in te e nell'amore per te, o Redentore mio, mediatore tra
Dio e gli uomini, che con il Padre e lo Spirito santo vivi e regni,
Dio, nei secoli dei secoli. Amen.
(Orazione 53, De saneta cruce e[ de beata Virgine et
bono latrone)
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