Cara
Chiara, tutte le volte che sei venuta a cena da me con la tua
famiglia, mi hai sempre posto degli interrogativi su come educare i
tuoi figli alla fede cristiana, su come far - amare loro Gesù e come
far apprendere e vivere i suoi insegnamenti, per aiutarli a
realizzarsi pienamente. Questa tua preoccupazione, sappi, la trovo in
tanti genitori che oggi si trovano a lottare contro una cultura
permissiva che non solo ignora, ma cerca in tutti i modi di sradicare
dalla famiglia quei valori cristiani che, per secoli, hanno formato -
generazioni di giovani dando loro stabilità morale e garantendo la
serena convivenza nella società civile. In questa mia lettera
cercherò, con il contributo di vari autori, di descriverti alcune
regole-base per educare i figli e di evidenziarti i pericoli in cui
essi potrebbero incorrere se - esentati da una formazione morale.
Prima di tutto ti ricordo che i figli -ho presente in questo momento
la creazione di Adamo: “E il Signore Dio formò l'uomo dalla
polvere e alitò nelle sue narici un soffio di vita e l'uomo divenne
anima vivente” (Gn. 2,27)- sono come una | massa di argilla da
modellare: plasmabili da parte
“dell'educatore”,
secondo l'ideale che si è prefisso. Questo dovrebbe essere
abbastanza chiaro per ogni genitore. E a questo proposito, ti
racconto un piccolo episodio che ho trovato scritto su una rivista
missionaria a cui da anni sono abbonato. “Sull'albero della foresta
c'era un nido con due piccoli pappagalli. Un giorno, mentre la madre
era fuori in cerca di cibo per nutrirli, un cacciatore di passaggio
si arrampicò sull'albero per rapire i due pappagalli. Riuscì a
prenderne uno solo perché l'altro riuscì a fuggire. Quello
catturato fu messo in gabbia e imparò a parlare e a ripetere le
frasi del cacciatore; l'altro, starnazzando come poteva qua e là
per la foresta, capitò pressò la capanna di un vecchio asceta, il
quale lo raccolse, lo portò nel suo eremitaggio e lo allevò con
cura. Anche lui, ascoltando quanto diceva l'eremita durante la
preghiera, imparò a ripetere le sue lodi e anche le parole d'amore
che l'eremita esprimeva nei riguardi dei suoi visitatori. Ora avvenne
che un giorno il re, attraversando a cavallo la foresta, si smarri.
Capitò vicino all'abitazione del cacciatore; e il pappagallo nello
scorgerlo cominciò a gridare: –Prendilo! Dai! Ammazzalo! Il re,
impaurito, diede di volta, spronò il cavallo e fuggi da quel luogo.
Si trovò per caso davanti all'abitazione dell'asceta. Anche lì
c'era un altro pappagallo che nello scorgere si mise a dire: -Oh,
poveretto. Entra nella mia cella e ristorati. Meravigliato, il re si
accostò alla capanna dell'eremita,lo salutò cortesemente e gli
disse: -Non lontano di qui ho trovato un altro pappagallo che mi ha
riempito di ingiurie e minacce, mentre questo ha usato verso di me
solo parole di cortesia. -Eppure sono fratelli -disse l'eremita.
-Come mai dunque tanta differenza di linguaggio? Perché l'uno è
buono e l'altro è cattivo? -chiese il re. -I pappagalli non sono né
buoni né cattivi -disse l'eremita. - Imparano a ripetere le parole
che sentono più spesso. E... non crede Vostra Maestà che sia così
anche nel mondo degli uomini?”. Scriveva il vescovo C. M. Martini:
“Educare significa talora anche contrariare. Permettere o, peggio,
favorire la crescita incontrastata degli istinti negativi della
persona, non frenare i capricci, l'aggressività distruttiva e i vizi
che la disumanizzano, non correggere i difetti e le pulsioni
egoistiche, significa rinunciare alla sua educazione”. “Un
bambino è come lo educhi. Se lo abbandoni , nella giungla, diventerà
Tarzan”, affermava il giornalista Ferdinando Camon.
Ne
Sei convinta? Spesso mi fai presente che è difficile educare i figli
alla fede cristiana nella società in cui viviamo: corrotta, malata e
piena di vizi; diseducata a vivere i valori morali a causa degli
esempi negativi della classe politica e di quanti gestiscono il
potere economico della nazione. Eppure, devi sapere, che quando il
Vangelo giunse nella città di Roma, capitale dell'Impero, il “clima
morale” non era certo migliore di quello odierno: sfruttamento
della schiavitù, violenza negli stadi la gente si divertiva a vedere
i leoni sbranare i cristiani e ad assistere a spettacoli in cui i
gladiatori lottavano per uccidere, la prostituzione legalizzata, la
prostituzione giovanile -era uso da parte dei giovani studenti
donarsi ai propri insegnanti e tutori, l'infanticidio, ecc. Eppure,
come ben sai, le famiglie cristiane riuscivano a educare i loro figli
all'osservanza della morale predicata da Gesù Cristo, senza se e
senza ma. E se tu oggi sei cristiana lo devi a questi nostri fratelli
che per primi accolsero la fede, divenendo testimoni con la propria
vita. Oggi molti genitori, ignorando la loro missione di educatori,
preferiscono lasciare che i figli crescano liberi, senza regole e
valori, creando così dei futuri disagiati, incapaci di affrontare la
fatica e il dolore del vivere. Quanti suicidi di giovani? Quanti di
loro muoiono distrutti dalla droga? Quanti anoressici e bulimici
incontri nelle scuole o negli studi di psicologi? Molti dei loro
genitori sono più propensi a creare dei divi, piuttosto che a
crescere dei figli. Si racconta di tre donne che andarono alla
fontana per attingere acqua. Presso la fontana c'era una panca di
pietra, sedeva un uomo anziano che le osservava in silenzio ed
ascoltava i loro discorsi. Le donne lodavano i loro rispettivi figli.
- “Mio figlio diceva la prima, è così svelto ed agile che nessuno
gli sta alla pari”. - “Mio figlio sosteneva la seconda, canta
come un usignolo. Non c'è nessuno al mondo che possa vantare una
voce bella come la Sua”. - “E tu, che cosa dici di tuo figlio?”,
chiesero alla terza, che rimaneva in silenzio. - “Non so che cosa
dire di mio figlio -rispose la donna-. E' un bravo ragazzo, come ce
ne sono tanti. Non sa fare niente di speciale”. Quando le anfore
furono piene, le tre donne ripresero la via di casa. Il vecchio le
seguì per un pezzo di strada. Le anfore erano pesanti, le braccia
delle donne stentavano a reggerle. A un certo punto si fermarono per
riposarsi. Vennero loro incontro i tre giovani figli. Il primo
improvvisò uno spettacolo: appoggiava le mani a terra e faceva la
ruota con i piedi per aria, poi inanellava un salto mortale dopo
l'altro. Le donne lo guardavano estasiate: “Che giovane abile”,
dicevano. Il secondo giovane intonò una canzone. Aveva una voce
splendida che ricamava armonie nell'aria come un usignolo. Le donne
lo ascoltavano con le lacrime agli occhi: “E' un angelo!”,
dicevano. Il terso giovane si diresse verso sua madre, prese la
pesante anfora e si mise a portarla camminando accanto a lei. Le
donne si rivolsero al vecchio: - “Allora che cosa dici dei nostri
figli?”. - “Figli? -esclamò meravigliato il vecchio-. Io ho
visto un figlio solo!”. “Se pianti un cardo, non aspettarti un
gelsomino”, recita una massima orientale. Quando è bene iniziare a
educare cristianamente i nostri figli? E' una domanda che sento
spesso nelle famiglie influenzate da certe teorie moderne che
predicano il non condizionamento educativo, soprattutto quello
religioso per non limitare i figli. Una madre domandò al guru quando
avrebbe dovuto iniziare a educare la figlia. - Quanti anni ha la
bambina? -domandò il maestro. - Cinque -rispose la madre. - Cinque?
Corri subito a casa. Sei già in ritardo di cinque anni! -rispose il
maestro. I primi tre anni di vita sono importantissimi per la
formazione del carattere di una persona; le impressioni che assorbe,
gli insegnamenti che riceve sono segni indelebili per la Sua
Stabilità morale. Come si educano i figli? Quale è il metodo
migliore da applicare? Un giovane, prossimo alle nozze, nell'atto di
congedarsi dai suoi genitori, disse loro: “Ho imparato molto di più
spiandovi, che non sentendo le vostre “prediche”. Cara Chiara, i
figli assorbono molto bene “gli esempi di vita” dei genitori, più
che i tanti loro consigli. Scriveva Papa san Gregorio Magno al suo
clero questa esortazione che si addice benissimo anche agli educatori
e ai genitori: “Ogni predicatore deve parlare più con le azioni
che con la voce; più che a indicare agli altri la via deve, vivendo
bene, tracciare le orme su cui gli altri dovranno camminare”
(Regola pastorale III,40). Mi domando: come può un bimbo imparare ad
avere il timore di Dio se sente i suoi genitori bestemmiare il
Signore? Imparare ad avere fiducia e confidenza con Dio se non vede
mai i suoi genitori pregare e confidare nella presenza divina?
Rispettare le idee altrui, se assiste in casa ai continui litigi dei
suoi, agli insulti reciproci, al mancarsi di rispetto? “L'uomo
è ciò che mangia”, ci ricorda Goethe. Quando esercitavo il
ministero sacerdotale nella Diocesi di Torino, fui invitato un giorno
a pranzo da una famiglia di mia conoscenza. E' sempre stata mia
abitudine recitare la preghiera prima di iniziare a mangiare. Anche
quel giorno, prima di sedermi a tavola, chiesi alla padrona di casa
di poter benedire il cibo che stavamo per consumare. Mi disse: “C’è
mia figlia che vuole dire lei la preghiera: è tutta la mattina che
si prepara a questo momento”. - “Certo. E perché no?” -le
risposi. - “Signore, benedici il cibo che ci hai donato e danne
anche a coloro che non ne hanno. Amen!” -recitò in modo trionfante
la figlioletta di sette anni. - “Chee! -le dissi. Perché, invece
di dire al Signore cosa debba fare, non fai tu ciò che è tuo
dovere? La tua preghiera non è corretta”. “E
come dovrei dire allora?” -replicò la bimba. - “Signore,
benedici il cibo che ci hai donato e aiutaci a condividerlo con
coloro che non ne hanno”. La bimba si girò verso la mamma e disse:
- “Sei una scema! La colpa è tua se ho sbagliato a dire la
preghiera”. - “Ma è questo il modo con cui tratti tua madre?”
- dissi rivolto alla bimba. La madre a quel punto intervenne e disse:
“E' colpa mia, reverendo: sono io che glielo permetto; noi due ci
trattiamo da amiche”. Non replicai per non rovinare l'incontro che
era stato voluto da molto tempo. Ma prova a chiederti, Chiara: è
questo il giusto modo di porsi del genitore nei confronti di un
figlio, fare l'amicone piuttosto che l'educatore? Te lo immagini
Gesù, al sentirsi rimproverare da Maria, sua madre, per essersi
allontanato senza permesso dalla carovana familiare e essersi fermato
a parlare con dottori del Tempio, darle della “scema”, perché
cosciente che il figlio doveva occuparsi delle cose del suo Padre
celeste? (cf Lc. 2,49). A quella donna volevo dire che la bimba,
tutto sommato, aveva ragione a definirla con quel termine poco
simpatico, dato che non aveva capito ancora cosa ella volesse da lei:
una madre e non un'amica. Infine ti puoi chiedere: quale impegno devo
privilegiare nella crescita dei figli? Ci sono genitori che per i
loro figli sono disposti a qualsiasi tipo di sacrificio purché
diventino il top della società competitiva, ma non altrettanto a far
sì che apprendano i valori che Gesù ci ha insegnato per vivere. Ho
sempre in mente la storia di un figlio sedicenne che trascorse alcuni
anni in carcere per aver ucciso, nella vigna di famiglia, il proprio
padre a calci. “Una famiglia viveva in collina con poca terra avara
e qualche filare di viti fra i quali in primavera, seminava patate,
cibo quotidiano per la famiglia. La borgata di collina distava circa
tre chilometri dal paese. Il parroco locale teneva ogni giorno di
Avvento e Quaresima il catechismo, frequentato da tutti i ragazzi,
tra cui il figlio di quella famiglia di borgata che amava
frequentare. Il papà era seccato che il figlio fosse assente da casa
tutti i pomeriggi per il catechismo. Un giorno mentre aravano nella
vigna, il figlio decenne disse al padre:”Devo andare al
catechismo”, ed il padre scocciato rispose: “Il prete ti dà da
mangiare?”. “No”, fu la risposta del ragazzino. Il padre
concluse: “Allora il catechismo serve a nulla”. E da quel momento
gli proibì di frequentare il catechismo pomeridiano. A quattordici
anni già si rivoltava al padre e a sedici, nello stesso campo de “
Il catechismo serve a nulla”, ci fu una lite furiosa; il figlio
rifilò al padre due calci nel ventre e lo lasciò morto nel campo.
Il giovanotto visse diversi anni in carcere, poi, uscitone, si sposò
e tornò ad abitare nella borgata dove, con la sposa, allevò quattro
figli, a cui non proibì mai di frequentare il catechismo. Chi ha
raccontato questo episodio è il parroco che seppe questa storia
perché accompagnò in sepoltura quel padre che credeva e poi
credette ancora nella istruzione religiosa”. Cara Chiara, questa
storia che ti ho raccontato mi sovviene sempre quando incrocio
genitori indaffarati a portare i loro figli a pallacanestro, a nuoto,
a calcio, in palestra, ma poco propensi a portarli a catechismo e a
richiamarli per la loro eventuale assenza. Immagino cosa possano
pensare di fronte a un richiamo del loro parroco: “A mio figlio il
prete dà da magiare?”. Spero con questa mia lettera, cara Chiara,
di aver risposto alle tante tue domande ed essere riuscito a
rafforzare la tua determinazione a educare cristianamente i tuoi
figli, secondo le indicazioni lasciateci da Gesù Cristo. Ti Saluto
caramente. Non dimenticarti di salutarmi tuo marito e i tuoi figli
che affido alla misericordia divina. Ciao.
padre
Basilio Martin
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