Poiché
l’osservanza dell’Antico Testamento si basava sul timore, non si
poteva dire più chiaramente che il dono del Nuovo Testamento è la
carità come in questo testo, dove l’Apostolo dice: Portate
i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo.
Si capisce bene perché egli parla di questa legge di Cristo: il
Signore stesso ci ha comandato di amarci a vicenda, attribuendo così
grande importanza a questa sentenza da affermare: Da
questo sapranno che siete miei discepoli se vi amate gli uni gli
altri.
Questo amore impone di portare vicendevolmente i nostri pesi. Ma
questo dovere, che non è eterno, condurrà certamente alla
beatitudine eterna, dove non ci saranno più quei pesi che ci è
comandato di portare scambievolmente. Ma attualmente, durante questa
vita, mentre cioè siamo in via, portiamo a vicenda i nostri pesi per
poter arrivare a quella vita priva di ogni peso. Come hanno scritto
alcuni studiosi di tali materie riguardo ai cervi : quando [questi
animali] guadano un corso d’acqua verso un’isola alla ricerca di
pascoli, si allineano in modo da porre gli uni sugli altri il peso
delle loro teste, appesantite dalle corna, cosicché quello che
segue, allungando il collo, posa la testa sul precedente. E poiché è
necessario che uno preceda gli altri, senza avere nessuno davanti a
sé su cui appoggiare la testa, si dice che facciano a turno: chi
precede, affaticato dal peso della testa, retrocede all’ultimo
posto e gli succede quello di cui sosteneva la testa, quando esso
guidava [il branco]. E così, portando a vicenda i loro pesi, passano
il guado fino a raggiungere la terraferma. Salomone alludeva forse
alla natura dei cervi, quando diceva: L’amabile
cervo e la gazzella graziosa s’intrattengano con te .
Niente dimostra tanto bene l’amicizia quanto il portare il peso
dell’amico.
Non
porteremmo tuttavia vicendevolmente i nostri pesi se quelli che
portano i propri pesi fossero contemporaneamente soggetti alla
malattia o allo stesso genere di malattia. Ma tempi diversi e diversi
generi di infermità ci permettono di portare a vicenda i nostri
pesi. Sopporterai, ad esempio, l’ira del fratello, se non ti adiri
contro di lui, e viceversa, quando tu sarai preso dall’ira, egli ti
sopporterà con dolcezza e serenità. Questo esempio fa al caso di
coloro che portano vicendevolmente i pesi in tempi diversi, sebbene
l’infermità sia la stessa. Entrambi infatti sopportano l’ira
vicendevole. Consideriamo invece un altro esempio che riguarda un
diverso genere d’infermità. Se uno è riuscito a vincere la
propria loquacità, ma non ancora l’ostinazione, mentre l’altro è
tuttora loquace, ma non più ostinato, il primo deve sopportare con
carità la loquacità del secondo e questi l’ostinazione del primo,
finché il difetto dell’uno e dell’altro sia guarito in entrambi.
È certo che se l’identica infermità si riscontrasse in tutti e
due contemporaneamente, essi non sarebbero capaci di sopportarsi
vicendevolmente, perché si rivolgerebbe contro loro stessi. Invece
due persone adirate possono accordarsi e sopportarsi contro una
terza, sebbene non si debba dire che si sopportano ma piuttosto che
si consolano a vicenda. Così anche due persone afflitte per lo
stesso motivo si aiutano e in qualche modo si appoggiano l’una
all’altra molto più che se una fosse afflitta e l’altra lieta;
se invece fossero tristi l’una contro l’altra, non potrebbero
affatto sopportarsi. In tali situazioni è opportuno pertanto
condividere alquanto la stessa infermità da cui vuoi liberare
l’altro col tuo aiuto. Bisogna condividerla per aiutare l’altro
non per equiparare la miseria, come fa colui che si china a porgere
la mano a chi è a terra. Non si prosterna infatti per rimanere
entrambi a terra, ma si curva soltanto per sollevare chi è a terra.
Nessun
motivo permette di compiere tanto generosamente questo compito
gravoso di portare i pesi degli altri, quanto il pensiero di ciò che
ha sopportato il Signore per noi. Per questo l’Apostolo ci
ammonisce con le parole: Abbiate
in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale,
pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione
di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana,
umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte
di croce .
Più sopra aveva detto: Nessuno
cerchi il proprio interesse ma quello degli altri .
A questa raccomandazione ha collegato ciò che è stato detto;
infatti così prosegue: Abbiate
in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
proprio per questo scopo: come il
Verbo si è fatto carne, è venuto ad abitare in mezzo a noi
e, pur essendo senza peccato, ha preso su di sé i nostri peccati e
si è curato dei nostri interessi non dei suoi, così anche noi,
secondo il suo esempio, portiamo vicendevolmente di buon animo i
nostri pesi.
A
questa considerazione se ne aggiunge ancora un’altra: egli ha
assunto la natura umana, noi invece siamo uomini. Dobbiamo perciò
tener presente che l’infermità sia dell’anima che del corpo,
riscontrata in un altro uomo, avremmo potuta averla anche noi o
possiamo averla. Mostriamo dunque a colui, di cui vogliamo alleviare
l’infermità, la stessa delicatezza che desidereremmo da lui se per
caso ci trovassimo in quella infermità, da cui egli fosse esente. A
questo si riferisce lo stesso Apostolo che, pensando di potersi
trovare anch’egli nella medesima difficoltà da cui desiderava
liberare l’altro, dice: Mi
sono fatto tutto a tutti, per guadagnare tutti .
Egli si comportava così per compassione, non per ipocrisia, come
sospettano alcuni, e soprattutto coloro che, per difendere le loro
innegabili menzogne, ricercano il patrocinio di qualche esempio
insigne.
C’è
poi un’altra considerazione: non esiste uomo che non possa avere
qualche bene, magari nascosto, che tu non possieda ancora e in cui
potrebbe esserti certamente superiore. Questa riflessione serve a
reprimere e ad eliminare l’orgoglio.Perché senza dubbio le tue
buone qualità eccellono e sono manifeste, non penserai perciò che
un altro non possa avere anch’egli buone qualità, per il motivo
che sono nascoste e probabilmente di maggior pregio, per le quali è
superiore a te che non lo sai. L’Apostolo comanda di non ingannarci
o meglio di non illuderci, quando dice: Non
fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di
voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso
.
La nostra considerazione deve essere vera e non finta; dobbiamo
credere realmente che negli altri ci possa essere qualcosa di
nascosto per cui ci supera, anche se la nostra qualità, per la quale
sembriamo migliori di lui, non è celata. Queste considerazioni che
smussano l’orgoglio e stimolano la carità, ci permettono di
portare vicendevolmente i pesi dei fratelli, non solo di buon animo
ma addirittura con grandissimo piacere. Bisogna assolutamente
astenersi dal giudicare uno sconosciuto, e non si conosce nessuno se
non per mezzo dell’amicizia. Ecco il motivo per cui sopportiamo con
maggior facilità le debolezze degli amici, perché le loro buone
qualità ci allietano e ci attirano.
Non
si deve quindi rifiutare l’amicizia di alcuno che entra in
relazione per stringere amicizia; questo non vuol dire che bisogna
accoglierlo precipitosamente, ma desiderare d’accoglierlo,
trattandolo in modo da poterlo accogliere. Possiamo dire di avere
accolto in amicizia colui al quale osiamo confidare tutte le nostre
intenzioni. E se c’è qualcuno che non osa presentarsi per
stringere amicizia, tenuto lontano da qualche nostra carica o dignità
sociale, bisogna abbassarsi fino a lui e manifestargli con modestia e
affabilità d’animo quanto non ardisce chiedere personalmente.
Certamente, anche se di rado, ma talvolta capita, quando vogliamo
ricevere qualcuno in amicizia, di conoscere i suoi lati negativi
prima dei buoni: offesi, e in certo modo urtati dai difetti, lo
respingiamo senza preoccuparci di scoprire le sue buone qualità che
sono forse più latenti. Pertanto il Signore Gesù Cristo, che ci
vuole suoi imitatori, ci ammonisce a tollerare i suoi difetti per
giungere, con la pazienza della carità, a qualche dote positiva,
piacevole e riposante. Dice infatti: Non
sono i sani che hanno bisogno del medico, ma gli ammalati .
Se dunque per amore di Cristo non dobbiamo respingere dal cuore
neppure uno che forse è totalmente infermo, poiché può essere
risanato dal Verbo di Dio, tanto meno dobbiamo respingere uno che può
sembrarci del tutto infermo, perché siamo stati incapaci di
tollerare alcuni suoi difetti all’inizio dell’amicizia e, ciò
che è più grave, abbiamo osato per antipatia esprimere un giudizio
temerario e precipitoso su tutta la persona, indifferenti al detto:
Non
giudicate, per non essere giudicati,
e: Con
la misura con la quale giudicate sarete misurati anche voi .
Spesso appaiono prima i lati positivi: anche qui bisogna guardarci
dal giudizio affrettato di benevolenza perché, prendendo tutto per
buono, i lati negativi, che appaiono dopo, non ti colgano alla
sprovvista e impreparato, procurando un danno più grave, sì da
odiare con maggior rancore colui che hai amato sconsideratamente: il
che è ingiusto! Anche se da principio non appaia alcuna sua qualità
e risaltino invece per primi i lati che poi risultano spiacevoli,
bisogna tuttavia sopportarli, finché tu possa applicare con lui i
rimedi adatti di solito a correggere tali difetti. A maggior ragione
le precedenti buone qualità servono da garanzia per spingerci a
tollerare i difetti che si scorgono dopo.
È
dunque la legge stessa di Cristo che ci impegna a portare
vicendevolmente i nostri pesi. Amando Cristo è facile sopportare la
debolezza altrui, anche di uno che non amiamo ancora per le sue buone
qualità. Pensiamo che il Signore, che noi amiamo, è morto per lui.
L’apostolo Paolo ci ha inculcato questa carità con le parole: Ed
ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il
quale Cristo è morto!
Se dunque noi amiamo di meno il debole a causa del motivo che lo
rende debole, consideriamo in lui chi è morto per lui. Ora non amare
Cristo non è debolezza: è morte! Bisogna quindi riflettere con
grande attenzione e, implorando la misericordia di Dio, non
trascurare Cristo a causa di un infermo, quando dobbiamo amare il
debole per amore di Cristo.
Grazie della franchezza. E di tutto. Mi dispiace con tutto il cuore aver giudicato. E'proprio vero che ogni pretesa superiorita prima o poi non fa che svelare il nostro cuore. Chiedo perdono al Signore e a te per ogni falsa immagine che ho portato dentro.Per non aver saputo guardare con oggettivita' ne me stessa ne gli altri, la meraviglia piu' bella che abbiamo. Ogni altro e' per noi un tesoro inestimabile da guardare e a cui portare sempre rispetto grande e ammirazione. Ringrazio il Signore per il dono che sei e per la pazienza che hai nel sopportare e supportare la mia infermita'. Sto crescendo. Stiamo crescendo ella verita' di noi stessi e nell'accoglienza.Nella mia famiglia il peso di queste "distorsioni dello sguardo" e' molto evidente... e a volte sento molto forte il peso dello scoraggiamento e della cattiva testimonianza che ho (abbiamo) dato mancando nella carita' gli uni gli altri. Come dici bene quando le infermita' sono simili e' difficile... ma qualcosa sta cambiando. E' cambiata in me... vedere pero' le stesse fragilita' in mio figlio mi (ci) causa enorme dolore... anche tra i miei figli c'e' molto forte il "giudizio" talvolta implacabile verso il fratellino (infermo?). Lui rappresenta il frutto delle nostre mancate accettazioni di fragilita' reciproca. Della mancanza di carita'. Stiamo lavorando molto su noi, personalmente e come coppia e su come aiutare i nostri figli ad accettarsi l'un l'altro profondamente. Ci sono molte chiusure da parte loro. Il piu' grande e' estremamente rigido. E cio' non serve di fronte ad un figlio piu'piccolo con una disregolazione emotiva che lo porta ad una inconsapevole distorsione della realtà. Non e' facile tutto questo cammino. Eppure capisco che solo tutto il "sistema" insieme puo' permetterci strade nuove. Ma ci sono le chiusure di G., l'adolescenza di C. e tante volte si vive l''emergenza". Io sono cambiata. Ma non basta. Non ho che farmene del mio cuore nuovo se non ci salviamo tutti. Nel piccolo, come nel grande (famiglia.. come intera umanita') la dinamica e' la stessa. Io ne ho piena coscienza perche' la vivo dall'interno. Che Maria ci guardi e accompagni e il Signore ci illumini tutti. Specialmente i piu' ostinati e resistenti. Ti chiedo scusa per averti mancato di rispetto. Per la mia curiosita' vana. Ho meritato i tuoi giudizi. E ti ringrazio per la tua pazienza, il tuo perdono e perche' ci sei. Gratuitamente. Grazie per essere sceso con me qui in basso. So bene che sei tanto piu'in la' nel cammino.Tu mi hai permesso di avvicinarmi a Maria e di riscoprirla mia e nostra madre. E per le preghiere costanti. Grazie del dono di te. Con tutti i tuoi difetti ( che ci sono tanto quanto i miei) sei un grande segno di speranza per me e per tanti. Grazie perche' sei "padre" quando sogni e fai sognare cammini di Speranza e cambiamento.. e sei fratello perche' ti abbassi e ti fai compagno... e so che lo fai con puro amore. Il Signore (e anche io per quanto valga) ti benedice.
RispondiElimina