mercoledì 24 maggio 2017

Tu sei sacerdote in eterno!... Tratto da "Trionfo del Cuore" - IL SACERDOTE E LA MATERNITÀ SPIRITUALE PER I SACERDOTI I - Famiglia di Maria



P. Paul Maria Sigl

In ogni Santa Messa si rende presente quella solenne ora del Giovedì Santo, in cui, la notte prima della Sua passione e morte, il Sommo Sacerdote divino celebrò nel Cenacolo il “primo Santo Sacrificio”. Egli prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli, pronunciando le parole: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”. Dopo la cena, allo stesso modo prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendete e bevetene tutti: questo è il mio sangue, versato per voi e per tutti per la remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”. In questo modo così semplice e sublime il Signore istituì il sacramento dell’Eucaristia e fece dei Suoi apostoli i primi sacerdoti di quella nuova Alleanza, che Egli, poco più tardi, avrebbe stipulato eternamente nel Suo sangue come Servo sofferente ed umiliato e Redentore. Sì, sul Calvario vediamo il Sommo Sacerdote divino che, sull’altare del proprio Corpo, si offre morente al Padre come sacrificio infinitamente prezioso. Ma Egli non era solo! Sua Madre, la Corredentrice, come p. Pio e tanti altri santi l’hanno chiamata, stava sotto la croce. Fortificata dalla santa Eucaristia, attraverso un primo “per Ipsum mariano”, offrì suo Figlio come un’ostia. Ella era unita in modo particolarmente perfetto all’offerta del Figlio sacerdote, al punto che si può dire: il loro comune sacrificio di redenzione, la loro comune vittoria, da allora, attraversano tutti i tempi e abbracciano tutti gli uomini. Papa Giovanni Paolo II parlò più volte di questa realtà spirituale, come, ad esempio, il 12 febbraio 1984: “Maria è presso ogni altare” o in occasione della Festa del Corpus Domini del 5 giugno 1983: “... ogni Messa ci pone in comunione intima con lei, la Madre, il cui sacrificio ‘ritorna presente’ come ‘ritorna presente’ il sacrificio del Figlio alle parole della Consacrazione del pane e del vino pronunciate dal sacerdote”. In modo molto simile si espresse l’amabile mistica tedesca Barbara Pfister (1867-1909): “Quante volte ho visto come la Madre di Dio accompagna il sacerdote all’altare, lo porta e lo guida, veglia su di lui e lo protegge ... Lei è sempre con lui. Non la si può separare dal Salvatore. Come Lui non ha voluto celebrare il Suo Sacrificio senza sua Madre, così anche il sacerdote non dovrebbe andare all’altare senza la Madre addolorata”.

Ha preceduto suo Figlio


L’Immacolata espresse il suo ‘sì’ decisivo molto tempo prima del Calvario e cronologicamente addirittura prima di Gesù. Infatti il Figlio di Dio venne al mondo solo dopo che Ella aveva pronunciato con amore e fiducia il suo ‘sì’ a Nazareth. Fu nel grembo di Maria che iniziò a battere il cuore sacerdotale del Redentore e così è al suo grembo materno che sono affidati tutti i sacerdoti. Da allora la maternità spirituale, il sacerdozio e l’Eucaristia sono associati per sempre in modo inseparabile, poiché la madre spirituale partorisce spiritualmente il sacerdote ed egli suscita la santa Eucaristia. Madre Ida, la veggente di Amsterdam, dopo una santa Comunione, sentì le seguenti parole: “Una chiesa e un popolo senza Madre è come un corpo senza anima”. (31.05.1965) “Comprendete bene questo: anche il Signore ha avuto bisogno di Sua Madre per giungere alla vita. Per mezzo della Madre viene la Vita. Per questo Ella deve essere riportata nelle vostre chiese e fra i popoli e voi vedrete la rifioritura”. (25.03.1973)

Giovanni, il modello di un cuore sacerdotale

Con libera scelta e nella grazia Gesù elesse i suoi primi apostoli, chiamandoli ciascuno per nome affinché lo seguissero in intima vicinanza. Essi risposero lasciandosi tutto alle spalle e lo seguirono. Da allora fino ad oggi il Signore rivolge personalmente quella stessa sublime chiamata a uomini che si donano a Lui interamente e per sempre come sacerdoti. E poi il Signore attende – come uno sposo all’altare il sì della sposa – il libero consenso di ogni vocazione sacerdotale, che deve esprimersi per amore: “Adsum!”“Eccomi!”. Cosa deve aver significato per Giovanni essere chiamato ad una vicinanza così intima con Gesù! Poter ascoltare per ore le parole del suo Maestro e diventare così testimone oculare di quell’amore con il quale il Signore s’impegnava fino all’estremo per ogni bisognoso, operava guarigioni e compiva miracoli! Il “discepolo che egli amava”, che ebbe il privilegio di riposare esteriormente sul cuore del Signore, volle tuttavia conoscere ed imitare interiormente l’amore umile e mite di questo Cuore Divino, per diventare così sempre più simile al suo Maestro: misericordioso nel pensare, nel parlare e nell’agire. Così Giovanni è un esempio luminoso per ogni cuore sacerdotale! Ma particolarmente esemplare per i sacerdoti, egli lo fu nella sofferenza e nella Passione, poiché in quei momenti l’apostolo cercò totalmente soccorso da Maria. Infatti Giovanni non avrebbe potuto mai percorrere la Via Crucis e resistere fedele sotto la Croce, se non fosse rimasto come un bambino vicino a Maria e non si fosse lasciato portare, per così dire, da Lei! Quanto questa unione sia stata decisiva per tutti i sacerdoti e per tutti gli uomini, fino ai giorni nostri, ce lo dimostra il Redentore dall’alto della Croce. Infatti, nella sua ora più difficile, Egli affida al novello sacerdote, o meglio al giovane vescovo Giovanni, appena consacrato, e con lui a tutti i sacerdoti e a tutti i popoli, ciò che Egli aveva di più caro sulla terra “Ecco, tua Madre!” (Gv 12,27) e da quel momento Giovanni prese Maria con sé. Sì, la Madre ci è stata donata soprattutto per i momenti difficili, e in modo particolare ci è stata data come Madre per i sacerdoti, che da parte loro hanno anch’essi la vocazione di assistere maternamente gli uomini soprattutto nelle loro ore difficili.

Per diventare dono di amore

Al sacerdote non è chiesto in primo luogo un talento organizzativo o di essere un manager o un esperto di faccende finanziarie, e non ci si aspetta da lui neanche che tenga prediche particolarmente raffinate. Ciò che gli uomini si aspettano da un sacerdote è che egli sia un uomo secondo il Cuore di Dio, che rifletta la bontà di Gesù nella sua vita, che non parli in modo sprezzante o che non reagisca con orgoglio. Deve saper perdonare, consolare e consigliare, avere compassione e giudicare con misericordia; donare tempo e avere sempre la porta aperta ed attenzione per le intenzioni e i bisogni di chi gli si confida. E soprattutto dovrebbe amministrare volentieri i sacramenti per mostrare con essi agli uomini la via verso Dio. In una parola: il sacerdote non solo celebra il sacrificio, ma in forza del cibo divino, la santa Eucaristia, è reso capace di farsi lui stesso “dono d’amore” a Dio e agli uomini. Offrirsi come sacrificio, unito a Cristo e dimentico di sé, è il segreto di ogni successo sacerdotale nella pastorale! Quando invece il sacerdote inizia a cercare se stesso e si abitua ad evitare il sacrificio che il quotidiano impegno apostolico richiede, perde la propria originaria identità sacerdotale. Un uomo che, in quanto sacerdote, offrì volontariamente il sacrificio della propria vita fu san Massimiliano Maria Kolbe. Era fine luglio del 1941, quando il comandante del campo di concentramento di Auschwitz, Fritsch, poiché un detenuto era fuggito, aveva destinato al bunker della fame dieci prigionieri scelti a caso. Massimiliano Kolbe si fece avanti e, indicando un padre di famiglia disperato, Franz Gajowniczek, chiese di poter morire al suo posto. “Chi sei?”, gli chiese Fritsch stupito. “Sono un prete cattolico”, fu la semplice risposta di p. Massimiliano Maria, indicando così la vera motivazione del suo sacrificio. In questo modo si compì la sua missione di dare la vita per amore dell’Immacolata e così, come il chicco di grano, portare frutto per la sua famiglia spirituale, per i suoi nemici e per tutta la Chiesa.

Un carattere indelebile

La parte più decisiva di un’ordinazione sacerdotale avviene in modo totalmente invisibile agli occhi umani, nel totale silenzio e nella quiete, attraverso l’imposizione delle mani del vescovo; chi opera è però Gesù stesso e il nuovo consacrato è totalmente trasformato nel più intimo del suo essere. Alla sua anima viene donato un carattere sacerdotale permanente e gli vengono conferiti dignità e mandato, come un “altro Cristo”, un “secondo Cristo”, per poter operare nella piena potestà di Gesù. Malgrado i limiti umani che restano al sacerdote, tutto ciò è qualcosa di divino ed è così sublime che una volta lasciò esclamare al Santo Curato d’Ars: “Oh, quanto è grande il sacerdote! ... Dio gli ubbidisce: pronuncia due frasi e sulla sua parola il Signore del Cielo scende e si rinchiude in una piccola ostia ... Il sacerdote è colui che continua su terra l’opera della Redenzione ... Il sacerdote possiede le chiavi dei tesori del cielo: a lui è dato di aprire la porta ... Lascia una parrocchia per venti anni senza sacerdote e lì vi si adoreranno le bestie ... Il sacerdote non è tale per se stesso, egli lo è per voi”. Questo indelebile carattere sacerdotale, un giovane ventiquattrenne, Eugenio Hamilton,della diocesi di New York, lo ricevette in modo veramente unico e toccante. Il 24 gennaio 1997 il vescovo O’Brien si affrettava verso la casa della famiglia Hamilton per consacrare prima diacono e poi sacerdote un seminarista che, colpito da affanno respiratorio, non riusciva più a pronunciare nessuna parola ed era sul punto di morire, come difatti avvenne tre ore più tardi. P. Eugenio, “che non ha mai celebrato una santa Messa, né assolto qualcuno dai peccati, che non ha mai tenuto un’omelia e mai dato una benedizione, attraverso il sacrificio della propria vita e della propria morte si è tuttavia trasformato in un’offerta sacerdotale, in unione al sacrificio perfetto di Gesù”, disse ai funerali suo padre, diacono permanente nella cattedrale di san Patrick. “Gene”, come lo si chiamava in famiglia, nell’autunno del 1995 aveva da poco iniziato i primi studi di teologia, quando gli furono mostrati i risultati di un esame radiologico dei suoi polmoni. “Rimasi atterrito da una grande massa nella mia cassa toracica, che premeva sui miei polmoni e sul mio cuore, e seppi che ciò che vedevo era cancro”. Fu l’inizio di 16 mesi di sofferenza tra chemioterapie, radioterapie, operazioni chirurgiche e dolori senza mai un lamento, fino a quando il medico dovette confessargli: “Ti restano solo alcuni mesi”. “Lasciammo l’ospedale e andammo in una chiesa nell’altro lato della strada”, ricorda la mamma Margherita, “Gene si inginocchiò a lungo sul gradino dell’altare davanti al Santissimo Sacramento, e anch’io pregai. Poi Gene si sedette al mio fianco e poggiò il capo sulla mia spalla. Parlammo della morte e della separazione e di quanto sia importante restare aperti alla volontà di Dio. Volentieri avrei voluto prendere il suo posto, affinché egli potesse restare in vita”. Nella fase terminale del cancro, Gene continuò ad affidare il suo sacerdozio al suo modello, il Servo di Dio il Cardinal Terence Cooke († 1983) di New York, del quale è stata introdotta la causa di beatificazione. Quest’ultimo, per 19 anni, aveva sopportato pazientemente le sofferenze causategli da un cancro e aveva vissuto la sua vocazione nella fedeltà al proprio motto episcopale: “Sia fatta la tua volontà!”. Una parola che anche Eugenio aveva trasformato in preghiera del cuore. Sebbene gli mancassero ancora tre anni di studio teologico, Gene aveva un’intima convinzione: “Dio mi vuole avere sacerdote”. Così, il 1 gennaio 1997, ventitre giorni prima della morte, aveva scritto una lettera al Santo Padre Giovanni Paolo II, affidandola ad un seminarista che doveva andare a Roma: “Santo Padre, per favore chieda per me il miracolo che io ... possa guarire ed essere consacrato sacerdote, per poter servire i fedeli della mia diocesi. Unisco le mie sofferenze a quelle di Gesù sulla croce e mi offro per le sue intenzioni e per le vocazioni sacerdotali”. Da Roma giunsero una lettera di risposta e una benedizione personale del Santo Padre sulla foto di Gene. Inoltre Giovanni Paolo II fece sapere al malato terminale che egli “toto corde, con tutto il cuore” impartiva la sua benedizione e concedeva quella dispensa che gli avrebbe permesso di ricevere in anticipo l’ordinazione sacerdotale. Quando il 20 gennaio ne venne a conoscenza, Gene ne restò stupefatto. Fu così subito programmata la sua ordinazione diaconale e sacerdotale, ma all’improvviso le sue condizioni peggiorarono e subentrò l’agonia. Quanto significative divennero le ultime parole del moribondo, prima della sua ordinazione ulteriormente anticipata: “Nella mia vita, voglio fare solo la volontà di Dio”.

La chiamata del Signore non mi ha raggiunto come un fulmine. Nessuna voce, nessuna visione!Molto più, Egli mi ha donato una conoscenza costante e chiara della mia vocazione sacerdotale”.


Tratto da "Trionfo del Cuore" - IL SACERDOTE E LA MATERNITÀ SPIRITUALE PER I SACERDOTI I - PDF - Famiglia di Maria -maggio - giugno 2010 N ° 1



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