«Porta questi soldi a don Orione»
Tratto da: “ I fioretti di Don Orione “ di Andrea Gemma –
2002 Ed. Devoniane Bologna
L'episodio venne narrato molte volte da
don Orione stesso.
«Un anno, prima del 1900, ci siamo
trovati a dover pagare alla Banca Popolare di Tortona oltre
venticinquemila lire per i debiti che avevamo, specialmente
col panettiere. Quella Banca è molto benemerita in Tortona ed aiutò
molto anche i Figli della Divina Provvidenza. Vi era allora direttore
un certo avvocato Piolti, che mi aveva imprestato le
venticinquemila lire. Avevo pagato gli interessi finché avevo
potuto e poi essi s'erano ammucchiati insieme al capitale.
Quell'avvocato mi mandò a dire che mi voleva tanto bene, ma che non
poteva lasciare la cambiale in sofferenza... Voi non capite ancora -
felici voi! - questo termine bancario, ma verrà tempo che anche voi
capirete, purtroppo, che cosa vuol dire "cambiale in
sofferenza". Basta... Dovevo pagare le venticinque mila lire e
qualche cosa di più, al sabato; ma il protesto non va in vigore
che al lunedì: in domenica si riposa.
Io mi raccomandai allora al Signore;
quando capii, però, che il Signore non mi ascoltava, mi raccomandai
alla Madonna. Prega e prega... Ma anche la Madonna faceva la
sorda. Vedendo dunque, allora, prima del 1900, che anche la Madonna
faceva la sorda, mi venne un'idea.
Mia madre mi aveva dato i suoi
orecchini da sposa; orecchini, si sa, da povera donna, tanto
povera che, oltre gli orecchini, quando poi morì, non mi lasciò
altro che un cassone con della biancheria usata, di quella tela
ruvida, sapete, che usavano una volta i nostri vecchi. Pensai,
dunque, di prendere gli orecchini e di appenderli alle orecchie
della Madonnina della Divina Provvidenza che abbiamo in cappella a
Tortona. Salii sull'altare e, non ridete, bucai le orecchie alla
Madonna... Pensavo tra me: "Ora ci sentirà, perbacco!".
Avevo grande fede! Prega e prega, prega
e prega, prega di giorno e prega di notte, non facevo che pregare.
Bisognava che la Madonna facesse presto, perché il tempo
passava e il lunedì si avvicinava e mi avrebbero sequestrato i pochi
stracci per ripagarsi delle venticinquemila lire. Pensavo tra me: "Le
ho bucato le orecchie; spero ci avrà sentito..." Macché! La
Madonna non sentiva. "È' sorda la Madonna!, pensavo. Tanto
sorda che non ha sentito neppure quando le ho bucato le orecchie per
metterci gli orecchini". Erano due orecchini lunghi, come
sogliono portare le donne paesane. (...)
Si venne dunque al lunedì, ed io
pregavo, pregavo... e, con la preghiera, mi nacque nel cuore una
grande fiducia che sarei stato ascoltato. Era allora portinaio della
casa quello che ora è il superiore in Argentina, don Zanocchi, uomo
di Dio, confessore del cardinal Copello... Era figlio unico ed i suoi
parenti gli avevano già preparata la sposa; ma lui era scappato
da casa piantando là la sposa. Si presentò a me e mi disse che
voleva farsi sacerdote.
Io lo vidi così delicato e vestito un
po' signorilmente, giovane distinto, insomma, e pensai di
provarlo, mettendolo a fare il portinaio; così avrei provato la
sua vocazione. Divenne un modello di religioso e prese la messa con
don Cremaschi. Faceva il suo probandato in portineria. Era venuto per
studiare, ed io, capite? Io misi a scopare...
Ma ritorniamo al nostro racconto...
Eravamo già al lunedì ed io mi aspettavo che, da un momento
all'altro, sarebbe venuto su l'impiegato della Banca per il
sequestro su tutti i nostri stracci. Entrai in cappella e mi
raccomandai al Signore, alla Madonna e alle anime sante del
purgatorio e un po' a tutti i santi del cielo... Dopo vado in camera.
Sono appena giunto, che batte alla
porta Zanocchi e mi dice: "C'è una signora che domanda di
essere ricevuta e vuol venire su ad ogni costo ed è già per le
scale. È vestita di nero; e non mi ha voluto dire chi è: dice che è
una benefattrice e che viene da Voghera...".
Siccome era proibito alle donne di
venire su, gli dissi che sarei andato io. Macché! Non ero ancora
uscito dalla direzione, che già me la vedo vicina alla porta, e
subito la sento lamentarsi perché il portinaio non le aveva permesso
di venire su.
Mi disse subito: "Don Orione, non
ha una stanza da darmi?". Risposi: "Una stanza da darle?".
Insistette: "Sì, una stanza da darmi, perché ho qui
dentro alle calzette venticinquemila lire, e mi devo levare le calze
per tirarle fuori. Ho venduto la Trattoria della Colomba e ho presi
altri soldi e li ho portati qui a lei... Avevo preso il biglietto -
continuò a raccontare - e mi ero messa in treno per Torino,
perché pensavo di portare quei soldi all'Opera di don Bosco. E,
mentre il treno camminava, ho tirato fuori la corona del rosario
e dicevo il rosario alle anime sante del purgatorio, affinché mi
assistessero e mi difendessero dai ladri. Capirà, con quei soldi
nelle calzette!... E, mentre mi andavo raccomandando alle anime del
purgatorio, sono giunta vicino a Pontecurone e mi è parso
di sentire una voce che mi diceva: Perché andare sino a Torino?
Potresti fare più presto e discendere a Tortona e portare i soldi a
quel povero diavolo di don Orione.
Ma io pensavo: Chissà se quel don
Giramondo è in casa!... e, se non è in casa, perdo il treno e chi
sa quando potrò arrivare a Torino! Quando sono arrivata vicino a
Tortona, quella voce mi si faceva sentire con più insistenza e,
quando il treno si è fermato qui in stazione, mi sembrò che una
mano mi obbligasse a discendere. Sono discesa e ho chiesto a quello
del berretto rosso se il biglietto sarebbe stato buono ancora,
perché dovevo fare una commissione in città. Quello del berretto
rosso mi disse di passare in ufficio che mi avrebbe messo una
firma e che con quella avrei potuto proseguire il viaggio. Pensavo
tra me che se lei, che è un don Giramondo, non ci fosse stato,
sarei andata a Torino, perché volevo liberarmi da quei
quattrini...".
Basta..., andò in una stanza, si cavò
le calze e poi venne e mi contò uno sull'altro venticinque biglietti
da mille.
Quando vidi quella grazia di Dio, dopo
di aver sentito che essa aveva recitato il rosario e si era
raccomandata alle anime sante del purgatorio, mi prese un nodo
alla gola e mi misi a singhiozzare per la commozione (DOLM 1933 ss.).
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