P.
Paul Maria Sigl
In
ogni Santa Messa si rende presente quella solenne ora del Giovedì
Santo, in cui, la notte prima della Sua passione e morte, il Sommo
Sacerdote divino celebrò nel Cenacolo il “primo Santo
Sacrificio”. Egli prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo
diede ai suoi discepoli, pronunciando le parole: “Prendete e
mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per
voi”. Dopo la cena, allo stesso modo prese il calice, rese
grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendete e bevetene
tutti: questo è il mio sangue, versato per voi e per tutti per la
remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”. In
questo modo così semplice e sublime il Signore istituì il
sacramento dell’Eucaristia e fece dei Suoi apostoli i primi
sacerdoti di quella nuova Alleanza, che Egli, poco più tardi,
avrebbe stipulato eternamente nel Suo sangue come Servo sofferente ed
umiliato e Redentore. Sì, sul Calvario vediamo il Sommo Sacerdote
divino che, sull’altare del proprio Corpo, si offre morente al
Padre come sacrificio infinitamente prezioso. Ma Egli non era solo!
Sua Madre, la Corredentrice, come p. Pio e tanti altri santi l’hanno
chiamata, stava sotto la croce. Fortificata dalla santa Eucaristia,
attraverso un primo “per Ipsum mariano”, offrì suo
Figlio come un’ostia. Ella era unita in modo particolarmente
perfetto all’offerta del Figlio sacerdote, al punto che si può
dire: il loro comune sacrificio di redenzione, la loro comune
vittoria, da allora, attraversano tutti i tempi e abbracciano tutti
gli uomini. Papa Giovanni Paolo II parlò più volte di questa
realtà spirituale, come, ad esempio, il 12 febbraio 1984: “Maria
è presso ogni altare” o in occasione della Festa del Corpus
Domini del 5 giugno 1983: “... ogni Messa ci pone in comunione
intima con lei, la Madre, il cui sacrificio ‘ritorna presente’
come ‘ritorna presente’ il sacrificio del Figlio alle parole
della Consacrazione del pane e del vino pronunciate dal sacerdote”.
In modo molto simile si espresse l’amabile mistica tedesca Barbara
Pfister (1867-1909): “Quante volte ho visto come la Madre di Dio
accompagna il sacerdote all’altare, lo porta e lo guida, veglia su
di lui e lo protegge ... Lei è sempre con lui. Non la si può
separare dal Salvatore. Come Lui non ha voluto celebrare il Suo
Sacrificio senza sua Madre, così anche il sacerdote non dovrebbe
andare all’altare senza la Madre addolorata”.
Ha
preceduto suo Figlio
L’Immacolata
espresse il suo ‘sì’ decisivo molto tempo prima del Calvario e
cronologicamente addirittura prima di Gesù. Infatti il Figlio di
Dio venne al mondo solo dopo che Ella aveva pronunciato con amore e
fiducia il suo ‘sì’ a Nazareth. Fu nel grembo di Maria che
iniziò a battere il cuore sacerdotale del Redentore e così è al
suo grembo materno che sono affidati tutti i sacerdoti. Da allora la
maternità spirituale, il sacerdozio e l’Eucaristia sono associati
per sempre in modo inseparabile, poiché la madre spirituale
partorisce spiritualmente il sacerdote ed egli suscita la santa
Eucaristia. Madre Ida, la veggente di Amsterdam, dopo una santa
Comunione, sentì le seguenti parole: “Una chiesa e un popolo
senza Madre è come un corpo senza anima”. (31.05.1965)
“Comprendete bene questo: anche il Signore ha avuto bisogno di
Sua Madre per giungere alla vita. Per mezzo della Madre viene la
Vita. Per questo Ella deve essere riportata nelle vostre chiese e fra
i popoli e voi vedrete la rifioritura”. (25.03.1973)
Giovanni,
il modello di un cuore sacerdotale
Con
libera scelta e nella grazia Gesù elesse i suoi primi apostoli,
chiamandoli ciascuno per nome affinché lo seguissero in intima
vicinanza. Essi risposero lasciandosi tutto alle spalle e lo
seguirono. Da allora fino ad oggi il Signore rivolge personalmente
quella stessa sublime chiamata a uomini che si donano a Lui
interamente e per sempre come sacerdoti. E poi il Signore attende –
come uno sposo all’altare il sì della sposa – il libero
consenso di ogni vocazione sacerdotale, che deve esprimersi per
amore: “Adsum!” – “Eccomi!”. Cosa deve aver
significato per Giovanni essere chiamato ad una vicinanza così
intima con Gesù! Poter ascoltare per ore le parole del suo Maestro
e diventare così testimone oculare di quell’amore con il quale il
Signore s’impegnava fino all’estremo per ogni bisognoso, operava
guarigioni e compiva miracoli! Il “discepolo che egli amava”,
che ebbe il privilegio di riposare esteriormente sul cuore del
Signore, volle tuttavia conoscere ed imitare interiormente l’amore
umile e mite di questo Cuore Divino, per diventare così sempre più
simile al suo Maestro: misericordioso nel pensare, nel parlare e
nell’agire. Così Giovanni è un esempio luminoso per ogni cuore
sacerdotale! Ma particolarmente esemplare per i sacerdoti, egli lo fu
nella sofferenza e nella Passione, poiché in quei momenti
l’apostolo cercò totalmente soccorso da Maria. Infatti Giovanni
non avrebbe potuto mai percorrere la Via Crucis e resistere fedele
sotto la Croce, se non fosse rimasto come un bambino vicino a Maria e
non si fosse lasciato portare, per così dire, da Lei! Quanto questa
unione sia stata decisiva per tutti i sacerdoti e per tutti gli
uomini, fino ai giorni nostri, ce lo dimostra il Redentore dall’alto
della Croce. Infatti, nella sua ora più difficile, Egli affida al
novello sacerdote, o meglio al giovane vescovo Giovanni, appena
consacrato, e con lui a tutti i sacerdoti e a tutti i popoli, ciò
che Egli aveva di più caro sulla terra “Ecco, tua Madre!”
(Gv 12,27) e da quel momento Giovanni prese Maria con sé.
Sì, la Madre ci è stata donata soprattutto per i momenti
difficili, e in modo particolare ci è stata data come Madre per i
sacerdoti, che da parte loro hanno anch’essi la vocazione di
assistere maternamente gli uomini soprattutto nelle loro ore
difficili.
Per
diventare dono di amore
Al
sacerdote non è chiesto in primo luogo un talento organizzativo o
di essere un manager o un esperto di faccende finanziarie, e non ci
si aspetta da lui neanche che tenga prediche particolarmente
raffinate. Ciò che gli uomini si aspettano da un sacerdote è
che egli sia un uomo secondo il Cuore di Dio, che rifletta la bontà
di Gesù nella sua vita, che non parli in modo sprezzante o che non
reagisca con orgoglio. Deve saper perdonare, consolare e
consigliare, avere compassione e giudicare con misericordia; donare
tempo e avere sempre la porta aperta ed attenzione per le intenzioni
e i bisogni di chi gli si confida. E soprattutto dovrebbe
amministrare volentieri i sacramenti per mostrare con essi agli
uomini la via verso Dio. In una parola: il sacerdote non solo celebra
il sacrificio, ma in forza del cibo divino, la santa Eucaristia, è
reso capace di farsi lui stesso “dono d’amore” a Dio e
agli uomini. Offrirsi come sacrificio, unito a Cristo e dimentico di
sé, è il segreto di ogni successo sacerdotale nella pastorale!
Quando invece il sacerdote inizia a cercare se stesso e si abitua ad
evitare il sacrificio che il quotidiano impegno apostolico richiede,
perde la propria originaria identità sacerdotale. Un uomo che, in
quanto sacerdote, offrì volontariamente il sacrificio della propria
vita fu san Massimiliano Maria Kolbe. Era fine luglio del 1941,
quando il comandante del campo di concentramento di Auschwitz,
Fritsch, poiché un detenuto era fuggito, aveva destinato al bunker
della fame dieci prigionieri scelti a caso. Massimiliano Kolbe si
fece avanti e, indicando un padre di famiglia disperato, Franz
Gajowniczek, chiese di poter morire al suo posto. “Chi sei?”, gli
chiese Fritsch stupito. “Sono un prete cattolico”, fu la
semplice risposta di p. Massimiliano Maria, indicando così la vera
motivazione del suo sacrificio. In questo modo si compì la sua
missione di dare la vita per amore dell’Immacolata e così, come
il chicco di grano, portare frutto per la sua famiglia spirituale,
per i suoi nemici e per tutta la Chiesa.
Un
carattere indelebile
La
parte più decisiva di un’ordinazione sacerdotale avviene in modo
totalmente invisibile agli occhi umani, nel totale silenzio e nella
quiete, attraverso l’imposizione delle mani del vescovo; chi opera
è però Gesù stesso e il nuovo consacrato è totalmente
trasformato nel più intimo del suo essere. Alla sua anima viene
donato un carattere sacerdotale permanente e gli vengono conferiti
dignità e mandato, come un “altro Cristo”, un “secondo
Cristo”, per poter operare nella piena potestà di Gesù.
Malgrado i limiti umani che restano al sacerdote, tutto ciò è
qualcosa di divino ed è così sublime che una volta lasciò
esclamare al Santo Curato d’Ars: “Oh, quanto è grande il
sacerdote! ... Dio gli ubbidisce: pronuncia due frasi e sulla sua
parola il Signore del Cielo scende e si rinchiude in una piccola
ostia ... Il sacerdote è colui che continua su terra l’opera
della Redenzione ... Il sacerdote possiede le chiavi dei tesori del
cielo: a lui è dato di aprire la porta ... Lascia una parrocchia
per venti anni senza sacerdote e lì vi si adoreranno le bestie ...
Il sacerdote non è tale per se stesso, egli lo è per voi”.
Questo indelebile carattere sacerdotale, un giovane ventiquattrenne,
Eugenio Hamilton,della diocesi di New York, lo ricevette in modo
veramente unico e toccante. Il 24 gennaio 1997 il vescovo O’Brien
si affrettava verso la casa della famiglia Hamilton per consacrare
prima diacono e poi sacerdote un seminarista che, colpito da affanno
respiratorio, non riusciva più a pronunciare nessuna parola ed era
sul punto di morire, come difatti avvenne tre ore più tardi. P.
Eugenio, “che non ha mai celebrato una santa Messa, né assolto
qualcuno dai peccati, che non ha mai tenuto un’omelia e mai dato
una benedizione, attraverso il sacrificio della propria vita e della
propria morte si è tuttavia trasformato in un’offerta
sacerdotale, in unione al sacrificio perfetto di Gesù”, disse
ai funerali suo padre, diacono permanente nella cattedrale di san
Patrick. “Gene”, come lo si chiamava in famiglia,
nell’autunno del 1995 aveva da poco iniziato i primi studi di
teologia, quando gli furono mostrati i risultati di un esame
radiologico dei suoi polmoni. “Rimasi atterrito da una grande
massa nella mia cassa toracica, che premeva sui miei polmoni e sul
mio cuore, e seppi che ciò che vedevo era cancro”. Fu
l’inizio di 16 mesi di sofferenza tra chemioterapie, radioterapie,
operazioni chirurgiche e dolori senza mai un lamento, fino a quando
il medico dovette confessargli: “Ti restano solo alcuni mesi”.
“Lasciammo l’ospedale e andammo
in una chiesa nell’altro lato della strada”, ricorda la mamma
Margherita, “Gene si inginocchiò a lungo sul gradino dell’altare
davanti al Santissimo Sacramento, e anch’io pregai. Poi Gene si
sedette al mio fianco e poggiò il capo sulla mia spalla. Parlammo
della morte e della separazione e di quanto sia importante restare
aperti alla volontà di Dio. Volentieri avrei voluto prendere il suo
posto, affinché egli potesse restare in vita”. Nella fase
terminale del cancro, Gene continuò ad affidare il suo sacerdozio
al suo modello, il Servo di Dio il Cardinal Terence Cooke († 1983)
di New York, del quale è stata introdotta la causa di
beatificazione. Quest’ultimo, per 19 anni, aveva sopportato
pazientemente le sofferenze causategli da un cancro e aveva vissuto
la sua vocazione nella fedeltà al proprio motto episcopale: “Sia
fatta la tua volontà!”. Una parola che anche Eugenio aveva
trasformato in preghiera del cuore. Sebbene gli mancassero ancora tre
anni di studio teologico, Gene aveva un’intima convinzione: “Dio
mi vuole avere sacerdote”. Così, il 1 gennaio 1997, ventitre
giorni prima della morte, aveva scritto una lettera al Santo Padre
Giovanni Paolo II, affidandola ad un seminarista che doveva andare a
Roma: “Santo Padre, per favore chieda per me il miracolo che io
... possa guarire ed essere consacrato sacerdote, per poter servire i
fedeli della mia diocesi. Unisco le mie sofferenze a quelle di Gesù
sulla croce e mi offro per le sue intenzioni e per le vocazioni
sacerdotali”. Da Roma giunsero una lettera di risposta e una
benedizione personale del Santo Padre sulla foto di Gene. Inoltre
Giovanni Paolo II fece sapere al malato terminale che egli “toto
corde, con tutto il cuore” impartiva la sua benedizione e
concedeva quella dispensa che gli avrebbe permesso di ricevere in
anticipo l’ordinazione sacerdotale. Quando il 20 gennaio ne venne a
conoscenza, Gene ne restò stupefatto. Fu così subito programmata
la sua ordinazione diaconale e sacerdotale, ma all’improvviso le
sue condizioni peggiorarono e subentrò l’agonia. Quanto
significative divennero le ultime parole del moribondo, prima della
sua ordinazione ulteriormente anticipata: “Nella
mia vita, voglio fare solo la volontà di Dio”.
“La
chiamata del Signore non mi ha raggiunto come un fulmine. Nessuna
voce, nessuna visione!Molto più, Egli mi ha donato una conoscenza
costante e chiara della mia vocazione sacerdotale”.
Tratto da "Trionfo
del Cuore" - IL SACERDOTE E LA MATERNITÀ SPIRITUALE PER I SACERDOTI I
- PDF - Famiglia di Maria -maggio - giugno 2010 N ° 1
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