San
Giovanni Eudes (1601 – 1680), chiamato da Papa Pio XI il “profeta
del Cuore”, come missionario popolare in Francia si impegnò
instancabilmente per 45 anni per diffondere la venerazione dei Cuori
di Gesù e di Maria. Nella comprensione di questi due Cuori così
uniti tra loro, il santo era consapevole anche dell’unione che lega
i sacerdoti e le loro madri spirituali: “Il sacerdozio
sacramentale è così grande, così divino, che sembra che non
esista qualcosa di più grande e di più divino. E tuttavia c’è
un sacerdozio che in un certo senso supera quello dei sacerdoti: è
la vocazione di impegnarsi per la loro santificazione, salvando i
salvatori e portando al pascolo i pastori; ottenendo la luce per
coloro che sono la luce del mondo e santificando coloro che sono la
santificazione della Chiesa”. Ogni vocazione sacerdotale è
portata e sostenuta da madri spirituali, che in modo disinteressato
aiutano il sacerdote affinché egli possa crescere nel suo amore per
Dio e per le persone a lui affidate.
Questo
essere “madri spirituali”
per i sacerdoti può assumere forme più diverse. Può significare
l’offerta di sofferenze fisiche, o il servire quotidiano, l’essere
caritatevole, la preghiera fedele e il portare pesi spirituali, come
anche l’affrontare “notti dello
spirito”. Tutta la storia della Chiesa ci parla di queste
“sante coppie”, iniziando dal Sommo ed Eterno Sacerdote stesso,
il quale attingeva forza dall’intima e inesprimibile unione con Sua
Madre. Pensiamo a Benedetto e alla sorella Scolastica, a Bonifacio e
alla sua parente Lioba, a Francesco e Chiara di Assisi, a Francesco
di Sales, il santo vescovo di Ginevra, e alla sua “figlia e madre”
Giovanna Francesca di Chantal! Lo stesso fu per Brigida di Svezia,
Caterina da Siena o Lidwina di Schidam, che divennero consigliere,
guide e vittime di espiazione per diversi Papi. Anna Maria Taigi,
madre di famiglia a Roma, fece da consigliera illuminata ad
addirittura cinque Papi consecutivi!
Nel
XX secolo molti di noi sono stati testimoni di quanto spesso Giovanni
Paolo II abbia cercato la vicinanza di Madre Teresa di Calcutta
prendendola per mano per esprimerle la sua riconoscenza ed il
profondo rispetto. Dopo l’attentato, questo Papa si sentì
profondamente riconoscente anche nei confronti di una bambina, la
pastorella Giacinta, tanto che alla sua Beatificazione, celebrata il
13 maggio 2000 a Fatima, sottolineò: “E desidero una volta di
più celebrare la bontà del Signore verso di me, quando, duramente
colpito in quel 13 maggio 1981, fui salvato dalla morte. Esprimo la
mia riconoscenza anche alla beata Giacinta per i sacrifici e le
preghiere fatte per il Santo Padre, che ella aveva visto tanto
soffrire”.
Arbusto
di rose in fiore - radici nascoste
Non
dimentichiamo mai: dovunque fioriscono nuove vocazioni e si manifesta
un ricco apostolato, dovunque la Chiesa, per così dire, fiorisce
esteriormente, vi è sempre un invisibile fondamento di silenziosa
preghiera, sofferenza e sacrificio di qualcuno che si offre nel
nascondimento, affinché altri portino “bei frutti” . Dio ha
posto un simile principio di vita anche nella natura. Pensiamo ad un
arbusto di rose in fiore, che colpisce per la sua bellezza. Se lo si
sradicasse dalla terra, vi si troverebbe celato nella terra un
incolto e miserabile blocco di radici, che però è vitale per ogni
singolo bocciolo di rosa tanto magnifico. Così si può dire che
ciò che si sviluppa esteriormente ed è di stabile importanza, ha
sempre misere radici nascoste.
Un
bellissimo esempio al riguardo è rappresentato dagli apostoli
altoatesini di Caldaro, p. Antonio Sepp (1655 – 1733) e sua sorella
di undici anni più giovane, suor Maria Elisabetta Sepp (1666 –
1741). Mentre Antonio, giovane e intraprendente sacerdote, entrò
nell’ordine dei Gesuiti, affascinato dal loro spirito missionario,
Maria Elisabetta, con il nome di suor Maria Benedetta, fu accolta tra
le benedettine del Monastero di Sabiona, che sorge su una imponente
rupe spesso definita “la santa montagna del Tirolo”. Ella capì
chiaramente che la sua vocazione sarebbe stata quella di offrirsi per
il fratello nel nascondimento delle mura del Monastero. A 34 anni p.
Antonio poté finalmente partire per il Sud America come missionario
nelle famose “reducciones” dei gesuiti in Paraguay ed operare
presso le tribù Guaranì . Ricco di instancabile zelo missionario,
egli lavorò per 42 anni nelle “reducciones”, grandi comunità
di villaggi abitati da migliaia di Indios. Per 42 anni, però,
pregò e si offrì per lui nel monastero la sorella Maria
Benedetta. Certamente piena di interesse, ella leggeva ai genitori i
vivi racconti missionari di p. Antonio nonché le sue lettere, in
una delle quali egli una volta scrisse con umorismo: “Il pastore
d’anime qui deve essere tutto: cuoco, imprenditore, compratore,
medico del corpo e infermiere, costruttore, mattonaio, falegname,
fornaio, mugnaio, fabbro, tessitore, giardiniere, pittore, dirigente
di coro e compiere tutto ciò che potrebbe servire ad una comunità
ordinata per il bene comune. Mi si potrebbe dire in faccia che tutto
ciò è impossibile e che un padre non può saper fare tutte
queste cose in modo accettabile. Ebbene, mi si perdoni, è così.
Al braccio divino è possibile operare molto di più per mezzo di
una mano umana”. Con animo sereno p. Antonio, anziano, scrisse
ancora: “La mia testa è piena di nuove idee!”. E deciso
fondò con 700 famiglie una nuova “Reduccione”, custodita solo
da lui. Fino alla morte, sopraggiunta all’età di 78 anni, tutto
il suo amore fu rivolto agli indios, che lo chiamavano tutti il loro
“grande padre”. Conservò sempre la riconoscenza di un
bambino verso la sorella che gli era diventata “madre”. Nella
patria eterna ella lo seguì sette anni più tardi, il 18 dicembre
1741, nella Festa di Maria in attesa.
Una
cugina caritatevole
Tra
i parenti e conoscenti del Conte Carlo de Foucauld (1858 – 1916)
nessuno avrebbe mai pensato che questo ricco e ateo uomo di mondo,
soldato e ricercatore, un giorno sarebbe diventato sacerdote. C’era
tuttavia una persona che aveva sempre creduto alla possibilità
della conversione di Carlo: Maria di Bondy, una sua cugina di circa
otto anni più anziana di lui, la quale, fin da bambina, era sempre
stata come una seconda madre per questo infelice cugino orfano.
Malgrado le sue sregolatezze di anni e i percorsi fuori strada, Maria
non gli aveva mai fatto dei rimproveri e non lo aveva mai dato per
spacciato; piena di comprensione, lo aveva piuttosto accompagnato con
la preghiera. Con la sua amicizia durata una vita, sarebbe stata
proprio lei ad influenzarlo spiritualmente in modo decisivo. Maria
non provò mai a convertire con discorsi religiosi quell’uomo
chiuso, che aveva rinunciato ad ogni fede in Dio. Cattolica
profondamente credente, che andava a Messa tutti i giorni e che
viveva la fede in modo discreto, Maria fu per Carlo una testimone
così eloquente che con il tempo egli avrebbe dovuto riconoscere che
la religione di una tale anima così intelligente e nobile non
poteva essere un’assurdità. Più tardi egli scrisse: “Era
così piena di bontà che mi sono rinati il senso per il buono,
perso per dieci anni, e il rispetto davanti ad esso. ... Quanto cerco
la luce senza riuscire a trovarla”. “Ella mi diede un
breve consiglio: ‘Preghi!’”; cosicché egli si sorprese
sempre più spesso a pronunciare le parole: “Dio, se ci sei,
lascia che ti trovi!”. Infine Maria parlò al ventottenne
cugino del confessore della loro famiglia, il curato Huvelin, davanti
al quale egli si presentò per confessarsi il giorno successivo, il
“giorno benedetto” della sua radicale conversione.
Seguirono tanti colloqui di fede con Maria de Bondy, colloqui che
arricchirono il neo convertito, che ella sempre attenta accompagnava
nella ricerca della sua autentica vocazione. Carlo fu ordinato
sacerdote a 43 anni. In seguito andò da solo nel Sahara come
missionario, ma continuò a rimanere in stretto contatto epistolare
con Maria. Egli scrisse: “Voglio evangelizzare attraverso la
presenza del SS. Sacramento, l’offerta del Santo Sacrificio, per
mezzo della preghiera, la penitenza e la carità fraterna ... Nel
Sahara il sacerdote deve essere come un ostensorio: lui stesso
indietreggia per mostrare Gesù”. Quell’apostolato della
bontà che Maria aveva esercitato con lui, egli lo rivolgeva ora
verso le tribù nomadi dell’Africa. Ella lo aiutò nella sua
missione: per esempio, spedì nel sud dell’Algeria rosari per la
tribù dei Tuareg. Egli stesso glieli aveva chiesti: “... senza
la croce, poiché vorrei insegnare ai musulmani la preghiera!”.
Alla preghiera della cugina il “servo di Gesù”, come Carlo ora
si definiva, non si vergognava di affidare anche solitudini e
sofferenze interiori ed esteriori. “Sono come il chicco di grano
che non muore”, le scrisse nel dolore; nel deserto aveva
pregato per 14 anni, in apparenza inutilmente, per un confratello.
Perfino gli ultimi appunti scritti nel giorno del suo assassinio
erano riservati alla sua cugina e madre spirituale. Maria ricevette
questa lettera in Francia solo molto più tardi e, nei suoi ultimi
diciotto anni di vita, la conservò come una reliquia. In essa era
scritto:
“Si
sente che non si ama abbastanza, quanto è vero. Non si amerà mai
abbastanza, ma il buon Dio sa da quale polvere ci ha formati e ci ama
molto più di quanto una madre possa amare suo figlio ... Egli ci ha
detto che non respingerà chi va da Lui”.
Per
la Chiesa e i suoi Pastori
Un’anima
di espiazione che sapeva pregare e sopportare nel silenzio per la
santificazione dei sacerdoti fu la beata Anna Schäffer (1882 –
1925), di Mindelstetten (Germania). A 18 anni subì un tragico
incidente di lavoro, nel quale, in una liscivia bollente, si ustionò
gravemente le gambe e in seguito al quale dovette subire 30 dolorosi
interventi chirurgici e rinunciare per sempre al suo desiderio di
diventare una suora missionaria. Dopo una dura lotta iniziale, questa
giovane bavarese, felice di vivere, capì sempre meglio che il
Signore l’aveva chiamata ad una “missione della sofferenza”.
Quando più avanti le fu chiesto se avesse mai pensato di poter di
nuovo alzarsi in piedi e camminare, lei rispose sorridendo: “Il
buon Dio vuole che io ora sia malata ed io ora mi oriento verso la
sua volontà... Se potessi porre fine alle mie sofferenze con un’Ave
Maria, ma ciò non fosse la volontà di Dio, io non lo farei”. Il
Signore però la colmò con il Suo amore e la Sua consolazione. Nei
suoi quasi 25 anni di degenza sul suo letto di infermità, fino alla
morte, Anna poté sviluppare un’impressionante zelo per la
preghiera e il sacrificio di espiazione. In una delle sue famose
visioni notturne era inginocchiata davanti all’altare principale
della chiesa parrocchiale: “Ogni volta che supplicavo per
un’anima, dal Cuore di Gesù partiva un raggio fino a raggiungere
il luogo dove si trovava quell’anima ... E nel sogno pregavo: ‘O
mio Gesù,misericordia!’. Ad un tratto fui circondata da così
tante anime ... e tutte dicevano: ‘Per me anche!’. Erano così
tante che non potevo vederle tutte ... pregavo allora
ininterrottamente: ‘O mio Gesù, misericordia!”. Anna
ripeteva sempre: “Pregare e soffrire per la Santa Chiesa e i
suoi pastori è per me al di sopra di tutto ... È per i sacerdoti
che vorrei pregare maggiormente sia adesso che dopo!”. Aveva
capito veramente che la preghiera e il sacrificio di una “madre”
raggiungono sempre il fronte dei combattimenti della vita spirituale
dove ci sono sacerdoti feriti e moribondi!
Maria
Sieler
Cari
lettori, se in questo numero del “Trionfo del Cuore” rivolgiamo
la nostra attenzione a donne che hanno avuto a cuore la
santificazione dei sacerdoti, allora dobbiamo assolutamente parlare
anche di Maria Sieler, una semplice e giovane ragazza della Stiria in
Austria, con pochi anni di formazione scolastica. Incompresa e
sconosciuta, merita che noi ve la presentiamo in modo particolare
insieme alla sua missione di “maternità spirituale per i
sacerdoti”. Questa giovane contadina ricevette molto presto la
prima grazia evidente. Aveva sei anni quando, durante la preghiera in
classe, mentre stava guardando con raccoglimento la croce, nella sua
anima improvvisamente sentì le parole: “Guarda verso Me e
prega con raccoglimento; da questa modalità di preghiera tu
raggiungerai l’altra nella quale potrai parlare con Me come gli
uomini fanno tra di loro”. Iniziarono così per Maria un
cammino mistico di preghiera e una crescente confidenza con Gesù,
che, sia allora come anche più tardi, restarono nascosti alla sua
famiglia. All’esterno la bambina cresceva serena e svolgeva con
impegno le sue mansioni nella cascina. Sebbene dai 16 anni in poi
Maria tentasse più volte di entrare in un convento, questo
desiderio non poté mai concretizzarsi. Il Signore aveva con lei
altri piani e lei scrisse nel suo diario: “Devo presentargli
l’offerta della mia vita e metterla totalmente a sua disposizione”.
Nel frattempo giunse ai 24 anni e cominciò ad avere delle
esitazioni, fino a quando il Signore stesso non intervenne: “Il
7 dicembre 1923 ... allorché volli alzarmi dal banco della
comunione, in un modo al quale non ero abituata, ebbi una forte
impressione della presenza del Signore, che mi disse: ‘Se non vuoi
superarti, mi cercherò un’altra anima. Sono migliaia le altre
anime a mia disposizione, alle quali posso dare le mie grazie”.
Subito ella rispose il decisivo: “Come vuoi tu”. “Quindi
affidai tutto a Maria davanti all’altare della Madre di Dio e
chiesi il suo aiuto affinché, tramite Lei, io fossi capace di
offrire la mia donazione in modo giusto”.
“Voglio
irradiare grazie totalmente nuove!”
Dal
1924 il Signore donò a Maria Sieler nuove grazie mistiche e le
rivelò in modo ancora più chiaro la missione per la quale l’aveva
scelta: “Voglio nuovamente effondere nella Chiesa lo Spirito del
mio Cuore per il rinnovamento del sacerdozio. Attraverso te voglio
far irradiare nuove grazie per il sacerdozio e quindi per le anime.
Il rinnovamento partirà da sacerdoti ma si estenderà anche sui
fedeli”. Dagli anni trenta il Signore donò a Maria chiara
conoscenza di un appiattimento della fede: “Si è prodotta una
spaccatura tra l’insegnamento e la prassi; il cuore del sacerdote
non viene più riscaldato da ciò che egli apprende come materie di
studi. I sacerdoti non credono più al loro sacerdozio e lo
contemplano con occhi puramente umani come fosse un mestiere
qualunque ... . Se insegnano o predicano non ci mettono il cuore. Per
cui tra-smettono bene le conoscenze, ma non risvegliano la fede e non
accendono l’amore”. Gesù si lamentava: “Nei preti la
fede nel loro sacerdozio si è quasi totalmente estinta”. Per
consolazione, però, Maria Sieler poté vedere una grande schiera
di sacerdoti che più tardi sarebbero stati colmi di fede e di vita
in Cristo. Vide questi sacerdoti rinnovati interiormente diventare
come “il ‘granello di senape’,
il ‘lievito’ che penetra tutto... Gesù comincia sempre in modo
modesto, con pochi, come allora con i suoi apostoli, ma ... la fede
trasformerà ciascun sacerdote e, alla fine, tutta la Chiesa”.
Maternità
spirituale per la Chiesa
Il
coronamento della vocazione di Maria Sieler consistette nella sua
maternità spirituale per i sacerdoti. Su questo ella scrisse: “Il
Salvatore mi ha fatto oggi una promessa preziosa ... Egli mi ha posto
come ‘madre spirituale’ della Sua Chiesa, o meglio mi ha messo a
disposizione del sacerdozio. Mi ha fatto sapere che tutti i miei
sacrifici e le mie sofferenze, tutti i beni spirituali conquistati
nel combattimento interiore e nella sofferenza, tutte le perfezioni
morali, la mia unione straordinaria con Lui secondo la mia vocazione
spirituale, tutto ciò - così mi fa capire - è un tesoro
spirituale per il sacerdozio. Tutto ciò che spiritualmente posso
conquistare in me diventa in qualche modo fruttuoso nei sacerdoti.
Tutte le grazie della mia vita interiore sono, per così dire,
proprietà del sacerdozio.
I
sacerdoti vi possono attingere ed ognuno otterrà dal Signore ciò
per cui lo prega, poiché questo tesoro è stato, in Cristo,
offrendomi a Lui, guadagnato da me in precedenza... Come una madre
trasmette alle posterità le sue predisposizioni, così viene
trasmessa come un bene ereditario la mia vita interiore e tutte le
grazie interiori, o meglio l’unione raggiunta con Cristo, per
essere efficace nella Chiesa”. Gesù condivise con Maria
Sieler sempre di più della sua vita interiore e volle che ella la
“sperimentasse” nella sua anima e la trasmettesse ai sacerdoti:
“Osservai nel suo Cuore un amore indicibile per i sacerdoti.
Quindi vidi Gesù mettermi tra sé e i sacerdoti e l’amore che
sgorgava dal suo Cuore attraverso il mio raggiungere i cuori dei
sacerdoti. In una chiara luce interiore seppi che anche tutte quelle
grazie non accettate o addirittura rifiutate dai sacerdoti, devono
riversarsi nel mio cuore affinché io le custodisca lì fino a
quando quei sacerdoti non saranno pronti ad accettarle”.
E
così ciò divenne in Maria una certezza: “Interiormente sono
convinta che la mia vita e tutte le grazie accordatemi da Dio sono
destinate al rinnovamento del sacerdozio. ...
È
in seguito alla particolare intercessione di Maria SS.ma che queste
nuove grazie affluiscono sui sacerdoti attraverso un’anima
femminile”. Allorché ella
chiese meravigliata: “Sì, ma perché al raggiungimento
di questo scopo utilizzi un’anima femminile?”, il Signore le
rispose: “Questo l’ha fatto mia Madre! Fu Lei la prima a
superare in sé l’umanità e a renderla capace di accogliere
Dio”.
E
Maria ringraziò la Madre di Dio.
Tutti
i tesori di grazia passano attraverso le mani di Maria
Maria Sieler
capì profondamente anche il compito esclusivo spettante alla
Madonna nel rinnovamento del sacerdozio: “Dopo la morte del suo
Figlio divino, Maria è stata la Madre della giovane Chiesa. Fu Lei
quindi ad introdurre così bene i primi sacerdoti nello spirito e
nelle caratteristiche essenziali del suo Figlio divino, a comunicare
loro il mondo interiore del Salvatore e a consolidarlo in essi ...
Maria è anche la Salvezza e la Guida in questo tempo di oscurità
per la Chiesa; lei ne è la dispensatrice di vita spirituale e la
Madre ... la Mediatrice di tutte le grazie ... Mi è sembrato che
Maria allargasse le sue mani e dicesse: ‘Tutto viene concesso per
mia intercessione, poiché così mi è permesso di distribuire i
tesori delle grazie di redenzione alla Chiesa’. ... È la
questione del suo Cuore, per la quale Ella prega e combatte. Lei si
dimostrerà ancora oggi come la donna forte e opporrà la sua
dignità e il suo potere, in quanto Corredentrice, allo spirito
corrotto del tempo attuale”. Poiché all’epoca di Maria
Sieler una crisi dei sacerdoti, come oggi la conosciamo, non c’era
e neanche la si poteva prevedere, da parte della Chiesa sembrò che
non ci fosse bisogno di un rinnovamento. Fino alla sua inattesa morte
a 53 anni a Roma, “la croce della sua vita” dovette
restare per Maria Sieler, accanto ad un’esistenza insicura, povera
e sconosciuta, avere chiari davanti a sé le intenzioni e i desideri
del Signore, ma non vederli confermati dalla Chiesa. Questa rinuncia
del non poter vedere nulla della realizzazione di un sacerdozio
rinnovato, appartenne certamente al cammino di sacrificio di
quest’anima santa. In qualunque modo si realizzi questo grande
rinnovamento della Chiesa per mezzo della santificazione dei
sacerdoti, il Signore ha promesso a Maria Sieler già nel 1944:
“Riservo a Me, come mio segreto, l’ultimo e definitivo modo
della sua attuazione. Sarà la mia provvidenza a guidare tutto”.
Un
Cardinale e le sue Madri
Citeremo
ora altre due donne esemplari, impregnate talmente dal desiderio
d’offerta per i sacerdoti da diventare madri spirituali per il
beato martire Cardinale Aloisio Stepinac (1898 –1960). La prima è
la vera madre di Aloisio, della quale il Cardinale Kuharić (1919 –
2002), arcivescovo di Zagabria, disse: “Non si può capire il
Cardinale Stepinac e la sua vita eroica senza conoscere sua madre”.
Infatti Barbara Stepinac, pur nella sua semplicità, era una donna
evidentemente ispirata. Moglie profondamente credente di un
benestante viticoltore croato, fu madre di nove figli. Quando il 9
maggio 1898, un giorno dopo la sua nascita, il figlio Aloisio
ricevette il battesimo nella Chiesa parrocchiale di Krašić, ella
promise di pregare quotidianamente e di digiunare tre volte a
settimana, fino a quando quel bambino non fosse diventato sacerdote.
Al di fuori del parroco, nessuno seppe della decisione segreta di
Barbara, poiché ella non voleva che questa influenzasse la chiamata
vocazionale del figlio. Fu fedele al suo voto per 32 anni fino a
quando non arrivò il giorno beato dell’estate del 1931, nel quale
Aloisio, come sacerdote novello, celebrò a Krašić la sua prima
Messa. In quell’occasione il parroco si rivolse alla madre Stepinac
con queste parole: “Barbara, ora puoi finalmente smettere di
digiunare!”. Ma lei rispose decisa: “Certamente no! Ora
invece pregherò e digiunerò ancora di più affinché mio figlio
diventi un santo sacerdote!”.
Nei
difficili anni successivi, nei quali, dopo i fascisti e i nazisti, in
Jugoslavia salirono al potere i comunisti, furono soprattutto la
ferma fede e la fedele preghiera di madre Stepinac a dare al figlio
la forza e il coraggio di resistere a tutti gli attacchi. Dopo aver
assistito, nel 1934, alla consacrazione episcopale di Aloisio,
divenuto il più giovane vescovo del mondo, la madre Barbara,
ottantenne, lo accompagnò nel cammino della croce. Questi infatti
nel 1946 fu arrestato, accusato di essere nemico del popolo e
traditore della patria e in un processo farsa condannato a 16 anni di
carcere e lavori forzati. Due anni più tardi, mentre era ancora in
prigione, la mamma Barbara morì: per Aloisio era stata non solo
madre fisica, ma era diventata per lui anche una “madre
spirituale”.
Durante
i successivi anni di prigionia, in un modo speciale, il Signore donò
al suo fedele pastore della Chiesa, che in cella era sempre con la
corona del rosario in mano, una nuova madre spirituale. Si trattò
di Maria Bordoni (1916 – 1978), fondatrice dell’Istituto “Mater
Dei”, che allora viveva con le sue suore a Castelgandolfo vicino
Roma. La tanto grande quanto nascosta mistica (dichiarata Serva di
Dio), permeata totalmente da spirito sacerdotale, sentì di offrirsi
al Signore per i sacerdoti. Spesso pregava la notte per la Chiesa, il
Santo Padre, i sacerdoti e i cristiani perseguitati. La Madre di Dio
parlò alla sua anima e moltissime volte la portò in bilocazione
in luoghi di miseria e nelle regioni della cortina di ferro sotto il
comunismo, per portare consolazione ai sofferenti nelle prigioni e
nei campi di concentramento. Come ci hanno personalmente confermato
le suore del suo Istituto nel marzo del 2010, Maria Bordoni poté
visitare in bilocazione anche il detenuto Cardinale Stepinac: la
Madonna le mostrò un sacerdote in prigione, seduto su una sedia.
Piegato in avanti, con le braccia appoggiate sulle ginocchia,
lasciava scorrere tra le sue dita le perle della corona del rosario e
pregava. La Madonna allora disse a Maria: “Vedi questo mio
figlio amato? Soffre così tanto. Prega molto per questo mio figlio
amato. Il suo nome è Aloisio Stepinac”. Quando nel 1997 in
Croazia Papa Giovanni Paolo II proclamò beato il Vescovo martire, a
Castelgandolfo le suore di Maria Bordoni si ricordarono che dagli
scritti e dai racconti orali dellaloro fondatrice esse già
conoscevano quel nome. Fecero ricerche tra gli appunti spirituali e
trovarono conferma della “visita di consolazione” di Maria
Bordoni al Cardinale Stepinac, morto nel 1960. Dopo una prigionia di
nove anni, era rimasto ancora agli arresti domiciliari nella sua casa
natale e tenuto sempre sotto stretta sorveglianza da trenta uomini.
Per tutti coloro che gli avevano arrecato ingiustizie, egli ebbe solo
parole di perdono.
“Vorrei
essere come la luce eterna di un altare, che si consuma lentamente
davanti al tabernacolo del Signore ... per la Chiesa e il Santo
Padre, per tutti i sacerdoti e i missionari”.
Maria
Bordoni
Il
‘sì’ cosciente di una persona gravemente malata
Nella
Repubblica Ceca due nostre sorelle hanno conosciuto un’altra donna
che ha fatto delle sue sofferenze un dono consapevole e silenzioso
per i sacerdoti. In occasione dell’ordinazione sacerdotale di p.
Florian e p. Alain Maria, il 29 giugno 2007, nel Convento della
Misericordia a Gratzen, hanno vissuto un momento molto impressionante
nell’albergo-famiglia dove hanno pernottato. Le nostre sorelle
hanno conosciuto una nonnina della casa di nome Adele, che 15 anni
prima aveva subito un attacco di cuore e che da allora aveva bisogno
di cure ed assistenza. Da dieci anni non parlava più e da sette era
immersa in uno stato di semi coscienza simile al sonno. Malgrado la
malata non mostrasse segni di reazione e restasse seduta con gli
occhi chiusi sulla sua sedia a rotelle, le sorelle le hanno
raccontato ugualmente dell’ordinazione sacerdotale. Alla fine hanno
chiesto alla donna apparentemente assente: “Adele sarebbe pronta
a pregare per i novelli sacerdoti e a offrire la sua grave malattia
per loro?”. Improvvisamente e inaspettatamente, la nonna ha
aperto gli occhi e ha annuito più volte in modo chiaro. Le sorelle
hanno ripetuto la stessa domanda per essere sicure che Adele le
avesse capite davvero ed ella ha perfino tentato di rispondere, ma
non è riuscita a far sentire la sua voce. I familiari sono rimasti
senza parole! Non avevano mai visto in lei una tale reazione!
Un’amicizia
che viene da Dio
Spesso
alle sorelle della nostra comunità “Famiglia di Maria” viene
chiesto: “Quali sono insomma i caratteri essenziali della vostra
spiritualità?”. Dopo l’amore per l’Eucaristia e per la
Madonna, le missionarie sottolineano sempre: “Tutta la nostra
preghiera, le nostre gioie e i sacrifici quotidiani, tutto il nostro
lavoro nei diversi campi affidatici, lo doniamo a Dio per la
santificazione dei sacerdoti: così vorremmo, in modo del tutto
nascosto, essere mediatrici di grazia per i sacerdoti e, con ciò,
diventarne madri spirituali”. Spesso la reazione sorpresa è:
“Che bello! Non abbiamo mai sentito parlare di una tale
maternità!”. Similmente è accaduto ad un padre francescano
diventato vero amico della nostra comunità appena arrivata a
Civitella. Sr. Michaela racconta: “Nel 1994 arrivammo a Civitella,
in Abruzzo, dove fin dagli inizi fummo assistiti con parole e fatti
dai padri francescani presenti nel territorio. Poco prima di Natale
un padre francescano, di circa 60 anni, per mostrarmi la strada, mi
volle accompagnare ad acquistare dei fiori. Malgrado il mio povero
italiano, lungo il percorso potemmo dialogare bene ed io pensai tra
me: ‘Che francescano umile e gioioso!’. Quando Ulderico,
questo il suo nome, nel colloquio mi raccontò: ‘Da noi in
convento ognuno fa tutto’, gli domandai come si chiamava il
Padre guardiano e lui, con grande semplicità, mi rispose: ‘Sono
io’. Allora ridemmo entrambi. Questo fu l’inizio di un’amicizia
donataci direttamente da Dio. Da quel giorno p. Ulderico veniva
spesso da me in cucina per portarci frutta, pane o altre cose buone.
Gli piaceva particolarmente andare in giardino per pregare un po’ e
scambiarci qualcosa di bello della nostra spiritualità. In uno di
questi colloqui spirituali egli, religioso di un convento maschile
gestito da uomini, mi pose inaspettatamente la domanda: ‘Qual è
il compito più importante di voi sorelle in questa casa di
fratelli?’. Iniziai così a parlare della maternità
spirituale e rimasi meravigliata nel vedere quanto p. Ulderico fosse
impressionato da questa realtà, a lui totalmente sconosciuta, che
persino una giovane suora di 25 anni potesse diventare madre
spirituale per i sacerdoti. La sua anima capì in modo intuitivo.
Riconoscente il suo cuore trovò finalmente ciò di cui sentiva la
mancanza da decenni. ‘Nel tempo del mio seminario’ – mi
confidò – ‘abbiamo ricevuto tutt’altra formazione. La
donna veniva addirittura indicata come un grande pericolo per noi
sacerdoti e, nel migliore dei casi, l’avremmo dovuto evitare’.
Ora al contrario potei
sperimentare come l’atteggiamento di questo sacerdote maturo stesse
cambiando. Spesso fui io a restare sorpresa di quanto egli avesse
compreso lo spirito della maternità spirituale e con quanta umiltà
mi chiedesse più volte: ‘Per favore, prega per me!’.
Sebbene p. Ulderico più tardi fosse trasferito in un convento sulla
costa, la distanza geografica non ci impedì di vivere per altri
cinque anni la nostra intima unione spirituale. Poi si ammalò di
tumore ed io potei visitarlo in ospedale poco prima della sua morte.
Dimagrito in modo impressionante, appena entrai nella sua stanza
iniziò a piangere di gioia. Non avemmo bisogno di dirci nulla. Gli
chiesi solo, spinta interiormente a farlo, di potermi confessare.
Questo servizio sacerdotale fu il ‘regalo di addio’ di p.
Ulderico per me. Due giorni più tardi, in un pellegrinaggio ad
Assisi, pregai presso la tomba di san Francesco per il suo figlio
spirituale e gli chiesi che lo potesse guidare presto a Dio. La sera,
dopo il nostro rientro a casa, ricevemmo la notizia che il caro p.
Ulderico in quel giorno era tornato alla Casa del Padre”.
“La
Madre di Dio vuole formarsi delle anime nelle quali continuare a
vivere la sua vita per i sacerdoti”.
“O
Maria, sii tu nostra Madre e lasciaci essere per il caro Gesù
almeno un po’ di ciò che tu sei stata per lui:una serva
fedelissima e cooperatrice spirituale!”.
Maria
Sieler
Un
assegno in bianco per Gesù
Nel
1988 il cardinal Joachim Meisner fu nominato da Papa Giovanni Paolo
II nuovo arcivescovo di Colonia. Egli lasciò a malincuore la sede
episcopale di Berlino, dove era stato responsabile come pastore sia
per i cristiani di Berlino ovest che dell’est. Prima della sua
ordinazione sacerdotale, avvenuta quando aveva 29 anni, egli aveva
lasciato a Dio la piena potestà di disporre della sua vita, come
con un “assegno in bianco”. Nonostante questo era rimasto molto
colpito di fronte alla nuova nomina. Ma con la piena fiducia che era
Dio a condurre la sua vita, assunse con decisione e con passione
l’incarico nella nuova diocesi, nella quale tuttora con coraggio e
senza compromessi combatte per la verità della fede cattolica. In
lui Papa Benedetto XVI, di cui è anche amico personale, ha
certamente il sostegno più fedele.
Testimoni
della fede che mi hanno forgiato
Joachim
Meisner sperimentò fin dalla sua infanzia di quanto coraggio e
impegno ci sia bisogno per difendere senza compromessi la fede
cattolica. Aveva appena dodici anni, quando, nel 1945, sua madre con
i suoi quattro figli dovette fuggire da Breslavia (città tedesca
fino a quella data, divenuta poi parte della Polonia alla fine della
guerra) per trasferirsi in un piccolo villaggio nella diaspora in
Turingia. Era da sola poiché il padre era morto in guerra.
L’arcivescovo ricorda ancora bene quegli anni della sua infanzia:
“Nostra madre era assai graziosa... questa donna bella e di
rango ogni settimana si affannava per un giorno intero nella
lavanderia per lavare i panni di noi bambini con i mezzi più
primitivi. Negli altri giorni andava a lavorare, per guadagnare
quanto necessario a sopravvivere”. Ella visse sempre “...
per la famiglia, conducendo una vita quotidiana in cui era costretta
a fare da madre e da padre per i suoi quattro figli. La sua fede
attiva nelle opere, la sua prontezza al sacrificio e la sua
incrollabile speranza costituirono l’ovvio fondamento su cui la mia
vocazione poté maturare. Nella mia vita di fede, fino ad oggi, io
non sono ancora riuscito ad andare più in là di mia madre!”.
Con grande gratitudine il cardinal Meisner ripensa anche ai cristiani
della diaspora, grazie al cui esempio egli imparò tante cose, più
di quanto si possa dire, per il suo cammino sacerdotale. Il suo
parroco aveva 30 villaggi a cui provvedere, e così i fedeli
dovevano spesso sobbarcarsi lunghi tratti di strada per poter
partecipare alla celebrazione di una Santa Messa: “Fino al
villaggio più vicino erano già sette chilometri. E quando eravamo
in cammino nel viaggio di andata o di ritorno, recitavamo il rosario
o la via crucis e parlavamo di argomenti di fede, della Chiesa e del
mondo. In quelle camminate, ho imparato a recitare il rosario e la
via crucis; ancor oggi entrambe queste devozioni fanno parte del
patrimonio fondamentale della mia vita di fede... Della testimonianza
di fede degli uomini e delle donne delle nostre comunità della
diaspora mi nutro ancor oggi. Ciò costituisce, per così dire, il
fondamento su cui io mi reggo anche come arcivescovo e cardinale”.
C’era
il buon “nonno Elsner”, che col suo esempio, senza parole,
insegnava ai bambini e ai giovani l’incommensurabile valore della
SS. Eucarestia. Che fosse estate o inverno, col suo bastone egli si
incamminava sulla lunga strada verso la Santa Messa nel paese vicino.
Un giorno il giovane Joachim lo trovò privo di sensi, steso a terra
nella neve, poiché il vecchio era scivolato sulla strada verso la
chiesa e nella caduta si era procurato una commozione cerebrale.
Questi “testimoni della fede della mia comunità nella diaspora
... furono i protagonisti della mia vocazione al sacerdozio”.
Nel
1946, a Zagabria, l’arcivescovo croato Aloisio Stepinac venne
condannato come traditore della patria. Persino nella Germania
dell’Est di allora, questo scandaloso processo farsa verso quel
principe della Chiesa suscitò grande emozione. Tre anni più tardi
ebbe luogo un altro processo farsa contro l’arcivescovo primate di
Ungheria, il cardinal Jozsef Mindszenty. Il sedicenne Joachim Meisner
rimase profondamente impressionato da questi processi. Egli ricorda
bene: “Sebbene potessi seguire tutto solo dai giornali e dalle
riviste comuniste, sui quali questi eroi della fede venivano
condannati come controrivoluzionari, fascisti e spie del Vaticano,
essi erano per me – proprio per questo – radiosi modelli della
fede e autentici testimoni di Gesù Cristo. Fino ad oggi, nel mio
cuore, ho ancora una grande venerazione per questi vescovi-martiri”.
Da una rivista illustrata comunista, egli ritagliò allora le foto
dei cardinali Stepinac e Mindszenty, mentre sedevano al banco degli
imputati, e attaccò le immagini alla parete sopra il suo letto.
“Questi due vescovi erano per me come le colonne di fuoco per
gli Israeliti nel cammino del deserto, attraverso le difficili
situazioni di allora mi hanno condotto in maniera più sicura verso
il sacerdozio”.
Eccomi,
Signore
Dopo
gli studi filosofici e teologici a Erfurt, il 22 dicembre 1962,
Joachim Meisner ricevette l’ordinazione sacerdotale. La sera prima
di quel grande giorno egli pensava a come di lì a poche ore avrebbe
pronunciato solennemente davanti al vescovo e alla comunità il suo
“Adsum”, “Eccomi, Signore!”. Sì, egli voleva
davvero essere pronto a tutto. Nella preoccupazione che nel momento
decisivo, per l’emozione, non fosse stato in grado di pronunciare
il suo “Sì” con tutta la partecipazione, egli decise di
esprimere a Dio già dalla sera prima la sua sincera dedizione
totale. “Presi un foglietto”, racconta, “vi scrissi
sopra il luogo e la data: Erfurt, 21 dicembre 1962, vi apposi la mia
firma, lasciai in bianco lo spazio in cui si annotava l’ammontare
complessivo della cifra e pregai: ‘Signore, io vado dove Tu vuoi:
nella diaspora di Turingia, nella Rhon o nell’Eichsfeld’. Che
la Chiesa di Dio fosse però più grande del territorio di
giurisdizione episcopale di Erfurt, allora non lo avevo considerato.
Che un giorno Dio mi avrebbe spedito a Berlino o a Colonia non lo
prevedevo, e ora ne sono anche lieto che non vi pensassi. Giacché
non so proprio se in quel caso, avrei avuto allora il coraggio di
sottoscrivere un assegno in bianco con il Signore”.
La
prima sorpresa della “riscossione” del suo assegno in bianco, il
neo sacerdote la sperimentò subito dopo l’ordinazione sacerdotale
quando seppe del posto di cappellano che gli era stato assegnato.
Egli venne spedito nella parrocchia di san Egidio ad Heiligenstadt (a
quel tempo Germania Est), come ausilio ad un parroco che “io
conobbi quando era un prete gravemente malato,segnato dalla malattia
di Alzheimer. E tuttavia si poteva intuire ancora la forza di
irradiazione e la grandezza di quel sacerdote ricolmo della grazia di
Dio”. (cfr. Pro Deo et Fratribus, n. 146-147).
Uno
dei confratelli compiangeva il giovane cappellano Meisner: “...
poiché da un parroco in quelle condizioni c’era ben poco da
imparare, forse addirittura nulla”. Invece le cose andarono
esattamente all’opposto. “Già dopo poche settimane mi resi
conto che accanto a lui avrei potuto imparare proprio ciò che si
riscontra molto di rado in tanti pastori moderni: un’identificazione
profonda e spontanea con la Chiesa in un’unione di fede quasi
mistica con Cristo”. Quando quel prete dovette rinunciare al
suo ministero di parroco, “venne condotto attraverso la buia
notte della malattia di Alzheimer in forma sempre più avanzata. Dio
solo sa quanto divenne grande in quel tempo la configurazione di quel
Suo sacerdote con Lui stesso. Poter conoscere un sacerdote come quel
mio primo parroco, io la annovero tra le più grandi grazie ricevute
nella mia vita di prete, una cosa che mi ha reso più sicuro e più
saldo nella mia vocazione. Grazie al suo esempio molti anni più
tardi, nel mio stemma episcopale ho scritto le parole tratte dalla
seconda lettera ai Corinzi: ‘Spes nostra firma est pro vobis’ –
‘La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda’.”
In
virtù della propria esperienza, il cardinal Joachim Meisner è
profondamente convinto che le vocazioni alla vita consacrata a Dio
sono soprattutto frutto della preghiera e dell’esempio vissuto. Per
questo, l’11 giugno 1999, egli ha fondato la comunità di
preghiera “Rogamus” (“Preghiamo”). Anziani o giovani, sani o
malati, tutti possono diventarne parte se si impegnano a pregare
quotidianamente per le vocazioni sacerdotali e religiose, come pure
per le vocazioni al diaconato e alla vita consacrata a Dio.
Attraverso la loro preghiera, i membri sostengono i consacrati e
aiutano a creare nella propria famiglia e comunità un’atmosfera
in cui possano crescere vocazioni spirituali in libertà e
sicurezza.
Le
citazioni sono prese da: Joachim Cardinal Meisner, Worte belehren,
Beispiele reissen mit! (Le parole insegnano, gli esempi trascinano!),
in: M. Müller (ed.), Wenn Gott ruft... 23 Berufungsgeschichten,
Aquisgrana 1997, p. 190-210; Joachim Cardinal Meisner, Predica alla
Messa in memoria di p. Werenfried van Straaten il 22 gennaio 2005 nel
Duomo di Colonia
Tratto
da “Trionfo del Cuore” - IL SACERDOTE E LA MATERNITÀ
SPIRITUALE PER I SACERDOTI I - Famiglia di Maria - maggio - giugno
2010 N°1
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