Un
dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù; dunque non
per conoscere la verità. La domanda (Che cosa devo fare per
ereditare la vita eterna?), che pure è la più importante che possa
essere posta da un uomo, non proveniva da un animo retto. Sia però
benedetto quell’ignoto malevolo interlocutore di Cristo, che ha
provocato in risposta uno degli insegnamenti più alti del Signore, e
ci consente di riflettere oggi ancora una volta sulla legge
dell’amore, cuore e sostanza di tutto l'Evangelo.
La
legge cristiana dell'amore riassume in sé tutti i comandamenti
ricevuti da Mosè
1.
A questo mondo non c’è fascino di bellezza che non venga deturpato
dall’uomo, né splendore di verità che non venga travisato. Anche
la legge dell’amore corre questo rischio, per esempio quando viene
presentata come un superamento o addirittura un’abrogazione dei
comandamenti di Dio. La legge dell'amore non è l'abrogazione, ma
piuttosto è il cuore e il compendio dei comandamenti, che Mosè ha
ricevuto su tavole di pietra, ma che sono indelebilmente iscritti
nell'animo umano.
Chi
infatti ama Dio con tutto il cuore, adora lui solo, rispetta il suo
nome e trova un’ora di tempo alla settimana da dedicargli in
esclusiva. Se no, che amore è?
E
questi sono i primi tre comandamenti. E chi ama sul serio il
prossimo, cioè ha a cuore tutti i valori dell’uomo, rispetta e
onora i vincoli familiari, considera sacra la vita e non manipolabile
al servizio dell'egoismo la capacità di trasmettere la vita,
rispetta e onora gli altri nella loro dignità, nella loro proprietà,
nel loro diritto a non essere ingannati. E questi sono gli altri
comandamenti. Sicché la legge dell’amore non è il modo astuto
insegnatoci da Gesù per fare i nostri comodi, ma è l’aiuto e
l'ispirazione a osservare integralmente e con piena coscienza la
volontà di Colui che ci ha creati.
Ci
amiamo tra noi perché Dio ci ama tutti dello stesso amore
2.
Un secondo modo di non intendere questa pagina di Vangelo è
quello di presentare l’amore del prossimo come se a questo comando
si potesse ridurre il messaggio di Cristo nella sua vera originalità.
Ma le cose non stanno propriamente così. La stessa frase: Amerai il
prossimo come te stesso non è stata inventata da Gesù. Era già
contenuta nei libri dell'Antico Testamento e ogni ebreo la conosceva
bene. L'originalità di Gesù sta piuttosto nella spiegazione di chi
si debba considerare prossimo. Gli ebrei non avevano dubbi che per
prossimo da amare si dovessero intendere i parenti, gli amici, i
connazionali, i correligionari, e solo loro. Gesù ritiene invece che
tutte le limitazioni nel concetto di prossimità devono cadere:
prossimo è ogni uomo che il Signore mette sulla mia strada e offre
alla mia attenzione.
Più
ancora l’originalità di Gesù sta nella motivazione che regge e
giustifica il comando dell’amore. Noi non dobbiamo amarci tra noi
perché siamo amabili; anzi, spesso non lo siamo affatto. Dobbiamo
amarci tra noi perché il Signore ci ha amati tutti dello stesso
amore, si è chinato sulle nostre ferite, ci ha resi una cosa sola
coll'impeto unificante della sua sorprendente misericordia. Se
dimenticano questa motivazione, che solo la fede può dare, invano
gli uomini tentano di amarsi tra loro. Come la storia spesso ci
insegna, ogni slancio di solidarietà e di fratellanza finisce
nell’oppressione e nella strage.
Il
nostro prossimo è ogni uomo a cui vogliamo farci vicini
3.
E a imprimerci nell’animo questo insegnamento quasi con un
quadro, Gesù racconta la celebre parabola del samaritano
compassionevole, che è una delle parabole evangeliche meglio
rifinite e più verosimili. La strada che dalle alture di Gerusalemme
discende alla pianura fiorita di Gerico, attraversa il deserto di
Giuda, cioè una zona del tutto disabitata, dove le rapine e gli
attentati erano di facile esecuzione, nonostante i pattugliamenti
della polizia romana. Il significato più decisivo del racconto sta
nel fatto che il ferito è soccorso da uno che è straniero e nemico.
Così si allarga il concetto di prossimo: “prossimo” è colui che
io col mio amore, col mio interessamento, con la mia disponibilità
voglio rendermi vicino. Vale a dire, la “prossimità” non ha
altri confini se non la finitezza del cuore. Quanto più il nostro
cuore sarà grande, tanto meno escluderemo qualcuno dalla cerchia di
chi dobbiamo amare.
Il
buon samaritano è, prima di tutto, Gesù
4.
Ma in questa parabola Gesù sembra anche voler raffigurare la storia
della nostra salvezza, nella quale appunto la legge dell’amore del
prossimo si motiva. L'uomo percosso, piagato, spogliato, che giace
sul ciglio della strada, siamo noi, è la stessa umanità, che il
peccato ha privato di ogni bellezza e di ogni vigore, e pare non
avere più speranza né scopo di vita. Lo straniero pietoso è il
Figlio di Dio, venuto fino a noi da un mondo lontano e diverso, che
si è chinato sulle nostre piaghe e ci ha dato il sollievo della fede
e dei sacramenti. L'albergatore, cui ci ha affidati per la guarigione
completa, è la Chiesa che, mentre egli è visibilmente assente,
continua la sua opera di risanamento, sapendo che un giorno il divino
straniero tornerà a ricompensare tutti di ogni spesa e di ogni
fatica. Questa, nella sua semplicità e nella sua verità, è la
nostra storia; questo è il riassunto di tutto l'Evangelo. Chiediamo
la grazia di capire questo disegno misterioso e mirabile e di saper
conformare alle sue linee la nostra vita, con umiltà di cuore, con
fede viva, con gratitudine senza confini.
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