Dall'infanzia
all'adolescenza
Sulle
sponde del Canalbianco, lungo la strada n. 16, che unisce la città
di Rovigo alla città di Ferrara, a Bosaro, piccolo paese agricolo
del medio Polesine, nasce, il 21 ottobre 1924, Maria Samiolo, cui il
padre naturale A.G., che si rifiuterà di sposare la madre della sua
bambina, non darà il proprio cognome. Fino al febbraio del 1930
Maria trascorre giorni felici in casa dei nonni materni, attingendo
dal cuore di nonna Cesira Samiolo una immensa ricchezza di fede e di
amore alla preghiera, che costituirà il prezioso bagaglio
spirituale per il resto della vita. Con il matrimonio della mamma con
Giuseppe Bolognesi, Maria si trasferisce nella famiglia del papà
adottivo, da cui sarà amata forse più degli altri sei figli che
verranno poi. Con il cambio di famiglia inizia per lei la lotta
contro una povertà inimmaginabile: alle volte, anche per tre giorni
consecutivi, ella si alimenta con sola acqua; a scuola non può
disporre di carta, penna, abecedario; tanta è la fame da essere
costretta a raccogliere le bucce di patata lasciate cadere dalle
amiche sul «sudiciume» delle mucche: quelle bucce ella le lava e le
mangia!; un'unica veste di tela ricopre Maria d'estate e d'inverno,
nei giorni feriali e festivi, e le serve di coperta da notte. A casa
di Maria non c'è da mangiare per nessuno, nemmeno per i topi: la
lotta contro la povertà è altresì resa difficile dalla
permanenza in umili e disagiate abitazioni, al punto che ne
risentirà sia la salute di lei, sia anche, in un modo o nell'altro,
la salute di tutti i componenti la famiglia. La povertà,
costantemente presente in casa Bolognesi, costringerà Maria ad
aiutare i genitori nel duro lavoro dei campi, e a dedicare molto del
suo tempo nel seguire i fratellini con intelligente e amorosa
disponibilità.
A
motivo di questa dura situazione familiare, Maria si troverà
condizionata anche nello studio, al punto da essere costretta a
frequentare, in modo molto irregolare, soltanto la prima e la seconda
classe elementare; lei percorrerà in quattro anni intervenendo alle
lezioni unicamente da ottobre a febbraio, perché a marzo
l'attenderà il lavoro nei campi. Queste condizioni di vita
segneranno profondamente l'esistenza di Maria: la radicheranno in uno
stato psicologico di profonda umiltà, le spalancheranno il cuore
alla comprensione dei fratelli indigenti e malati, perché a casa
sua la povertà e la malattia erano come un tutt'uno e per causa
loro Maria conoscerà presto la realtà della morte, che in uno
spazio ristretto di tempo, le sottrarrà persone tanto amate: nonno,
due zii e un fratellino; favoriranno anzi in lei la crescita di una
spiccata tenerezza e di una sollecita attenzione verso i poveri,
espresse, e l'una e l'altra, attraverso un accentuarsi progressivo
della "virtù della misericordia", che sarà poi la
"gemma della sua vita". In questo suo percorso di vita
Maria avrà un Maestro singolare, che le darà lezione e la
educherà interiormente. Il suo ultimo Direttore spirituale, Mons.
Aldo Balduin, lascia scritto: "ella viene allenata alla scuola
della perfetta carità da Colui che ne è l'insuperabile Maestro";
ne seguirà passo passo "la voce lungo la traiettoria della
fedeltà ai comandamenti di Dio, ai precetti della Chiesa e
all'esercizio quotidiano delle virtù teologali e cardinali, fino
alla pratica dei consigli evangelici e alle grazie mistiche".
Questo impegnativo cammino spirituale definisce sempre meglio in
Maria i lineamenti di una accentuata vita interiore riflessa, in modo
sempre più marcato, perfino nel volto, nei gesti e nelle parole di
lei, dai quali vengono abitualmente espresse serenità e fiducia
nell'aiuto del Signore. Ella avverte nel cuore il bisogno di
assistere, possibilmente ogni giorno, alla S. Messa, di frequentare
il catechismo e di pregare senza sosta, sia di giorno che di notte,
nella sua stanza come pure nella vasta solitudine della campagna,
dove si impegna a portare avanti, fino allo stremo delle forze, i
vari lavori stagionali, sempre duri e pesanti per il suo fisico tanto
gracile.
La
grande prova
La
parabola evangelica del chicco di grano, che muore per portare
frutto, si realizza in Maria con il ritmo più naturale. Nei suoi
imperscrutabili disegni Dio, infatti, permette talvolta situazioni di
tormentata impotenza, soprattutto quando "un'anima sta per
incamminarsi sulla via del puro amore divino". Per Maria, è il
momento della purificazione che il Signore permette nella forma della
possessione diabolica. Per circa un anno e mezzo Maria si troverà
immersa in sofferenze indicibili, che la segneranno sia sul piano
fisico, sia su quello spirituale. L'inizio del male risale alla data
di nascita del fratello Luigi: 21 giugno 1940. Le fonti documentarie
attribuiscono l'insorgere della malattia a delle cause ben precise.
Fino alla fine di gennaio 1942 l'atteggiamento di Maria appare per lo
meno strano. Ella alterna momenti di vita per così dire normali, ad
altri momenti nei quali in lei si avverte una situazione
indecifrabile.
A
motivo di questa situazione, che crea grande disagio per tutti i
componenti la famiglia Bolognesi, ora residente a S. Cassiano (RO),
ma soprattutto per alleviare le grandi sofferenze della figliola, i
genitori pensano di intervenire su di lei con delle benedizioni. Nel
corso dei mesi, i tentativi messi in atto per liberare Maria dallo
strano malessere, sono vari e molteplici, ma non conseguono alcun
risultato, anche perché Maria fugge terrorizzata, sia quando
avverte la presenza di un sacerdote, sia quando qualcuno porta
dell'acqua benedetta in casa di lei. Inoltre, fino all'estate 1941,
si nota talvolta in Maria perfino l'impossibilità fisica di recarsi
in chiesa. Quando, insieme alle compagne - tra cui le figlie dei
sigg. Piva e dei fittavoli, vicini di casa dei Bolognesi - giunge al
ponte che immette sulla strada che conduce alla parrocchiale di S.
Cassiano, Maria improvvisamente si blocca: le sottane sono tirate
indietro da una presenza misteriosa e, data l'assenza di vento, anche
le compagne di Maria notano stupefatte l'effetto fisico di questa
azione invisibile. Nelle loro testimonianze, le giovani affermano di
essere tornate a casa gridando per lo spavento. Con l'estate del 1941
papà Bolognesi, grazie ad uno stratagemma, riesce a bloccare Maria
e a farla benedire dal parroco di S. Cassiano; questa benedizione,
inefficace, è però seguita, nel corso della stessa giornata, da
una seconda benedizione, di notevole portata, impartita dal vescovo
di Rovigo. Considerata, infatti, l'inefficacia della benedizione data
dal parroco di S. Cassiano, nei famigliari e negli amici presenti in
quel momento in casa Bolognesi affiorò il dubbio che Maria fosse
affetta da turbe psichiche; prevalse pertanto l'idea di sottoporla al
giudizio del primario dell'ospedale psichiatrico di Rovigo. Alla
decisione si oppose energicamente la signora Piva, perché, secondo
lei, Maria non era affetta da alcuna malattia mentale. Pertanto, su
consiglio della signora Piva, papà Bolognesi chiede che la
macchina, su cui viaggia assieme alla figlia Maria e ad alcuni amici,
passi, prima, sotto le finestre del palazzo vescovile. Avvertito, il
vescovo benedice la giovane dall'alto; in virtù di questa
benedizione, Maria immediatamente si calma. Portata quindi dal
primario del reparto, questi l'intrattiene per circa un'ora e alla
fine la rimanda a casa con queste parole: "Vai, vai Mariola che
non hai niente mangia e bevi e stai contenta". Nei mesi
seguenti, il travaglio non è comunque ancora finito. La possessione
diabolica non è più totale come nel passato: la giovane è in
grado di pregare, di recarsi in chiesa, di ascoltare, talvolta, anche
la S. Messa; il suo fisico, però, è colpito da repentino
dimagrimento che la «divora» e «consuma». Le sue sofferenze sono
indicibili, tanto da far compassione, ma nessuno la può aiutare se
non ricorrendo con la preghiera a Gesù, perchè la liberi Lui da
tanto patire. Alla fine di gennaio 1942, convinta di avere ancora
solo tre giorni di vita, Maria riesce a confessarsi e a comunicarsi.
"I successivi tre giorni sono dolorosissimi per lei: per tre
notti consecutive piange, invocando il Signore e tutti i Santi del
cielo, che la vengano ad aiutare... All'inizio del quarto giorno, la
guarigione completa in casa dei signori Piva".
L'incontro
e la mistica unione
Dopo
essere stata definitivamente liberata, alla fine di gennaio 1942,
dalla possessione diabolica, la fedeltà di Maria a Dio viene
coronata dall'avvenimento del 1° aprile del 1942, mercoledì santo,
giorno in cui Gesù le appare per la prima volta, improvvisamente.
In questo giorno, su insistenza dei signori Piva, Maria si fa dare il
permesso dai suoi genitori di trascorrere la notte in casa loro e,
durante quella notte, la giovane, credendo di sognare, vede Gesù.
Come avvenne? Ce lo racconta lei nel diario. "In quella notte ho
fatto un sogno che mi turbò assai.... Una gran luce, Gesù, Gesù,
che sia proprio un sogno? Gesù mi parlò! mi dice: Maria sì sono
Gesù mi conosci?" Immediatamente Gesù le svela che ha
"bisogno" dell'aiuto di lei, ma questa confidenza crea
ancor più incertezza in Maria, che non teme di esprimere i suoi
dubbi: "ma sei proprio Gesù?, che prove mi dai perché io non
dubiti?" La risposta di Gesù si colloca sul piano spirituale:
"Maria, ti chiedo amore e preghiere e penitenza". Risposta
immediata di lei: "io non so pregare, non potrò corrispondere,
sono un nulla". E Gesù: "Maria per questo poso su di te,
perché sei proprio un nulla". Il dialogo continua serrato: il
Signore le dice che imparerà a leggere, ma questo, risponde Maria,
è impossibile, perché lei non sa ne leggere ne scrivere; ma la
replica di Lui è decisa: "Maria, Maria, tu scriverai, tu
leggerai".
A
questo punto Maria ritorna insistentemente sulla prova che Lui sia
Gesù, vuole che questa prova Lui gliela dia. E Lui che risponde?
Così: "Maria, dammi la tua mano destra, questo è l'anello
che ti dono, cinque sono le piaghe e cinque sono questi rubini, che
cosa vuoi ancora? L'anello un giorno sarà ancora mio".
Sbalordita, Maria si confonde, confessa di non capire più nulla, ma
il Signore l'assicura che un giorno capirà e che sarà tanto
perseguitata, cacciata perfino dalla chiesa e dal confessionale.
Allora lei, timidamente, replica: "perché tutto questo?",
ma Gesù non le dà alcuna risposta, anzi insiste sulle sofferenze
grandi che lei dovrà subire e l'esorta ad essere forte. Come
rassicurata dalla piega confidenziale presa dal colloquio, Maria
improvvisamente rivolge una domanda: "Per credere che sei Gesù,
Ti chiederei una grazia grande, grande". Il Signore non se ne fa
meraviglia, anzi le risponde che sa già di quale grazia intende
parlare. "Allora se lo sai, me la concederai? la cognata di
questi signori è inferma, Tu la farai camminare?" "Maria,
sì, io la posso guarire, tu prega tanto" "Gesù, al
confessore posso raccontare questo sogno?" "Maria, sì,
racconta pure". La visione, anzi il "sogno" come lo
qualifica Maria, svanisce e lei continua: "sono veramente
terrorizzata, in dito ho l'anello, non capisco, non capisco più
nulla". Infatti, a conferma della realtà della visione, oltre
l'anello, Gesù volle assicurarla concedendo la grazia straordinaria
richiesta. La parente dei Piva aveva perso da mesi l'uso delle gambe
al punto che il marito era costretto a portarla in braccio, essendo
ella incapace di camminare. "Con la padrona dove ho dormito -
ecco la continuazione del racconto del diario di Maria -, sono andata
da sua cognata inferma, assieme pregammo, l'inferma guarì, di corsa
fece le scale, andò al lavoro. Sono ancora più sconvolta. Ma che
sia stato proprio Gesù?". Immediatamente le due, Maria e la
signora Angelina Piva, si portano da don Bassiano Paiato, confessore
di entrambe, per narrargli la visione, la consegna dell'anello e la
guarigione straordinaria della cognata della Piva. Ascoltatele, il
sacerdote impone alla Bolognesi di scrivere giorno per giorno tutto
ciò che le accade, facendoglielo poi leggere. Così inizia il
diario di Maria, che verrà poi continuato fino al 1967.
Familiarità
con Gesù
Il
primo incontro di Gesù con Maria - 1° aprile 1942 - avrà un
seguito, del tutto singolare, il 2 gennaio 1944. Quel giorno Maria
nell'estasi incontra "Gesù tanto, tanto triste" e lei
immediatamente Gliene chiede la ragione. La risposta è immediata:
"per la conversione delle anime"; e subito Egli aggiunge:
"Maria, il Mio flagello è anche tuo. Il tuo corpo riceve gli
stessi sudori di sangue, prega molto per la conversione delle anime e
la santificazione dei sacerdoti..." La risposta di Maria non si
fa attendere: "Gesù usa del mio corpo come vuoi e della mia
persona, se Ti è utile, serviTi come un vero strofinaccio, sono
pronta, con il Tuo aiuto sono certa che tutto passerò". Gesù
subito replica: "Maria, il Mio sudore è tuo".
Immediatamente, per cinque minuti, ella comincia a sudare sangue e
nel diario commenta: "Mio Dio, che dolori, se non avessi vicino
Gesù, non potrei sopportare". Le lenzuola rimangono
completamente inzuppate di sangue e al mattino, all'insaputa dei
famigliari, Maria toglie le lenzuola dal letto, le piega e le porta
dalla signora Piva, perchè le lavi in gran segreto. In seguito,
tutti i venerdì dell'anno, alle ore 15, le sudorazioni sanguigne,
ordinariamente, si ripeteranno. Il fenomeno delle stimmate aperte si
accentuerà nei tempi dell'Avvento e della Quaresima, durante i
quali Maria vivrà esperienze di intenso dolore e di grande
penitenza, che la costringeranno a restare molto ritirata in casa. Ma
torniamo alla visione del 2 gennaio 1944. Durante quella visione
Maria chiese al Signore quando sarebbe terminata la guerra. Gesù
non le rispose, ma l'avvertì che se Lui glielo avesse rivelato, lei
avrebbe sofferto molto, al che Maria controbattè dicendosi disposta
a patire. Dopo quaranta giorni, il 12 febbraio di quell'anno, il
Signore le consegnerà il segreto della fine della guerra. Quel
giorno Maria vede Gesù "grondante sangue" con accanto la
Vergine santa. Dopo averle chiesto se desidera sapere quando verrà
la pace e averne ottenuto risposta positiva, Gesù prega Maria di
piegare un foglio di carta in quattro, "in segreto scriverai il
sogno - le dice il Signore e lei racconta nel diario - stai attenta
di non scrivere dove pieghi la carta altrimenti lo scritto si sciupa.
Il foglietto lo conserverai in un breve fatto di stoffa fin che
verrà la pace. Darai di aprire il foglietto scritto e breve al tuo
Confessore presenti i Signori Piva" (ciò avverrà il primo
maggio 1945). Gesù detta a Maria quanto sarebbe accaduto nei giorni
22, 25, 26 aprile 1945, sottolineando che il 26 di quel mese, giorno
della Madonna del buon Consiglio, il paese di Crespino (Rovigo) sarà
liberato da «americani indiani»; il giorno dopo la Madonna di
Pompei ci sarà la pace in Europa, ma non nel mondo, perché il
Giappone «sarà un pò duro per cedere». Terminata l'estasi,
Maria, obbediente, racchiude il foglietto dentro un involucro di
stoffa e cuce il tutto, appuntandolo con uno spillo al petto. Avendo
lasciato libero, nel diario, lo spazio corrispondente al segreto,
scritto a parte su di un foglio, don Bassiano Paiato gliene chiederà
il motivo e così verrà a sapere dell'esistenza di questo segreto.
Come preannunciatole dal Signore, sia i Piva che il confessore
insisteranno poi più volte per conoscere le date della fine della
guerra, ma la Bolognesi non verrà meno all'impegno assunto,
astenendosi dallo svelare alcunché. Tutto ciò che era stato detto
da Gesù nel febbraio del 1944 avrà poi perfetta corrispondenza
nella realtà. Il primo maggio del 1945 (ossia dopo il 26 aprile, ma
prima del 9 maggio), Maria aprirà l'involucro di stoffa davanti al
confessore e ai signori Piva, e leggerà loro il testo, scritto
oltre un anno prima, lasciando tutti stupefatti.
A
proposito delle sudorazioni sanguigne
Malgrado
la riservatezza abitualmente seguita dall'interessata e rispettata
dai signori Piva, quanto succede viene, almeno da alcune persone e
non si sa esattamente come, risaputo. In Maria, infatti, alle visioni
estatiche, seguono, nel tempo, le sudorazioni sanguigne e, più
tardi, il fenomeno delle stimmate. In lei ogni sudorazione sanguigna
è accompagnata da sospensione del movimento muscolare e della
sensibilità, ed inoltre dalla diffusione, nell'ambiente, di un
indefinibile, delicato ma intenso profumo di fiori, tutte
manifestazioni non comuni, che, in un contesto sociale come è
quello in cui vive Maria, possono originare atteggiamenti e prese di
posizione non sempre favorevoli. Per orientare in una lettura
obiettiva di questi fatti può essere richiamato quanto ha scritto
sul "fenomeno dell'apertura delle piaghe" Mons. Aldo
Balduin nel suo opuscolo: "Maria Bolognesi - Una vita per i
poveri". In tali manifestazioni - si legge - "si
verificavano le condizioni in base alle quali, a detta degli stessi
studiosi, si può escludere l'inganno e l'illusione. Cioè:
istantaneità di apparizione, importante modifica dei tessuti,
persistenza e inalterabilità malgrado le terapie; emorragie, assenza
di fatti suppurativi e cicatrizzazione istantanea e perfetta".
Questo giudizio, fondato su attestazioni di esperti, non può ne
deve essere sottovalutato, e neppure ignorato; ciò che assume
valore probante, nei confronti di quanto avviene in Maria, è il
modo con cui essa si comporta dentro questa vicenda, che coinvolge
tutta la sua vita, sia a livello fisico che spirituale. Lei, infatti,
non si mette mai in mostra, anzi umilmente nasconde quanto avviene
nel suo intimo e nel suo corpo; dei grandi doni ricevuti e delle
forti esperienze che vive non dice nulla, neppure ai genitori,
continuando a condividere con la famiglia le dure prove quotidiane.
Gli incontri con Gesù si svolgono in una atmosfera di preghiera; in
essa si colgono i contorni inconfondibili dell'animo di Maria: la sua
sconfinata amicizia e la sua confidenza con il Signore; il suo
abbandono incondizionato in Lui; il desiderio di vivere l'offerta
oblativa del suo cuore e del suo corpo, che la portano ad accettare
umilmente quanto Egli si attende da lei. Talvolta a Gesù che le
dice: "Maria, avrai dei giorni duri da passare, ti lascio aperte
le ferite nei piedi e nelle mani", ella alle volte obietta:"Eh
no Gesù, perché Tu sai che io ho quei poveri da assistere,
quell'ammalato da visitare all'ospedale e non posso andare se mi dai
le piaghe ai piedi; aspetta 10-15 giorni". Maria cioè faceva
dei contratti con Gesù. Egli l'ascoltava, ma non sempre; Maria,
comunque, umilmente accettava, lieta di essere utile, anzi
interiormente felice di unirsi al Signore sofferente.
Per
servire con carità: una scuola
Nel
1946 Maria, pur rimanendo a San Cassiano di Crespino (Rovigo), lascia
la propria famiglia, d'accordo con i suoi genitori, per trasferirsi
stabilmente presso la famiglia Piva Ferdinando, vicini di casa, e con
loro rimane quasi ininterrottamente fino al 1951. La ragione di
questo trasferimento è legata alla povertà della famiglia
Bolognesi, come esplicitamente afferma la mamma di Maria nelle parole
che troviamo scritte nel diario del 4 agosto 1946: "Se tu vai
con loro noi stiamo meglio e più largo". In tal modo, infatti,
in casa Bolognesi rimaneva una persona in meno da sfamare;
d'altronde, abitando nello stesso cortile, Maria era in grado di
aiutare la mamma nell'accudire i fratellini.
A
distanza di tempo è possibile intravedere in questo trasferimento i
contorni di un disegno divino, che coinvolge la vita di Maria,
assegnandole il compito di offrire testimonianza viva di profonda
unità con il Signore nel ritmo quotidiano della vita, iniziandola,
nel contempo, ad un impegno apostolico. Nei primi anni - quando Maria
era ancora in tenera età - la sua generosa disponibilità era
attratta dall'attenzione affettuosa verso la famiglia, per alleviare
i grossi disagi che la povertà provocava ogni giorno. Ora
l'orizzonte si apre: il cuore di Maria è pronto a dedicarsi alla
custodia e alla educazione dei bambini, permettendo alle loro mamme
di lavorare tranquille in campagna, sapendo ben custoditi i loro
figli dalle cure attente di Maria. E così il 12 marzo 1947 Maria
diventa, di fatto, maestra d'asilo e insegnante elementare, lei, che
aveva fatto per tre anni la prima, e un anno (sempre da ottobre a
marzo) la seconda elementare! In questa scelta la famiglia Piva sarà
particolarmente vicina a Maria, ne comprenderà e appoggerà la
generosità e la grandezza d'animo, le presterà il locale
necessario, particolarmente sostenendola nei momenti difficili
dell'incomprensione e del tentativo, perpetrato da alcuni, di
fargliela chiudere. Le difficili strade della consacrazione a Dio Per
esprimere la sua scelta di donazione a Dio e ai fratelli, Maria
decide di portare, senza interruzione, un vestito nero, quasi una
divisa, con la quale, chiaramente ed in modo sicuro, intende indicare
la sua volontà di appartenere totalmente al Signore, senza
preoccuparsi di ciò che gli altri possono pensare. Questa veste da
lei tanto amata, le sarà causa di sofferenza per le derisioni, gli
scherni e perfino gli sputi che alcuni conterranei si permetteranno
contro di lei, ottenendone, però, solo un encomiabile esempio
d'invitta pazienza e cristiana sopportazione. Rattrista il constatare
che Maria venga disprezzata perfino da persone che avrebbero invece
dovuto appoggiarla sia per il lavoro svolto nella scuola, sia per
l'apostolato esercitato tra i ragazzi. Tra tutte le sofferenze che in
questo torno di tempo colpiscono il cuore di Maria, la più
drammatica è sicuramente l'aggressione che in mezzo alla campagna
subirà, il 5 marzo 1948, da parte di tre malviventi. Tramortita
improvvisamente con un pugno alla tempia destra, distesa a terra e
trascinata dietro una siepe, imbavagliata e legata, scarnificata alle
gambe e alle mani con un oggetto non identificato, con due unghie
quasi levate dalle dita dei piedi, abbandonata poi in mezzo alla
neve, Maria dice a se stessa: "sono nelle mani di Gesù" e
in quel mentre ode la voce di uno dei tre malviventi dirle: "pensaci
bene di che partito sei". Nel diario ella continua scrivendo:
"Rimasi sola abbandonata in mezzo alla neve senza potermi
muovere, mi sembrava di essere in mezzo alle fiamme con le gambe e
con le mani. Il freddo mi agghiacciava battevo i denti, balbettavo
poche parole, non potrò più ritornare a casa. Con la bocca
imbavagliata mi sembrava di soffocarmi..." Dopo un tempo che a
lei sembrava non passare mai, i tre ritornano, tentano, ma
inutilmente "contro la purezza", la scarnificano
ulteriormente raschiando di nuovo e mani e gambe, poi le slegano le
mani e le tolgono il bavaglio e fuggono. Con sforzi inauditi,
perdendo sangue dalle ferite, Maria arriva irriconoscibile alla casa
dei Piva, dai quali viene immediatamente soccorsa. Purtroppo quei
malviventi resteranno sconosciuti e impuniti, mentre la loro vittima
sarà costretta, in quello stesso anno, a dare spiegazione
all'autorità giudiziaria di quanto le è capitato. Infatti Maria,
a motivo delle calunnie, che circolavano in paese, viene sospettata
di autolesionismo e di simulazione di reato. Solo più tardi,
nell'ottobre del 1948, si farà luce su tutto. Il giudice, dopo
averla interrogata come imputata del reato di cui all'articolo 367
del Codice Penale (simulazione di reato), la assolverà con formula
piena "per non aver commesso il fatto". Uscendo dall'aula
del Tribunale della Pretura di Rovigo, Maria si limiterà
semplicemente a dire a coloro che le stanno vicino ed hanno condiviso
con lei quel tratto di Calvario: "Signore, perdonali, perché
io li ho già perdonati".
Prove
speciali: le malattie
Provata
un po' in tutte le direzioni, Maria continua a vivere fedelmente la
sua appartenenza al Signore, convinta che le prove incontrate lungo
il percorso quotidiano della vita, non sono segno di rifiuto, ma di
elezione. Accanto alle prove di natura morale e spirituale se ne
collocano però altre, e sono le malattie. Mese dopo mese, anno dopo
anno, il fisico di Maria è sempre più minato da una serie di
malanni: la colpiscono polmoniti, broncopolmoniti, appendicite,
oftalmia cronica, ossiuri, vomiti, anemie, reumatismi, sciatalgie,
laringiti e faringiti croniche, nevriti i cardiache che, nel dicembre
del 1971, sfoceranno nel primo infarto, seguito da ricadute sempre
più ravvicinate e gravi.
A
seguito dei tanti mali che l'affliggono - mali per lo più
sottovalutati o trascurati, in quanto ritenuti "immaginari"
da alcuni medici del luogo - Maria si vede costretta, per motivi di
salute, a seguire una nuova strada, che la stessa Provvidenza le
prepara, allontanandola da San Cassiano. Ad iniziare dal 19 ottobre
1950 Maria è costretta a lasciare temporaneamente la famiglia Piva
per portarsi a Rovigo in casa della signora Wanda Guerrato. Il
trasferimento è causato dalla necessità di cure mediche, delle
quali Maria aveva estremo bisogno, possibili, per lei, solo nel
capoluogo polesano. Tornata dai Piva il 4 dicembre 1950, dovrà poi,
nel corso del 1951, ritornare più volte dai Guerrato sempre per il
medesimo motivo, finché il 7 dicembre 1951 si trasferirà,
praticamente in maniera definitiva, presso di loro, rimanendovi fino
al 9 ottobre 1955. Maria conserverà un profondo senso di
riconoscenza per il bene ricevuto sia dai signori Piva che dai
signori Guerrato. Quest'ultima famiglia offrirà a Maria la
possibilità di curarsi, a Rovigo e a Padova, in ambienti
specialistici adatti, permettendole di sottoporsi ad esami, ad
accertamenti diagnostici e a cure dolorose, soprattutto per una
malattia agli occhi: la cheratite follicolare. Quasi per sdebitarsi,
Maria volontariamente aiuta la signora Wanda nel disbrigo delle
faccende domestiche, quando la salute glielo consente.
Nei
momenti liberi, all'attività in casa Guerrato ella affianca il suo
impegno di carità a favore dei poveri e dei malati. Nella famiglia
dei Piva, Maria farà spesso ritorno, a dare una mano, almeno per
alcuni giorni, nei campi, assaporando la gioia di lavorare all'aria
aperta, come scrive nel diario. Dai Piva trascorrerà anche il
periodo quaresimale del 1952 (quasi per intero) e del 1953; lo stesso
periodo Maria lo vivrà in un luogo ignoto nel 1954, e a Sperlinga
(Enna) nel 1955.
A
cominciare dal 6 agosto 1954 Maria si recherà più volte nel
monastero delle Agostiniane di Ferrara per trascorrervi dei periodi
di ritiro e di raccoglimento. Un delicato sentimento di affetto e di
gratitudine per i tanti benefici ricevuti segnerà il rapporto di
Maria con la signora Wanda.
Il
secondo anello
Nel
1942 Maria aveva ricevuto dal Signore - come abbiamo già detto - un
anello con cinque rubini; Gesù, allora, nel darglielo, le disse:
"l'anello un giorno sarà ancora mio"; questa profezia si
avvererà tredici anni più tardi, nella quaresima del 1955. In
quell'anno Maria vivrà questo periodo dell'anno liturgico,
preparatorio alla Pasqua, lontana da casa, in Sicilia, a Sperlinga
(Enna), come abbiamo già detto. Lontana da Rovigo e soprattutto dal
suo direttore spirituale, messa alla prova dal Signore mediante le
purificazioni passive, si sente sola. Lo stesso Gesù, che si
presenta a lei in visione dopo diversi giorni di assoluto silenzio,
con linguaggio meno familiare e per certi versi insolito, l'invita a
scegliere: "Maria ti lascio, se vuoi ritornare a casa, va."
Le parole di Gesù tendono a mettere alla prova l'amore di Maria e
la di lei disponibilità a soffrire per Lui. Maria resiste alla
tentazione di tornare a casa, la supera, esortando se stessa a
compiere il proprio dovere. Il patire s'intensifica, le stimmate ai
piedi si aprono, i cibi che la buona famiglia le offre le "fanno
rivoltare lo stomaco", tanto da essere costretta a prendere
solamente "due caffè al giorno ed un pò di minestra come
viene per pranzo". La notte del 2 aprile, sabato "Sitientes",
Gesù, senza presentarsi a Maria, si riprende l'anellino dai cinque
rubini datole 13 anni prima. La reazione di Maria è in queste
parole: "Gesù non mi restituirà l'anellino", e
soggiunge: "Gesù, usa di me come meglio Ti piace". Sempre
sofferente, priva di forze e con pochi soldi, con la febbre a 39°,
il 5 aprile, martedì santo, per ordine di Gesù si mette in viaggio
per tornare a casa. Le tappe del ritorno ci sono sconosciute,
sappiamo solo che il 7 aprile, giovedì santo, arriva a S. Giovanni
Rotondo (Foggia), dove trova alloggio in una "locanda". Il
giorno seguente, 8 aprile, venerdì santo, alle dieci del mattino
inizia la sua annuale partecipazione alla Passione del Signore. Alle
ore 15 Gesù le appare: le sofferenze, intensissime, sono segnate da
uno "straordinario" sanguinare, che inzuppa le lenzuola.
Nel diario Maria trascrive il suo intenso, appassionato colloquio con
Gesù. Il Signore le parla affettuosamente: "Maria, come
stai?"; aggiunge poi un interrogativo di una tenerezza infinita:
"Maria, come hai fatto a portarti fin qui con quei piedi [aveva
le stimmate aperte], con la febbre a 39?" Alla tenerezza di
Gesù fa riscontro la devota professione d'amore di lei: "Gesù,
guarda che Ti voglio tanto, tanto, tanto bene. Per Te, tutta me
stessa". Dopo tanto patire, il Signore le annuncia la sua
decisione di toglierle tutte le ferite. Inoltre, la vuole premiare
con un dono particolare: "...ecco il mio anello, è tuo
ancora". Maria guarda l'anello e resta sbalordita: "Gesù,
Gesù, questo non è il primo anello che mi hai donato, questo è
un anellone, perchè Gesù?" La risposta del Signore non si fa
attendere: "Maria, ti dissi: questo anellino è composto di
cinque perline, cinque sono le Mie piaghe, un giorno questo sarà
ancora Mio. Ora le Mie cinque piaghe sono state incise sul tuo corpo,
questo è l'anello con Ecce Homo". Gesù continua,
assicurandola che l'anello glielo lascierà per sempre, e che dovrà
ancora soffrire tanto, perché Egli ha bisogno delle sofferenze di
lei. Maria generosamente Gli risponde: "Gesù, quando vuoi e
come vuoi; se per il bene di noi tutti fosse necessaria la mia vita,
ben volentieri". Si conclude così questa straordinaria
esperienza, carica di mistero e di significati per Maria
indubbiamente importanti. Su questo anello ritorneremo fra non molto,
in una successiva e non meno affascinante vicenda in casa Mantovani.
Un
nuovo mandato
Rientrata
a Rovigo, in casa Guerrato, Maria riprende la sua intensa attività
di apostolato e di servizio a favore dei bisognosi sempre confortata
e aiutata dalla signora Wanda. Dall'aprile a luglio di quell'anno, il
1955, nella famiglia Guerrato avvengono dei fatti nuovi. Superato un
primo intervento chirurgico causato dall'appendicite e da un ascesso,
la signora Wanda decide - contro il consiglio datole da Maria che fin
dal 23 febbraio 1955 si mostrava molto preoccupata per questa
intenzione della signora - di farsi asportare le tonsille il 15
luglio, a Bologna. Purtroppo, il secondo intervento si concluderà
con la morte della povera Wanda. Dopo questo luttuoso avvenimento,
Maria si trova a disagio: la signora Wanda le prestava
quell'assistenza femminile, di cui lei aveva bisogno, sia per il tipo
di esperienze mistiche che ne accompagnavano il vivere quotidiano,
sia per le tante necessità connesse con il frequente stato
d'infermità da cui era afflitta. Maria, pertanto, colpita da febbri
alte e persistenti, nell'ottobre del 1955 si trasferisce presso la
famiglia della signora Novella Matassi in Mantovani, residente in
Rovigo. Accolta come una figlia, Maria continua, tra i Mantovani, una
convalescenza che si protrarrà per ben otto lunghissimi mesi, ossia
fino al maggio 1956, amorevolmente assistita dalla signora Novella e
dalla figlia Zoe. Si nota infatti un provvidenziale disegno divino
nei vari trasferimenti della Bolognesi. Dapprima la sua azione tanto
benefica e pacificatrice all'interno della propria famiglia, si
estende alla famiglia Piva, che sostiene Maria e l'aiuta a superare
nel silenzio i vari momenti difficili (sia quelli legati alle prime
esperienze mistiche che le difficoltà suscitate da varie persone
nei confronti dell'attività scolastica e catechistica svolta da
lei). Poi, con il successivo trasferimento a Rovigo presso la
famiglia della signora Guerrato, l'azione di Maria progressivamente
si estende anche fuori diocesi. Costretta, per le cure
specialistiche, a portarsi spesso a Padova, alloggia per qualche
tempo a Tencarola (PD) presso una parente della Guerrato:
l'impressione che ella suscita in coloro che vengono a contatto con
lei è talmente positiva, da indurre delle persone lontane da Dio a
trovare nelle sue parole talvolta la strada del ravvedimento e, altre
volte, l'invito a riflettere sulle ragioni della propria vita. Ma
anche in Rovigo, le persone che conoscono la signora Wanda,
attraverso di lei, vengono a conoscenza anche di Maria. Tra queste
persone ci sarà pure Zoe Mantovani. Malgrado i giudizi negativi e
le voci contrastanti, le persone che vengono direttamente a contatto
con la Bolognesi, ne scoprono la profondità e la ricchezza di
sentimenti, una straordinaria religiosità unita ad una carità
sempre disponibile e affettuosa. Queste eccezionali qualità
diffondono attorno a Maria un interesse e una ricerca di lei, che
poi, con il trasferimento presso la famiglia Mantovani, potranno
ancor più dispiegarsi. Caratteristica infatti della famiglia
Mantovani, fin da quando questa risiedeva a Stanghella (PD), fu
quella della generosa apertura ai poveri. Nessuno di loro che avesse
bussato alla porta, rimaneva inascoltato e non si trattava solo del
dono di un pezzo di pane (anche se allora tale dono era prezioso), ma
dell'invito abitualmente rivolto ad essi, perché entrassero in casa
e comodamente consumassero il cibo loro offerto: questo tipo di
accoglienza costituiva una solida e antica tradizione delle famiglie
sia Matassi che Mantovani. Si capisce allora come nella nuova
famiglia non trovasse alcuna difficoltà l'azione caritativa svolta
dalla Bolognesi.
Altro
segno dall'alto
Riprendendo
il filo della nostra storia, ritorniamo al 1955. Il Signore volle
premiare la signorilità della famiglia Mantovani nell'accogliere
così generosamente Maria e lo fece a modo suo. Dopo circa venti
giorni dall'arrivo di Maria e precisamente nella prima metà del
mese di novembre 1955, accadde un avvenimento singolare. Maria,
costretta a letto fin dal giorno del suo arrivo in casa Mantovani,
trova sistemazione nella camera di Zoe e della signora Novella. Una
sera, Maria, mentre sta in estasi, prorompe improvvisamente in un
pianto dirotto.
Le
compagne di camera si svegliano e vedendola in quello stato aspettano
che la visione scompaia per chiederle il motivo di quel pianto
inconsolabile. Maria spiega loro che Gesù le ha tolto l'anello
raffigurante l'Ecce Homo; ciò che l'addolora non è però la
privazione dell'anello, ma la ragione che spinse il Signore a
compiere quel gesto. Certamente, conclude Maria, dev'essere stata
qualche sua colpa, ma lei non ne ha affatto coscienza e le dispiace
di aver offeso il Signore, sia pure senza saperlo. Zoe cerca di
consolarla come meglio può e alla fine tutte e tre ritornano a
dormire. Non era passato molto tempo quando improvvisamente Maria si
mette in ginocchio sul letto, di nuovo rapita da una seconda visione;
il suo volto s'illumina di gioia: Zoe e la signora Novella, ancora
sveglie, vedono spuntare nel vuoto l'anello d'oro massiccio, che da
solo s'infila al dito di Maria.
A
mamma e figlia quell'avvenimento provocherà uno shock indicibile:
per un intero anno tutte due caleranno, involontariamente, di peso,
oppresse da un'esperienza che a nessuno potevano rivelare, ma allo
stesso tempo felici e profondamente grate al Signore per simile dono.
Per Maria, invece, tutto ciò costituiva come un fatto naturale e il
suo comportamento non accuserà la benché minima variazione.
L'orizzonte
si apre
Costretta
a letto fino al maggio 1956, i primi mesi di permanenza presso i
Mantovani non consentono a Maria di prodigarsi nel suo apostolato
verso i poveri e gli ammalati. Con il secondo semestre di quell'anno
inizia una frenetica attività, resa possibile da una guarigione
quasi improvvisa: Parma, Pesaro, Pellestrina (VE), Bagni di Lusnizza
(UD), Udine, Lendinara (RO), Riccione, Merano, Ferrara, Arezzo,
Rassina ecc. Questa pressoché instancabile attività non cessa
nemmeno nei periodi di soggiorno estivo trascorsi, per motivi di
salute, al mare e in montagna. Il venire a contato con le persone,
dovunque ciò accada, è infatti per Maria un motivo per conoscere
nuove difficoltà, o necessità. Alle volte i cuori si aprono in
confidenze delicate: allora è il sacerdote, o la religiosa, o sono
i coniugi a raccontarle la trafila dei loro dispiaceri o le debolezze
cui vanno soggetti e perciò la supplicano di aiutarli con le sue
preghiere. Maria ascolta tutti e di tutti parla poi al Signore.
Talvolta si tratta di malattie letali e allora la supplica di Maria
diventa insistente presso Gesù, fino ad offrire la propria vita per
la guarigione fisica o morale della persona raccomandata. Nelle
pagine del diario ella racconta anche dei consigli richiesti e da lei
dati: dal racconto traspaiono una prudenza e una saggezza
straordinarie soprattutto in una persona, come Maria, pressoché
illetterata. Ella stessa se ne meraviglia e chiede alle persone,
medici o comunque laureati, il motivo per il quale si rivolgano a lei
che è una «pitoca». Era questo l'epiteto che riconosceva adatto a
se stessa anche quando parlava con il Signore. La sua azione
benefica, pur svolgendosi nell'oscurità di una abituale
riservatezza, viene tuttavia conosciuta da molte persone, che
desiderano esserle di aiuto in questo delicato compito d'amore verso
i fratelli. E così anche il cerchio dei benefattori si allarga,
talvolta raggiungendo persone economicamente molto agiate e molto
disponibili a dare una mano a Maria. Ella ne gode e per i suoi
benefattori - perché così ella ama definirli, identificando se
stessa con i suoi poveri - è sempre ricca di attenzioni e di
disponibilità, quasi volesse farsi perdonare dei disturbi loro
arrecati. Questo suo modo di agire attira ancor più la loro
benevolenza verso di lei. Naturalmente, Maria chiede sempre un aiuto
mirato. Quando il benefattore per esempio è un medico, ella
approfitta per presentargli i casi che altri non sono riusciti a
risolvere o che non possono essere risolti per mancanza di
disponibilità economica. Se però ella chiede loro, anche loro da
lei ricevono; ricevono la dolcezza di una singolare amicizia che
attinge da Dio un orizzonte umanamente sconosciuto. Per i suoi
benefattori la preghiera e l'aiuto soprannaturale si allargano in
cerchi infiniti, al punto che non si riesce a capire chi più di
loro abbia dato a lei o abbia da lei più ricevuto.
Amore
e creatività
Uno
dei modi che più arricchivano l'azione apostolica e caritativa di
Maria era l'assistenza ospedaliera. Talvolta questa assistenza,
prestata a persone sconosciute e a lei segnalate, si protraeva
ininterrottamente, giorno e notte, anche per delle settimane senza
possibilità di riposo o, comunque, di ricambio. Si capisce allora
come Maria un po' alla volta sia giunta a pensare ad un'opera che
potesse risolvere alcune difficoltà dei degenti ospedalieri al loro
rilascio dal luogo di cura. I poveri da lei soccorsi provenivano
infatti, nella maggioranza dei casi, dalla campagna e le loro
abitazioni, soprattutto d'inverno, erano umide, non riscaldate e
perciò inadatte a delle persone convalescenti. Un po' alla volta
nella mente di Maria nasce un'idea: realizzare una casa accogliente,
dove ricevere i dimessi dall'ospedale, per offrir loro la
possibilità di un recupero. Ne parla con gli amici, l'idea si
diffonde e viene da essi apprezzata: cominciano ad arrivare le
offerte. Siamo nell'aprile del 1967. Il terreno, ove costruire
l'edificio, è finalmente disponibile. Dopo il regolare acquisto del
terreno e l'improvvisa morte del proprietario con il quale era stato
stipulato il contratto, era sorta una contestazione, conclusasi,
appunto nell'aprile di quell'anno, mediante permuta con altro terreno
edificabile: ella diventa così co-proprietaria, assieme a Zoe, di
un terreno su cui costruire l'edificio progettato come "Casa di
Maria". Alle oblazioni Maria aggiunge la propria opera. Un
mattino del febbraio 1968 all'improvviso ella decide d'iniziare a
dipingere; esce di casa, compera l'occorrente: tela, colori ad olio e
pennelli; e al ritorno una nuova pittrice inaugura, con incredibile
naturalezza, la propria attività artistica.
I
quadri dipinti da lei rappresentano, generalmente, nature morte o
paesaggi; loro caratteristica: quadri naif. Il suo primo quadro
raffigura degli uccellini esotici su dei rami di spino e porta la
data del 29/2/1968. Al primo seguirà un numero incredibile di altri
quadri, che gli amici acquisteranno felici di poter così
contribuire a sovvenire i poveri, principale e costante
preoccupazione di Maria.
Disegno
umano e disegno divino
Purtroppo
i disegni umani non sempre coincidono con quelli di Dio. Dal 1966,
insieme con Zoe, Maria abitava in una mansarda di via Mazzini: i
gradini delle scale erano tanti e lei, sempre più stanca, dal 1969
in poi respirava con fatica nel salirli. Maria ha fretta di entrare
nella nuova casa, ma l'edificio, in costruzione in via G. Tasso, non
è ancora terminato: una serie di ostacoli, sfociati in una lunga e
difficile contestazione giudiziaria, ne rallentano ulteriormente i
lavori. Si arriva così al mese di luglio 1971. Zoe è doppiamente
in angustie: per la salute di Maria e per le continue preoccupazioni
del vivere quotidiano. Insieme le due amiche decidono di lasciare
libera la mansarda di via Mazzini, senza dover perciò sostenere
l'onere dell'affitto mensile, divenuto ormai troppo gravoso per il
loro bilancio familiare. Ottenuta l'autorizzazione dall'autorità
competente, le due amiche si trasferiscono nello scantinato
dell'immobile ancora non rifinito, temporaneamente sistemato ad uso
abitazione. Nell'agosto di quell'anno, durante la permanenza estiva a
Lastebasse, Maria cade, svenuta, in chiesa: è il preallarme del
futuro infarto. Malgrado l'avvertimento del medico sui pericoli
inerenti allo stato di salute di Maria, ella sente il dovere di
portarsi a Termeno (BZ) per accertarsi delle condizioni di salute di
una monaca del monastero di Ferrara. La visita all'ammalata convince
Maria della necessità di ospitare la religiosa nella casa di
accoglienza di via Tasso a Rovigo, durante il mese di settembre,
quantunque questa casa non sia ancora ne rifinita, ne funzionale.
Sarà proprio tale monaca la prima e l'ultima malata accolta in
quest'opera che avrebbe dovuto svolgere soprattutto simile attività.
Il progressivo aggravarsi dello stato di salute di Maria si
concluderà con il primo infarto del 6 dicembre 1971, al quale
seguirà l'immediato ricovero ospedaliero a Rovigo fino al 5 gennaio
1972. Dopo questo primo e grave episodio infartuale, Maria non
ritorna più ad uno stato di salute sufficiente per svolgere, nei
modi antecedentemente seguiti, un minimo di attività diretta e
costante. Le saranno vicini e l'aiuteranno gli amici, i benefattori e
tutti coloro che in lei avevano e continuavano ad avere il punto di
riferimento nei momenti particolarmente importanti della loro vita.
Sempre più debole e sofferente, incapace di sostenere il più
piccolo sforzo, il 25 maggio 1972 dovrà essere urgentemente
ricoverata nel reparto di medicina dell'ospedale di Monselice (PD)
per una cura intensiva di 17 giorni. Unica consolazione: tornare a
casa il 10 giugno e trovare tutto a posto! Durante quest'ultimo
ricovero ospedaliero viene risolta, infatti, la contestazione sulla
casa, si ottiene il permesso per rifare alcuni lavori mal eseguiti
(infissi, porte...); poi, con l'aiuto di un artigiano tutto viene
sistemato a tempo di record. Sicché Maria rientra e viene alloggiata
al secondo piano in luogo asciutto e arioso. L'arredamento è quasi
completo per il generoso aiuto dei benefattori, tra i quali, questa
volta, anche il papà naturale, A.G. Il ritorno a casa dall'ospedale
è per Maria fonte di doppia gioia: la gioia della propria famiglia
e delle proprie abitudini di vita finalmente ritrovate, ma anche la
gioia della nuova sistemazione. Eppure "non c'è gioia, che non
si accompagni ad un'altra pena". Ben presto Maria si accorgerà
che quella dimora sta diventando, per lei, e lo sarà sempre, come
una «gabbia per un uccellino». Trovandosi relegata al secondo
piano, con ben 34 gradini da fare, dovrà rinunciare a tante
cose...; non potrà assaporare nemmeno la gioia di sostare nel bel
giardino, da lei ideato, per respirare, seduta su una panca,
all'ombra di un albero, l'aria fresca del tardo pomeriggio estivo;
solo affacciandosi alla finestra potrà ammirare i bellissimi fiori
che, piantati o seminati con cura, durante la primavera, attirano
già l'attenzione dei passanti, per la varietà e l'intensità dei
colori. Quando potrà scendere in giardino, Maria, per prima cosa,
sosterà sempre in preghiera davanti alla statua dell'Immacolata,
che ha voluto a protezione della casa, delle persone che l'abitano e
di quelle che vi entrano. Ci si chiede come si comporti Maria, data
la precarietà della sua salute, quando l'estate volge al termine e
la stagione autunnale incalza. Ebbene, ella continua ad interessarsi
di tutti e, se ravvisa la necessità, interviene in modo energico;
per il bene della loro salute, non potendo portarsi sul posto, li
convoca a Rovigo, li ospita per l'ora del pranzo, per poi dialogare
con calma e tranquillità nel soggiorno, serenamente seduta su
«quella poltrona», la sua, mascherando fatica e sofferenza."
Il
nuovo apostolato
La
quasi immobilità e le conseguenti proibizioni di uscire di casa,
puntualmente raccomandate dai sanitari, aprono a Maria un nuovo
capitolo della sua vita. La prima sofferenza è costituita
dall'allontanamento forzato da Gesù eucarestia. Una volta al mese
il parroco e un'altra volta il direttore e confessore alleggeriscono
a Maria questa sofferenza dello spirito. Qualche sacerdote intuisce
questo segreto patire e le porta, talvolta da molto lontano, il dono
del sacramento eucaristico. Altra sofferenza: non poter avvicinare i
tanti poveri e le persone a lei care nei momenti di difficoltà. In
parte vi provvede con l'opera degli amici, ma ci sono delle
situazioni che solo la sua opera diretta può risolvere. E allora
Maria ricorre, oltre alla preghiera, a due mezzi: al telefono e alla
corrispondenza epistolare, quando le forze fisicamente glielo
consentono. Intanto la sua giornata trascorre nel silenzio e nel
raccoglimento. La meditazione, la lettura spirituale e
particolarmente il rosario riempiono il cielo della sua anima nei
momenti in cui la malattia la riduce all'impotenza. Anche la pittura
"naif" le diventa un diversivo utile. Malgrado tutto, non
vengono meno i motivi di sofferenza. Continuano, pur nello stato
precario in cui si trova, i patimenti ai quali il Signore la volle e
la vuole partecipe secondo le modalità indicate nel 1942 e 1955.
Gli
ultimi anni
A
queste sofferenze se ne aggiungono altre. Nel 1974 ai ricoveri
ospedalieri di alcune persone care con il seguito immaginabile di
preoccupazioni e di ansia, nel cuore di Maria si fa sentire acuto il
dolore per la scomparsa del fratello Luigi e di Novella Mantovani,
madre di Zoe. Purtroppo non sono le uniche: tra le sofferenze che
maggiormente l'addolorano, ce ne sono due che la feriscono per
ragioni tra loro opposte. Si tratta di azioni tendenti o a denigrarla
o ad esaltarla. Anzitutto è colpita dalla cattiveria di qualche
persona che diffonde delle calunnie contro di lei, ben sapendo la
falsità di quanto racconta. Maria ne soffre, non solo perché la
persona non dice la verità, ma anche perché tale persona colpisce
proprio lei, ossia la Bolognesi, che ha sempre cercato di beneficarla
(anno 1974). L'altro tipo di sofferenza che come spina penetra nel
cuore, concerne quelle attenzioni che uno zelo ed un affetto poco
illuminati, al fine di glorificarla agli occhi degli uomini, anche
degli uomini di Chiesa, tendono a togliere all'esistenza di lei quel
velo di riservatezza con il quale ella gelosamente nasconde il suo
rapporto con Dio (anno 1975). Ci sono però anche altri motivi di
profondo patire che attraversano il cuore di Maria; di essi ella
incessantemente tratta con il Signore nel segreto della preghiera: è
lo stato del mondo così lontano da Dio ad attirare l'attenzione
orante di Maria, insieme al desolante spettacolo di tante persone che
particolarmente in quegli anni abbandonano lo stato sacerdotale o
religioso, generando nei fedeli un senso di smarrimento e di
scandalo. Il terremoto del Friuli nel 1976, con il carico di problemi
che comporta, la pone in stato di agitazione: si preoccupa delle
persone da lei conosciute in quelle terre e a loro offre
generosamente l'ospitalità della propria casa, anche se poi questa
offerta non avrà seguito per ragioni indipendenti dalla volontà
di Maria. Nel maggio del 1977 un'estrema debolezza costringe i medici
a sottoporla a degli accertamenti probabilmente presso l'ospedale di
Monselice. In questo ospedale Maria fu più volte ricoverata negli
anni 1972-78. Ecco come la ricorda l'amica Zoe: "Ella fu sempre
paziente, dolce, pronta a dare la sua parola di conforto agli
ammalati che andava a visitare di camera in camera nel reparto di
medicina. Fatto curioso, da sottolineare, è rappresentato da questi
ammalati che, dopo averla conosciuta e dopo aver capito il calore e
la generosità del suo cuore, non mancavano di contraccambiare
restituendo in qualche modo la visita. Infatti, sentivano il bisogno
di incontrarsi con lei, di vederla, di starle vicino. Era facile,
così, alla sera, dopo la cena e le visite mediche, vedere questi
ammalati portarsi nel massimo silenzio nella camera di Maria per
darle un saluto e lei, pur sofferente, ad essi pure sofferenti,
sapeva infondere coraggio... Molte delle persone conosciute in
ospedale non mancarono, col tempo, di fare visita a Maria nella sua
casa di Rovigo per ritrovare nelle sue parole quel calore e quella
serenità che, infondendo coraggio, permetteva loro di sperare e
confidare nell'aiuto di Dio...". Ai ricoveri ospedalieri
seguivano le cure marine a Pellestrina nel mese di luglio e
l'appuntamento agostano a Lastebasse. Verrebbe da pensare, udendo
questa lunga serie di ricoveri e di malattie, che tutto
nell'esistenza quotidiana di Maria conoscesse il grigiore di una
squallida attesa della morte: nulla di più errato! Non solo la
pittura, ma anche il cucito e il ricamo allietavano e rasserenavano
il ritmo quotidiano della vita di lei. Addirittura, nel 1977, su
richiesta di Maria, il maestro Pietro Piombo, collega di Zoe, si
recherà in via Tasso ad insegnare a questa non più giovane
discepola, l'arte della chitarra. Lo studio del pianoforte risaliva
invece ad anni lontani e, con Zoe, Maria talvolta si produceva in
sonate a quattro mani. All'arte della musica, seguivano anche corsi
di recupero nella grammatica e nella sintassi della lingua madre.
Attraverso un ciclo di dettati, Zoe riuscirà a farle compiere dei
progressi nell'arte dello scrivere e ciò lo si può agevolmente
constatare nel confronto tra lo stile dei primi diari e quello delle
lettere scritte da lei negli ultimi anni.
Preoccupazioni
finali
Vedendosi
sempre più impotente di fronte al male e sentendosi di aggravio a
Zoe, nel 1978 passò nell'animo di Maria anche il pensiero di farsi
ricoverare in qualche istituto: "... non sono stanca, ma vedo
Zoe sempre preoccupata, mi vedo impotente mi ritirerei volentieri
perché è una continua pena, molte volte mi vedo un peso
morto...", così Maria si esprime in una lettera datata Pasqua
1978. La situazione va infatti peggiorando, al punto che, durante la
stagione invernale 1978-79, il medico curante - sapendo che ogni
ricovero ospedaliero costituiva per Maria una "tortura" -
decide di curarla a casa, con somministrazione di flebo. Il sanitario
poteva in effetti contare sulla prestazione di una brava infermiera,
che rimaneva accanto a Maria per tutta la durata della flebo,
provvedendo a togliere l'ago, collocato in vena dallo stesso medico.
Per i controlli del sangue, inoltre, una seconda infermiera, da molto
tempo familiare a Maria, si prestava per il prelievo a domicilio. Ma
il momento più difficile negli ultimi mesi di vita, giunge con il
19 giugno 1979, quando ella è costretta a dimostrare, in questura,
la falsità dell'accusa che le era stata rivolta da persone male
informate e che tendevano a togliere a Maria la terza parte del nuovo
caseggiato in via Tasso, n. 49. Interrogate Maria e Zoe, proprietarie
dell'immobile, il questore accerta facilmente l'illegalità della
richiesta e consiglia i denuncianti a ritirare l'atto di accusa per
non dover procedere immediatamente contro di loro per millantato
credito. Così si conclude questa amara vicenda che segna
definitivamente lo stato precario di salute di lei. All'appuntamento
in questura Maria si era recata in bicicletta, malgrado ne fosse
stata sconsigliata da Zoe. Le emozioni subite e lo stato malfermo
della salute le impedirono di tornare a casa con lo stesso mezzo.
Infatti, dopo un primo inutile tentativo, Maria fu costretta a
ritornare in taxi e ad essere immediatamente ricoverata all'ospedale
di Rovigo. Dimessa dal nosocomio il 27 giugno, appena possibile Maria
parte, insieme a Zoe, per Lastebasse: sarà, quello, l'ultimo
periodo estivo trascorso lassù. Colpita moralmente, ella stenta a
riprendersi. Non solo perdona, ma addirittura cerca di sistemare in
luogo adatto anche colei, che fu all'origine dell'ultimo grave
dispiacere. Tornata a Rovigo, scrive ad un'amica: "... non solo
stento a riprendermi, ma accuso un disturbo alle gambe come avessi
continuamente il fuoco e spilli che bruciano e pungono".
(18/9/1979). A causa di questi nuovi disturbi di natura circolatoria
e con l'aggravarsi della malattia cardiaca, nell'ottobre dello stesso
anno dovrà subire un altro breve ricovero ospedaliero. Le terapie
non danno però i risultati sperati; Zoe continua ad assisterla
giorno e notte con totale dedizione. Pur essendo cosciente di quanto
le va accadendo, Maria afferma di essere «serena» anche se non sta
bene. Le giornate trascorrono nella preghiera e nel dedicare all'arte
pittorica spazio ancora maggiore. Si giunge così al 29 gennaio
1980. "Quel giorno Maria si alza da letto piuttosto tardi, verso
le undici. Dopo il pasto frugale, si riposa in sala, per qualche ora,
assorta in preghiera. Riceve la visita di qualche persona amica, che
le viene a far compagnia, mentre insieme lavorano con l'ago intente a
sistemare un grembiule, da indossare per non sporcarsi, quando
(Maria) terrà in mano colori e pennelli. Poche le visite; molte le
telefonate. Essendo stanca, Maria prega Zoe di esentarla dal
rispondere. Solo poco prima della cena, data l'insistenza di un'amica
di Ferrara... ella accetta di parlare con questa persona, cercando di
dare - come era solita fare - la sua parola di conforto... E' questa
una telefonata eccezionale, non solo perché sarà una delle ultime
di Maria, ma perché... ella dirà che venerdì, primo venerdì del
mese, non avrà più bisogno di ricevere l'Eucarestia da mani
umane, perché il Signore verrà direttamente incontro alla sua
anima". Quella sera Maria si attarda fino alle ore 23 per
terminare un paesaggio invernale. Alla fine chiama Zoe per sentire il
suo parere sul dipinto ultimato. Verso le due del mattino del 30
gennaio, Maria accende la luce, scende dal letto per prendersi una
pastiglia, che dovrebbe lenire i forti dolori stenocardici. Malgrado
l'assunzione del farmaco, il suo respiro si fa sempre più
affannoso. Zoe intuisce che è sopraggiunta l'ennesima crisi: sola,
nel cuore della notte - vista la gravità del malore di Maria -
telefona non solo al medico, ma anche al Pronto Soccorso per il
ricovero urgente di colei che Zoe sente prossima alla dipartita.
Infatti, quando giungono insieme l'ambulanza e il medico di famiglia,
Maria ha già lasciato questa terra. Prima di spirare ella
continuerà a chiedere scusa a Zoe, che solo più tardi
comprenderà il significato di quelle parole: scusa per dover
lasciarla sola, senza alcun preavviso, in mezzo a tante
preoccupazioni e problemi. L'opera, voluta da Maria con la
costruzione di una casa per convalescenti, rimane così incompiuta.
Con la sua improvvisa dipartita, Maria lascia agli amici la missione
di percorrere con perseveranza e fedeltà il tratto di strada
rimasto aperto alla sensibilità e solidarietà dei fratelli. Le
iniziative, infatti, realizzate nel campo della beneficenza e
dell'assistenza pubbliche, non sono certo riuscite a risolvere i
problemi che la povertà lascia gravare su tante persone sole ed
emarginate.
In
attesa della glorificazione
Le
spoglie mortali di Maria riposano nel cimitero di Rovigo, in una
comune fossa, la n. 18 nel 3° viale del campo n. 5, contraddistinta
da una croce di legno, davanti
alla quale, mani amiche e pietose, vengono a deporre il loro fiore,
come segno di riconoscenza e gratitudine del bene ricevuto. Mancata
alla vita terrena, Maria non ha terminato di essere presente nella
esperienza quotidiana della gente. Dopo la sua morte, le persone che
la conobbero e che ricorrevano a lei, hanno poi continuato a
pregarla. Sotto i sassolini che coprono la tomba, mani ignote
depongono dei piccoli foglietti, sui quali esprimono il loro grazie
per essere stati da Maria ancora una volta ascoltati. Anche gli
impegni e le iniziative che Maria aveva concretizzato trovano
continuità, con visibile crescendo, in persone amiche ed
estimatrici. Esse avvertono che la propria vita, perché abbia un
senso pieno, ha bisogno di muoversi e di esprimersi con le forme e i
modi - anche se scomodi - del Vangelo. Quanti vivono la propria vita
cristiana alla scuola della testimonianza evangelica di Maria si sono
proposti di divenire esperti nella attenzione caritativa ai poveri e
agli ammalati, perché ciò che Maria ha compiuto durante la sua
vita abbia continua fioritura.
A
favorire questo tipo di cammino spirituale e a porre le premesse di
un servizio alle persone bisognose, il "Centro Studi - Amici -
Maria Bolognesi" programma - da tempo - un incontro mensile, nel
giorno della morte di Maria (30 di ogni mese), per la preghiera e la
riflessione, con riferimento alla sua spiritualista. Particolare
solennità hanno acquistato le date della nascita (21 ottobre) e
della morte (30 gennaio) di Maria, che vengono solennizzate con
celebrazioni eucaristiche presiedute generalmente dal Postulatore
della Causa di canonizzazione di Maria Bolognesi e da un folto gruppo
di sacerdoti che conobbero la Serva di Dio. Nell'incontro del 30
gennaio 1991 il Postulatore comunicava all'assemblea liturgica,
convenuta per ricordare Maria, la presentazione al Vescovo diocesano
della domanda di apertura della Causa di canonizzazione. Un applauso
scrosciante riempì le navate della chiesa dei Santi Francesco e
Giustina di Rovigo, dando immagine all'ammirazione e alla emozione
dei tanti presenti.
Apertura
del processo di canonizzazione
Con
la stessa emozione, alle ore 9,30 del 21 ottobre 1992, una folla
straordinaria di fedeli gremì il Tempio della "Rotonda"
in Rovigo, per partecipare alla solenne concelebrazione della messa
votiva dello Spirito Santo in suffragio dell'anima di Maria
Bolognesi, e per ottenere dal Signore l'aiuto necessario per il
corretto e positivo svolgimento del processo di canonizzazione, la
cui apertura era stata fissata per le ore 11 di quel giorno. Dopo la
concelebrazione, la stessa folla, cui si unirono anche altri
estimatori della Serva di Dio, si trasferì nell'aula del "trono"
del palazzo vescovile, dove il Vescovo di Adria -Rovigo, Mons.
Martino Gomiero, accogliendo la richiesta avanzata dal Postulatore,
dette inizio al processo di canonizzazione, presiedendo alla sessione
di apertura. L'accettazione dell'incarico e il conseguente giuramento
da parte dei membri del Tribunale diocesano, atti di per sé
caratterizzati dalla severità della procedura burocratica, furono
contrassegnati dagli interventi del Vescovo di Adria -Rovigo e del
Postulatore, P. Tito M. Sartori O.S.M. Mons. Martino Gomiero pose in
risalto la ricerca della volontà di Dio, cui è indirizzata, in
tal caso, tutta l'attività processuale ecclesiastica, attraverso la
raccolta delle testimonianze circa la vita di Maria Bolognesi. Il
Postulatore spiegò il significato particolare che l'apertura del
processo assumeva nei confronti della stessa Serva di Dio e in
riferimento alle persone sia dell'Attore che della Diocesi di Adria -
Rovigo, oltre che in relazione alla vita dell'intera Chiesa. Si
lascia al lettore immaginare la gioia suscitata da questi avvenimenti
nel cuore di coloro che, per tanto tempo e con tanti personali
sacrifici, si adoperarono per far conoscere la splendida figura della
Serva di Dio, convinti di rendere così un doveroso servizio alla
verità e alle giuste attese di quanti conobbero da vicino l'esempio
di Maria Bolognesi, esempio che lei ci lasciò come ricordo,
ammonimento e impegno da realizzare.
Dal
sito http://www.mariabolognesi.com/
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