Statua di Sant'Antonio di Padova - Chiesa Sant'Antonio Abate Sassari
SANT'ANTONIO
di Padova, noto anche come Antonio da Lisbona, con
riferimento alla sua città natale, è «uno dei santi più
popolari in
tutta
la Chiesa cattolica, venerato non solo a Padova, dove è stata
innalzata una splendida Basilica che raccoglie le sue spoglie
mortali, ma in tutto il mondo. Sono care ai fedeli le immagini e le
statue che lo rappresentano con il giglio, simbolo della sua purezza,
o con il Bambino Gesù tra le braccia, a ricordo di una
miracolosa apparizione menzionata da alcune fonti letterarie. Antonio
ha contribuito in modo significativo allo Sviluppo della spiritualità
francescana, con le sue spiccate doti di intelligenza, di equilibrio,
di zelo apostolico e, principalmente, di fervore mistico»
(Benedetto XVI, Udienza generale del 10 febbraio 2010).
Il
futuro sant'Antonio nasce il 15 agosto 1195, a Lisbona. Al Battesimo,
riceve il nome di Fernando. Suo padre, Don Martin de Bulhoés, che
discende da Goffredo di Buglione, lo destina al mestiere delle armi.
Fernando trascorre la sua infanzia presso la madre, Dona Teresa, la
cui tenerezza si manifesta attraverso un profondo affetto verso i
suoi e una costante attenzione a far loro piacere. Ella gli comunica
una tenera devozione nei confronti della Santa Vergine. Così si
formano nella sua anima le virtù di mitezza, di umiltà, di amore
nel sacrificio, che lo faranno amare da tutti.
Egli
scriverà in seguito: «Mite è colui il cui animo non è affetto da
irritazione e che, nella semplicità della sua fede, è in grado di
sopportare con pazienza ogni offesa. Quelli di fuori si agitano
contro di me, ma io, nel mio cuore, mantengo la pace.» Fino all'età
di quindici anni, segue degli studi presso la scuola capitolare di
Lisbona. Un giorno in cui si trova inginocchiato sui gradini
dell'altare, gli appare il demonio sotto una forma spaventosa. Pieno
di una fede intrepida, il ragazzo traccia sul pavimento una Croce, il
Cui marchio s'imprime nel marmo che si ammorbidisce a contatto con
questa carne così debole ma così pura. L'effetto è immediato: il
demonio scompare subito. Questa croce è visibile ancora oggi nella
cattedrale.
Nel
1210, l'adolescente di quindici anni esprime il suo desiderio di
diventare religioso e ottiene dai genitori il permesso di entrare
presso i canonici regolari di Sant'Agostino, il cui convento di San
Vincenzo è situato alle porte della città. Il loro stile di vita
ben si addice al giovane Fernando: preghiera, lettura spirituale e
lavoro sono, secondo i suoi maestri, le tre armi con le quali si può
sconfiggere il demonio.
Dopo
aver pronunciato i suoi voti, nel 1212, chiede di essere trasferito
al convento di Santa Croce a Coimbra. Allontanandosi così da amici e
parenti, spera di trovare una maggiore tranquillità di spirito e la
pace per dedicarsi agli studi, servire il Signore e procedere nella
vita religiosa. Nel convento di Coimbra, centro culturale molto
rinomato del Portogallo, si consacra allo studio della Bibbia e dei
Padri della Chiesa. Tutto ciò che legge, lo affida a una memoria
così fedele che in breve tempo egli dimostra una conoscenza
eccezionale della Sacra Scrittura. Nello stesso tempo, il suo cuore
si rafforza nell'amore delle virtù cristiane. Diventa più umile,
più unito a Dio. Un giorno, durante la Messa Conventuale, mentre
veglia un novizio malato, Fernando sente la campana che annuncia la
consacrazione. Il suo cuore si slancia verso il suo amato Signore
che, quella mattina, lo obbliga a rimanere lontano dalla chiesa. Si
getta in ginocchio e adora in spirito il Cristo che si rende
sacramentalmente presente (Catechismo della Chiesa Cattolica,
1353, 1357): «O Gesù che felicità se potessi trasportarmi ai
piedi del tuo altare!» A queste parole, in una visione, il giovane
scorge il santuario illuminato di una luce celeste mentre il
sacerdote eleva l'Ostia Santa.
Don
Fernando, divenuto prete, esercita nel suo convento l'incarico di
portiere. Fa così conoscenza con una piccola comunità di frati che
proviene da quella appena fondata ad Assisi in Italia da frate
Francesco. Questi religiosi di nuovo stile vivono poveramente e
predicano senza remore il Vangelo. Installati presso l'eremo di
Sant'Antonio, sulla Collina di Olivares, scendono a chiedere
l'elemosina al convento. Nel 1220, vengono esposte a Coimbra le
reliquie dei primi cinque missionari francescani, che erano stati
inviati in Marocco, dove avevano subito il martirio. Questo esempio
suscita in Don Fernando il desiderio di imitarli e di avanzare sulla
via della perfezione cristiana. Lascia allora i canonici agostiniani
per vestire il saio francescano; in questa occasione, prende il nome
di Antonio. Se entra presso i francescani, è nella speranza di
partire in terra islamica, per predicare il Vangelo e subirvi il
martirio. In effetti, la partenza di frate Antonio, accompagnato da
un altro fratello, avviene nel dicembre 1220. Ma al loro arrivo in
Marocco, entrambi si ammalano e dopo qualche mese viene deciso il
loro ritorno. Durante la traversata, una violenta tempesta spinge
sulle coste della Sicilia l'imbarcazione che li riporta indietro. Lì,
in prossimità dello stretto di Messina, il giovane portoghese di
ventisei anni entra in contatto con l'Italia, che diventerà il suo
paese di adozione. Da Messina, raggiunge Assisi, dove partecipa al
famoso «Capitolo delle Stuoie» (capitolo generale dei Frati
Minori), che si svolge nella Pentecoste del 1221, in presenza di
cinquemila frati.
Una
nuova stella
Alla
conclusione del capitolo, frate Antonio viene preso in carico da
frate Graziano, Provinciale della Romagna, che lo destina al
romitorio di Montepaolo, negli Appennini, per celebrarvi la Messa,
perché i frati preti sono rari in questi esordi dell'ordine
francescano. Egli vi trova un luogo di silenzio, un 'deserto dello
spirito in cui Dio lo conduce per parlare al suo cuore e
familiarizzarlo con lo spirito francescano. Antonio prega in una
grotta, digiuna a pane e acqua, si dedica come gli altri frati ai
compiti più umili. Nell'umiltà, attende l'ora di Dio. In effetti,
dal momento del suo tentativo interrotto di predicare il Vangelo in
Marocco, non ha osato intraprendere nulla. La volontà di Dio si
manifesta l'anno seguente, il 22 settembre 1222. Frate Antonio
partecipa, con altri francescani e alcuni domenicani, a una
Ordinazione sacerdotale nella città di Forlì. Invitati a tenere
l'abituale esortazione spirituale, i Frati Predicatori si tirano
indietro con il pretesto che non è loro permesso improvvisare. Ci si
rivolge allora a frate Antonio che, arrendendosi all'obbedienza,
sviluppa argomentazioni ponderate e concise sull'ordinazione; le sue
parole vengono ascoltate con attenzione, stupore e gioia. Graziano
scrive la sera stessa a Francesco d'Assisi: «Nel cielo francescano,
è appena sorta una nuova stella!» Il Provinciale affida allora al
giovane religioso la missione di predicare in tutta la Romagna, in
particolare a Rimini, dove la fede e l'unità dei cristiani sono
minacciate dall'eresia Catara. Così inizia in Italia, poi in
Francia, un'attività apostolica intensa ed efficace che è
l'occasione del ritorno di molti eretici in seno alla Chiesa.
Per
i catari più intransigenti, la creazione emana da due principi
eterni, uno buono, l'altro cattivo. Dal primo procede il mondo
invisibile degli spiriti e delle anime; dal secondo procede la
materia che è radicalmente
malvagia.
Per i catari più moderati, il principio malvagio che domina il mondo
della materia non è un dio malvagio, ma lucifero, l'angelo decaduto.
Per tutti, dal momento che la materia è malvagia, l'ideale è
liberarne le anime, il che provoca in particolare il rifiuto del
matrimonio che, attraverso la procreazione, tende a rinchiudere le
anime nella materia. La Croce di Cristo e l'Eucaristia, che sono
materiali, sono anch'essi, per loro, uno scandalo, una pietra
d'inciampo (cfr. 1 Cor 1,23 e CCC 1336).
A
Rimini, un borghese di nome Bonvillo è uno dei più increduli.
Prende in giro frate Antonio e gli dice: «Dimostrami con un miracolo
che l'Eucaristia è veramente il Corpo di Cristo e giuro di
convertirmi seduta stante.» Pienamente fiducioso nello Spirito
Santo, il discepolo di san Francesco accetta la sfida. «Ebbene
propone Bonvillo, ho una mula. La terrò chiusa senza cibo per tre
giorni, poi la condurrò sulla piazza della chiesa. Lì, le
presenterò uno staio di avena; tu porterai un'ostia consacrata. Se
la mia bestia, rifiutando la mia biada, viene a inchinarsi davanti
all'ostia, allora anch'io piegherò la mia ragione di fronte al
mistero che tu insegni.» Frate Antonio acconsente, e si assoggetta
egli stesso a un digiuno altrettanto rigoroso di quello dell'animale.
Nel giorno stabilito, la piazza è piena; il monaco esce dalla
chiesa, portando un ostensorio. Bonvillo trascina penosamente la sua
mula barcollante e poi le presenta l'avena. Allora frate Antonio
esclama: «Animale privo di ragione, vieni a prostrarti davanti al
tuo Creatore!»
-
Immediatamente, la mula, distogliendosi dall'avena, s'inginocchia
davanti all'ostia e rimane immobile, a testa bassa, fino a quando il
frate le ordina di rialzarsi. Allora, si dirige dritta verso il sacco
della biada e ne divora avidamente il contenuto. Si può immaginare
lo stupore dei catari. Sull'esempio di Bonvillo, la maggior parte di
essi abiura l'eresia. Il fatto, ben Confermato, è riferito dalle
biografie moderne del santo.
I
più piccoli
Desiderando
che
i suoi figli spirituali siano nella Chiesa i più piccoli, i Frati
Minori, e ricordando le parole di san Paolo, la scienza gonfia (1Cor
8,1),
san Francesco d'Assisi non era molto favorevole, all'inizio, a una
formazione teologica approfondita all'interno del suo ordine. Ma, di
fronte all'entità dell'eresia Catara, cominciò a Comprendere la
necessità di una solida formazione teologica. Gli studi avrebbero
permesso ai frati di conoscere e far conoscere meglio l'insegnamento
di Cristo e della Chiesa. Dopo aver riconosciuto in frate Antonio il
religioso più adatto a Conciliare la scienza con le esigenze di
pietà e di umiltà richieste dalla Regola, Francesco gli scrive: «Ho
piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati. Tuttavia, abbi
cura di vegliare a che non si estingua lo spirito dell'orazione né
in te né in loro.» Inviato a Bologna, frate Antonio pone le basi
della teologia francescana che, coltivata da altri eminenti
pensatori, conoscerà il suo apogeo con
San Bonaventura e il beato Duns
Scoto.
La
Natività di Cristo a Betlemme e la contemplazione del Crocifisso
ispirano a frate Antonio pensieri di riconoscenza verso Dio e di
stima per la dignità della persona umana. Egli scrive: «Cristo, che
è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella
Croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali
furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se
non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai
renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo
valore... In nessun altro luogo l'uomo può meglio rendersi conto di
quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della Croce.»
Nel
1224, frate Antonio viene inviato in Francia a Montpellier, per
insegnarvi la teologia ai giovani religiosi del suo Ordine. Lì,
compone un commento ai Salmi. Un novizio, bramando questo tesoro di
scienza e spinto dal diavolo, sottrae il manoscritto e si dà alla
fuga. L'autore del prezioso testo perde il frutto delle sue veglie e
delle sue fatiche. La comunità deplora la partenza di uno dei suoi
figli, che, fuggendo come un ladro, abbandona la sua vocazione,
mettendo in pericolo la propria anima. Frate Antonio supplica nostro
Signore di suscitare il rimorso nell'anima del colpevole. In breve
tempo, il fuggitivo ricompare, confuso e pentito: prostrato ai piedi
del santo, chiede una giusta penitenza. Presto perdonato, riprende il
suo posto al noviziato e raddoppia di zelo. La pietà popolare si è
appropriata di questo episodio per attribuire a sant'Antonio il
potere di ritrovare gli oggetti perduti. San Francesco di Sales
rispose un giorno a uno schernitore che prendeva in giro questa
usanza: «Davvero, Signore, ho voglia che facciamo insieme un voto a
questo santo per ritrovare ciò che perdiamo ogni giorno, voi, la
semplicità cristiana, ed io, l'umiltà di cui trascuro la pratica!»
Il
concilio di Bourges
Frate
Antonio viene in seguito inviato a Tolosa, a Le Puy-en-Velay e a
Limoges; lì fonda delle comunità di cui sarà il superiore. Nel
novembre 1225, viene invitato a partecipare al concilio provinciale
di Bourges. Lo scopo di questa riunione, presieduta da un legato
pontificio, è quello di cercare il mezzo per riportare la pace nella
provincia di Linguadoca, travagliata dalla presenza degli Albigesi,
Catari della regione di Albi, e dai dissidi tra i principi. A Frate
Antonio viene chiesto di predicare davanti alle autorità religiose e
civili del regno. Senza rispetto umano, egli denuncia le cause
profonde del conflitto che imperversa in Linguadoca: cause religiose,
alimentate dagli intrighi degli Albigesi; cause sociali, dovute alla
sete di ricchezze e di onori dei principi del regno, di cui la
maggior parte dei sudditi vivono nella povertà; infine, cause
morali, che, secondo lui, non sono le meno importanti: egli condanna
i cattivi esempi dati in questo campo da alcuni membri della nobiltà,
ma anche del clero. Avendo d'improvviso conosciuto per rivelazione
divina lo stato della coscienza di Simon de Sully, arcivescovo di
Bourges, rimprovera ai vescovi, con solidi argomenti biblici, la loro
vita mondana e lussuosa, e lancia invettive contro quelli di loro che
non hanno saputo o voluto proteggere le loro pecore dai pericoli
dell'errore. Sconvolto da queste parole di fuoco, Simon de Sully
confessa le proprie colpe in una confessione sincera. Diventerà il
celebre prelato in cui il Papa e il re san Luigi metteranno la loro
fiducia.
Tornato
ad Assisi nel 1227, frate Antonio viene nominato Provinciale del nord
Italia, incarico che svolgerà fino alla Pentecoste del 1230. Durante
questo periodo, si reca regolarmente a Padova: la fede dei Padovani
lo commuove e si affeziona profondamente a loro. Una volta sollevato
dal governo dei frati, si unisce al gruppo dei domenicani e dei
benedettina incaricati da papa Gregorio IX di lavorare alla riforma
dei chierici e dei religiosi promossa dal Concilio Lateranense IV
(1215). Durante l'estate di quell'anno 1230, riceve dai superiori la
missione di recarsi a Roma per chiedere al Papa di risolvere una
questione dibattuta all'interno dell'Ordine riguardo alla pratica
della povertà. Dopo la morte del fondatore (1226), alcuni frati
vogliono vivere una povertà strettamente fedele alla lettera della
regola, mentre altri, per rispondere alle nuove situazioni,
desiderano ammorbidire questo rigore considerato eccessivo. Il Papa
deciderà a favore di questi ultimi. In tale occasione, frate Antonio
si trova a predicare davanti al Santo Padre, il quale, ammirando la
sua conoscenza della Scrittura, esclama: «Lo si chiamerà Arca del
Testamento e divino depositario delle Sacre Scritture.»
“Un
colloquio affettuoso”
Durante
quest'ultimo periodo della sua vita, frate Antonio redige due cicli
di Sermoni. Sono «testi teologici che riecheggiano la sua
predicazione viva, in cui egli propone un vero e proprio itinerario
di vita cristiana. È tanta la ricchezza di insegnamenti spirituali
contenuta nei Sermoni che il venerabile Pio XII, nel 1946, proclamò
Antonio Dottore della Chiesa, attribuendogli il titolo di “Dottore
evangelico", perché da tali scritti emerge la freschezza e la
bellezza del Vangelo.» Sant'Antonio vi parla « della preghiera come
di un rapporto di amore, che spinge l'uomo a colloquiare dolcemente
Con il Signore, Creando una gioia ineffabile, che soavemente avvolge
l'anima in orazione. Antonio ci ricorda che la preghiera ha bisogno
di un'atmosfera di silenzio... è esperienza interiore, che mira a
rimuovere le distrazioni provocate dalle preoccupazioni dell'anima,
creando il silenzio nell'anima stessa.» Secondo il suo insegnamento,
la preghiera si articola attorno a quattro atteggiamenti
fondamentali: «Aprire fiduciosamente il proprio Cuore a Dio; questo
è il primo passo del pregare, non semplicemente Cogliere una parola,
ma aprire il cuore alla presenza di Dio; poi colloquiare
affettuosamente con Lui, vedendolo presente con me; e poi – cosa
molto naturale – presentargli i nostri bisogni; infine lodarlo e
ringraziarlo. In questo insegnamento di sant'Antonio sulla preghiera
cogliamo uno dei tratti specifici della teologia francescana, di cui
egli è stato l'iniziatore, cioè il ruolo assegnato all'amore
divino, che entra nella sfera degli affetti, della volontà, del
Cuore, e che è anche la sorgente da cui sgorga una conoscenza
spirituale che sorpassa ogni conoscenza. Infatti, amando, conosciamo.
Scrive ancora Antonio: "La carità è l'anima della fede, la
rende viva; senza l'amore, la fede muore"» (Benedetto XVI,
Udienza generale del 10 febbraio 2010).
Nella
Quaresima del 1231, frate Antonio viene incaricato dal vescovo di
Padova di predicare ogni giorno agli abitanti e al clero della città.
Nonostante la stanchezza dovuta a una certa corpulenza e ad altre
infermità, il celebre religioso manifesta uno zelo instancabile per
la salvezza delle anime, predicando e poi confessando fino a sera. Le
chiese diventano troppo piccole per contenere le folle che vengono ad
ascoltarlo. Poiché il numero va aumentando - fino a trentamila
persone -, le prediche vengono ben presto tenute nei luoghi pubblici.
Frate Antonio, osserva Benedetto XVI, « Conosce bene i difetti
della natura umana, la nostra tendenza a cadere nel peccato, per cui
esorta continuamente a combattere l'inclinazione all'avidità,
all'orgoglio, all'impurità, e a praticare invece le virtù della
povertà e della generosità, dell'umiltà e dell'obbedienza, della
castità e della purezza. Agli inizi del XIII secolo,
nel contesto della rinascita delle città e del fiorire
del commercio, cresceva il numero di persone insensibili alle
necessità dei poveri. Per tale motivo, Antonio più volte invita i
fedeli a pensare alla vera ricchezza, quella del cuore che, rendendo
buoni e misericordiosi, fa accumulare tesori per il Cielo»
(ibid.) «O ricchi, esorta il nostro santo, fatevi amici i poveri,
che vi accoglieranno in seguito negli eterni tabernacoli, dove si
trovano la bellezza della pace, la fiducia della sicurezza, e
l'opulenta quiete dell'eterna sazietà.». In un altro sermone, per
distogliere i peccatori dall'inferno, sant'Antonio descrive la
ricompensa dell'avarizia e della lussuria, vizi che considera come i
più frequenti. A proposito della parabola delle nozze del figlio del
re, commenta la sentenza del re all'invitato che non indossava
l'abito nuziale: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle
tenebre (Mt 22,13). Là sarà pianto, occhi che si smarriscono nella
vanità, e stridore di denti che hanno goduto nella voracità e hanno
divorato i beni dei poveri.»
Un
ultimo canto d’amore
In
seguito alle predicazioni di frate Antonio, le confessioni sono così
numerose che i sacerdoti presenti non bastano per ascoltarle. Il
Santo ottiene dai magistrati di Padova la liberazione dei debitori
insolvibili tenuti in carcere su richiesta degli usurai fino al
rimborso del loro debito. Ma tali sforzi finiscono per esaurire il
suo corpo, già indebolito dalle malattie e dai digiuni. Nel mese di
maggio, riceve il permesso di ritirarsi in un luogo tranquillo a nord
di Padova. Gli viene costruito un rifugio tra i rami di un noce
perché possa raccogliervisi e prepararsi a vedere Dio faccia a
faccia (1Cor 13,12). Il 13 giugno, sentendo che le sue forze
lo abbandonano, si fa trasportare nel suo convento di Padova.
Arrivato alle porte della città, è così debole che deve fermarsi
presso le suore clarisse dell'Arcella, dove riceve l'Estrema Unzione.
Si sforza allora di cantare ancora alla sua Regina, la Vergine Maria,
un ultimo canto d'amore, poi il suo volto s'illumina: dichiara di
vedere il suo Signore Gesù che lo chiama a sé.
Sulla
sua tomba, si rinnovano le scene di entusiasmo che avevano
accompagnato le sue predicazioni. I i miracoli si moltiplicano e il
fervore popolare cresce di giorno in giorno, al punto che il vescovo
e le autorità civili di Padova decidono di inviare una delegazione
per chiedere al Papa la canonizzazione di frate Antonio. Durante
l'inchiesta, vengono riconosciuti cinquantatré miracoli attribuiti
al suo intervento. Il 30 maggio 1232, vale a dire appena un anno dopo
la Sua morte, periodo eccezionalmente breve, Gregorio IX proclama la
santità di Antonio di Padova.
Sull'esempio
del santo, traiamo ispirazione dall'esortazione di san Pietro:
Santificate Cristo Signore nei vostri Cuori, pronti sempre a
rispondere, con mansuetudine e timore, a chiunque vi domandi ragione
della speranza che è in voi (1Pt 3,15).
Dom
Antoine Marie osb
ABBAYE
SAINT-JOSEPH DE CLAIRVAL – 21150 FLAVIGNY-SUR-OZERAIN – FRANCE
Telefax : 0033 3 80 96 25 29 — E-mail : abbazia@clairval.com
— Site : http://www.clairval.com/
Da Padova a Sassari, dalla basilica di Sant’Antonio alla chiesa di Santa Maria di Betlem per uno straordinario evento di fede atteso da migliaia di persone.
Dal 6 all’11 maggio le reliquie di
Sant’Antonio da Padova saranno esposte a Sassari per la devozione
dei fedeli. Nei giorni scorsi la fraternità di Santa Maria ha avuto
l’autorizzazione della Santa sede a ospitare i resti di uno dei
santi più venerati del mondo.
Per
l’occasione, i frati, guidati dal guardiano padre Silvano Bianco,
hanno allestito un fitto programma di appuntamenti che vedrà il
coinvolgimento di una città intera, ma non solo. Quella sassarese,
infatti, sarà l’unica tappa in Sardegna, l’unica possibilità
per migliaia di fedeli di rendere omaggio al santo di Padova.
Le
reliquie, un frammento delle corde vocali e una costola del Santo,
sosteranno a Santa Maria, ma saranno portate anche al carcere di
Bancali e nei reparti ospedalieri per consentire la partecipazione
anche coloro che, per ovvie ragioni, non possono spostarsi. A Santa
Maria sarà esposta anche la “massa corporis”, un frammento
dell’apparato vocale prelevato in occasione dell’ultima
ricognizione fatta nei primi anni Ottanta del Novecento.
Le
ispezioni periodiche sulle spoglie dei santi, curate da due
commissioni, una tecnico-scientifica, una religiosa, vengono fatte
per verificare lo stato di conservazione e, quando necessario,
prelevare porzioni di tessuto per analizzarle. Per Sant’Antonio, la
prima e più importante ricognizione, con relativa traslazione,
risale al 1263, quando il corpo di Antonio da Padova venne trasferito
nella basilica della città veneta. L’allora ministro generale dei
francescani, Bonaventura da Bagnoregio, futuro santo, presiedette la
cerimonia e accertò che la lingua di Sant’Antonio era rimasta
incorrotta.
La
più recente ricognizione, con esposizione ai fedeli, è del 1981, in
occasione del 750° anniversario della morte. Le due commissioni
vaticane, che aprirono la tomba, esaminarono le reliquie del Santo e
stilarono una dettagliata relazione. Rimossa la lastra di marmo che
faceva da copertura, trovarono una grande cassa in legno d’abete
avvolta con drappi di stoffa pregiata. Questa a sua volta conteneva
una cassetta più piccola che custodiva lo scheletro di Antonio da
Padova, ad eccezione del mento, dell’avambraccio sinistro e di
altre parti, conservate, da secoli, in reliquiari diversi. Gli
ispettori rinvennero anche la tonaca e la massa corporis, frammenti
dell’apparato vocale di Sant’Antonio, gli stessi, appunto, che
arriveranno a Sassari il prossimo 6 maggio.
I
resti furono quindi ricomposti dentro un’urna di cristallo ed
esposti all’adorazione dei fedeli tra gennaio e marzo di
quell’anno. In ventinove giorni, più di 650 mila persone resero
omaggio alle reliquie del Santo di Padova.
Dopo
l’ostensione, l’urna venne rinchiusa in una cassa di rovere e
riposta nella tomba-altare della cappella a lui dedicata. Alcuni
reperti, in particolare le reliquie dell’apparato vocale, sono
tutt’ora esposti a Padova nella basilica del Santo, all’interno
della stessa cappella. Articolato e laborioso l’iter burocratico
relativo all’autorizzazione arrivata dalla Santa sede. La
richiesta, trasmessa a gennaio da padre Silvano Bianco al rettore
della pontificia basilica di Padova, è stata infatti inoltrata al
delegato vaticano competente per materia. Una volta concessa, con un
percorso inverso, l’autorizzazione è stata ritrasmessa a Padova e
quindi a Sassari.
Per
ragioni di sicurezza, l’urna contenente i resti di Sant’Antonio,
viaggia scortata e con le stesse modalità si sposterà a Sassari
nelle varie tappe previste dal programma. Conclusa l’ostensione
sassarese, la reliquia, dopo una sosta a Padova, sarà esposta nelle
zone colpite dal terremoto.
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