Qualcuno
ha un grande interesse a vederci perseverare nei nostri errori e
nelle nostre tenebre, quindi ci permette tutto quello che vogliamo
(in una certa misura perfino la virtù) purché perseveriamo, cioè
purché induriamo il nostro cuore. Questo indurimento, di cui la
Scrittura parla di continuo, è qualcosa di anormale, di misterioso e
di temibile che non siamo in grado di fronteggiare. Dovrebbe essere
facile convertirsi, lasciarsi fare, lasciarsi invadere dalla luce
dello Spirito Santo, ma... qualcuno si aggira attorno a noi, e
specialmente attorno a noi cristiani! Una cosa lo attira: Dio. A modo
suo, è assetato di Dio. L'incontro con Gesù Cristo lo scatena,
perciò si aggira soprattutto attorno a coloro che vivono per questo
incontro. Il suo unico desiderio è che noi rifiutiamo di capire, che
i nostri occhi non si aprano alla luce della Salvezza. Anche coloro
che hanno già intravisto ed accolto tante luci, non sono al riparo
da questo pericolo: corrono il rischio di non sospettare che tutto
resta da scoprire.
Il
demonio ci permetterà molti risultati in ogni campo, favorirà
addirittura alcune delle nostre qualità, purché i nostri occhi non
si aprano; invece è solo quando i nostri occhi si aprono che ci
viene dato tutto senza limiti.
Non
dobbiamo credere troppo presto di aver capito. Sarebbe probabilmente
il segno che abbiamo sostituito al Vangelo una nostra religione.
Presentiamoci alla Parola come bambini ignari di tutto, i quali
sentono che i propri sforzi sono insufficienti a far aprire loro gli
occhi. Gli sforzi umani sono necessari (non bisogna tentare Dio) ma,
dopo, tutto resta da fare. Gli sforzi umani sono fruttuosi solo se
capiamo e accettiamo questo fatto.
Dovremmo
leggere il Vangelo in modo totalmente disteso, come si legge un
romanzo, lasciandoci impressionare da questa luce come una lastra
sensibile.
Oggi
si parla molto di kerigma, parola dotta per designare una cosa
essenziale ma anche semplicissima che Cristo, con molta insistenza,
ha detto inaccessibile ai sapienti e agli intelligenti; la troviamo
nel Vangelo dove aleggia un certo segreto, un qualcosa che gli uomini
non conoscono e che Gesù Cristo cerca di farci intuire: le
Beatitudini, il Regno dei Cieli, la porta stretta...
Ed
è a questo punto che ritroviamo il demonio, perché questo segreto
lo scatena; egli fa di tutto perché non lo capiamo, anche se ne
parliamo sapientemente. Siamo suoi complici perché le nostre opere
sono malvagie: colui le cui opere sono malvagie, non ama la luce (cf.
Gv 3, 19).
La
lotta tra Cristo e i farisei è grave perché sono due religioni che
si affrontano, e non vi è pietà per il vinto. Non vi è pietà per
Cristo: i farisei hanno riconosciuto che era un uomo grande, forse un
profeta, ma non hanno potuto accettare la sua dottrina. Colui che
condanna il pensiero di Dio finisce col condannare Dio stesso. Quando
il pensiero di Dio gli si presenta troppo chiaramente, condanna le
sue opere e il suo pensiero; allora, messo con le spalle al muro,
egli è costretto a condannare Dio per non cedere: è il peccato
contro lo Spirito Santo.
Qual
è questo segreto? Di che cosa si tratta? Si tratta di
un'aristocrazia. "Chi ha orecchi per intendere, intenda"
(Lc 14, 35). Anche tra coloro che accettano la luce c'è una
gerarchia. Dobbiamo però essere attenti. Questa gerarchia non è
quella del mondo, non è né di destra né di sinistra, è
l'aristocrazia della Croce.
All'ultimo
posto ci sono coloro che vanno chiamati giusti. Essi accolgono la
Parola, ma non hanno radici perché non hanno l'intensa
consapevolezza di aver bisogno di una misericordia infinita: contano
sulla misericordia e sulla loro giustizia. A costoro verrà dato uno
strapuntino nel Regno dei Cieli.
Un
gradino sopra troviamo i peccatori. La loro superiorità consiste
appunto nella coscienza che hanno bisogno di essere perdonati: sono
appesi alla misericordia. Per questo sono accolti molto meglio dei
giusti, vedi la Maddalena, il buon ladrone, il figliol prodigo... (cf
Lc 8, 2; 23, 39-43; 15, 11-32).
Se
potessimo leggere questi episodi con un cuore e un’intelligenza
vergini, ci convertiremmo all'istante. Il Vangelo è fatto per il
popolo e non per gli intellettuali, ed è facendoci un po popolani
che ci lasceremo toccare (l'aristocrazia di Dio non è la nostra!).
Se qualcuno legge il Vangelo senza esserne completamente sconvolto, è
segno che non lo ha capito. È un dato di fatto che il popolo a cui
si predica il Vangelo lo comprende molto meglio degli specialisti
della religione. Per i santi è pressappoco la stessa cosa: guardate
come il popolo accoglie Giovanna d'Arco, e come l'accolgono i
vescovi...
Non
serve a niente spiegare il Vangelo se non si sente qualche cosa.
Prima di tutto bisogna vibrare, semplicemente vibrare. Ma per vibrare
con semplicità è necessario essere un po bambini.
Questo
ci conduce al vertice dell'aristocrazia del Cielo: i peccatori
avranno una poltrona in platea, ma i bambini saranno nel palco reale,
seguiranno l'Agnello ovunque vada e canteranno un cantico che nessuno
può cantare (cf. Ap 14, 34).
I
bambini comprendono tutto e subito. Questo è molto consolante, e ci
libera completamente dalla gerarchia del mondo, dove la più piccola
conquista è aspra e difficile. Dio non mette la luce fuori dalla
nostra portata. Per impadronirsene non c'è da attraversare il mare
né da elevarsi fino al ciclo. È molto meno difficile che superare
il muro del suono. Non è difficile essere bambini ed essere piccoli.
Non è difficile, ma non lo siamo, e questo è appunto il peccato, il
nostro peccato. Su questo punto Dio non può transigere: o siamo
piccoli o non lo siamo; se lo siamo possediamo tutto, altrimenti
nulla.
Perciò
non abbiamo altra scelta che quella di rifugiarci nella categoria dei
peccatori che si convertono. Non si mercanteggia con Dio, bisogna
convertirsi: "Se non vi convertirete e non diventerete come
bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18, 3). Non
dobbiamo perseguire un altro scopo nella nostra vita. Se ne
perseguiamo un altro, perseveriamo nella nostra follia e siamo dei
farisei: Dio rivolgerà su di noi lo stesso sguardo che rivolse su di
loro.
Nel
giorno del giudizio, Egli darà appena un'occhiata a tutto ciò che
ci affligge e ci inquieta nella nostra vita: è miseria , e la
miseria è fatta per la Misericordia come il grano per il mulino.
Il
segreto del Vangelo è dunque l’aristocrazia dei piccoli e dei
peccatori. Suor Genoveffa del Santo Volto (Céline, la sorella di
Teresa del Bambin Gesù) diceva poco prima di morire: "Si parla
sempre della via dell'infanzia a proposito di Teresa, insistendo sul
fascino dell'infanzia, ma si potrebbe altrettanto bene chiamarla la
via del buon ladrone". Il segreto del Vangelo è, in definitiva,
il mistero insondabile della Misericordia. Ed è per questo che, al
di là dei peccatori e degli stessi bambini, nel Vangelo c'è ancora
qualcosa di più profondo, o meglio, c’è Qualcuno, c’è un certo
Volto.
Rileggete
le scene in cui Cristo sceglie i suoi discepoli. Se oggi vi sono
ancora dei cristiani, è perché alcuni uomini hanno incontrato il
volto di un uomo e non hanno mai più potuto fare a meno di Lui. È
successo talvolta in un secondo, come per Matteo, in quel momento: né
prima, né dopo. Perfino prima che Cristo aprisse la bocca, questi
uomini sono stati sedotti, affascinati per sempre; appena il loro
sguardo si è incrociato con quello di Gesù, in un lampo, hanno
intravisto il Regno, hanno presentito il segreto, Lo hanno seguito.
Gesù
mi ha guardato
L'atto
di fede del buon ladrone suscita ammirazione e stupore in
sant'Agostino al punto di interrogarlo: "Come hai fatto a
riconoscere la divinità del Messia nel momento in cui i nemici di
Cristo trionfavano palesemente e gli apostoli stessi erano diventati
incapaci di riconoscerLo nel suo volto d'agonia? Gli uni come gli
altri avevano studiato le Scritture, eppure non hanno visto che le
Scritture si compivano. Come hai fatto tu, a capirlo? Tra una
furfanteria e l'altra, avevi forse avuto il tempo di studiare questi
Libri che gli specialisti non avevano saputo leggere?".
Sant'Agostino presta allora al buon ladrone questa stupenda risposta:
"No, non avevo scrutato le Scritture; no, non avevo meditato le
profezie; ma Gesù mi ha guardato e nel suo sguardo ho capito tutto!"
Lungo
tutta la storia della Chiesa, lo sguardo dei santi ha ricevuto lo
stesso potere di quello di Cristo. Così lo sguardo del Curato d'Ars,
all'uscita della sagrestia per celebrare la Messa, fu sufficiente per
folgorare e convertire uno scienziato incredulo venuto per curiosità.
Allo stesso modo Padre Ratisbonne, ebreo libertino che detestava il
cristianesimo, fu convertito in un attimo da un'apparizione della
Madonna; anch'egli ripeteva fra le lacrime: "L'ho vista! L'ho
vista! E nel suo sguardo ho capito tutto".
Certo
tutto resta da imparare, quando non si ha, come il buon ladrone, la
fortuna di arrivare la sera stessa in paradiso, e si ha quella, come
gli apostoli, di servire Cristo per parecchi anni. Bisogna allora
imparare poco a poco, parola per parola, e in ginocchio, ciò che si
è già compreso in un lampo, ma lo si può imparare appunto perché
lo si è compreso. Gli Apostoli furono istruiti da Cristo, i santi e
noi stessi lo siamo dalla Chiesa, ed è esattamente la stessa cosa.
Pensate
anche a Edith Stein, ebrea, filosofa (discepola di Husserl) e
agnostica. Una sera cominciò a leggere l'autobiografia di Teresa
d'Avila. Non poté più staccarsi dal libro. Lo richiuse verso le
quattro del mattino affermando semplicemente: "Questa è la
Verità". Poi comprò un messale e un catechismo prima di farsi
battezzare; in ginocchio si mise a imparare, proprio perché sapeva
già tutto.
Dato
che per noi tutto dipende da questo volto, abbiamo nel modo più
assoluto bisogno che si manifesti agli occhi del mostro cuore. Non
dobbiamo aver paura di chiedere questa grazia assolutamente
indispensabile: "Mostraci il tuo Volto e saremo salvi" (Sal
79, 4). Questo non è il frutto di uno sforzo, ma avviene cosi...
perché fa piacere a Dio: "Non dipende dalla volontà né dagli
sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia" (Rm 9, 16).
Bisogna dunque ottenere che Dio si intenerisca; ma poiché nulla può
obbligarLo a farlo, la sola cosa da fare è dirGli: "Riconosco
che Tu non me lo devi, che non ne sono degno, ma Te lo chiedo per il
tuo Nome che è Misericordia".
Affinché
questa preghiera scaturisca sinceramente dal cuore di un uomo - fosse
pure un religioso - sono necessari talvolta degli anni, perché è
una preghiera da bambino. Ora quando un bimbo chiede qualcosa ai
genitori discutendo, essi non cedono fintanto che egli discute (o
almeno non dovrebbero farlo); quando però chiede con dolcezza,
accettando di dire per favore, non a fior di labbra, ma dal profondo
del cuore, essi non possono resistere. Dio resiste perché noi
discutiamo. Il giorno in cui non discuteremo più, otterremo tutto.
Egli ci mostrerà il suo volto, e cominceremo ad amarLo.
Cosa
vuol dire amare? Molti diffidano dei sentimenti. L'amore effettivo,
dicono, consiste nel fare la volontà di Dio. Infatti, questo è il
frutto più sicuro dell'amore, il segno col quale lo si riconosce, e
che viene esercitato nella carità fraterna ("Da questo segno
tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per
gli altri", Gv 13, 35). Ma il segno dell’amore non è l'amore
stesso. Se poi cerchiamo di compiere la volontà di Dio e di amare i
nostri fratelli con una tensione eroica della volontà, rischiamo di
voler strappare dal nostro cuore i frutti dell’amore senza avervi
piantato il suo albero (il quale è all'inizio il più piccolo di
tutti i semi).
Amare
non è prima di tutto essere eroici nel disinteresse. Al contrario!
Questa perfezione viene solo alla fine. Amare è prima di tutto
essere attirati, sedotti, catturati. Il primo atto libero e meritorio
che ci viene chiesto, è cedere a questa seduzione, a questa
attrazione, è lasciarsi prendere, lasciarsi vincere... lasciarsi
fare. Si tratta ancora una volta di qualcosa di molto semplice, che
scatta nel nostro cuore, non si sa perché né come, e che rende
tutto il resto facile ("Il mio giogo è dolce e il mio carico
leggero", Mt 11, 30).
I
nostri sforzi più duri sono talvolta disperati e disperanti, perché
procedono pochissimo dall'amore, ma molto dalla volontà di
convincerci che amiamo: è come voler compiere le opere dell'amore
senza amare. Spesso cerchiamo di imitare i santi, ci costruiamo un
ideale (come la rana che vuol farsi grossa come il bue), chiamandolo
perfezione cristiana o evangelica, ma la vita cristiana non è in
primo luogo un ideale: è una realtà. L'unico vero ideale è che
questa realtà si realizzi pienamente ("Desidero che abbiate la
gioia in pienezza", Gv 15, 11).
È
molto pericoloso fare del vangelo per prima cosa un ideale, perché
ne facciamo un nostro ideale. Perseguire un ideale è spesso cercare
di imitare l’amore con sforzi estenuanti, i quali rendono faticosa
la vita e non hanno un grande valore agli occhi di Dio, perché non
corrispondono al suo desiderio. Non dobbiamo comportarci come se
avessimo raggiunto un gradino più alto di quello in cui siamo in
realtà. Non avere un ideale del nostro io è ancora una volta un
frutto dello spirito d’infanzia.
Diventare
un operaio dell’ultima ora
Bisogna
quindi che succeda qualcosa nel nostro cuore, qualcosa di
insostituibile. Dobbiamo essere ciò che siamo: un piccolo seme del
Regno. Abbiamo la nostra parte da compierne. Se vogliamo che cresca,
non trascuriamolo, ma neppure torturiamolo tirando le foglie affinché
cresca più in fretta. Non dobbiamo stare a dire: "A che punto
è? Cresce? Non cresce? Si, cresce...". -
In
fin dei conti, forse, la cosa più pericolosa non è farsi delle
illusioni o affliggersi quando crollano, perché allora si grida
verso Dio; no, la cosa più pericolosa è, dopo aver faticato per
anni, constatando che non si è progrediti, scoraggiarsi per davvero
e dire a se stessi: "La vita è fatta così! Non bisogna
chiederle troppo! Non sono un santo! Pazienza, non è dato a tutti!".
Questo è grave perché è una nostra idea, non è affatto quella di
Dio.
Può
benissimo accadere che, perfino nella vita religiosa, uomini giusti e
retti ricevano solo all'ultimo momento la rivelazione del volto di
Cristo. Sono operai dell'ultima ora, e se l'accettano, la loro
ricompensa sarà magnifica. Avranno faticato tutta la vita per
diventare operai dell'ultima ora, per poter dire come quella giovane
battezzata a diciannove anni e morta a ventiquattro: "Umanamente
non ho fatto niente; soprannaturalmente non ho fatto nulla: sono
pronta per la Misericordia di Dio".
Vale
la pena vivere cent'anni per compiere un atto di fede come questo,
l'unico che conti e che Gesù aspetta. Quando però si è vissuti a
lungo, questo atto è forse più difficile, a causa di tutto ciò che
bisogna abbandonare, soprattutto quanto a pretese. Siamo carichi di
bagagli - le spine della parabola che rendono la vita difficile - con
i quali non passeremo mai per la porta stretta. Lasciate quindi i
bagagli al deposito, e prendete il treno senza preoccuparvi di ciò
che accadrà loro.
Cos’è
questo amore che ci afferra, ci solleva e ci libera?
Consideriamo
innanzitutto lo slancio del buon ladrone, quello di Maria Maddalena,
e quell’emozione che ha fatto piangere Padre Ratisbonne e che
potrebbe farci piangere un giorno o l'altro.
Cosa
succede? Nessuna psicologia umana lo può spiegare. Vi sono dei
momenti nella nostra vita - e ce ne sono stati anche nella vostra -
in cui intuiamo il Regno dei Cieli. Immaginate un uomo nato e vissuto
fino ai tre, quattro anni in un paese meraviglioso, e che senza
averlo mai più rivisto, per un secondo respiri un profumo molto
fuggevole, sottile e tuttavia forte, che glielo ricorda... Come
quando ci si avvicina al mare: l'aria non è più la stessa. Qui si
tratta del vento del Cielo, del soffio dello Spirito Santo.
Noi
tutti lo abbiamo sentito passare un giorno. Solo questo può
attirarci verso Dio, e non colpi di bastone o ragionamenti! Non si
diventa cristiani perché si è convinti che sia più perfetto, ma
perché non si può fare altrimenti.
In
fin dei conti tutto questo proviene dalla vita trinitaria nascosta
nei nostri cuori; a tratti una ventata di questa vita arriva fino
alla coscienza e ce ne dà il sapore, il desiderio, l’amore. Per
parlare della vita cristiana, bisogna parlare prima di tullo della
vita trinitaria.
Si
può allora capire perché il combattimento spirituale sia nello
stesso tempo così semplice e così complesso. Il segreto del Vangelo
è qualcosa di estremamente semplice perché è la vita divina. Non
dobbiamo fabbricarla e neppure correrle dietro, basta lasciarla
crescere in noi, lasciarla agire, lasciarsi fare dalla formidabile
potenza con la quale tende a crescere.
Essa
è il più piccolo di tutti i semi, ma se non la ostacoleremo,
si incaricherà lei di invaderci. Non dovremo fare piani per ottenere
questa invasione, si imporrà da sé, e non avremo che da seguire.
Certo questo sarà piuttosto stressante, perché le esigenze interne
di questa invasione andranno infinitamente più lontano di tutto
quanto gli uomini ci possano chiedere...
molto
più lontano persino dei nostri sogni di perfezione.
Questo
germe soffoca nelle nostre tenebre e ci supplica: "Lasciami
respirare! Nonne posso più di essere in un cuore di pietra. Sto alla
porta e busso". Ma lo dice dal di dentro, come un naufrago che
bussa sullo scafo di un relitto dove è rinchiuso. Non si tratta di
un ideale, ma di una realtà: è un dato di fatto che la Parola
risuona nel nostro cuore per chiedere di uscire, come un pulcino
chiede di uscire dal guscio quando la sua ora è venuta.
Allo
stesso tempo, la vita cristiana sulla terra è qualcosa di
estremamente complicato, proprio a causa del vaso di argilla e del
cuore di pietra nel quale deve vivere la vita divina. Possiamo dire
che la vita cristiana è l'insieme delle disavventure della vita
divina smarrita nel cuore dell'uomo.
L'uomo
infatti è l'essere più strano della creazione, una macchina
infinitamente delicata, più complessa di miliardi di computer e,
come se non bastasse, la macchina è rotta. Ne risulta una lotta
molto misteriosa tra questa semplicità della Vita e le complicazioni
della morte: "Sento due uomini in me" (Rm 7, 15-27). È
vero per tutti noi e non abbiamo il diritto di agire come se ce ne
fosse soltanto uno: "Siate semplici come colombe e prudenti come
serpenti" (Mt 10, 16).
Vedremo
successivamente:
1
- La vita divina in se stessa.
2
- La vita divina vissuta da una creatura.
3
- La vita divina sottoposta alla prova. La vita divina infatti
dev'essere vissuta nell'oscurità della fede prima di sfociare nella
luce. Perciò è soggetta a pericolo.
4
- La prova è andata a finire male per noi, e ormai la vita divina si
scontra quaggiù con le profondità del peccato, secondo la sapienza
della Croce e della Redenzione. In questo combattimento non abbiamo
altra arma che il Sangue di Gesù. Tutto il resto appartiene - più o
meno - al nemico, e finché ci appoggiamo su di esso, costruiamo
sulla sabbia.
Tratto
da “Il coraggio di avere paura” di Marie Dominique Molinié o.p.
(da pag 15 a pag 26 )
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